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Full text of "Storia d'Italia, continuata da quella de Guicciardini, sino al 1789: continuata da quella del ..."

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STORIA 

■J 

D' I TALI A. 



TOMO VI. 



DALLA STAMPERIA DI CRAPELET, 

RUI DE YAUGIKARD, N* Q. 



STORIA 

D'lTALIA, 

COKTIHDATA 

DA QUELLA DEL GUICCIARDIIMI , 

SINO AL 1789, 
DI CARLO BOTTA. 

TOMO SESTO, 




PARIGI. 

PRESSO BAUDRY, LIBRAJO 

1832. 

17f. 



STORIA 

D'lTALIA, 



CONTINUATA 



DA QUELLA DEL GUICCIARDINI, 

SINO AL 1*709. 



LIBRO VIGESIMOSESTO. 



SOMMARIO. 

MoBTB d' Innocenzo X , sommo pontefice; gare e fazioni per T de- 
zione del saccessore. Elezione di Alessandro VII , e sae qnalitlk. 
Specialitik della gueira in Piemonte ed in Loinbardia. Gonte«a ^i 
GenoTa con la reUgione di Malta. Ccmginre in Lucca. Amliasciii- 
tore Moscoyita in Yenezia. Torbazioni &a i baroni di Napoli. 
Morho pesdlenziale in questa citt4 , e suoi lagrimevoli effetti : 
sospetti terribili suUa sua origine. Investigatori sublimi delle coie 
naturali in Toscana, favore loro date da Ferdinando gran dnca, 
e benefizj , che ne deriYano per rumanitii. Trattato di pace detto 
de'Pirenei, concluso sulle rive del fiume Bidasso. Dispiace al 
papa, e percb^. Opere egregie di Carlo Emauuele II, duca di 
Savoja. Aroore -delle lettere Italiane in Vienna , e accademia , che 
vi si fonda. L' Italia conquistava allora per lettere, era ^ con- 
quistata ! 

lliRA. ai sette di gennajo del i655 passato da questa 

VI. I 



2 STORfA D ITALIi^. 

air altra vita Innoceiizo X , sommo pontefice. Gia sin 
prima che morisse, vedendosi da tutti vicina la sua 
morte per le infermita e Y eth decrepita maggiore di 
ottant'anni, s'erano accese le gare fra i principi e i 
cardinali intomo all' elezione del successore; le quali 
vieppiii s' infuocarono, quando per essere Innocenzo 
trapassato, la sededivenne vacante. Le solite fazioni 
di Francia e d' Austria si ravvivavano. Capo della fa- 
zione Francese era il cardinale Antonio Barberini, 
della Spagnuola i due cardinali Carlo e Giancarlo de' 
Medici : fra gli uni e gli altri erano molte cause d' e- 
mulazione, Setrse fra le due fazioni una parte indi- 
pendente, a cui si mostrava guida e indirizzatore il 
cardinale Francesco Barberini : la chiamavano lo 
squadrone volante, e faceva professione di liberta e 
di non seguitare le insegne di nissuno , ma di volere 
per papa chi meglio all' interesse ed all' onore della 
santa sede si convenisse. Questa era la parte piii 
potente; perche sebbene non potesse includere per 
avere solamente trentatre voti, abbisognandone per 
la elezione quarantotto per essere allora il collegio 
composto di sessantuno, tuttavia poteva escludere, 
e senza di lei non si poteva far papa. La famiglia 
Pamfila aveva diviso le sue affezioni , perche donna 
Olimpia parteggiava per Francia, sperando da lei 
piuttosto che dalla parte contraria un pontefice pro- 
penso ; ma gli altri Pamfili , guadagnati dal cardinale 
Carlo de' Medici, decano del sacro collegio, andavano 
alia volta di un papa favorevole a Spagna. La prin- 
4:ipal contesa si riduceva nella persona del cardinale 



LIBRO VIGESIMOSESTO. — 1 655. 3 

Sacchetti, cui i Frances! desid^ravano , e gli Spa- 
gnuoli ricusavano, Fra questi contrasti , govemandosi 
ognuno con le simulazioni , e procurando di ritrarre 
dair awersario la mcnte sua , non potendo accordarsi , 
passava il tempo, e il conclave si andava prolungando 
oltre il termine consueto, perch^ gia da tre mesi 
durava; la strettezza e la chiusura nojavano i cardi- 
nal!, desideravano ardentemente di venire a conclu- 
sione. 

Stando gli uni e gli altri ostinati , si rendeva im- 

possibile ogni esaltazione. Per accordarsi bisognava 

a vvicinarsi. I cardinali Carlo de' Medici e Francesco 

Barberini s' abboccarono. Gonvennero, che fosse bene 

recedere ciascuno dalle sue, pretensioni , e creare un 

papa, che conveniente per la sede; odioso a nissuno, 

grato a tutti fosse. S' accordarono nel cardinale Fabio 

Chigi, Sanese, personaggio di merito, di virtu, nu- 

trito neiramministrazione delle faccende, per essere 

stato nunzio al congresso di Munster, e segretario dl 

stato di papa Innocenzo dopo la morte del cardinal 

Pancirolo. La mattina dei sette aprile elessero, non 

discrepando s^lcuno, in pontefice il cardinal Chigi, il 

quale, per rispetto di Alessandro III, suo concitta- 

dino , prese il nome di Alessandro VIL Fu 4a sua 

elezione senza sospetto di macula alcuna, piacque 

universalmente ai buoni e depresse Tanimo dei tristi. 

Gli eretici stessi , soliti a schernire la sede Romana, e 

che gia mormoravano con isconce facezie e dileggia- 

menti della lunghezza del conclave, sentita una cosi 

degna elezione, si dipartirono dalla loro malnata opi- 



4 STORIA o' ITALIA. 

nione, clie nulla di buona da Roma uscire potesse. 
Certo tra le virtu del Chigi e i vizj del Leger, se e 
lecito tali uomini tra di loro paragonare , passava 
una iramensa differenza. Sonvi certuni , che credono 
impossibile la virtii in un cattolico e il vizio in un 
protestante, o il vizio in un cattolico e la virtii in 
un protestante ; ma noi , che piii alle azioni che alle 
persone gunrdiamo, della sola verita, per quanto la 
debolezza nostra puo comportare , useguaci siamo, 
poco curandoci dei clamori dei molti parteggianti , e 
contenti dell' appruovazione dei pochi uomini sin- 
ceri , savj e dabbene. 

Alessandro sali al pontificato, quando erano es- 
treme le miserie d' Italia , e quasi tutte le sue parli o 
fiiori di slesto o in necessita di combattere contro 
nemici potentissimi. La guerra sempre piii incrude- 
liva in Piemonte e nella Lombardia , ora prevalendo 
i Gallopiemontesi contro gli Spagnuoli, e nel loro 
nido del Milanese cacciandogli , ora sormontando gli 
Spagnuoli, e gli avversarj nelle viscere stesse del 
Piemonte rincacciando. Si vedeva un andare e venire 
continuo di soldati , d' archibusi, di cannoni qua e la 
senza nissun termine giudicativo, come se per giuoco 
e per passa tempo si cercasse ad ammazzar uomini. 
Gli Spagnuoli voUero prendere Valenza, cadula poco 
innanzi in mano dei Francesi, i Piemontesi Alessan- 
dria e Pavia, e non poterono. Annone vide molto 
sangue, Frassinetto ancora, e non valse ne per la 
guerra ne per la pace. Trino, Yigevano, Mortara 
cedettere alia fortiina Pieihontese , ne anche questa 



LiBao V1GESIM05EST0. — 1 656-57-58. 5 

praise, perche II coute di Fuen$£tUlagna , nuovo gover- 

Yiatore di MilanOy sempre risorgeva. Niuna cosa era 

chiara in questi avviluppati emergenti , se non che i 

popoli soiTrivano, e i governanti non sapevanoquel, 

che si facevapo, Quapto avvenne di lieto fu, che i 

Francesi restituirono al dqca la cittadella di Torino. 

Genova se ne viveva ancpra sospesa per le prece-^ 
denti congiure , e per nuovi disgusti tra il portico 
nuovo e vecchio, Venne ad accrescere la turbazione 
degli spiriti una contesa del senato con la religione 
di Malta per frivole cagioni di saluti di mare. Pooo 
manco^ che questo litigio si risolvesse in ostilit^; 
perciocche i Maltesi decretarono, che non si accetw 
tasse pill alcun genjtiluomo Genovese nella religione, 
e che i cavalleri di quella nazione yenissero privati 
di ogni carica , che per ay ventura sostenessero. 

In Lucca si ordi una congiura di alcuni popolani 
contro lo stato spttp spezicdi liberta. Ma non pro* 
dusse altro moto che il castigo dei cospiratori. 

Yenezia si contristaya per una grossa guerra col 
Turco , che sara da noi nel susseguente llbro raccon* 
tata. Se non la rallegro , l|\ diverti almeno la venuta 
di un ambasciatore per nome Gioyanovitz Cremono* 
dan, mandato alia repubblica dal gran duca di Mo* 
scoyia. Non reco parple precise d' ajuto contro i 
Turchi; s' aggiro soltanto pel generali, perche allora 
i) gran duca aveva guej^fa qon la Syezia e la Polonia. 
Porto strata lingua e istr^ne fpgge air uso del suo 
paese; ma b^n piii strs^ne p^rvero ^ lui le fogge e gli 
usi Yeneziani. Ba^baro, o il fa^^ey^, perchfe i Mosco- 



6 STORIA d' ITALIA. 

vili SOD Gred , andava domandando , se V acque delle 
lagune crescendo a calando in flusso e riflusso non 
portassero con se le case , come se tanti superbi edi- 
fizj fossero a guisa d'alghe, galleggianti. Poi vedute 
le opere per inusica, andava toccando le tele dipinte 
per chiarirsi , che non erano insensate, perche cre- 
deya , che fossero animate di spirito e di vita. Quest' 
uomo nuovo die roolto a parlare all' Italia. 

Napoli appena riaveva gli spiriti dalle passaterivo- 
luzioni , e da un nuovo tentativo fatto per sollevare i 
popoli dal duca di Guisa venuto con una flottaFran- 
cese sulle marine Napolitane. Quantunque il movi- 
mento per la vigilanza del vicere conte di Castrillo 
fosse stato indamo , aveva pero lasciato cattivi semi 
nei popoli , e roolta gelosia nel governo ; perche i 
baroni della parte Angioina, vedutisi non dimenti- 
cati dalla Francia , non dismettevano le speranze di 
qualche mutazione. Turbavano anche il regno le emu- 
lazioni, anzi le inimicizie tra i baroni di diverse fa- 
zioni , essendo talmente invalsa Y insana rabbia dei 
duelli, che quasi giomalmente ne seguivano. Anzi 
non piu duelli , ma battaglie si dovevano nominare , 
perciocche non piu da solo a solo i baroni combatte- 
vano; ma ciascuno usciva a campo co'suoi aderenti 
e gran truppa di bravi , e V avversario alio stesso 
modo munito sfidavano. Successe un giorno, che don 
Ippolito di Costanzo, prinoife di colle d'Anchise, e 
don Griuseppe Caraffa, marchese di Baccanello per 
ragioni di puntiglio piuttostoche di momento, usci- 
rono alia campagna, ciascuno con piii di cinquecento 



LIBRO VIGKSIMOSFSTO. — l656-57-58. 7 

uomini, e se le persone prudenti e V autorita del vi- 
cer^ non si fossero interposti , ne avveniva qualche 
sanguinoso fatto con pericolo di sommossa per tutto 
il regno , perch^ la maggior parte della nobilta fra se 
divisa essendo, una parte stava in favore di don Ip- 
polito 9 Y altra di don Giuseppe. 

Le narrate molestie erano il minore dei mail di 
Napoli. In essi almeno vi era il matto piacere della 
superbia, e quello dello straziarsi uomini con uomini^ 
e quello di soverchiar il nemico con la forza , e quello 
di cedere dopo contrasto; ma nella calamita, che 
segui e desolo il regno nel i656, altro che temere, 
che sofirircy che morire senza forza e senza sforzo si 
vide; ne dagli uomini venne, ma dal cielo. Da qual- 
che tempo un orribile contagio , che sapeva di pesti- 
lenza , rendeva fuueste le spiagge di Sardegna , fonte 
troppo spesso feconda di somiglianti flagelli. Sape- 
vasi : tutte le coste d' Italia ne stavano in sospetto , i 
governi avevano bandito 1' isola , ed ogni commercio 
con lei interdetto e sospeso. Pure il vicere di Napoli 
ne traeva soldati o di Spagna venuti , od in Italia ed 
in Alemagna raccolti. Ora avvenne, che una nave di 
questi soldati carica essendo arrivata nel porto di 
Napoli, o che paten te sana per inganno in vece di 
sospetta esibisse, o che ad ogni modo il vicer^, bi- 
sognoso di soldati, avesse provveduto con ispeciale 
ordine, che pratica avesse, venne ricettata. Un fatal 
germe portava. Uno mori in tre giomi con petecchie 
e brutti Un^idori a guisa di pesche d' uomo vergheg- 
giato ; un aTtro con capogirlo in ventiquattr'ore manco. 



8 STORIA !>' ITALIA. 

11 malore dairinfelto a'suoi bmigliari si appicca^a^ 
poi di casa in casa andava seq>eiido. Le inferiori parti 
della cilta , parUcolannente il Lavioaro, ed il mercato, 
restaroDO contaminate, meno mostrandosi nelle su* 
periori o per maggior cura dei corpi o per minore 
frequenza di popolo. Contagio, cominciossi a gridare, 
contagio. Le genti si spairentavano : veramente Tap- 
parenza era terribile. Dal volgo il male si crede troppo 
presto, da chi n<m e volgo, troppo tardi; quello gia 
si stimava in preda d' una inremediabile peste , fira 
chi gli stava sopra, alcuni andavano compiacendosi 
nel pensiero, che ne peste ne contagio fosse, ma 
morbo epidemico solamente di natura maligna. Il 
vicere, che Taveva lasciato entrare, e che Yoleva 
mandar soldati a Milano, si sdegnava con chi favel- 
lava parole di peste, fe serrare in un carcere scuro 
un medico, che le disse, come se il tacere avesse a 
cacciar il male. Gli altri medici spaventati dal caso 
del compagno tacevaoo. Il contagio andava intanto 
un giorno piii che T altro dilatandosi; ne solo piii fire- 
quente, ma ancora piii fiero e piii micidiale diveniva. 
Il cardinal Filomarino e dei vivi e dei morti in- 
crescendogli, voile ad ogni modp avvertire il vicere; 
fu con lui, gli disse, badasse bene, che quella era 
peste , e che non era tempo da starsene , se non vo- 
leva vedere Napoli deserta. Gastrillo aduno medici e 
chirurgi : per paura o per adulazione dissero, che non 
era peste. Consigliarono , che si accendessero fuochi, 
che non si mangiasse piii pesce salato. Qn^st'erano 
inezie ad un mal si grave. I fiiochi si accesero , il 



LiBRo viGEsiMosESTo. -— §656-57-58. g 

pesce noti si maogio, quel sempre cresceva. Gia si 
era a tanto di miseria e di spavento venuto che dal 
levare al traraontar del sole, iion piii sparsaroente, 
ma a centinaja ogni giorno il crudele morbo toglieva 
gli uomini di vita, ed oggimai piii non si vedevano 
per le vie della desolata citta che sacerdoti portanti 
il sacro viatico, o corpi morti, che si recarvana ai 
sepolcri , o processioni d' uomini devoti e taciturni , 
o lunghe tratte di doiine scapigliate, che con preci, 
gemiti e strida avanti le sante immagini accotte , pre- 
gavano dal cielo minore sdegno, e cessazione dell' 
orribile contage. Gio non era rimedio , ma fomento 
al male; imperciocche piii gli uomini per le fblle si 
toccavano, e piii quello si moltiplicava. 

Nelle menti spaventate piii la religione alligna; 
pia opera, ma fatale e pericolosa. Spar^esi voce o a 
caso o a posta, che suor Orsola Benincasa, morta in 
concetto di santitli, predetto avesse, che poich^ in 
vita non aveva avuto monastero comodo per le sue 
monache, si dopo morte a pie del monte San Mar- 
tino r avrebbe , quando appunto la citta da un grand' 
infortunio fosse percossa. Ed ecco per edificar il mo«f 
nastero, il vicere, gli eletti del popolo, il popolo 
tutto portare a pie del monte in folia e terra e cal- 
cina e mattoni e sassi e travi, quanto insomma air 
uso del fabbricare abbisogna. Ne del portare si con- 
tentavano, ma coUe proprie mani alle opere intende- 
vano : i primi gentiluomini la facevano da muratori , 
e insin da servi e da fattorini , e si vedevano recarsi 
le grosse ti*avi in ispalla. Eransi dati a credere , che 



10 STORIA D ITALIA. 

il nuovo convento fosse certo rimedio della pesti- 

lenza. Gio avere predetto la santa suora , quest' essere 

r infortunio da lei pronosticato, questa la medicina. 

Pensare bensi si poteva il contrario, ma dire no, per- 

che il popolo t'avrebbe fatto a pezzi. Quest' era una 

Napolitana furia, pietosa si , ma imprudente. Uomini 

e donne, giovani e vecchi, gentiluomini , popolo, 

volgo, di quanto piii alia mano avevano volonterosa- 

mente si dispogliavano, a titolo di elemosina per la 

fabbrica del convento. offerendolo. Non piii casset- 

tine , ma barili , secondo che testimonia Pietro Gian- 

none, s'erano posti per le contrade per ricevere 

quest' elemosina. In un momento fur pieni di monete 

di rame, d' argento, d'oro; le donne vi gettavano a 

gara le loro smaniglie , gli anelli , le coUane, gli orec- 

chini ed altri vezzi d' ogni sorte. In men che non si 

potrebbe credere fu V edifizio condotto a perfezione. 

Aspettavano il miracolo ; ma Y efFetto fu , che la pesti- 

fera infermita piu generale pei contatti e piii fiera 

divenne. 

Una fama insidiosa accrebbe lo spavento. Avver- 
tissero, dicevano i favellatori del popolo, avvertis- 
sero , quello essere un misfatto degli Spagnuoli ; per 
disegno e di proposito deliberato aver loro portato 
la peste ai Napolitani per vendicarsi delle passate ri- 
voluzioni ; da Sardegna essere venuta , da navi e sol- 
dati Spagnuoli appiccata; a bella posta avere il vicere 
permesso la pratioa alle navi infette; lunga pezza 
avere lui negato il male , caroerato il medico , che 
I'annunziava, ricusatoi rimedj, che il potevano o gua- 



IJBRO VIGESIMOSESTO. — l656-57-58. II 

rire o frenare; la malattia e la morte, non nelle for* 
tezze, non nei luoghi alti della citta, dove gli Spagimoli 
abitanoy incrudelire , ma nei bassi, umile ricovero del 
misero popolo, sbranato prima dal ferro, ora distrutto 
dal morbo; vedersene i miserabili segni, non nei ric. 
chi edifizj di chi viene da lungi a succiarsi le sostanze 
di Napoli, ma in Lavinaro, in conciaria, in mercato, 
in quei sestieri iiisomma , dove non si lussureggia e 
trionfa, ma dove si lavora e sofire. Queste vocifera- 
zioni partorivano effetti incredibili, e se come gli 
animi erano irritati , cosi i corpi non fossero stati in- 
deboiid, sarebbe nato qualche pericoloso movimento. 
I seminatori di romori sinistri non si ristavano. 
Detto, che gli Spagnuoli avessero introdotto la peste 
espressamente , insinuavano poi, che espressamente 
la nutrissero e propagassero. Fecero credere al po- 
polo , cbe per conforto e denaro loro , uomini a posta 
andavano spargendo per la cittli polveri pestilenziali, 
fomento crudelissimo ad un male gia tanto crudely. 
Se v'era pericolo nell' uscir di casa pel contagio, 
maggiore v'era per le mani del popolo, perch^ ad 
ogni momento ei traeva dicendo, Oh^ ecco un av' 
velenatore y ecco un appestatorcj vedi lepoheri; 
e guai a chi toccava. Due poveri soldati, uno Fran- 
cese, r altro Portoghese ai servigi di Spagna , colti 
per tale ubbia dal popolazzo, sarebbero stati sbra- 
nati, se un uomo autorevole sopraggiunto a caso, 
non gli avesse salvati con dire , che scelerati di tal 
sorte bisognava dargli in mano della giustizia , per- 
ch^ non solamente fossero puniti , ma svelassero 



\ 



iTt STORIA O' ITALIA. 

i complici. Cosi furono preservati da una pietosa 
fraude. II popolo poi non vedendogli giustiziare, 
vreppiu s'infuriava. Per tranquillarlo e'fu fprza far 
morire col supplizio della ruota Vittorio Angelucci, 
come uno degli appestatori , quaptunque veramente 
11011 fosse, ma si reo d'aUri delitti^ 

La peste intanto da Napoli si era avventata nel con- 
tado : gia le province se ne trovavano contaminate. 
Finalmente il vicer^ fu obbligato di pensare ai rimedj. 
Si consiglio coi medici , col celebre Aurelio Severino 
fra i primi. A petizion loro comando, che in^tuttele 
citta e terre del regno si ordinassero le guardie , ohe 
nissuno, se non munito d' attestati di sanita inbuona 
forma , vi potesse entrare ; che in ogni quartiere si 
iiominasse uno o della nobitta o del popolo , a cui si 
dovessero palesare gli ammalati , che chi appestato 
fosse, incontanente nel lazzeretto di San GennaFO tras- 
portato fosse , e chi in casa propria avesse volouta e 
mezzi di farsi medicare , si il potesse , ma la casa do- 
vesse murarsi ; che nissun medico o chirurgo potesse 
assentarsi, e fosse obbligato di visitare e curare i 
malati, che daila delegazione sopra la sanita gli ve- 
nissero indicati; che i cani ed ogni altro animale 
immondo fossero tolti via dalia citta. 

Gio non ostante 1' aspetto di Napoli ognora piii 
spaventevole. Gli ospedali pieni , non piu atti ad al- 
bergare gl' infetti ; tanto strabocchevolmente ne era 
cresciuto il numero ! Morivano alia rinfusa suUe porta 
delle case , su per le scale , per le contrade. Narrano , 
che oel piu gran fondo della peste morissero da otto 



LIBRO VIGESIMOSESTO. — l656-57-58. 1 3 

in diecimila persone al giorno. Nissuno la peste ris- 
parmiava : medici , chiinirgi , sacerdoti , servient! , 
tutti perivano. Di becchini piii non se ne trovava, 
morti quasi tutti. I cadaveri imputridivano la dov' 
eran morti , le confessioni ad alta voce si facevano , il 
Sacramento si porta va senza pompa, il viatico s' am» 
ministrava sulla punta di ima mazza. Un fetore insop- 
portabile usciva dalle case a cagione dei cadaveri non 
levati e putrefatti. In tal modo fomite infausto ad 
infausto fomite si aggiungeva. Pensarono al rimedio 
per seppellire i morti. Per provvisioue dei deputati 
6 deir eletto del popolo si condussero dal contado 
cencinquanta carrette, e presersi per carrettai gli 
scfaiavi Turcfai , che su per le galere in porto se ne 
stavano. Costoro pei morti sotterratori facevano, fin- 
chfefossero morti e sotterrati essi ; conciossiach^ spesso 
accadeva, che il carrettajo tocco improvvisamente 
dair implacabile morbo in sul condurre , cadeva motto ; 
e cosi chi tirato aveva la trista soma , col cadavero suo 
I'accresceva, e cosi Cristiani e Turchi sulla temuta 
carrelta si confondevano. Vedevansi ad ogni pnsso 
con ispettacolo orribile strascinarsi per le vie con 
grafl^ y umani cadaveri inverso le carrette , dalle quali 
erano ricolti, e non di rado con orrenda confusione 
si strascinavano semivivi con morti. A mucchi , anzi 
a monti si porta vano i cadaveri alle grotte del monte 
di Lautrec, e ne furono pieiie, dove poi una cliiesa 
fii fbndata sotto il titolo di Santa Maria delle lagrime. 
A indcchi ancora, anzi a monti se ne portarono nei 
cimiteri di San Gennaro fuor delle mura, die non 



l4 STORIA o' ITALIA. 

bastarono. Ne basto la pianura fuor di porta San Gen- 
naro, ne quella di San Domenico fuor la porta reale, 
ne le vaste cave dei monti vicini , donde si cavavano 
le pietre per gli edifizj , a cosi smisurata mole di morti. 
Poi finalmente gli strani seppellitori , e le strane se- 
polture 9 gia tutte piene , mancarono , e il furore delF 
iucredibil pestilenza monto talmente a' danni dei mi- 
seri Napolitani, che nel mese di luglio ogni diurna 
luce ne vedeva spenti quindicimila. Non piii si sot* 
terravano le salme morte , ma nel mare o si lanciavano 
o si gettavano : i pesci divoravano le umane membra. 
Qualche Turco comandato ed ancora superstite a 
tanti compagni estinti , andava col graffio e colla car- 
retta raccogliendo i cadaveri, che buttati a stento 
suUe porte delle case , o suUe scalee delle chiese , al 
pieno aere, ed esposti ai morsi di famelici animali s'in- 
fracidavano , e si dissolvevano. Gli uomini stessi , quelli, 
in cui la paura della morte aveva ogni pieta spenta , 
ed erano i piii , Y un Y altro , come bestie feroci fug- 
givano , con occhi biechi , pure come bestie feroci , 
guardandosi. L' ultima ora della miseranda Napoli 
pareva giunta. Tra il calore, la siccita, la morte, 
spiaggia deserta e desolata d' Africa 1' avresti stimata , 
non la bella, viva e popolosa Napoli. Morironvi fra 
gli uomini qualificati il presidenteCarace, il principe 
d' Atene Garacciolo , e don Carlo della Gatta , duca 
di Popoli , il quale , valoroso guerriero essendo , era 
sfuggito tante volte al ferro ed al piombo dei guerrieri, 
ed ora fu tolto dal mondo dall' inglorioso morbo di 
pestilenziali gavoccioli. 



tlBRO VIG£SIMOS£$TO. — 1 656-57-58. l5 

Tra il soffrire e il mpripe della capitale , il conta- 
gio contamino le province. Eccettuata quella d' O- 
tranto e della Calabria ultra, tutte4e altre ne furono 
spopolate. Gaeta, Sorrento, Paola, Belvedere, ed al- 
cune altre terre , tna poche ^ o per favor divino o per 
aria piii benigna o per caatele piii prudenti , restarono 
esenti dalla crudel desolazione. 

AmmolUssi (inalmente dopo tanto rigofe il cielo. 
Piovve verso mezzo agosto abbondevolmente , Y aria 
si rinfresco , allentaronsi le furie delF influsso pesti- 
fero. In fin di settembre non piii di cinquecento ma-> 
lati si noveravano in Napoli , e nell' entfar di decembre, 
cancellato ogni vestigio , i medici dichiararono^ essere 
la citta perfettamente sana. Lie province, risanate an- 
cor esse , della racquistata salute si rallegravano, Ma 
restarono per lungo tempo stupide e spaventate le 
menti per la ricordanza di cosi terribil flagello. 

Non passo molto tempo , che il conte di Gastrillo , 
varcati cinque anni della sua reggenza , se ne torno , 
ricbiamato dalla corte , in Ispagna , ed ebbe per suc- 
cessore il conte di Pennaranda , che vi arrivo verso 
la fine del i658. Piii felici furono gli auspicj del nuovo 
vicere; il regno dalle mortali malattie esente, visse 
anche quieto , essendosi pel trattato dei Pirenei , che 
poco dopo successe , quietato anche il rimanente d' Eu- 
ropa, se si eccettuano i gravi travagli , che dalla pos- 
sanza Turchesca ricevevano i Veneziani. 

Mentre Napoli e le terre del regno si trovavano 
contaminate e quasi annichilate dalla pestilenziosa 
mortalita, trapasso^la fiinesta influenza nello stato 



l6 STORiA D* ITALIA. 

ecclesiastico e neila stessa Roma. Quivi- anche si di^ 
vulgo r odiosa fiima , che vi fosse stata portata , non 
dal caso , ma appostatamente dagli Spagnuoli per im- 
pedire il ricevimento dell' ambasciatore di Portogallo, 
cosa , ch' essi detestavanoper avere tuttavia quel regiio 
in grado di ribelle ^ e il re Giovanni di Braganza sti- 
massero reo di maesta lesfei , tion che sovrano legittimo. 
Queste coSe dice va la plebe contro ogni verita , percbe 
veramente Tinfermita pervenne nello stato deHa chiesa 
per la negligenza del governo pontificio a non serrare 
i passi verso Napoli. Ma il popolo Romano , molto 
sdegnato contro la nazione Spagntiola , si sarebbe^sol* 
ievato a furore contro di lei , ed avrebbe tagliato n 
pezzi quanti Spagnuoli in Roma si trovassero, se la 
provvidenza del pontfefice non I'avesse tenuto a fifeno. 
1 primi segni del mortifero malore apparvero ip Tras- 
tevere, poi venneappoco appoco dilatandosi per tutta 
la citta , continuando con Vario corso , ma non mai 
tanto efferato , quanto a Napoli , sino alia fine del i656 : 
nel seguente andossi lentamente annichilando. In tem- 
po cosi luttuoso papa Alessandro diiiiostrossi vera- 
mente padre del popolo , non avendo perdonato ne a 
fatica , nh a spesa alcuna pel sollievo dei poveri , fra 
i quali per Y ordinario infierisce maggiormetite la ter- 
ribil piaga della pe^e. Pdchi fra i grandi vi soggiac- 
quero, fra i quali tuttavia numerossi il cavalier Gins'* 
tiniani , ambasciatore della repubblica Veneta. 

Il maligno influsso tocco anche Geneva , e qualche 
terra della rivi^ra ; perch^ , penando la repubblica a 
confessare ^ che fosse male contagioso per non arres- 



LiBRo viciisiMosEi^To! — i6$6-57-58. 17 

tare i^rafEchi, si pole liberamefite insiauare. Ne ri« 
cev«ttei*o i.(iefioyeal-'^ravfe daiftio^ e' porturono le 
pene della \\\ro trascuraggice , restando per ben due 
anni* eapkisir dal eomfnercio d^lle nazioni. 

Atfsai nfliglior sorle^i^oTo la Toscana'per la pm- 
den*^ del gran'duca Ferdinalido^ cjie con grandissima 
cura pose le guardib dappeitulto , e cop assai geloso 
rigpoe manda^ad esectazione le regole della^contuma- 
cia. Taiit6 m Cio\ conncm-poca lailde sua, fu severo, 
ed infle&»bi|e^ cfae«o6h voile, cite si ricettasse no) 
pprtq di Livorno Ori&tiiisf ,* regina di Svezia, la quale, 
fiitttf molte piazziu<5l]e in •Roma, passava a fare dell& 
grosse, ps&zle in Francia. . < 

Pill' Ueti acgpmenti ora.iiripcendiamo a trattare. 

Vn^iwA venefica aVeva <j)ortato la peste^gli uomini 

$i 'dibtfuggeVano jiL guerra, >i frati l)ruciavano la 

geiit6 *vi^, la ignorania e la^hfflrbarie si ostinavano 

noir univerjo,'dolori a dolori si aggiungevano , le 

speranze stesse <d«ir avyenire . si pervertivano o si 

spegiievano; T antiea* f^rita contrariava le lettere. 

Pdchi ed umiii uomini, secondati da an generoso 

principe^ V accipsera a stornare^ V influenza diabolica 

e l^stordaroiio. Quanto dildolce abbiamo nella umana 

societa f qnanto^di coiuodo , quanto di utile , da que- 

gli altiiptdtetti dobbiamo riconos^sere. II gran Galileo 

comincio I'^opera sublihie, essi la sostentarono e la 

proQiQSS^o, degni flrscepoU ditanto piaestro. Prima 

di loro *da cbimferenascevano chimere, perche da 

sogni sorti nei vaghi iervelli si deduceva la natura 

delle cose,, come' seftquello^ ohe e,* dovesse piegarsi 



VI. 



l8 STORIA d'iTALIA.- 

ed uniformarsi a quello, che non e, e odme se le 
vane inunaginazioDi degli uomini fossero la' natnra 
stessa, ed eila dentro e non fuori diooi fisse, eneilt 
realta non consistesse. Gli specnbtori deUe'cgse'fisi- 
che prima dd Galileo e de' suoi saooessori ctoednamsi 
tanti Dei, e il mondo a modo loro foggiavanb; ma 
quando si trovavano poi a fronte d^ mondo Tero, 
rimanevano come tanti balordi, perche4iol vUev^io 
corrispondere alle loro preconcette opinioni. AknAi . 
oonfessavano la loro ignoranza , ma con totto dh il 
filo del laberinto non trovavano, altri navigavai|9 ; 
come perduti in una farragine d'ipotesi, le unejpik 
stravaganti delle altre; nissuno trovava la'v^ca .via; 
nissuno poi di loro per dispetto mori, coni6 dicono 
di Aristotile per non aversaputo trovare la vera caii^ ' , 
del flusso e riflusso del mare : non morironio,j>erthi 
la loro superbia ugnagliava T ignoranza. Quest! drano 
la maggior parte frati , razza di gent,&' terribiie, 
quando si fissa in ,un' idea; e quando un frate^si solf 
levava piii su , e faceva le viste di cambiar di ^p!ada. 

'■■■ * , ^ u ' 

il volevano ammazzare , come quasi avvenne al po¥^)ro 
Sarpi. Gostoro insegnavano nelle loro scudle le dot- 
triue peripatetiche , per le quali poico o forse lyilla 
mancava, che avessero la medesima tenacita, che 
per 1$ cattollche. Le unlversita eziandio*staYa(ho per 
lo pill sotto le l6ro cattedre, lutte sotto-il loro im- 
perio. Yelati erano gP intelletti^ la riformazione di 
Lutero gli aveva resi attivi, ma non illuming ti; I'ajt- 
tivita si consumava in dispute teologiche , che per lo 
pill a sottigliezza tiraiio, non a gi^andezza^non ad 






It* • # 

LJBRO viGE5tlkfQSESTO..-T^ 1 656-57-58. ig. 

aiiiore;i^ verita, ma a,perviCSiciadi ^efta. Chi tolse il 
vfelo^^cbi moftro^ta ^rada2 I/Toscani furdbo, che 
Cbn Gdlilfeo' guida , sicco^ae il yero sta Bella natura, 
cosi dalhi uatura il cav^ono. &' avv^zzarono, e con 
loro avf dzzaicono il. monda a non parlare prima ddla 
n^tura , ^a»^opo di lei.' Quesja fuima nuova 'educa- 
zione del gencA:e.umana/non*|)rima sentitp -raai, n^ 
presantita, 'educazipnf /the, rende gli uomini, non 
' solanrtente * piu. dotti , ' ma ancqra inigliori , perch^ 
• ramico^deUa verit^^ toUerante, non fanatico: del 
' ^e la caigionesi^ , cbe non vi mette superbia, ^tante 
cbele, sue opiniofii non^sg^o, per' coVi' dire ^ sue, ma 
SI sbiamente una coQformita oon la realta , cioe con 
qi^nfo e9is*te,'mentre cbi cbimerizza'; difeiidendo le 
sue opinidtai*, difendte il proppiO'partp. Beato Ferdi- 
' piiid64I d^Tds^jana, cbei suBlimi ingcgni fothento : 
Lorigflto, e-^l'crtidd Gosimo ste^so avavano fatto 
opera' saata , dando faVore alia purificazione del 
gil^to ^ ]iU» inansuetudinfe degli animi per mezzo 
- delle lettire:. Ferdinllndo anfeor. piu felice, che sfppe 
e.colla'voftrnta e ^cojl' eseflipio , far fiorire per mezzS 
delLe sciejnze i fiori dell' utile, dei quali'il maggiore 
^ la rettitudinV del gijudizio agli umani ingegni pro*- 
Gurjita. / . ^ • 

La spl^ndida eredita del Gafileo era passafft in 
roanodi £vai\gelista'Torricelli, degnissimo suo disce^ 
polo, cui.F'^dinando aveva chlamat'o, in luogo del 
inaestro , «uo filosofo ot matematico. Gran moto , 
grande ardore era in Ffrenze per iscoprire gli arcani 
della natiira , non c6/i Y indovinare a caso , ma coU' 



« • 



2i> Sfowk d'it^ua.. 



osserramone e g|i apcrAmd. X<m solo i pailicohri 
aommi andbTamo inTcstigaEMio con gnilmiin^ cd- 
riosita , mai u cfrti faioglii nipiti s* ^AnutTmo per di^ 
correre insicme fa quanta cuscon di loro aTerm 
sooperto o si propcmeTa di scoprirey e dd ineto^ 
che seguitare Tolcra, e dctte esperieaie, clie a^eva 
in animo di Ikre, o die are^a gia fiitte per alzar h 
scorza , che la natura dcUe co&t pasooodeYa. U zdp 
per la Tenia fra futti si accendcTa, e s'lndicaTano e 
si trovaTano le Tic deile piii oomode e piii ot3i ioTe- 
stigazioiii. Si dava ognigiomo, per coa dire, Tassaltd 
alia natura , ed ella , cbe ama di esseresforzata , apriTa 
il sue grembo ai fedeK, e lenari «crutitDri. Tonri-^^ 
celli fra tntti rispleodeTa e per ingegno e' per tra£- 
zione del diTino.filosofo. Il gran duca Ferdinando , e 
il principe Leopoldo erano del bel ni|mero, ndn sole 
promotori^Kina investigatori essi medesimi. Paif cu* 
riosita, pari amore : roentre le dae parti superiore ed 
inferiore dUtalia o per guerre.atroci o per sQiQmqsse 
di popoli da moltiplici piaghe VersaTano sangue, la 
felice Toscana per la pmdeoza de' suoi pribcipl se ne 
Tivea quieta, e la quiete abbelliya di quanto' ha Tuomo 
di pill graziosa, di quanto ha di piu profitteTole 
quaggiii. Ne Roma a questo tempo dissentiva. Alea- 
sandJk) diTerso assai da Urbano, delle peripatetiche 
dottrine npn era imbevuto, n^ delle positi];e', che ,si 
andavano fondando, nemicoi Firenze potevascrut«nre, 
senza che Roma se ne sdegnq^se* 'Curiositi^ e tolle- 
ranza, zeloe amore di verita si accoppiaYaoo e vi- 
cendevolmente si ajutavano. La il genere lunano 



L1B$0 VIGE^IMOSJLdTOki — r 1656-57-58. a I 

pambiaya «orte e. sembiaiiza. Famiant) Micbelini. e 
I^iccolft Aggiuntif.amendne'niateipaticl fhsigni, Tuno 

* ^estiimto ipaestrb di matematida dei. principi Giah- 
^ carlo e L^oopldo^raltrb delprincipe-Mattias, fratelli 
di.Fen^inandq, insegnavano a chi ^omaoda agit altri / 
che nQiruaiverso c'e^qualche cosii di meglio che lo 
straziar uomroi. Qa Ferdinando. che gli aqnava, erano 
stall eletti a maestri e in4irizzatx>ri di giovani, ch' egli 
aihava. Vincenzo Vi^iani, Alessandro Marsili, Paolo 
e G^ndido ^el Buono, Francesco R^dj, Lorenzo Ma- 
galotti,^ e^no tutti molto avanti neHagrazia del gran 
duca, sudditi riverenti ed araorosi al certo, nia,an- 

. ^pa^compagni^raditi, ed amici desiderati. Nel par 
kz^ diiqdle si facevano le congri^he, alle quali i 
priacipi idtervenivano , ammaestranti «d ammae- 
strantisi. 

La fama delle nobili fatiche trascorse per iutta Eu- 

ropa : filosofia si andava gridandb pel mondo, e 61o- 

sofia si oohivava. Gran lume partiva di Firpnz^, ei 

docili popoli per ogni parte }:)enignamente il riceve- 

vano* Dalle province oltramontaae ed oUramarine 

tutti coloro, a cui piu stava a cuore il cibo dell' anima 

che quello del corpo , venivano a Fif enze per pasoersi 

dei nyovi frutti, che vi sf maturavano. Da Francia 

Yenivano i gelosi d' instriizione , d' Inghilterra e 

d' Alemagna venivano. « Vi ^ noto, scrivevar il Redi 

^ad Atanasio Kircker, che ho Tonore di servire in 

«uiia corte, alia quale da tutte le parti del mondo 

a cpncorrono quei grandi uomini , che con i loro pei- 

« legrinaggi vanno cercando e portando merci di 



» ' • 

^2 * • *STOmi4 d^itAlia. • ■ 

■ • 

cTirtode, e quaDdo vi artiTaiio, sono comhaitA^e 
« cosi benighe'accolti , cbe nella citta di Fipeiae con- 
ffTessano essei: rinati'frli antichi deliziosissimi orti deu ' 
« Feaci. i^ • • i •* i • . , 

Bene erano orti dei Feaci per V- amep jGi , mfi? erano 
molto piii orti'dJ.Atepe^ con quests differeoz^ pero^ 
che nei disGorsi delf accademia TosQ^uia' non si dubi- 
taya , come" in quella della famosa -citta di Grecia', 
per sempra dubitare ^ ma bensi per arrirare alia ve- 
rita. Caso verapiQnte singolare, che Tampre dei fi§ici 
sperimenti, e la.*pazienza nel fargli aon' sifino ndti di 
prima origine nelle menti coneideratrici 6 pazienti 
. dei popoli settentjrronali, ma si nelle menti sjielle, . 
yivaci ed imma^ihevoli degl'Italiaoi. * , - 

YedutoSi da Ferdinando quanto frutt6 si.caTkya 
dagl' inyestigatori delle cose natilraii , - quantunque • 
sparsi fossero, e da nissun vincolo uniti, se non 
qn^lH dell'amore della scienza e della beneyolenza 
del prinipipe, penso di oongiungergli, iri un* corpo 
solo, afBnche sotto conuini leggi , e con^maggior emu- 
lazione yjiyessero.- Die loro seggio nel palazzo de' 
Pitti, regole pei lavori e le adunanze, denaroper le 
spese occorrenti, il "principe Leopoldo per preside, 
massima di rinunziare a qualunque sistema, e'^i cer- 
care con animo libero per mezzo di attente osserya- 
2ioni e di sperimenti palpabili la yerita. Questa fu 
r adunanza, che acquisto tanta celebrita sottoll nome 
di accademia del Cimento , prima fra tutte le speri- 
mentali accademie , e da cui le altre ricevettero yita , 
spirito e norma. Oltre i Toscani vi erano anqessi , p 



^ 

i\.^ 



i 4 



LTBRO VIGESIAfOSESTO. -^ i656-57-58. a3 

t:ome tesidepfr o coi^ie .corrispondenti, anche gli* 
e^eri, fra i.tjuali naminero Antonio Oliva Galabrese, 
C^rrlo'Ritialdini Anconitano, Alfonso Borelli Napoli-* 
.tano. 'Diede principio alle sue pperazioni il giorno 
diecinovedt gmgnoKlel 1667. ' 

'' Pocb duro truest' accademia, cioe poco piu di ncye 
aiini : si disciolse per discopdia fra alcuni membri^ 
6 per essere stato il principe; Leopoldo , suo amore- 
Tole.pproteltD)*e, innalzato alia dignity cardinalizia. 

■ Ma^rimarrlf eterna la sun memoria, come fia eterno 

' U 3UO Bt^efizio.^^ netbnieho saranno defraudati delle 
debiteiodi Ferdin^ndo II, eilsuo fratello. Leopoldo, 
l^ergbo, lion solamente, come osservava il Galuzzi, fu- 

tcono^ cqme Alessandro Magno , Augusto e Luigi XIV, 

semplici'fauto^i e promotori delle scienze e del dotti, 

ma essi med^simi fiirpno scienziatl alia pari di quelli, 

cha proteggev^o ; opportu^o compenso, perche 

, moJte cosfe essi aoveyana far perdonare ai Medici. 

' Firenze Insegnava e dava forma civile al mondo. 

.Oltr^ i pitto'ri', gli scultori, i poeti, gli scienziati, 
inyianra in Francia in sino commedianti ^ musici, cac- . 
ciatdjri e persone perite di acconciar serragli per la 
6ustodia delle fiere. Ogni cosa, che buona o dilette- 

* ,vole fosse , da lei procedeva , e i popoK «' informavano 
a sua siknilitudine , felici e doici conquiste. L' opera 
famosa , che il Dante e *il Petrarca col dirozzare e ad- 
dolcire i costumi incominciarono , che poi Michela- 
goolo e il Tasso col sollevare a piu alta meta le menti 
continuarono , Galileo e 1' accademia del Cimento coll' 
ammaestrare e rettifieare gl' intelletti compiro(u>. 






^4 STORIA. D ITAUA. 

Parlammo delle pacifiche &tiche deUe musey cnra 
parleremo di pace di regni. Il cardinal- Mazzacior q 
don Luigi di Haro, ministri principali, quello di-fraji. 
cia, questo di Spagna, trattavano. lo sUbilimenta 
delle cose comuni, per cui venivanb afkche a tran- 
qinUarsi le cose d' Italia. Le principali condizicqai delP 
accordo consistevano nel matrimoniodi donpa Mai<|^ 
Teresa, infanta di Spagna col re LuigiXIY^^e nella 
restituzione della maggior parte dei luoghi-occupati 
dagli Spagnuoli durante la guerra, a,Fi*anciav^*'d'.; 
alcuni conqaistati dai France^i, a Sp^gna. Diji motiyi ' 
ostavano alia condusione, e tiirbav|tQo^Ie sfveranze 
della pace; il primo era la inclusione nel trat^to dfit 
Portogallo, cui la Francia richiedeva e la^Spogna: 
ricusava, il secoodo la rintegrazione ne'su^i onorie 
dignita del principe di Conde , divenutornell^ ultime 
turbazioifi ribelle della corona. Infine si trovo fojroia 
ancbe a queste difficolta, copsentendo la Francia^ aU' 
esclusione del Portogallo ed alfa rintegrazione' del 
Conde. ' 

Udissi adunque con infinita contentezza dei j^poli 
oramai stanchi di tante disgrazie, essere stata sul 
fiume Bidasso , termine di confine tra Francia e Spa^ 
gna, e il di sette di novembre del 1669 pel ministerio v 
del Mazzarino e di Luigi de Haro, conclu&a la. pace 
tra i re Luigi e Filippo. Stipularono per condizione 
principalissima, clie Tin&nta Maria Teresa si con- 
giungerebbe in matrimonio col re di Francia , con cio 
pero che essa rinunziasse nel modo piu autentico e 
solentte alia successione della corona di Spagna, af- 



♦ 

f 



LlBRO YIGESJlfoSES;^. "^ iSSq. ^ dO 

•' ■ - * 

finch^ per nissun caso le due corona ,^00" poies^ercf 
mat venir riunite svA mede^pio capo.' Gonveitnerq,* 
che 1' Artesia'i, eccettuato Saat' Omer e Aires , resUn 
FeJbbe^alla JFrancia; che mFiSmdra^e nel diicato di 
Lucemburgo acquisterebbe . G^avelines con hlcutfe 
ahre terre, Thidbville pure con alcune alfre terre; 
verso rPurenei poi pos^derebbe Pei^pignano con ttitto 
il RQSsigiibne dr' quk dai monti. La Francia dal canto 
suo restifUirellbe alia Spagna Ipres, Odenarda con 
alcilne dltre terre di i^'iandra. e sui confini meridio- 
nali qnanio av^yt- conquistato oltf e i moqti in I^pa- 
gna. If duca(o«dt Blar con &lcune a]tre piazz^^ulla 
frontiera orieqtale resterebbe^o in. possessione'della . 
Francia. % ''•. 

Quantojair Ital^, i due Ve S'.^cco^daronb , che il 
duca di ^Skvoj^t ^sarebbe incltiso nel trattato ^ obbli- • 
gandosi il re di Spagna ^i restituirgli Y^rcelli e 11 
CencSo sitUa^ nelleL^nghe; che per diffinire le dit» 
^ ferenze'tra SaVoja e Manto\a, che.avevano dato ori-* 
gine a tante guenre fralfi due corone^ iritendevand e 
volevanb, che riferendosi i due duchi all' arbi trio di 
Francia' e Sp^na,-il trattato di Cherasco avesse la 
sua pieiia edintierh esecuzione secondo la partigione 
d^l Monfefrato ivi fatta; che il re di Spagna sarebbe 
in pace col du'Ql^ di Modena , e nella sua grazia il 
riceverebbe , mandandb in obblivione tutti i disgusti 
e guerre precedenti. Pregarono i due re il sommo 
pontefice di aver per raccomandato il duca di Parma, 
prolungandogli il termine dell' incamerazione del du- 

e potesse sod- 



.5 _• 



flB ' STORIA D'lVALIAw 

Airfare al 'sii^ debito verso la camera apostalica, dr 

•cpi p^i montisti si era xitonoscmto censuario. S^ac- 

' obrdarona ancora , die il principe di Monaco fosse 

limesso 'nel paciBco possesso di tutti i^suoi^ beni, , 

diritti'e rendite , anche di quelli, che gli appartene-^ 

yano net ducato di Milano, nel regilo di NapoK ed In 

altri dominj delF obBedienza del re CattoIioou'Final'^ 

^ mente resto conv^nuto , che il re CristianissimD resti- 

tuirebbe al^Gattolico' le piazze di Valens^a sul Po, e 

Mortara nello stato diMilano. Vennero anche. inbluti 

in questa pace i Napolitani , che nella. pa$sate rivolu- 

zioni si erano allontanati dal regno , d avevanb portato 

. le armi controtlijesso, oon perdono ^^nerale verso i 

medesimi,' e restituzione di tUtti iloro beni, onori e * 

'dignita,ad eccezione'pero delle cariche^.jgfovernr ed 

offic] regj. Aia i piii ^dla clemenza SpagAU^oIa poco 

cbnfidandpsi , non vollefo mettersr al rischio^m an- 

dare a fame sperimento personaknente, e si ^ima- 

'sero neireailio, contuttd'che per Ja eseguita;r^ti- 

tuzione godessero.:delle 'iseHdite, ch^ ioro ^L s^et- 

tavaiio. . ' " ' ♦ 

Questo trattato^ cbe dal luogo ^ in cui«i cbnduse, 
fu chiamato.de' Pirenei, quanttmqne portasse a' pace, 
dispiacque pero non poco a papa Alessandro, si p6r- 
che gli doleva di dover rinunziare ^IV incorporazione 
di Castro, e si ancora perche, non solo senza la sua 
mediazione, ch'egli aveva ofFerto, per persuadere i 
principi alia concordia, ma ancora con rifiuto espresso 
del suo intervento era stato negoziato e deffihito. 
Sibgo due.anniidopo lo sdegp'o *concelto«con'^inca- 



• 



IJIBBO- VlGfSIMOSES^Q* -^ 1659-1660. ,- 117 

merare, m facoic( dello^tess^o^ignor. di Colbert intiato ' 
a questo fine esgressaroente , -cioei pe]:^fiaar valer^ le 
ragioni del duca*"di' Parma, e procurare in questa 
parte 1' e^ecuzjone del trattatQ, -dal re df Francra ,f( * ' 
ducato di.Castrd alfa camera apostolica, 'togliendo 
per tal modo.alk casa Fatnese ogni sp^rauza dl mai piii 
ricuperarlo.'U re senti acerbissimamente , un ttA pro- 
cedere, •ten^ndosene'^fKrontato, non tanto perTinH- 
pegno ; in ^ui si ^a posto in 'faToi:je del duca di coti- 
oerto col rje Gattolico^ quaQto pe)xh^ gli parve, che 
il papa sempre p6co inclinato a 'Francia, avease in 
quest* azione mirdto pitittostb a fare una'buona bra- 
vain' a tpaella corona ,« che ^us'tizia alia camera delle 
sue pretensioni. Questi erano gli effetti ddie ruggini^ 
antiohe-trail papa e Ma22arino. • \ . ■ 

Ld pace de' Pirenei lascio respirare 1' Italia atcun 
tempo ;da' suoi Funghi affahiu. Ma maggior ristoro 
sentirono gli stati di l€fi, che viveano sotto i principi' 
proprj, che quelli^ i quaU obbedivano a un freno stra- 
nien>. Milano a iSTapoli poco s' avvicinarono ad uA 
miglior destino per due -ragioni assai manifeste,- la. 
prima delle quali si ravvisei«a nei governaCori e vicerfe', 
che un rcggimento'a tempo avendo, e forestieri es- 
sendo, ]i6n potevano^ come i principi natiirali e per 
consieguenza perpetui , amare la prosperita del paese*, 
cui gavemavano. Impedire le ribellioni , cavar denaro 
dai popoli per se e pel governo , mandare al principe 
quanto maggior numero di soldati potevano; tali erano 
i desiderj , tali i proYvedimenti dei reggitori delegati 
di Napoli e di Milano. Alcuni per verita furono^di 



-• 



ft 



• 



• aS * STOtelA. i>' ITALIA. 

retto animo e d'iutegra vita, ma rari pur troppd, e 

in loro lanobilta della'natura superava ia cottdiziSne 

delle cose e del tempo. La seconda*'delle ragioAi son** 

* eccennate si rinvenira nello state, stesso delta monar* 

chia di Spagna*. Ella era bensi m pace coUa Francta, 

formldabile .potenza , ma lac pace era , mal sicura^, e 

piena'di rancori e sospetti, e il discirmare def'tutto 

non essendo cbnsentito dalla prud^nza, si scorgeva 

la necessita di domandare, come* per loifanailzi^ de- 

nari e soldatr. Inoltre, sebbene la Spagna, si fosse 

, riconciliata cdla Ffancia , si trovava ancora non poco 

mdlestata dalla guerra di Portogallo , la quale quasi 

somigliante a guerra civile , molta gente con^utoava 

*e molte sostanze. Non cedere voleva la Spogna per 

. superbia^.non il Portogallo per timore; quella affet- 

Xsiik la sovranita lesa , questo la liberta natia , . e cosi 

fra di loro lacerandosi n^ ripofso avevano , n^ qilasi 

•* isperanza di riposo. Napoli e'Milano, e cpsi ancora 

Sicilia e Sardegna se ne risentivano', ^ se non'stavano 

alle percosse', stavano almeno alle miserie. ^ 

•* Pill profittevoli sorti arridevano alle altre parti 

d' Italia sottoposte a principi naturali. Gia della Tos- 

^ tona abbiamo'^&yellato. Alessandro con nuevi edifizj 

' abbelliva Roma, con fomentar le lettere Tammaes- 
trava. Roma certamente era sempre Roma, e per 
Roma il cardinal Pallavicino scriveva la sua storia del 
.concilio di Trento; ne io la potesta oltre i limiti eser- 
citata lodo ne lodero ; 4na non vedo , che alcuno dei 
comandatori di popoli ami a gettar via da se mede- 
isuno quel , che ha , a ragione o a torto fche se 1' abbia , 



• »- 



f. 

• » ■ 



LIBRO VIGC^IMOSESTO. — * 1660. 29 

e quandd cip faranno, si potr^ coli^iderftre^ se Roma 
sara in debito di farsi da se stessa Ginevra/ 

Carlo £inanuele,«pj:;incipe aroatpre di pace e^ de' t 
suoi popoli> «govemava il Piemonte, corp(»^ ja'c^ro e 
rotto da tanfe e cosi lupghe guerre* Git' dava ristoro , 
e maggiore gltcravrebbe da to, se loagnifico di na^ , 
tura it]i ^lagnifiqi edifizj nolh avesse posto soferchia 
curA. Mala magnificenza lo scu3a in parte : testimo- 
Dio jsdho il palasfzoreale, la cappella del Sudario^ k 
Yeneoarii palazzo Garignano, Jl collegio dei nobih, 
parecchie -^hiese fK Torino , fatture del sivo* regno% 
Condusse a termine Mirafioriie RitVjbtIi, opere d Ema- 
nu.ele ^iliherto. e di Carlo Emanuele I, rabh^llV il Va- 
lentino ^-op^ra delljp tnadre Gristina. 4 
. DLmaggibreutilita e per^.di maggior commenda- \ 
zione d^gpo^fu il ^o pensiero d^ aprire fra i diiri4na- 
cigni ^f^H'Alpi il passo della grotta, cbe dk 1^ adito da 
Torind a Lionet 'Prima che la sassosa* natura del ' 
iiionte ,Cos8e quivk \inta dalla pa2;fente e forte ai:tes il 
sepfeiero era cosi stretto fra T ahe rupi ,' eiprecipitoso ^, 
rjniquit^ dal* sito tanta, e cosi pericolosa , chct i 
muli' chichi non vi' potevano paasai^e, ed era d'liopo * 
scaricargli^ e trasportare per >da di;maccbine le balle* 
delle merer da una roccia all'altra. Ma dappoiche pec 
la provvidenza di Carlo Emanuel^ II , il ^anco delle 
quasi intrattabili Alpi era st^to-in questo luogo rotto ^ 
apertb, e ad usb- camodo d'uomo ridotto, nou solb 
con sicurezza , ma con plu facilita- cbe in altre piu 
piane papti si.valicava^.Soi|o un segreto orrore pren- 
deva chi^rapassava , non gia di paura , ma di mara* 



*. 



3o STORIA. d" ITALIA. 

viglia air alto spettacolo di quei macigqii .roUi,*4i 
quelle rupi pendenti, di quel gemitio e morlBono 
, d'acque gelide , di quel romor cupo^ei passi del rac- 
Golto Tiandante. Il segreto orrore venivaQon piu dotee 
senso alleggerito dal vedere fra queila superba natura 
Tumile insci*izione, testimonio ai posteri delta bene- 
vola e fetrma volonta di uh piccolo duca di Si|yoja nel 
condurre un^ bpera , che deir antica Rom^ noa *sa- 
rcbbe stata indegna. Restava a superarsiiin' altfa dif--^ 
6colta, e quest* era di trovar via fra le ripe impeirvie 
dell' inabissato Guier. Rompessi coUe mine e cdi pie- 
coni, Si sostenne con tierrazzi, si aseicuro <!on muii 
consenzienfci alle irregolari rocche, e s' apt) il^y^rqo 
agli uoxuini ed ai cavalli la dove aon erano nai pas- 
sate cbe aquile e camosci. Questo e un iuogo {rera- 
mente pieno d' orrore r la dilettavasi Rousseau ia la- 
sciarsi vetiire il capogirlo, guardando dair alto in giu 
- * il misterioso. Guier, che cupo e profondo si selite, e 
poco si vede. La volontci di Carlo Emanuele srtRava<- 
gliava ill luoghi stupendi. Un principe dei nostri 
tempi fece in siti poco lontani opere ugualmente na-- 
' ravigliose ; ma egli era potentissimo , e ti^aeva con se 
" tutti i tesori e tutti gli udmini d' Europa. Il piccolo 
duca fece con poco e con pochi cio, che un immens6 
potere itbito. Tanto puo la volonta^deir uomo,. che al 
ben fare.intende. * . 
" Procurate strade all' utile commercio tra lujia-^e 

I 

^^ Francia, Carlo Emanuele volto I'animo a mansuefar^ 
i. suoi popoU inferociti dalla piii che trigesimale 
gjLierra. Pigliando eseinpio imit^tivo da Firenze, insti- 



fl 



* % . • • 



LIBRO VIGESIMOSESTa — l666. 3 1 

tui una soeieta letteparia, ed un'<icca(I^ia di pittura, 
alle qtiali chiamo chi piii risplendeva per sapere ncUe 

^ letterie; o per perizia in quella priina fra le belfe arti. 
Certo, a quei d^ W gusto gpa ^re^ guafsto, massimdi neUe 
lettere, perq^^ es^rvdo venfita a schiib T elegante 
semplicita degli*antichi, si p^ipaTatio concetti astrusi « . 

* e correlanohi ^forzate ; il che q^iamavanp pVofon'ditli, 
e novifa, e anfli^ a seecSnda del secolo , come.se i se- 
coli noli si dcMressero tenere e sanare, quando si Igu^- 
sta»o e dairna nel^brutto. Ma pure non ^r£^poco, cUe 
nccesQ si' m^tenesse quel^yco negU anyni, che.gli 
porta va ad aiqpre quanto <gli«solleva^ e consola, ed 
arudisce,\e^migliora. Torbida eraMa fiammal ma col 
tempo e. col misisterio '<}i nuo vi e piii piiri saei^rdoti ^ 
si.poteva^p.urificare ^ rischiar^re ;^ e^ gia m.erc^.^dei 
Tosaani^Qcip^m^fe s' incomiiiciaya a por mano a* 
quiQs^osantoproposfto.. « ^. ^ 

Llamore dellei*lettere Italhine, e la creaziooe delle * 
acc^demie per coltivar^e pen si cont^evano nei- li- 
miti deir Italia } tanto era eUa allora stima'ta maestra \ . 
ed institutrice dtl\e jgenii ! Imperiali discepoli aveva. 
L' imperajoj^e f erdihando , 1' imperatrice Eleonora , e 
r arciduca Leopbldo con grandissimo fervore a questi *' * 
fbnti attingev£mo. Qualu^que Raliano, cRenellapoesia- 
e letteratura della s^a patria fosse jnediocremente es- 
pertp, veniva caro a quei principi, e -da loro non 
solamente protetto, ma della doniestica conversazioile' 
ongrato. Godevano gli Austriaci d' Alemagna dej dolci '^ 
colloquj, ed all' aere Italianp* s' informaVano. Ne )Don- 
tentandosi della adunanze volontarie , per conforto 









3a ' *•* * ,STOtllA4>' ITALIA. 

sfiecialmenfe .deir avciduca L^opoldo, onel^rono a 
Vienna un' accademia Italiana, ^che ogni domenica 
•nelladamerft propria dell' ijnperatore dove V4a adunarsi: 
ckian^ronviRaimohdcyMpntecucbli/ il jrnarcheseJf at- 
teif Francesco PiccblonHni, don,Giberto ^io di Savoj», 
Orazio Budceleni , 'Mattia^ VerteaiaH ^ V abater Spinola, 

* Vt^rtcescd Deici , Franpeseo ZorzL, gentildomo Y ene- 
zbno, IJ abate FeKce Marchetti, resk^te del grsoi duca 
diT0scana. La prima domenica del i66j i dteci ac- 
cademici Italian! si adunarono davaarti all' imperatore, 
all^imperatf ice ^ air ar^idtjca , lessero Fa loro Je{te- 
Garie fatiche, ebbero seggio- sopra i .^consiglieri di 
stato. L'lts^ia letteraf^ia a quei tempi conqijAstava, ai 
nostr^e cofiguistata, merc^ dT^klcuni giovapi iqgannati, 
die sottp spes^ie dMnJipend^Aza^e di norita, si fanno 
servi delle idee^. forestiere, noaxonsideraifdo^-che 
la lettersrtura Italiana^^ conre la^ lihgua, 31 po^spno 

*^bensi distrliggere f cambiare*, no. Yaano^in cerca 
di'un nuovo mondo in lettefatura, nlondo, che non 
c^ h : intanto danno nel ^ec(;liio barbaro. - 



- • 



FftrE DEL* LIlB^^q VlGESIlJf OSESTO. ' 



« 



» 



I<lBRO VIGESIMOSETTIMO. 1660. 33 



LIBRQ, VIGESIMOSETTIMO. 



SOMMARIO. 

MoLBSTS operazioiii nft mare dei cavafieti di Afalta , e gnerra tenri- 
bile, dkts ne riillta degli Ottomani coi Yeneti. Gnerra di Caodia; 
condiziom politichcidi quest' isola. Presa della.Canea. Belle pa- 
role , ed amore patrio di Franceaf o Erizzo doge della repnbblica 
Veneziana. Flresa di Rettimo.Grimamyaminiraglio Yeneto, vince 
i Torchi id mare. Famoso assedio della citU di Candia , e sangui- 
nose fazictoi , che vi seguono. Nuova vittoria dei Yeneziani cqn- 
dotti da Tommaso e Lazaro Moceni go, e da Francesco Morosini ; 
allegrezze in Yenezia per qnesta vittoria. Mehemet Coprogli, 
granTiaire in Coatantinopoli, e sue qnalitik. Baltaglia navale tti 
Lazaro Mocenigo e Mehemet Coprog^ con vittoria de* Yeneziani, 
ma con morte del yaloroso Lazaro. Discussioni nel senato Yene- 
ziano snile faccende d' Oriente. Continnazione deUa gnerra. Con- 
tesa, e riconciliazione fra la repnbblica di Yenezia, e il daca di 
SaYoja ; il dnca manda soccorsi a Candia. Morte di Alesaandro YII, 
sommo pontefice , e creazione di Clemente IX. Grandi sforzi dei 
Turchi contro Candia , cui gnidaya Acmet Coprogli , figliuolo e 
snccessore di Mehemet. Yalida resistenza dei Cristiani goyemati 
da Francesco Morosini , capitano fortissimo. Soccorsi Francesi in 
Candia. Yalorosa, ma imprudente condotta dei raedesimi. Fazioni 
ferocissime sotto la citt^ assediata. Patimenti dei Cristiani, ugnali 
al loro estremo yalore. Candia si arrende, e pace di Yenezia con 
la porta Ottomana. II glorioso Morosini accusato in senato, ma 
assolto. Morte di Clemente IX, e sue qualitii. Aspre contese in con- 
clave per V elezione del unovo ])apa. Modo tenuto nel conclave 
per 1' elezione dei papi. Esaltazione di Qemente X. Morte di'Fer- 
dinando II, gran duca di-Toscana, e sue quality. Gli succede * 

Cosimo III. Incendio spaventeyole delF Etna. 

SiccoME 10 Hon scrivo annali , ma storie , sono 
vf. 3 



.Vi STORfA d' ITALIA. 

qualciie voiUi co^retto a discostarrai y per non inter- 
rompere di soverchio, con pregiudizio della chiarezza^ 
it filo degli avveniraenti , dalF ordine cronologico , 
seguitando piuttosto la serie delle coseche la progres- 
sione dei tempi. Cio principalmente ho pensato di 
£eire, ed era anche necessario, trattando della guerra 
di Candia, mossa dai Turchi ai Veneziani, e che 
avendo avuto origine insin dal r644 ^^^ venne a 
conclusione che nel i663. Siccome necessario, cosi 
ancora a nissun mode pregiudiziale ai gia fatti rac- 
conti poteva questo metodo riuscire , stante che gli 
accidenti della guerra di Candia poca o nissuna corre- 
lazione avevano con queHi,che nel inedesimo tempo 
afllissero T Italia, e furono da noi nel precedenti li- 
bri, descritti. Cosi faremo, con avvertenza pero cK 
citare nel testo stesso della storia Y anno di ciascuii 
avvenimento , quand'esso non concordera con quello 
indicato nel margine. 

I cavalieri dell' ordine di San Giovanni, che poi di 
Malta si chiainarono , divenuti da frati servienti ai 
malati negli ospedali, corsari permanenti contro i 
Turchi, e qualche volta per un enorme abuso del loro 
instituto , eziandio contro i Cristiani , recarono gran- 
dissimi danni alia cristianita. La repubblica di Venezia 
soprattutto si trovo spesso, a cagione delle loro stra- 
vaganze, in gravissimi pericoli ridotta; perche i ca- 
valieri di Malta non avendo nissun commercio se non 
quello, che facevano rubando i Turchi, ed abitando 
un' isola sterile e forte , poco si curavano dei traflfichi 
degli altri Cristiani, o fossero manomessi o interrotti 



LJBRO VIGESIMOSETTIMO. 1660. 35 

dai Musulmani o no. Atteso poi che i Yeneziani ave- 
vano pill traffichi che ogni altra nazione, nei mari, 
che i Maltesi correvano, cosi inaggiori venivano i loro 
danni , ne facilmente si potrebbe dire quanta molestia 
quella pazzia del corseggiare perpetuo dei cavalieri 
Gerosolomitani contro gli Ottomani abbia recato al 
senato ed ai sudditi della repubblica, sempre i primi 
ad essere percossi dalla furia Turchesca. Cio massima- 
mente avvenne nella guerra , che ora siamo per des- 
crivere. Di quel sangue sparso, di quei tesori consu- 
mati, gli avari corsari, che avevano il loro uido in 
Maha , hanno da stimarsi dal mondo mausueto e 
giusto rei. 

Viaggiava nel mese di settembre del i644 ^^^ 
flotta di Musulmani da Gostantinopoli al Cairo, com- 
posta di tre grossi vascelli , che chiamavano sultane , 
e da molto maggior numero di legni minori. Zambul 
Aga, eiinuco, servitore assaianticodegFimperatori di 
Gostantinopoli, con gran seguito di donne e gran 
massa di gemme e di tesori , se ne andava da questa 
flotta portato al sacro viaggio della Mecca. Le galee 
di Malta condotte da Gabriel Baudrand des Chambres, 
I'incontro nelle acque di Rodi. Parve ai Maltesi, che 
non fosse occasione da perdersi : quei tesori gli sti- 
molayano. Diedero loro addosso. Dopo un ostinatis- 
simo conflitto, in cui Zambul e Baudrand stesso 
restarono morti , le navi Turche principali con la ric- 
chissima preda, cedettero in potesta dei Cristiani, 
dico Cristiani per lasciarmi intendere , perche non so 
se fossero. La preda trapasso due milioni. Ma tutto fu 



36 STORIA d' ITALIA. 

posto a ruba, arrafiando ciascuno scompigliatamente 
cio, che la maggior prestezza o la miglior fortuna gli 
parava davanti. Che abbiano &tto delle donne, io 
non Io voglio dire. 

Nudrita e forse non saziata la capidigia , e rubati i 
Turchi, rcstava, che mettessero in pericolo i Vene- 
ziani. Andarono radendo i lidi di Candia, toccarono, 
per acquare. Gala Simeones; poi girando la Sfacchia , 
avrebbero dato fondo appresso castel Selino, se ii 
comandante non gli avesse impediti. Voltaronsi a Ge- 
rigo, ed il provveditore avendo stimato bene di lasciar 
loro gettar I'ancora sotto il castello, si fermarono 
neila cala di San Niccolo,e quindi in alcuni seni ro- 
miti di Cefalonia. Finalmente, placate il vento, ed 
aVutolo in fil di ruota, navigarono a Malta. Per ac- 
cresoer fama aU'azione, lasciarono correr voce, che 
fra i prigioni vi fosse un fanciullo, figliuolo d' Ibra- 
him imperatore dei Turchi. Ma della stirpe non era 
vero : il fanciullo poi cresciuto in eta si fece frate do- 
tnenicano. Questi fatti furono origine dei grandissimi 
tnoyimenti, che seguirono. 

La cosa fii gravissimamente sentitn a Venezia, per- 
che avendo i predatori dato fondo colla preda pei 
porti e nelle isole della repubblica, la fecero insospet- 
tire delle cose presenti, avendo giusta cagione di 
temere di qualche improvvisa e pregiudiziale altera- 
zione della nazione Musulmana. In fatti a Costantino- 
poli alle prime voci del fatale incontro si commbssero 
tiitti a gravisMmo sdegno, sclamando vendetta : de- 
ploravano la sorte infelice dei pellegrini , che aoda- 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. 1 66o. 87 

vaiio a venerare il sepolcro del profeta. Fra le spade 
degrinfedeli Cristiani, dicevano, aver ora a passare i 
devoti andantisi al sacro viaggio^ non potersi piii ora 
salvare, scioglieado il santo voto i Musulmani, che 
con pericolo di morte; le divote donne, gl' innocent! 
fanciulli essere fatti schiavi d'uomini crudeli.; trovarsi 
interrotto il commercio dell'Egitto, fonte di tanti te- 
sori air erario, di tante ricchezze alle sultane , di tante 
delizie ai grandi, di tanti comodi a tutti. L'impera- 
tore Ibrahim, quantunque fosse principe d'animo e di 
corpo deboie, infiammato d^gli stimoli assidui del 
visir Mehemet, e dei minis tri della religione, non 
poteva tenersi , che quell' affronto fatto alle insegne 
Ottomane non vendicasse. Chiamaronsi a furia dal 
Coza Glo, che h quanto a dire ajo o precettore del 
re, gli ambasciatori dei potentati Cristiani. Rimpro* 
vero lore con acerbissime parole il fatto; disse, che 
non era cosa da passarsi tacitamente ; domando conto 
dei vascelli predati, degli uomini uccisi, delle ric- 
chezze predate. Risposero tutti d' una voce^^on avere 
in quelMaccidente avuto parte alcuna i principi loro ; 
essere i Maltesi un governo distinto , da se sussistere , 
con forze proprie difendersi ed ofFendere, con parti- 
colari instituti reggersi. II Coza turbato soggiunse : 
sapersi lui molto bene, che quel corpo si formava di 
tutte le nazioni Cristiane; cadere percio sopra tutte la 
colpa , e da tutte yolerne pena e risarcimento , senza 
di che il gran signore s' amministrerebbe giustizia da 
se medesimo. Poi sdegnato con la medesima acerbita, 
anzi vieppiu crucciato rivolgendosi a Giovanni So- 



38 STORIA d' ITALIA. 

ranzo, bailo di Venezia, gli rimprovero con risentite 
parole il ricetto dato nei porti ai ladroni di Malta, e 
lo sbarco fatto in Gandia degli uomini e delle robe. 
Nego il bailo avere la repubblica che far coi Maltesi ; 
affermo anzi tenergli lontani da* suoi lidi ; se nel mare 
aperto rubavano navi Ottomane , non avere lei carico 
di custodirle ; se di nascosto approdavano in qualche 
seno de'suoi dominj, dove ne fortezza, ne custodia 
si trovasse, increscergliene, ma non poterlo la re- 
pubblica impedire ; bene saperlo i Musulmani stessi , 
perciocche al medesimo modo cioe furtivamente alie 
spiagge del loro imperp rimote da ogni presidio si 
accostavano, e vi sbarcavano. Parvero i Musulmani 
placarsi; pubblicavano di volere sterminar Malta, 
estinguere il suo nome e congregazione, contro quell' 
isola sola voler voltare gli sdegni e 1' armi. Ma era 
simulazione ed insidia, perche non contro Malta, ma 
contro Venezia apprestavano una feroce guerra^ con 
pretesto nuovo un odio antico volevano sfogare , ed 
aggiungere impero alia sedia di Costantinopoli. Le 
rapine dei cavalieri di Malta soffocarono Ik lunga 
prudenza del senato Veneziano. 

I cavalieri di Malta consapevoli della loro colpa, e 
spaventati dalle protestazioni ed apparecchi Tur- 
chesci , procedettero a far provvidenze , ed armarono 
potenteniente per sostenere 1' empito temuto di cosi 
grande armamento. I Veneziani fra la speranza e il 
timore ondeggiavano, perche da un lato il bailo non 
tralasciava mai di avvertirgli , e ridur loro in consi- 
dorazione di non credere nlle benignc parole degl' 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. 1660. Sg 

infedeli, e ch'essi di certo macchinavano la guerra 
contro la repubblica , mirando . specialmente all' ac- 
quisto dell'isola'di Gandia, dairaltro le assicuraziom 
d'amicizia, che non cessavano di darle i Turchi , con 
domandarle anche, per condur la guerra contro i 
Maltesi , V uso coniodo del porto di Suda in quell' 
isola situato, racconfortavano gli animi ed al bene 
sperare gli dispone vano. Cio non ostante, per non 
restare disarmato a qualunque evento,il senato sol- 
lecilo le provvisioni della guerra, dando ordine, ch^ 
si allestissero in Candia ventitre galee, e le milizie 
paesane a quel tempo assai male in arnese si squa- 
dronassero. Nell' arsenale di Yenezia , e negli altri 
porti si andavano facendo preparamenti, ma non quali 
la gravissima emergenza ricercava. Gittati questi fon- 
damenti alle cose sue, applicb anche il pensiero a 
muovere i principi Cristiani a sostegno della repub- 
blica ^ massimamente dell' isola di Candia , la quale 
importante per la sua ricchezza , ed ancora piii pel 
suo sito incontro alia bocca dell' Arcipelago, era pei 
Turchi mira di cupidigia e scorno e freno. Certo e, 
ch' eglino a sdegno grandissimo si commuovevano , 
vcdendo nel centro stesso dei loro mari sventolare le 
Cristiane insegne. Ma o torpendo gk spirit! , o avvi- 
luppati in altre guerre , i principi diedero in su quel 
principio di guerra alia minacciata Yenezia poco altro 
piu che buone ma vane parole contro gli apparati 
potentissimi dei Musulmani. 

S' erano in questo mcntre smisuratamente infervo- 
rate le faccende in Costantinopoli. Fu dato il genera- 



4o STOBIA d'iTAUA. 

Uto del mare a Jusuf Bascia , al quale il gran signor^ 
aveva destiiiato per isposa una sua figliuola. U govemo 
delle forze di terra venne commesso a Mussa, dando- 
gli per compagno Assan, espertissimo neile fortifica- 
zioni , e nel maneggio delle artiglierie. Per maggior- 
mente ingannare, nel metier fuori le code di cayallo, 
non a Venezia, ma a Malta intimarono la guernu 

Era giunto il mese d' aprile del i645 , quando tre- 
centoquarantotto navi tra galere e vascelli, con gran 
rimbombo d' artiglierie in segno di festa, us<^vano dai 
Dardanelli, e verso la Morea s' incamminavano. Por- 
ta vano meglio di cinquantamila uomini , fira i quali si 
numeravano settemila Giannizzeri e quattordicimila 
Spai. Venivano altresi su navi onerarie trentamila, 
parte guastatori, parte vivandieri, saccomanni ed 
altra simil gente ^lita a seguitare gli eserciti. Jusuf, 
giunto prosperamente nel porto di Navarino, ivi 
stava attendendo i venti di maestro, che soglioao 
soffiare in quella stagione , e portano a golfo lanciato 
verso r isola di Candia. 

La giustizia e 1' armi in Candia ei*ano in mano dei 
Veneziani, quella per mezzo di rettori, queste per 
mezzo di provveditori mandati da Venezia nelle 
quattro citta pidncipali Candia, Ganea, Rettimo e 
Sittia. Ai rettori assistevano due uomini del paese con 
titolo di consiglieri. A tutti sovrastava un provveditor 
generale con autorita quasi suprema.Tolta la giustizia 
e r indirizzo dell' armi , tutte le altre faccende gover- 
navano per se medesimi i Candiotti; le imposizioni 
moderatissime. I nobili erano obbligati ad aver pronto 



LlBRO VIGESIMOSETTIMO. -^ 1660. 4^ 

un delenninato numero di miliziani , si per la quiete 
in pace, come per la difesa in guerra. Felici i Gan- 
diotti, quando il provveditor generale era buono, in- 
felici, quand'era cattivo. Di questa secpnda tempera 
era state uno degli ultimi, e pero vi erano sorte assai 
male contentezze. Vi si osservava poi il vizio solito 
della nobilta. I Veneziani V accarezzavano per tener 
il paese per mezzo loro; ma i popoli gelosi della 
potenza e delle riccbezze dei nobili, e vivendo in ser« 
vitii feudataria, speravano in una mutazione di cose, 
qualunque ella fosse, un piii felice destino. Oltre poi 
alia mobilita solita dei Greci, faceva qualche sinistra 
impressione in mezzo a quelle popolazioni di rito 
greco r arcivescovo di rito latino, il quale mandato 
essendo , e protetto dal go verno , voleva meno e po- 
teva pill, che al contentamento del pubblico si con- 
venisse; il che accresceva hel popolo il tedio 4ttll'iin- 
perio dei Veneziani. 

S' aggiungeva il terrore delF armi Ottomane, il 
qual era cagione , clie i popoli pensassero meglip a 
guadagnarsele non resistendo che ad asperarle con- 
trastando. La vittoria pareva assai piu verisimile a 
&vore dei Turchi che dei Veneziani , 6 percio inch- 
navanp a starseae sospesi ad aspettare. Antonio Ca- 
pello , ammiraglio assai temuto dai Turchi per avergli 
vinti altra volta alia Vallona, se ne stava coUe sue 
navi nel porto di Suda, anticamente chiamato Anfi- 
malia , e Andrea Gornaro , provveditore generale , 
faceva la sua residenza nella Ganea, dagli antichi 
denominata Gidonia. Non aveva presidio conforme al 



4a STORIA n' ITALIA. 

pericok), avendo solamente in pronto un tnigliajo di 
soldati, n^ tutti abili alle fazioni. Era Canea piazza 
munita di qualche fortificazione dalla parte di terra, 
dove aveva difesa di cinque bastioni con Ic toro tele 
di mura, ossia cor tine. Ma dal lato, che guarda il 
mare, si trovava cinta da una sola muraglia. Da tutti i 
lati poi mancavaiio le fortificazioni esteriori alia mo- 
derna. Al romore sparso, che i Turchi macchinassero 
Tassalto dell' isola, i capi avevano cercato di provve- 
dersi; ma per essere il caso tanto improvviso, e gl'iso- 
lani tiepidi, non poterono, quantunque mohp s'avac- 
ciassero, munirsi di tutti i mezzi di difesa, che 
abbisognavano. 

Jusuf partitosi con tutto il.suo formidabile apparato 
il di vigesimoprimo di giugno da Navarino, arrivo in 
tre giorni a vista dell' isola , dove distendendo tutta 
r ordifianza in forma di mezza luna con bandiere spie- 
gate e strepito di stromenti militari , dava una tre- 
menda mostra agl' isolani, non ben certi allora, se 
sotto a Gristiani o sotto a Turchi avessero a vivere 
in avvenire. I campi , come narra il Nani , erano pieoi 
di grani e di frutti ,' i casali di gente ; chi raccoglieva 
in fretta le robe , chi le lasciava : le mogli e i figli o 
seguitavano piangendo i passi de'mariti e de'padri 
afflitti, o gli ritardavano con strida importune. Al- 
cuni si ricoverarono in Canea , la maggior parte cerco 
lo scampo ne' monti ; onde in momenti appari pieno 
-d' orrore il paese prima popolato cd ameno. 

Gli Ottoman! vennero alio sbarco , e 1' eseguirono 
senza ostacolo, tuonando con immenso fracasso tutte 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. - — l66o. 4^ 

le loro artiglierie, a Gogna, sulia punta occidentale 
dell'isola. Loro intenzione era d'andar ad investire, 
senza perder tempo, ]a Canea. Percio messisi in cam- 
mino la stessa sera, trovarono un primo intoppo 
nello scoglio di san Teodoro, mufiito di due reqinti, 
cui si erano vanamente persuasi di ocpupar furtiva- 
mente. Medervi Tassalto e gia vi entravano da tutte 
le parti , quando Biagio Giuliani da Capo d^ Istria , che 
il govemava con pochi soldati , preferendo una nobil 
morte ad una servitii miserabile , accesa di sua mano 
la polvere , mando se stesso, i nemici e il forte in aria. 
M ussa si pose a campo a Casal Galat^ , quattro miglia 
distante dalla Ganea; nia vedendo, che i popoli, come 
si era presupposto , non tumultuavano in suo favore, 
che le fortezze non si aprivano , e che bisognava 
venire alia forza , levatosi da quel luogo , ando a 
plantar gli alloggiamenti intorno alia Canea, dove il 
provveditore aveva a tutta firetta introdotto due o trc 
mila liomini di milizie paesane. 

Non cosi tosto si ricevette in Venezia V annunzio 
della guerra mossa dai Turchi , della loro passata in 
Gandia, e delFassedio della Canea, che commossi gli 
animi dalla novita del caso, e dalla grandezza del 
pericolo , vi si accese un ardore universale in pro 
della patria con cosi manifesta perfidia assalita. Si 
rinforzaroho gli armamenti marittimi, si assoldarono 
quanti vascelli si poterono trovare nei porti d' Italia, 
se ne noleggiarono dodi'ci dei piii grossi in Oianda, 
si descrissero nuovi soldati in tutte le province, si 
provvidero denari , parte colle imposte ^ parte coll' 



44 STORIA I)' ITALIA. 

allettamento di grosso interesse, a chi ne prestasse. 
Nobili e popolani andavano a gara nell' esibire le 
loro persone ed averi ; le citta principali di terra- 
ferma e delle isole con molte altre terre rainori ofib-* 
rivano sussidj d' uomini e di denari. Ci sara grato il 
rammentare , che Gianfrancesco Morosini, patriarca 
di Venezia, con lodevole esempio di caril^ patria 
offer se cinquemila ducali all' anno durante la guerra, 
gli altri prelati, il clero si secolare che regolare non 
si mostrarono da meno in cosi pietosa bisogna , del 
loro venerabile antistite. 

Raccogliere in uno tutte le forze Yenete era bene, 
ma non bastava : Venezia ricorse ai principi. Rappre- 
sento, quella esser guerra, quello pericolo, non di 
Venezia sola, ma di tutta la cristianita; i Turchi vin- 
citori di Gandia essere per ardire vieppiii; e chi arr 
restare potra poi quel torrente fatale a tuttp il mondo 
Crktiano? Essere Gandia fortezza comune del mare, 
essere frontiera d' Italia; caduta quella, avere ad ir 
sotto il giogo anche questa , e prevalere T ismalismo 
alia religione di Gristo ; essere Venezia pronta a con- 
correre coUe forze , coll' erario, col sangue; ma dove 
un solo non basta, dovere unirsi molti; il mondo 
sapere, quanto Venezia fosse di quella guerra inno- 
cente; se I'Europa I'ajutasse, syuterebbe la ragione, 
il buon dritto, Tinnocenza, la religione, e la liberta 
di tutti. 

Gli effetti non corrisposero alle istanze. Non che i 
Veneziani, affaticati da tanti travagli, conseguissero 
r intentp dj raccorre tutti i principi Cristiani in una 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. 1660. 4^ 

lega generate contro i Turchi , come ai tempi di 
Pio y, e delta battaglia delle Gurzolari, ass^ tenui 
sussidj ottennero. li pontefice diedie cinque galee con 
centomila scudi, la Spagna e la Toscana altrettante 
galee, i Maltesi sei, Genova nissuna, Timperatore 
nissuna , Parma duemila ianti. Qualche migliore spe- 
ranza nutrivaii^ della Francia, ma poco sforzo ne 
usci , perch^ gia romoreggiandovi i grandi contro if 
Mazzarino nella guerra chiamata della Fronda, ella 
aveva da pensare piii a se che ad altrui , n^ atnava 
inimicarsi il Sultano , suo antico alleato. Cio nondi- 
meno somministro, ma piii secretamente che pot^, 
centomila scudi contanti^ quattro brulotti, con &- 
colta di levar in Francia quanti soldati ed ufficinfi 
volessero. I Veneziani poi, raccolte in quel subito 
tumulto quante genti poterono nella Morea, assali- 
rono per fine di diversions le terre Turche. 

Mentre qu6sti apparafi si andavano facendo, Mtfifi^ 
con una guerra terribile disfaceva le mura della Ca* 
nea ; gili erano anzi fracassate , i cannoni delta piazza 
6 sboccati o scavalcati, la breccia aperta^^guitarono 
sanguinosissimi assaiti , in cui il valore dei Cristiani 
contrasto felicemente per V esito , infelicemente pel 
gran numero degli uccisi , al furore Ottomano. Final- 
mente 1' immensa forza nemica supero i pochi valo* 
rosi. La piazza s' arrese con patti onorevoti , e capi* 
tolando la salvazione di tutti, dopo ^inquantasette 
giorni di virile difesa , la mattina dei diecinove agosto. 
Fu patteggiata , ma poi poco osservata 1' immunita 
delle chiese , dei monaster] , degli ecclesiastici. Con- 



46 STORIik o'lTALIik. 

vennero eziaudio , che ognuno clie volesse , avesse 
facolta di partire , o restando , di godersi liberamente 
i suoi beni. Utilissimo stimossi questo acquisto dai 
Turchi , perche oltre T aver trovato trecentosessanta 
cannoni , e molte altre spoglie inilitari , ottennero 
un boon porto , ed una stanza stabile nell' isola per 
potere da quel luogo uscire comodamente a tutte le 
fazioni di guerra. 

Udita la novella della perdita della Ganea, Venezia 
s^ accorse , che piii efHcaci mezzi abbisognavano per 
resistere a tanto urto. Nacque il pensiero di creare 
un capitano generate alF impresa di Gandia. Trova- 
ronsi neH'urna, mentre in senato si andava a partito, 
• alcuni voti col nome di Francesco Erizzo, doge della 
repubblica, uomo gia di canuta eta. Fermossi il par- 
tito, dubitandosi molto, che troppo grave peso si 
volesse addossare ad un cittadino , a cui i molti anni 
tqglievano il vigore, e la passibilita di sopportare i 
disagi della guerra, niassime in paesi lontani e di 
clima coiSi diverse^ Ma egli : « Se tutti gli anni miei , 
« disse. non sono stati che o studio o esercizio di ben 
« servire alia patria, offerisco prontamente questa 
<cmia estrema canizie ai decreti del cielo, ai voleri 
« de' miei cittadini, a beneficio dei popoli. lo sempre 
echo amato la repubblica, Tho onorata ed obbedita; 
« tolga Dio , che pei' sottrarmi dal peso , che pero co- 
« nosco quaiito sia grave , allegassi per iscusa V eta 
(c ottuagenaria, e il bisogno, che queste vecchie mem- 
«bra tengono di riposo. Rinvigorisco con cuore 
(c pronto e animo costante me stesso., e dedicando la 



LIBRO VIG£SIMOS£TTlMO. 1660. 4? 

(c morte mia all' esaltazione della repubblica^ credero 
« di pagar giustamente questa porpora coir eflusione 
« del sangue. Intrepido volentieri assumo col comedo 
ffdelFarmi la cura della salute comune e la difesa del 
a nostro stato. Aspiri Dio ottimo massinio alia mia 
« buona volonta , a' vostri desiderj e ai voti univer- 
« sali ; che io non trascurero ne col pensiero , ne con 
« la persona tutto cio, che servir possa al bene e al 
« decoro della dilettissima patria, » 

Cio espresso con gravita e modestia da molti trasse 
le lagrime , da tutti gli applausi. Ando il partito , e fu 
preso, che Francesco Erizzo fosse capitano generale 
per la guerra di Candia. Diedersigli per consiglieri 
Giovanni Capello , e Niccolo Delfino. Fu esempio 
piuttosto di amore patrio che di pruovato esercizio ; 
perciocche il virtuoso Erizzo fini di vivere sulF uscire 
deir anno i645. Gli venne sostituito nel sommo prin- 
cipato Francesco Molino, nel capitanato generale 
Giovanni Capello. 

Conveniva , mandando il capitano generale in Can- 
dia^ provvederlo di grosse somme di denaro. Se ne 
cavo una parte dall' erario segreto. Cio era b^ne. Si 
obbligarono i particolari , anche i corpi morti a por- 
tare alia zecca i tre quarti della loro suppellettile 
d' argento. Cio er^ sopportabile. Si pubblico vendita 
di nobilta e di procuratorie di San Marco. Cio era de- 
testabile. Per quest' ultimo stanziamento si procaccia- 
rono air erario ottomilioni di ducati. Cinque procu- 
ratori di San Marco furono per queslo mezzo creati, 
ed ottanta fiimigUe aggregate alia nobilta , tra le quali 



48 STORIA d' ITALIA. 

si numerarono i Labia , Vidiman , Ottoboni , Zaguri , 
Goreggio, Tornaquinci, Soriani, Fieramosca, Ghe- 
rardini, Pappafava, Leoni, Medici, Orologi, 6am- 
bara, Condulmieri, Soderini , Dolce, Fonseca, Albrici, 
Gpnti, Giovanelli, Pasta; le piii Venete, o di Venezia 
o di terra ferma, le altre forestiere; imperciocchi 
r endica fu anche aperta ai Greci , Alemanni , Fran- 
cesi, Spagnuoli ed Inglesi, con questa giunta pero, 
che se alcuno proponesse o un Giudeo, o un Turco, 
o un Saracino, fosse punito di bando perpetuo e di 
confisca di beni. 

Forti, ma tarde erano le provvisioni della repub- 
blica per assicurarsi dai pericoli. Intanto la guerra, 
che non da tempo a chi non V afferra , infuriava id 
Cand|{i a pregiudizio dei Veneziani. Sebbene qualche 
rinforzi e di navi e di soldati vi fossero giunti col 
capitano generate Giovanni Capello, non si cambio 
cio nondimeno la condizione delle cose, si per Tosci- 
tanza degli abitanti, si per la debolezzadel Capello, 
SI per la discordia fra i capi , si finalmente per la im- 
mensa preponderanza delle forze del Turchi. Pochi 
,casi notabili successero nel i646, se si eccettui quelle 
accaduto a Rettimo , grossa citta , che situata sopra 
una lingua^di terra , forma un picciolo seno di mare 
mal sicuro, e quasi sempre piuttosto seccagna che 
^porto. I Turchi vi entrarono furiosamente per assalto, 
restandovi ucciso il provveditore Cornaro, mentre 
animava i suoi a risospingere Y inimico. I vincitori 
usarono crudelmente la vfttoria contro i vinti ; man- 
darono la citta a ferro ed a sacco. I sopravviventi si 



L|6R0 VIGBSIMOSETTIMO. 1660. 49 

ritirarone net cistello ; ma combattuti aspramente , 
e gia rotta !a muraglia per una lai^ breccia, patteg* 
giarono, salva la roba, ie persone e gli onori di 
gnerra. Il senato malcontento de^^pello, il richiam& : 
(u dannato per negligenza a un anno di caccere. 
Mandarongli in iscambio JBbttista Olimani. 

L'egregio ralore del nuovo capitano generate, 

nella virtu del quale il senato nfolto confidava, con* 

solo sul mare^larepubblicsT di quanto eiravtra^tito 

sulle terre di Gandia. Gorreva egli F arcipelago per 

intrapi^ndere gli ajoti , «he da Gostantinopoli pote»» 

sero viaggiare alia volta dell' isola assaltata , quando 

una sua nave, govemata da Tommaso Morosini, 

fhisportata dal vento, si trovo presso alhi acque di 

Negroponte, dove stanziaya la Aottii del generale di 

mare di l^urchia. Quarantaciilque galere Turche at- 

tomfarono tostamente la nave Cristian^, dandole un 

feroce assalto. Ma Morosini le ralmino lontane,le fuk- 

mino vicine per guisa che non poteronp , se non con 

gravissimo danno loro, andare airabbordo. L'abbor- 

darono finalmente : Morosini rest6 morto. I Veneti 

non cessarono per 1' infelice c^so. Anzi aggiungendo 

desiderio di vendetta al furore gia acceso , combatte- 

.roDo liceii>issimamente , a cio disposti di non venir 

vivi nelle mani del nemicol Tre galore Ottomane 

s'erano gik coi graffi attaceate alia Veneziana, e 

Hiessi i tavolati vi eDtAivanb* Gia i Turchi alzavano 

le grida della vittoria-, gia appendevano sulle cime 

degli alberi gli stendardi della Luna, quando com- 

parvero al largo uA vascello , e due galeazze portanti 

VI. 4 



5o STORIA D* ITALIA. 

r iDsegne della repubblica. In un istante, veduto, 
cbe loro ritornaya la prosperita della fortuna , i Ye- 
neti alzarono le grida , San Marco , San Marco. 
Quest' erano veramfUftte nairi , che Grimani mandava 
insoccorso di Morosini, at quale solo sino allora era 
ripiasto tutto il 'pondo Sella battaglia. Diedero di 
cozzo nelle Musulmane , le ruppero , le mandarono di 
traverse, uccisero T ammiraglio d'Ibraim, tagliarono 
a pezzi tittti i Turehi montati sul vaspello , consegui- 
rono una onorata e comphita vittoria. Di spiaggia in 
spiaggia, di porto in porto perseguito Grimaiy , senza 
interporre dilazione, I'odiato neraico. Tanta paura 
mise in loro delle sue armi , e gli afflisse di maniera 
che nDn ^mostrarono piii il solito vigore, e, p^ 
non essere scoperti, non.alzavano piii gli alberi sui 
loro bastimenti. Finahnente gli serro nel portp di 
Napoli di Romania, donde difficilmente potevano 
sortire. 

II presenteanno 1647 vide anche qualehe successo 
dei Veneziani in Dalmazia, ponquistate dalle lore 
armi alc.une piazze, fra le altre la fortezza di Glissa. 

Il fortQ e vittorioso Qrimani non gode lungo tempo, 
n^ della sua vittoria , ne dei plausi de' suoi concit- 
tadini. Trasferitosi sul principiare del 1648 collar flotta 
verso il cuore dell' imp&ro Turco per serrare i Dar- 
danelli, una cosi furiosa tempesta Tassalse , che molte 
navlrestarono ingojate'dall' a[c((ua : lacapitatia stessa 
venne sorbita dalla voragine per modo che il Grimani 
vi pen con grave rammarico di quanti I'avevano co- 
nosciuto, e sommo ^letrimento della sua patria, che 



LIBRO VICESIMOSETTIlUp. 1660. 5f 

per difenderla Y aveva ai primi gradi innalzato. {le 
altre navi erravano disperse. Bernardo Morosihi le 
raccolse, le guaste mando i^ Candia a rassettarsi, colle 
intere si volto ai Dardanelli , gli serro. I Turchi 
s' avvidero , che avevano k fare con un nemicQ , cui 
le vittorie non ammollivano , n^ le disgraa^e scorag-^ * 
gia\ano. , 

L' anno 164B vide il prinlteipio di un assedio, che 
duro piu di vent' anni, che dimostro quanto potesse 
il Veneziano valore e Y Ottomana ostinazione , che a 
se rivolse tutti gli sguardi del mondo, che fu cele- 
hrato dalle penne piu rinomate del secolo. Un Turco 
fortissimo si trovo alle prese con un fortissimo Vene- 
ziano, e il vinto acquisto uguale, per non!^cKre m^g- 
giore gloria del vincitore. Noi noi^ ci dimoreremo a 
descrivere particolarmente tutti i casi di questo luqgo 
e celebrato assedio, perch^ la materia diventerebbe 
forse fastidiosa, e crescerebbe olfre misura fra le 
altre parti della nostra storia. £ prima di dar prin- 
cipio alia narrazione, la sincerita nostra ricerca 8a" 
noi y che sicccyne in altri luoghi sianSo stajti obhligati 
di notare la parzialita contro Venezia del signor 
Pietro Dam , cosi confessiamo ^ dicbiariiuno- iit 
questo , che egli, nel raccontare la guerra di Candia, 
si e dimostrato , non solam^f e ottimo e diligeiite 
scrittore, ma ancora sincero i§ giusto storiicD^ e^piii 
amatore della veritik che del parlare e del tac^lre a 
posta di certe affezionj. 

, I Turchi , cobquistata la Canea ,. ed assalita Siidl ^ 
feroci per le vittorie* passate^ si tfrano messi ar£^:ino 



$ft STOJUA. D iTikLIA. 

di. recar6 in lor potere ia citta di Cahdia , capitaie 
dell'isola. Cussein bascia, nella cui persona risedeva 
al}ora il governo di .tutte Ip genti del campo , cfae in 
({Uel principio non -€ommavano a piii di ventimila 
combattenti , si era alloggiato sui colli .d' Ambrusta, 
* 4donde osservava gli assalti de' suoi , e le difese dei 
Veneziani. Ma quando intese il naufragio della flotta 
Veneta; preso maggior' ardire , strinse ia citta con 
piu stretta circondazione. Dalla trincea, che copriva 
i suoi alloggiamenti , cavando contin|9amente terra, 
si approssimava per quelle vie sotterranee, cfae a 
guisa di rami d'albero si distendevano e s'allarga- 
vano, al recinto delie mura. I difensori sortivano so-: 
vBute per'lg^uastar i lavori., e succedevano feroci bat- 
tagiie. Si usava a <]uei tempi piu che ai nostri V arti- 
Bzfo .delle mine e contrammine. Turchi e Cristiani 
erano in qiKSto geoere peritissimi , e quasi ogi^ 
giomo sotto Caridia se ne serVivano* Lb battaglie 
pertanto si facevano tantb sotto terra quahto sopni. 
'Sdtto lo spaldo si sentiYano romori intemi quasi di* 
t^rreQioto^^e i dbnbatt^iti non si vedopano. Cussein 
si erapo^tio {Mrincipalmnte a fiilminare la citt^ dalla 
^rtd d' oriente. ^ 

TJn uomo di ,tutto valore stava dentro aile difese 
dr^.qtiel principale proptignacoto della cristianita nei 
BWlidi Mtote. Questi^ra Luigi liConardo Mocenigo, 
al qitade otire il comando delle armi di terra, il senato 
aveva cbnferito quellb di tutte le ibrze marittime dopo 
U^^Haufragio e la.morte del Gk'imani. D'eta m^tura, 
di irenerando aspettb*, di vita integerrima^ aveva it 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. — 1660. 5% 

Mocenigo mente ugualmente atta a formare i diseghi 
che ad eseguirgli. Grandi uomini -sorti Veneziajn- 
questa guerra, e grandi cose fece. Il presidio tlella 
piazza non constava che di seimila soklati^ fra i quali 
si niunerayano una fiorita gioventu Francese di duC- 
inila, condotta a quei lontani pericoli dal conte Achitle 
di 'Romorantin; numero certamente molto scars^a 
tante guardie ; ma supplivano gti abitanti condotti in 
ordinate schiere dai loro feudatarj, ai quali erana> 
venuti a congiungersi alcuni uomim di Rettimo e 
della. Ganea, me per avere assaggiato di che cosa 
sentisse il goyernbdei Turchi, si erano dati a difen* 
dere quella sede'della potenza Veneziana: 

La fyontedelia piaz2a vers'oriente, che Gussein si 
era posto ad espugnare , cominciando daFteare y era 
cinta da.quattro baloardi, Sabionara/Yitturi, Gesu 
e Martinetfgo. I due di mezzo si troyavano copeHi 
dal forte di San Dimitri, che poSto iti alto, quasi a 
guisa di cfttadella , tprreggSav?/ Oltre a cio il Gesii 
era protetto f)a un' opera a c'omo detta la Palma^ e 
il llartinen^ cioto da una Corona detta di Santa 

• 

llaria^ e di^iu*^per isbieco dal rivellinodi San Ni(V 
colo,< che difendeva la cortiba tra la Palma e Sunla 
Maria. Il fosso era da ogni parte profo^idis^mo, e 
oltre le opere .esteriori gia indicate, molte altre ai 
luoghi pill opportuni s' innalzavano , o corone o mezze 
lune o rivellini, o tanaglie od opere a\;orJlki secondo 
la loro foma che si Togliano nominare. Gussein, for-^ 
tificato il suo campfodi trincee edi fprti, si spingeva 
mnattzi con tre jNrincipali approfeci , 1' uno cont^o l» 



54 STOEIA d'iTAUA.. 

parte piu bassa del San Dimitri, che Crevacuore si 
diiamava, FaltrD verso il Gesu^ il terzo contro il 
Martinengo. Quest' ultimo andava a ferire principal- 
mente , non solo la corona Santa Maria, ma ancora il 
itrellino di San Niccolo. Coi cannoni, colle zappe, 
coi fomelli , colle mine operavano. Dal fulminar fre- 
quente delle artiglierie gia si erano aperte pareccbie 
brecce, e giungendo le trincee e le batterie sino al 
fosso y si combatteva di mano. Dai Turchi si di visa- 
vano, dai Veneti si aspettavano gli assalti. Per tal 
modo si travagKava ; i mari poi non erimo tanto chidsi 
n^ per una parte ne per Taltra, che nuovi rtnforzi 
d' uomini , e nuove prowisioni si da guerra che da 
bocca, non pervenissero bene spesso ed a chi assaliva 
ed a chi eta assalito. 

In questo mentre la corona di Santa Maria, spa* 
vtotati i difensipri da una grandissima miha, airim« 
peto delta quale riinase tutta 9ci^}lata^ e ritiratisi dal 
luogo , venne in pote$^a dei Turchi>; dal qual^ acci- 
dente fu fhtta loro maggiore comoditiii di battere in' 
breccia il Martinengol In poco tempo Mutta la frohte 
]|irghissinia*di questo bastione'^si troTO <f spianata d|^ 
cannone, o sconvolta d&lle mine, e non una o duel 
brecce jri ergmo aperte, ma tutto era breccia. FTurchi 
cpn ihcredibile furore si mossero all' assalto. Le loro 
grida sconlposte , gli urli barbari , lo. scoppio delle 
mine^ il fffistubno delle artiglierie facevano un fra- 
casso e un^rimbombo orrendo. DaU' altra parte i 
difensori avvertiti per tutta la citta'^al suoho delle 
campane, cheunmbrtale pericolo 'sovrastaya , aecor-^ 



LIBRO VIGESIMOSBTTIMO. — 1660. 55 

revano da tutte baode alia difesa. Mocenigo coll* 
animo composto e forte in quell' estremo firangente 
ogni cosa ad ordtne ed a fortezza incamminava. I 
Turchi combatterono coU' innata ferocia , i Cristiani 
contrastai^ona coif innato valore. T Turchi , alzandp 
grida festose di vittoria , gia avevano piantato motte 
bandiere sul bastione; ma i Veneti alia voce di Mo<- 
cenigo ristrettisi in drappello, si scagliarono contro 
di lore con tanto impeto che gli drrovesciarono net 
profondo del fosso fra i rottami dello scohvolto riparo; 
quindi^la ca^leria sortendo gli sperpero. Monti di 
eadaveri facevano orribile mostra da ambe ie parti. 
Mori di.ferite il valoroso Romorantin. 

Cussein soUecitato da un Greco tradi tore , che per 
acquistar qualche grado con lui , gli rappresent^ ^ 
come fosse indebolito il presidio , ordino un secondo 
ass^lto. Fu pari la rabbia dei combattenti , pari la 
piligna. Nel mentre che stavano in tale strettissimo 
conflitto mescolati, sorse un caso strano. Avvampa- 
rono per accidente fortuito alcuni barili di polvere. 
A tale arrendo scroscio spaventati ed aggressori ed 
a|^editi, gHdarono : minuy mina, e credettero, che 
mina fosse. In un subito trovossi 1' aringo sgombro : 
riavutisi dal terrore tornarono alia battaglia , Gil d' As. 
drila parte dei Cristiani, Cussein da quella dei Turchi. 
Ha essendo i primi pochi, cedev^no, e'il pericolo 
diveniva molto imminente. Un ufHcialef che aveva 
veduto la breccia senza guardie, creduta la piazza 
perduta, era corso a darne il funesto annunzio a Moce- 
nigo. Ma egli , sgridatolo, anzi percossolo colla mazza , 



56 STORIiL d' ITALIA. 

che teneva in mano : F^ile, gli disse, tu non kai ne 
mani ne cuore da guerriero : ora vedrai, quaiUo i 
guenrieri possano. Cio detto, e sibderatolo stocco, 
31 avviava verso il Martinengo. Infiammava andando 
quanti incoDtrava , soldati e popolo ^ con voglie acce- 
sisMme e con impeto grandissimo il seguitavano; il 
destino di Candia X accompagnava. Le donne stesse 
colle voci e coi sassi gli facevano corona e plauscu 
Giunse, e con taletremenda guerra percosse i Turdii, 
che tutti nel fosso con immensa strage gli stramazxo. 
Quest' atto di coraggio, comme osservail Darir, costo 
ai Turchi vent' anni di guerra; perocche senza di lui 
Candia sarebbe stata insin da quel giorno presa. Gus« 
sein al terribile rincalzo sbigottito , si chiuse negli 
oUoggiamenti , aspettando soccorsi. 

Meqtre la guerra incrudeliva suUe spiagge di Can- 
dia , seguivano fierissimi accidenti in Gostantinoppli. 
Ibraim, concitatosi contro, non solamente Todio, md 
ancora lo sprezzo della nazione per le sue cnidelta 
e disaolutezze , fu con impeto militare ucciso , ed a&* 
sunto air imperio il suo figliuolo Mehemet , pervenuto 
soltanto all' eta di set anni. Suoflksero in que^to qua^ 
interregno altri casi funestissimi e morti yiolente di 
primi visiri ^ di ^ihmiragli , di altri capi supremi di 
quella"* feroce nazione. In mezzo a tale scoavolgimento 
parole di pace andarono attorno , credendo i Yene^ 
ziani, che ,^ebilitato T imperio nemico^ dalle sangui- 
nose rivoluzioni , e dall' eta minore del sultsgio, avnebbe 
potuto conseutire a minore rigidita di patti. Bla le 
ofiferte , ed i negoziati non sortirono alcun fine buono, 



LimtO VIGESIMOSETTIMO. 1660. 67 

perche n^ ii senato volte accoiQodar Tanimo alia 
cessione della citta di Candia , ne il gran signore ve- 
nire ad accordo , se la possessione della medesima non 
gli si consentiva. 

La guerra. contipuo piii aspramelite di prima. De* 
solossi nel i649 '^ misera Candia con una incredibile 
quantita di bombe gettate^dai Turchi ^ abilissimi in 
quel tempo in questo g^nere d'espugnazione. Per ma^^ 
lacopo Riva, taimiraglio di Yenezia, che per repri* 
mer&le navi 3ei Turchi , si volteggiav^ alia boccb dei 
Dardanelli', segnito sino al porto di Foccia , Y antica 
Focea> il capitanbasci^ , occupato ilal timore; entro 
nel porto stesso, azione coraggiosissima, incese la flotta 
Turca , poi sano e salvo se ne usci. Quest' uomo ar- • 
dito scrisse al senato , che gli bastava Y animo jdi en- 
ti^ar a faruciare tutti gir armamenfi Turcheschi nel 
porto stessodi Gostantinopoli , e ne doman(^va licenza. . 
Il senato spaventato daHa grandezza del concetto , e 
prudepte per isperienza , freno Y impeto dell' ammi- 
raglio, Itaabdandogli, corresse 1' Ai^ipelagb , in quel 
della Marmora non s' indtrasse. * 

{^el mill tare tumulto aell'imperio de' Tuithi, non 
bene avvisandosi o non proseguendosi i consigli,i 
Veneziani avevano il vantaggio , e per loro , massime 
sul mare., ida vitK>ria nasceva vittoria. d generalissimo 
di mare pei Turchi era Hscito'dai Dardanelli con una 
grossa armata con intento di. portar nuovi soldati e 
munizionLalla Ganea per stringere e ti^avagliare viep^ 
piukla gia tanto tormentata Capdia : gia ' a veva fattQ 
sc^ a Scio. H capilana g^nerale dei Veneti Moce- 



58 STORIA d' ITALIA. 

nigo , a cUi era stato commesso anche il governo sul 
mare , s' era ridotto con qualche numero di navi a 
Cerigo per aspettarvi le altre, che venivano da Ve- 
nezia. Ne V uno ne 1' altro disegnavanp di venir alle 
mani in una battaglia giusta ; ma 'la fortuna addusse 
cio, die gli uomini volevano schivare. I due nemici 
ammiragli correndo il mare , vennero nelle acque tra 
f aros e Nicsia, 1' antica Nasso. Correva il giomo dieci 
di luglio del i65i. S' attacco la battaglia. Due Moce- 
nighi Tommaso e Lazaro , vedendo appresso a 'terra 
una squadi*a di galee nemiche , le quali siprovwde- 
vano d' acqua , si fec6ro avanti , forse con troppo 
maggior ardimento die il tempo comportasse , per 
• tagliarle fuori. Il qual movimento vistosi dal capitan 
baficia, le mando ad investire a voga battuta con sei 
maone e alquaiite galee. Si combatt^ ferocissimamente. 
Tommaso,. *mentre dava animo a' suoi-con la voce, 
con la mano, coll' opera, redto ucciso; Lazaco in pa- 
recchie parti ferito. Francesco Morosini , capitano 
del golfo e delle galeazze, uomo, il cui nome, come 
sara narrato in aj^presso , fia pon lodi eterne venerato 
nelia stdtia , si spinse aranti per liberare le due co- 
raggiose , ma imprudenti navi. Accorse dall' altra 
banda il generalissimo di Turchia. La sua capitana 
pfes^.di mezzo' dalle navi Yeneziane', e daesse ber- 
sagUata ftiriosi^simameiite , nmssime dalla galeazza di 
Lazaro, resa inabile dallo strazio sofTerto al mareg- 
giare, si sommerse, satvabdosi sur un altra il bascisk 
satiguinoso'per unil grossa ferita. La qual cosa viKli- 
tasi dai Turchi,le loro navi, prima s' ingarbugliarono, 



I.1BBO VIGESIMOSETTIMO. — 1660. 59 

poseia andarono in fuga, non valendo n^ conforto r^ 
rimprovero alcuno dei capi per rattenerle. Il Moce- 
nigo , capitano generate , trovossi a fronte della ca- 
pitana di Costantinopoli, sopra cui cqn lo stendardo 
reale comandava Mustafa rinegato. Fu ostinatissima 
la resistenza; ma finalmente il Yeneziano , ajutato da 
altre sue navi accor^e all' asprp afFronto , resto su- 
periore, impadronendosi della nave avversa con im- 
mense ricchezze. Fu felicissima la vittoria. Una maona, 
undici navi. prese,' cinque incendiate, mille cinque- 
cento 'pr]gioni,moUi schiavi redenti, un immenso 
bottino. Pel solenne fatto i YenezianldivenneFo signori 
deir Arcipelago; i vincitbri si schierarono iii bella 
mostFa con le navi conquistate e gli Stendardi Otto- 
man! capovolti a vista della citta di fandia per i*av- 
vivare gli spiriti degli assediati. Cio non ostante le 
navi fugate g^ttaronsi alia Canea con soccorsi. 

A Mocenigo fu sostituito nel capitanato generale 

Leonardo Foscolo , a lui di nuovo Mocenigo nel i653. 

Questo prode guerri&;o e ^nto cittadino mori di do^^ 

lore jper non aver pot]Li|p vietare per una contrarieta 

di venti al bascia il vettovagliare per la via dfeUa Canea 

Fepercito asjediatore di Gandia, ancorch^ in un glorio- 

sissimo incontro de' ^ei di luglio del i654 GijAeppe 

Delfino avesse con incredibili pruove di valore com- 

battuto' quasi so]p contt*o tutta la flotta Ottomana, 

mentre sboccava dai Dardanelli 9 e recatole gravissimi 

danni. A Mocenigo successe nella suprema carica di 

CQf^ndant^ Girolamo Foscarini, il quafe giunto eon 

^ave infermita sui campi di battaglia, fini di vivere.- 



6o STORIA 1) ITALIA. 

Lorenzo Marcello , suo successore , vinse il di ventisei 

di iuglio del i656 in un grossissimo conflitto i Turchi 

ai Dardanelli; ma vinse morendo, ucciso nel &ttoda 

. ... * . * 

una palla di cannone, Quattordicimila Turchi morti, 

cinquemila prigionieri , ottanta navi prese, quattordici 

fugate attestarono al mondo, che il ;valore Italiano 

viveva ancora intiero nel fondo delF Adri^tico. 

I padri avevano ornato dello splendore«.ddla prima 
dignita della repubblica Bertuccio Valiero , e si cel^ 
bravano appunto le feste per la nuova assunzione di 
questo doge, quando comparve in porto una Yisive 
carica di.nemiche spoglie ed omata d' i^segne Turche 
rovesciate all' ingiii. Poco stante se ne^vide scendere 
un guerrierb, giovane ancora, con un occhio tneno 
per ferita. Grido vittoria, andb a palazzo, il popolo 
concorreva da ogni parte per saper do\e, iquando, 
coqie e donde. La nave era la capitan% di Rodi per 
nome , Veneziana di stato; il guerriero Lazaro M'oce- 
nigo. y eniva annunziando la vittoria de' Dardanelli , 
vittbria piena , gloriosa , fglice , \na non del tutto lieta- 
per la morte del capitano generate Marceltcw Se ne 
resero pubblichie grazie a Dio; il senato decreto, vi- 
siterebbe ogni anno il tempio de'.Santi^Giovann|, e 
Paoldjlpdla scJennita de' quali H battaglia era seguit^. 
Poscia, da to luogo al ^iubilo , si celebrarqno pubblici 
funerali pel morto Marcello. Girolapio, suo frateHo, 
fu creato. cavaKere , ornaronsi di Is^udi e di privilegi 
tutti coloro ,«che nelk battaglia si eraQo travagliati. 

Ma si aveya a fare con Turchi, poteiite, tenMe, 
superbly nazione, cuije perdite non indeboli vano , le 



LIBRO VIGHftlMOSCTTIMO. 1660. 61 

sconfitte irriCaVano. SofFriva Candia , ed era in peri- 
colo^ perire^ il mare ancora solcato da navi, che 
portavano ie insegne di Macometto, la cristianitk 
poco si muoveva in ajuto dell' affaticata Yenezia, in lei 
e nelte propria forze doveva cercar rifugio. Un uomo 
fortissimo abbisognava : il trovo. Questo fu Lazaro 
Mocenigo, prode operatore della vittoria, felice ap- 
portatore della novelia. Il popolo con piene voci Tin- 
dicava capitano generale, il senato il pronunzio. Cio 
per r avvenire , pel passato V omo della dignity 
equestre. 

Valoroso guerriero andava contro i Tnrchi; ma 
vakMTOso guerriero trovo a combattere : s' e^ano can- 
giate da male in i>ene le sorti di Turchia. Dopo molte 
sedizioni ed uccisioni di visiri , di mufti] , di capitani e 
di soldati di diversi nomi e parti, la Provvidenza 
aveva mandato, comd suole nei gravi p^coli degF 
imperj nn uomo d' ingegno pronto , di mente invitta , 
d'animo inflessibile, dominatore delle passioni pro* 
prie e di ^quelle d' alfrui. Chiamavasi Mehemet per 
sopiannome, Goprogli per esser nato in un villaggip 
d* Albania di questo nome. Nato in umil luogo, quasi 
igiibto Ano a qiiei di, venne dalle rivoluzioni fre- 
<jtteati e di stato 6 di corte, che^thiziavano Costan- 
tinopoli, e dalla volonta del gran signore, che d'un 
sao fratello temeva per Tamore, che gli portavano i 
Giannizzeri, ^obitamente innalzato alia prima dignity 
deU' impero. I Tarchi , massimamente i sediziosi , tosto 
s'aocorsero, che il govei*no era ven\ito in mano di 
cbi sapeva governare. Fermo con franco comando chi 



6l STORIA d'iTAUA. 

I 

voieva muovere, ordino chi stava quidto , rassetto la 
macchina, che si era scomposta^ e. ^ta fuori delle 
seste. Dair ordine ando al vigore; rende.vita Sid un 
imperio, che moriva. Goprogli ^ uno dei piu illustri 
uomini di stato, che abbia veduto il*inonda.. Per 
opera sua ogni cosa risorgeva quasi per miracolo. La 
flotta Turca era'stata distrutta,.ne crea upa.nuova, 
e neir Arcipelago la manda.Tensa ai casi sinistri, ed 
una seconda nfe forma per riscatto. . Gostantinopoli 
spaventata dalla seguita sconfitta aspettavasi ad ogni 
momento di vedere le insegne di San Marco ad jnsul- 
tarla; Goprogli aduna cinquantamila soldati, ed egli 
stesso con loro s'accampa ai Dardanelti; iHon una o 
due batterie , ma una selva di cannoni pianta a difesa 
della bocca e dei lidi. 

L' ardente Lazaro Mocenigo arriya , trovasi a fronte 
untguerriero degno di lui. Voglia Coprogli , . o, n6n 
voglia, ei vuot andare a Gostantinopoli, ei yuole spa- 
ventare col proprio aspetto quelnido molesto.d'infe^^ 
d(eli% Travagliavano le navi Veheziane per mancanlba 
d'acqua dolce. Lazaro, lasciato Marco Bembo aoUa 
grossa armata in vista dei Dardanelli dalla. parte di 
Grecia, s'era condotto colle navi plu sottili ai Hdi , 
d'Asia per acquareal fiume di Troja. Ma impedito 
dalle batterie del Goprogli, e portato da un.vento 
furioso di tramontana, era andato per la medlesim^ 
bisogna ad lambro. Sorto poi un greco^ assai ga* 
gliardo, resto per qualche giomo impossibilitato a 
tornar a conginngersv col Bembo. Era la stagione 
giunta'ai diciassette di luglid del 1657, quando i Gri- 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. — 1660. 63 

stiani ^idero tutta la flotta Ottomana, dai Dardanelli ^ 
sboccando«, venir loro all' incontro in bella ordinanza. 
Consisteva io diciotto navi , trenta galee^ dieci ga- 
leazze, e numero infiiiito di saicbe e di caicchi. Tanta 
era stata rattivita e il comando risoluto di Coprogli, 
che in breve tempo I'armata Turcb^sca rottae quasi 
annichilata dalle sconfitte precedenti, risorgeva piii 
ardita c piii formidabile ili prima. Vcjgeva le prore 
ai lidi di Gr^cia per rompere il Bembo. Ma egli die 
ai Turchi tale risposta, cbe, perdute parecchie navi, 
e presi da spavento, andarono in volta, moki del 
capitani cercando scampo con mettere il piede, e fug- 
gire sul lido. Ma il visire, qutfnti di questi vili prese*, 
tanti fece ammazzare. 

In questo mtotre Lazaro Mocenigo, udito lo stre- 
pito della battaglia, si faceva avanti a tutta possa 
per arrivare in soccorso de'suoi, non ostante che 
spenmentasse il vento e la corrcnte delle acque con-' 
traria. Pacajronglisi avanti le navi sottili del nemico , 
e con le ^ue furiosamente si attaccarono. Ma veduto 
con qual nenucot^avessero, a fare, percioccb^ impeto 
e tempesta piii furiosa di quella che in tal frang^nte 
faceva Mocenigo, quantunque avesse il cieloe il 
mare contrarj*, non si era mai veduta in alcnna bat- 
taglia, voltarono prestamente le vele verso i lidi di 
Natolia/ed in varj luoghi siposero a ricovero sotto 
la custodia delle batterie di terra, la maggior parte 
dietro la punta dei Barbieri. (1 yeneziano le seguito, 
ed alcune ne [>rese. 

Sopraggiuns^ la^notte : Lazaro agogoava Talba 



f«. 



• 



I 
I 



64 STORIA d' ITALIA. 

per menar ie mani, fare sperienza della fortuna^ 
percuotere i Tiirchi nelle parti piii vitali del ioro im- 
pero , e gime, come non dubitava , a sicura vittoria a 
Gostantinopoli. Fatto giorno, il vento soffio si forte, 
il mare gonfiosi grosso, che quantunque IMmpa- 
ziente e feroce Veneziano dentro V animo si rodesse 
del non potere sfogarsi , fu obbligato per quasi tutto 
quel giorno a* cessare. Un' ora prima del cader del 
sole, non potendo piii reggere dentro di se mede- 
simo air impeto che il portava , ed abbonacciatosi al- 
quanto il vento , con tredici sole navi , che si trovava 
intomo, imbocco il canale dei Dardanelli, a gloriosa 
fortuna anelando. Voleva disterminare il resto della 
flotta nemica , trnpassare ad onta dd campo dfA fiero 
Coprogli, fulminare Gostantinopoli. Tirassero pure 
Je batterie dai Kdi, poco gl' importava. SperaTa nel 
valore, nella celerita, nella fortuna, nel cielo : a chi 
ama la patria, ogni cosa par piana. Si slanci^, prece- 
deva la sua capitana, undici altre galee Yeneziane il 
seguitavano. Bembo a stanca, ie galere deKpapaedi 
Malta a destra dello stretto tenevano a freno Ie gtiere 
Tupche, che fuori ancora galleggiavano : s*ingegna- 
vano anzi di nietterle in fiamme. Il forte Yeneaano 
gia aveva oltrepassata la prima batteria dell' indomito 
visire , gia tutto acceso nel volto augurava quel 
giorno felicissimo alia repubblica , gia a golfo lanciato 
alle imperiali mura si- approssimava, e coi gesti e 
coUa voce animava isuoi'a durare ed*a far cuol'e, 
quantunque da infiniti colpi d' artiglieria fosse da 
ambi i lati bersagliato. Gia solcava alia volta del mare 



LIBRO VIGESiMOSETTIMO. 1660. ^65 

di Marmora il fatale stretto , fracassando quante navi 
nemiche incoiitrasse, e da poggia e da wza le Otto* 
mane spiagge fulminando. Grande gloria, grandi 
sorti, inusitajta fama da quella corsa pendevano. 6ia 
la speranza piu che il timore agitava 1' intrepido guer* 
riero, quando un subito e non pensato accidente 
cambio in funesto cio » che si tieto appariva. Stava 
egli appoggiato in poppa al suo stendardo, coman- 
dando ed esortando i compagni, quando una repen- 
tina fiamma coniincio ad ardere la coraggiosa nave, 
o fosse, che una delle cannonate nemiche, che I'in- 
festavano^ avesse accesa la conserva della polvere, 
dai Yeaeziani chiamata giava, o che 1' accensione 
procedesse da alcuni fuochi artificiati, che presso 
alia giava stessa con molto maggior imprudenza, che 
da marinari esperti potesse temersi, stavano prepa- 
rando, avvampo la fiamma, ardeva la nave. Qui fu 
il fine di Lazaro Mocenigo, felice ancora, che non 
per colpa propria , ma per caso di maligna fortuna 
peri! CoBSumate dal fiioco le sarte, un' antenna 
cadde^ e gli schiaccio la testa. Quindi la nave intera 
scoppio, e in aria andossi. Tanto fumo si sparse e 
tanto fetor di zolfo tutt' all' intorno per sette miglia, 
che ne fa V aria oscurata , e se ne stettero i legni per 
un' era continua sepolti in tenebrosa notte. Gome 
prima V oscuro e fetido nembo si dirado , videsi spa- 
rita la galea generalizia con gli stendardi, se non in 
quanto ne appariva una parte, che andava a galla 
per r onde. Le altre galee , interrotti i loro successi 
da cosi funesto accidente, fermarono il corso; poi 

Yl. 5 



66 STORIA D* ITALIA. 

retrocedendo si ridiissero alia punta di Troja in di- 
stanza di dodici migiia. Gia i Turchi si spingevano a 
far preda di quell' avanzo di nave^ sul quale con mi- 
serabili grida piii di quattrocento tra soldali e mari- 
, nari chiedevano soccorso. Agli atti eroici di Lazaro 
Mocenigo ando compagno un atto eroico del cavaliere 
A vogadro , il quale mosso a pieta di quelle povere 
genii, mando a raccorle; con che trecentocinquanta- 
sette persone furono salvate col corpo del capitano 
generate, lo stendardo, il fanale, i gonfaloni,lescrit- 
ture, i denari, e Francesco Hocenigo, fratello e luo- 
gotenente dell' estinto generale, e che gia quasi vicino 
a morte si annegava. Nel narrato conflitto, die duro 
ire giomi, i Yeneti acquistarono una nave sultana, 
una galea ed una maona ; ma oltre a queste i Turchi 
perdettero sei navi e quattro maone o affondate o 
abbruciate, con alquante galee, che si ruppero in 
terra. I Yeneziani perdettero, oltre la capitana delF 
ammiraglio , cinque o sei altri bastimenti, o sommersi 
dalla furia del mare , o andati di tra verso negli scogli. 
Gontaminata la vittoria dalla morte del capttano 
generale, e sbattuti da tanta percossa, languirono gli 
animi, n^ piu cosa si fece degna di lode. Tan to va- 
leva il perduto spirito del Mocenigo! Barbaro Ba- 
doero , ^ssunto appena il comando dopo la morte del 
generalissimo , mori d'infermit^ , succedutogli Lorenzo 
Renieri, non capace n^ per animo n^ per esperienza 
di tanto peso. I comandanti pontificio e Maltese, 
atieni dall'obbedire a capi di cosi poco con to, date le 
vele al vento, alle case loro se ne tornarono. 



LIBAO VIGKSIMOSETTIMO. 1660. 67 

L' armata Yeneziana rimasta senza capi d' impor- 
tanza, si disperd^,, aggirandosi questa parte o quella 
per quei mari senza disegno certo. Per ia qual cosa 
si apri il comodo ai Turchi di ricuperare le isole di 
Samotracia , di Tenedo e di Lenno , di cui i Yeneziani 
con danno gravissimo delle navigazioni pei Dardanelli 
si erano impadroniti. Sarebbersi per le calamita oc*- 
corse sbigottiti gli animi in Yenezia, se non gli avesse 
rinfrancati 1' essersi dato 1' imperio di tutte le cose 
del levante a Francesco Morosini. Il pondo , e la for- 
tuna della repubblica si sostennero a quei tempi 
principalmente dalle due case Mocenigo e Morosini. 
Esse difesero, esse confortarono Yenezia, stimoli 
d'amor patrio, esempj di virtu antica. 

Coprogli, correva I'anno 1658, che nutriva oc- 
culti pensieri di volgere Tarmi contro Timperatore 
d'Alemagna, trovandosi alle stanze di Andrinopoli, 
si lascio intendere col Ballarini , segretario del consi- 
glio deMieci, che il soldano non sarebbe alieno dal 
convenire con la repubblica , si veramente che ella 
gli cedesse la citta di Gandia con le piazze annesse. 
Astuta tentazione era<^uesta; perche essendo niag- 
giore la potenza della Porta di quella di Yenezia, non 
era da. dubitarsi, che possedendo la capitale dell' 
isola, tutto il rimanente alia primiera occasione in 
sua potesta non venisse. Mandatasi dal Ballarini la 
proposta a Yenezia , in varie sentenze discreparono i 
cittadini e i padri, e vennero a contenzione fra di 
loro. Non pochi ^ infastiditi dalla lunghezza della 
guerra, sentivano sgomento alle enormi spese , cui la 



68 STORTA d' ITALIA. 

repubblica per cngione di essa sosteneva, alia fi%- 
quenza delle morti , non solo dei soldati , ma dei pm 
notabili capitani, agl' infortunj stessi, che senza 
limana cagione parevano dal cielo niandati a sobbisso 
di ({uella nobil patria, all'abbandono finalmeitte, che 
di lei facevano i potentati Gristiani, tanto pare inte- 
ressati a non lasciat cre^cere la pdtenza Ottomana. 
DaU'altra parte chi piu generoso era o temerario, 
sosteneva, che non tale frutto, non tal disonore si 
doveva aspettare da tante vittorie, che $> eedesse 
appunto cio , che era il principal soggetto della 
guerra. Uno dei savj, orando in senato, p6r persua- 
dere la pace , ando argomentando : oramai ni^IIa pr«- 
sente guerra esservi piu da ammirare pei Tei^ieti die 
da sperare; oramai da quattordici anni durar^^'atrbce 
contesa; restar sola Venezia alle percosse di .tiitto 
r ibpero Turco , test^ pure da un astute e forte visire 
rassettato e rassodato; parere impdssibile&r nuove 
cohgiunzioni; non patire i tempi ^ che pitidltre coUe 
speranze si andasse; Tonore essere statd pei ^Vetieti, 
il vantaggio pei Turchi; quattro capitani gen^ali 
avere estinti la sorte iniqua, in'lutto<essersi'convi6r* 
tita Tallegrezza; questi essere avvi^rtimenti del bid<y, 
al cielo doversi obbedire; la cittl^ di Gandia per ve^ 
rita non esser perdu ta, ma chi dara sicurta, che ll6n 
si perda? Ricuperare poscia il gia perdu to impos^i- 
bile. Sperare indarno chi n^i principi Gristitoi sp^ra; 
potersi argomentare da quel, che hah fatto a qtiel, 
che faramu); la mala voloht^ in loro all' impossibility 
accoppiarsi; la guerra, che occupava solathente le due 



LIBRO YIGESIMOSETTIHO. j66o. 69 

corone, ora scuotere i cardini di tutta Europa; nou 
dqmandare Venezia, ma ofTerirsele la pace; conve- 
iiire%i tale contingenza sicuro essere, non disonore- 
Yole, ancorche dure siano le condizipni; se rig^ttate 
al presente sono, il fiero Gbprogli conci^to dallo 
sdegno e dal fasto, essere per ordire contro Venezia 
g)' interrotti disK%ni, ehe contro la Transilvania cova; 
govemarsi gli uomini savj, non secondo i capricci 
propr|,iiia secondo t progress! djelle cose; cio, che 
scguira, essere cosi facile ad immaginarsi , come nio-^ 
lesto a dirsi. Pietosamente pensassero , esorto infine , 
alia salute della patria comune, non incoi^rassero 
per osdnazione carico ^i sudditi di una inielice 
gUerra. 

Giovaniii Pesaro, procuratore di San Marco, parlo 
nellaconlraria sentenza : a II domandarsi dal nemico per 
a un trattato Gandia, disse, significare, che non la puo 
« preoder^ coll' armi ; se nella guerra sperasse, la pace 
« lUHi offiirebbe; sapere il Yisircessere discorde V im- 
ff pero,€irudeli fazioni agitarlo, abboHrire i sudditi i tra- 
« vagli e l^gueri^edi mare, desiderare quelle di terra; 
^ volensradunqiie oon terrestre guerra fermare gli ani- 
a inigf /e dalle jOivili discordie distorgli ; pac/s pet questo 
« Yolsre con aoi, ne io la ricuso , f^urche non disono- 
« r«ta sia. Ma qual h questa pace , che da noi domahda 
M ima piazza eon tanto valor e difesa ^ un regjao nobi«- 
« lissimo, P antemurale della cristianita, il ricettodelle 
« niQ0tre navi^lo apavento dei corsari, la sede riyerita 
« in mezzo a tante terre inledeli , del vero Iddio ? Me^ 
« gjlioessere, se iquei regno s' ha Sk pecdere, che per 



70 STORIA. D ITAUA. 

c( forza si perda , non per consenso. Adunquenoi con 
ale nostre mani istesse tnetteremo net tempi nostri 
« Macometto ai luoghi di Cristo ? Non esser pe^etua 
c( r oscitanza dei principi , stversi a svegliare lo zeJo 
« Cristiano, bene animato essere il pontefice, TJjaghe^ 
a ria sosterra Transilvania ; presto la necessita e la ra- 
<r gione sforzera gli altri re potenti alia pace, ne, tosto 
a che pacificati saranno, lasceranno impunito Y orgo- 
<c glio Ottoman© ; gia insin d' adesso potersi prevedere 
« tutte le Europee destre in nostro favor rivolte , se 
a noi da noi stessi a noi medesimi non manchiamo. 
(c Perche e donde il timore ? Forse i nostri popoli 
anon hanno oramai incallite le mani nell'armi? 
a Forse non son usi ai romori di guerra ? Forse do- 
« mandano di non piu dare denari e sangue? Forse i 
a nostri generali scrivono di non poter piii resistere, 
a ed altra sicurezza , altra speranza piu non esservi 
a che in una pace vergognosa ? Certo no. Ora perche 
a il senato piii vergognosamente delibereirk che i guer- 
a rieri e i popoli? Pace si faccia, ma pace con onore, 
a e quando con onore non si possa, la guerra si faccia. 
a L' onore , come h la vita degl' imperj , cosi ne i an- 
tt che la sicurezza. Duriamo e alia difficile fortuna 
a contrastiamo ; che si facendo vedremo il nemico o 
a darci pace con patti onore vol i , o diver tendosi in 
« altra parte rallentare contro di noi le offese e gli 
« sforzi. » 

Stavano i senatori perplessi ed ambigui in qiieste 
conflittazioni. Il doge riprese le parole, esagero le 
calamita della guerra, raffiguro al vivo le angustie e 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. 1G60. 7 1 

la stanchezza della repubblica, avverti, non mai dis- 
onorarsi colui, cbe procura salute alia patria. Ma non 
y Pesaro : con nuove e piii efficaci parole descrisse 
]e insidie e il veleno nascosto nella proposizione del 
Turco, le conseguenze funeste della deliberazione , 
se si accettasse. Yoler, disse, trasmettere ai secoli fu- 
turi intiera la liberta della patria, e insieme Tesempio 
e lo spirito di conservarla. Cio detto, ofFerse del suo 
seimila ducati per la guerra. Le parole del Pesaro rac- 
confortarono i senatori anche i piu dimessi, e fu 
presa con unanime consentimento la risoluzione di ri- 
fiutare la psice proposta. Allora il doge done subito 
diecimila ducati : molti altri ctttadini es^^irono eonsi- 
derabili somme. Il decreto del senato , partecipato ai 
principiy fu inteso da tutti con grandissima lode per 
la magnanimita dimostrata dalla repubblica. U ponte- 
iice specialmente ne senti singolare allegrezza, e 
d' allora in poi inclino con piii pronta volonta cbe 
per lo innanzi, ad ajutare i Yeneziani; imperciocche 
oltre la spedizione della sua squadra con la Maltese , 
eccito i cardinali ed i piii opulenti baroni Romani ad 
accrescere con le facolta private il consueto arma- 
mento delle galee. Giovanni Pesaro nei comizj ducali , 
cbe poco tempo appresso si celebrarono per la morte 
di Bertuccio Yaliero , fu innalzato alia suprema di- 
gnita del dogato. Non stette tre anni in raagistrato , 
cssendo stato tolto dai vivi nel.j66o. Gli fu sostituito 
Domehico Gontarini. 

Il senato deliberatosi a continuare la guerra^ olti*e 
alle proprie forze, che andava ordioando, mando 



73 STORIA D ITALIA. 

ambasciatori a tutte le potenze, rappresentando i( 
grave travaglio , in cui viveva , il pericolo della cris- 
tianita, la necessita di soccorso. Sperava in tiitti pgr 
la pace de' Pirenei recentemente conclusa ; ma la 
maggior sua confidenza era nella Francia , si perche 
la Spagna si trovava ancora implioata nella guerra di 
Portogallo, Timperatore in sospetto del Turco, e si 
perche Luigi XIV, che gia dimostrava co' suoi spiriti 
vivi cio, che sarebbe un giorno, era, come gioyane, 
avidissimo di gloria, e possedeva un regno potente, 
uso all' am^ , pieno d' uomini valorosi ^ ed amatcuri di 
guerre ventuiuere. Pertanto alia corte di I^gi mosse 
per mezzo di Battista Nani le sue maggiori istanze. Il 
re, per bocca del Mazzarino si spiego, che volontieri 
sarebbe concorso alia liberazione di Gandia, e che 
pero spedirebbe quattromila fanti de'piii aggiierrtti 
con ufficiali scelti,. e ducento cavalieri smontati, ai 
quali la repubblica provvederebbe i cavalli. Di&tino 
per generale della spedizione il principe Almerigo 
d'Este, giovane d'anni, ma di valore e di prudenza 
maturo. 

Francesco Morosini s' affaticava in un' impresa 
contro Negroponte, ^quando intese, che gli ajuli 
Francesi erano arrivati a Gerigo; imperciocch^ il 
Mazzarino , che si dimostrava accesissimo in questa 
bisogna, aveva tanto soUecitata la loro partenza , che 
superate tutte le difBcolta delle provvisioni, deirim- 
barco e del mare , gia erano nel mese di luglio del 
presente anno 1660 in quell' isola pervenuti. Nell' is- 
tesso luogo erano convenuti nuovi reggimenti Veneti 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. 1660. 73 

con un reggimento Alemanno mandato dalF impe- 
ratore , per guisa che vi si numeravano meglio di un- 
dicimila fanti e di mille e ducento cavalli, tutti bene 
aH'ordine, quantunque indeboliti dai patimenti del 
viaggio marittimo. Morosini se ne venne incontanente 
a Gerigo per visitare ed ordinare questa gente arnica. 
Fatte molte conferenze, i capi presero risoluzione ^i 
passare alia Suda per isbarcarvi, e quindi usare ie 
occasioni, che si sarebbero scoperte per far frutto 
dallai fortuna c dagli andamenti dei nemici. Posero 
veramente a terra nel luogo destinato , e s' impadro- 
nirono d' alcuni forti con intento di trasferirsi quindi 
ad investire la Canea. Ma avendo udito , che in quest' 
ultima piazza erano nuovamente sbarcati seimila fanti 
eseicento cav^Ui diTurchia, stimarono bene di tras- 
andare questa fazione per andare, senza piii fermarsi , 
al soocorso diCandia. Alcuni combattimenti successero 
infelibMiente pei Cristiani. Cio non ostante, benche 
cdntinuasse con furia la guerra sotto le mura di Can- 
dia, i Tarchi, non essendo ancora venuti agli ultimi 
sforzi, i Cristiani si poterono sostenere, e salvo i so- 
lili tOTBHentr di chi oppugna e di chi h oppugnato , 
non successero per cinque o sei anni fazioni, che in- 
dinassero la guerra ad un fine terminativo. 

In questo frattempo alcune cose accaddero iavore-, 
voli ai Yeneziani , altre contrarie. Erano passati quasi 
trent'anni, che restava interrotta con grave danno 
degr interessid^ Italia la buona corrispondenza tra la 
repubblica A Venezia e il duca di Savoja. La diffe- 
renza principale si riduceva su certe cause, che toe- 



76 STORIA d'iTAXIA. 

dato, e la barba di San Spiridione da diyoto, dico la 
barba , le unghie e la veste di San Spiridione , che 
quiyi , secondo che si dicf , si conservano senza le- 
sione alcana del tempo e della morte. Da Corfu passo 
al Zante, divenuto scala delle armate della repub- 
blica, e di tutte le nazioni d'Europa. Poscia di la 
partendo giunse nel mese di decembre con due mila 
uomini a Paros , dove svernava V armata Veneziana. 
Quivi data poi all' anno nuovo k rassegna* ai soldati 
della repubblica e spiegate le vele al yento ^ gU con- 
dusse nelle acque di Candia, doye gli sbaroft alia Suda 
ai ventisei del mese di febbrajo. 

Ayeva fatto pensiero , accordatosi coi eapi Vene- 
ziani di yoltar le forze yerso la Canea; ma i Turchi, 
fatto un motivo addosso alle sue genti ancora stanche 
ed infievolite dal trayaglio del mare, ed impediteda 
una grossa pioggia, lo frenarono, ammaan^ndogli 
quattrocento buoni soldati. Fu perci& niestiero di 
abbandonare il disegno fatto sopra quella piazza, e 
di montar di nuoyo suUe nayi per ridursi in Candia; ' 
la qual cosa consegui malgrado dei yenti contrarj e 
di qualcbe insulto di Turchi. S6rti dalla citlli, ed 
accampossi con seimila fanti e seicento cinquanta 
cayalli tra di essa e la yalle del fiume Gioffiro, allog- 
giandosi con trincee a fronte del campo nemico; sito 
assai pericoloso. I Turchi continuamente il bezzioa- 
yano , poi yennero ad assaiti grossi. Rispondeva coUe 
Veneziane e Piemontesi armi valorosamente ; ma fi- 
nalmente ingrossandosi soverchiamente il nemico , si 
troyo obbligato a lasciare quel luogo di troppo peri- 



LIBRO VJGESIMOSETTIMO. — 1666-1667. 77 

colo , e SI iitiro il sedici di marzo dentro il recinto 
delle fortificazioni. • ^ 

Abbiamo veduto , come la Francia ed il Piemonte 

fossero accorsi in ajuto di Yenezia; quest' era la parte 

della sua fortuna prospera. L' avversa consisteva 

nella paoe fatta dalF imperatore coi Turchi nel 1 664, 

per la quale era acquistata facolta agli ultimi di ag— 

gravarsr con tuttb il peso del loro potente impero su 

Yenezia 9 e particolarmente suUa tanto contrastata 

Candia. Effettivamente tal era il pensie;c*o del gran 

signore, gia sicuro di tutte le perturbazidni di Gostan- 

tinopoli, tale quello del suo primo visire Acmet Go- 

progli siv^ceduto nella suprema carica al suo padre 

Meheinet^ morto di gocciola nel i663. Era Acmet 

uguale, 06 non superiore , di mente e d' animo al suo 

glorioso padre. Fremevano gli Ottomani della piti che 

quadrilustre guerra , fremevano d^Ua lunga resistenza 

di una repubblica^ che piuttosto sprezzavano cbe 

temevano.'Ora si stringe la guerra, ora s' infieriscono 

le battaglie intorno e sopra quel mucchio di mind di 

Candia : ¥ estrema possa fauno i Turchi , Y estrema 

possa i Yeneziani. Quelli Acmet a«Morosini oppon- 

gono, questi Morosini ad Acmet :stava il mondo 

attento e spavientato a tante forze, a tanti nomi. Ac- 

mel arrivo sojMra Gandia, Morosini gia vi era. 

Ma prima ch'io racconti i feroci, e sto per dire 
gigant^chi combattimenti , narrero brevemente la 
mbrte di. papa Alessandro VII. Parti egli dalla irita 
pre^ente -ai Tentidue en mug'gio del 1667, pontefice 
costumato, ^rudeiite, amatore delle lettere. Gele- 



^8 STORIA u'lTALlA. 

brate le solite novendiali esequie dell* estiato , entra- 
rono i carflinali in conclave per eleggeme un nuovo. 
Vi regnavano le fazioni Francese,Spagnuola, Barbe- 
rina, Ghigiarda; la Barberina consentiva con la Spa- 
gnuola e coi cardinal!, che dipendeVano dal gran 
duca di Toscana, la Ghigiarda con la- Franceses La 
prima parte, cioe la Spagnuola sormontb e creo papa 
il cardinale Rospigliosi da Pistoja , che prese il nome 
di Clemente IX. Savio prima dell' esaltazione, savio 
dopo,lascio, che al mondo sia incresciuto, che il 
suo pontificato non sia riuscito piii lungo, Piu affe- 
zionato alia causa dei Veneziani che il suo antecessore, 
mando in loro ajuto , per ridurre, quanto fo^se in lui, 
le cose loro in porto, oltre le forze pontificie, che gia 
militavano in Dalmazia e in Gandia, cinquecento 
soldati sotto il marchese Maculano , suo mastro di 
campo, allargo la permissione di soldar fimti e 
cavalli nello stato ecclesiastico sino A settecentOi^ 
ipvio cinquantamila scudi gia riscossi dalle decime 
imposte per la guerra d' Ungheria, sopra il clero 
d' Italia. Maggiori soccorsi prometteva per T anno 
venturo. 

Si vede, che il papa, e tutte le potenze Gristiane, 
con tut to che con quante forze avrebbero potato, 
non accorressero a sostentamento de' Veneziani, non 
gli lasciavano pero del tut to in abbandono. Non era 
confederazione obbligata , ma volonta libera di prin- 
cipi , che o per vergogna o per religione non vole- 
vano, che uho stato Cristrano fosse oppresso, ed un 
^rande antemurale della cristianita perduto. Ma fra 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. 1667. 79 

di loro quello, che forse con piii affezione e forze 
avrebbe sostentato Venezia, hnpedito da contiDgenze 
gravissimey non poteva obbedire alia volontll, che il 
portava. Quest! era Carlo II , re di Spagna. Era nel 
mese di settembre dell' anno i665^ morto il re Fi- 
lippo IV, lasciando del suo matrimonio con la regina 
Maria Anna d^ Austria, il principe Carlo, che correva 
solamente il quarto anno della sua eth, Institui per 
testamento la regina tutrice del figliuolo e reggente 
delio stato con un consiglio composto dell', arci-' 
vescovo di Toledo , del grande inquisitore , del presi- 
dente di Gastiglia, del cancelliere d' Aragona, del 
conte di Bennaranda, e del marchese d'Aitona. 

Luigi XIV, re di Francia , ardente d' eta e di spiriti , 
suscitato anche da'suoi consiglieri, che vedevano in 
una guerra esterna la fine dell' intcJt'na, manifesto 
certe sue pretensioni sul Brabante , e qualche stato 
della Fiandra; che. questoBrabante, allegava, equesti 
stall erano devoluti per eredita , dopo la morte di 
Filippo , alia regina , sua moglie , come figliuola del 
primo letto di quel re, non ostando il re Carlo fi<- 
gliuolo di un secondo letto , stantecbe , come assev^- 
rava, secondo le leggi di quei paesi le figliuole di 
un primo matrimonio si anteponevano , pel dritto 
d' eredita, ai figliuoli di un secondo; il che era per 
verita un bell' appicco. Messe all' ordine e pubblicate 
le sue pretensioni, a cui la Spagna con aitre sue 
ragioni ostb , il re Luigi si ristette , n^ venne all' armi 
per rispetto yerso la regina Anna Maria. Ma questa 
principessa essendo morta dopo qualche tempo, stimo, 



8a STOUA d'itaua. 

sini a non pretermettere mai le occasioiii, si niiiiiani« 
vano nel presidio novemila soldati, ai qmli fimNio 
aggiunti duemila marinari sbarcati per ordine dd 
Morosini* 6li uoroini del paese poi con ammi pronti 
concorrevano alia difesa , siccome qadli che trattati 
crudelmente alia Ganea, conosceyaoo di che sapesse 
Timperio Turco. A goida delle fantefie staTa il mar- 
chese Villa, che a nissun altro obbediva che al cajH- 
tano generale : Bernardo Nani era govenuitore della 
piazza. I provveditori Donato, Pisani^ Morb, Gornaro 
e il comandante delle fanterie Tedesche Spar, come 
diverse membra d*un corpo solo col geoeraiissimo 
Veneziano consentivano e il secondavano. H govemo 
deirartiglierie s'apparteneva al cavaliere Yemeda, ed 
al luogotenente generale. Yertmiller. Le opere delle 
trincee e delle mine curavano gl' ingegneri Gasldlano, 
QuadruplsSii , Loubatiers, Querini, Serravalle, Mau- 
passant, Sentini, Floriot, parte "Yeheziam, parte 
Piemontesi, parte Francesi ; alcuni anchefd^alire 
nazioni o oltremontane o oUremarine. I colonneUi 
Chateauneuf, Gomminges, Beckenfeld, Golcnai^ Im- 
berti , Arborio, Yimes , Marini , GomerviUe, i aergenti 
di battaglia Grimaldi, Martinoni, Baroni, FeshflUD, 
Motta, Grandis, Bricherasco,Yecchia, Badoa, Mat* 
tei , il proYveditore dei yiveri Giustiniani dimoatra- 
rono in quella sanguihosa contesa quantOiper. oMmo 
e per senno valessero. Gon loro fecero a. gam itlcafar 
liere d' Harcourt dell' ordine di Malta , Mai>onnea?e, 
Langeron, Montausier, de Ganges, ed alcuni altri 
uomini destri e coraggiosi , che per guadagnare a 



LIBRO VlGESIMOSfiTTIMO. — 1667. 83 

prezzo di sangiie in una giusta causa gloria ed onore, 
erano venuti volontariamente e da per Ibro medesimi 
a mettersi in quelle strette. 

6ia abbiamo piii sopra notato , cbe Candia era una 

piazza bene accortinata e bastionata, ed a voterla 

prendere faceva mestiero di una oppugnazione rego- 

hre. La principale sua fortezza consisteva nelle opere 

e mine sotterranee, per mezzo delle quali gli assediati 

avevano facolta di rovinare ad un tratto le fortifica- 

zioni esteriori, e balzare iAuia gl' intieri battaglioni 

nemici, cbe gik se ne fossero impadroniti. Erano i 

baloardi muniti di piii di quattrocento bocche da 

iuoco, e nelle canove della citta abbondavano le 

pray visioni si da guerra cbe da bocca , cui del rima- 

nehte aveva il capitano generale un modo di rinfre- 

scare per la via del mare, prestando in cio le nayi 

piu spedite ed anche le galere un ajuto grandissimo. 

Morosini, cui niun aspetto di guerra, per terribife 

cbe fosse, spa ventava, si era alloggiato sopra un ba* 

stione esposto al bersaglio del nemico, e coi cenni e 

cogli occbi suoi proprj vedeva e dirigeva i combab* 

tenti. Quivi i soldati gii portavano, aU'usp barbaro 

dei Turcbi , le teste tronche degl' infedeli. II vivido 

pensiero mai in lui non riposava. Fra le altre cose , 

invento una maccbina atta a sgombrare le fossa dai 

rottami e dalle mine. In mezzo ad una tempesta co« 

tanto spaventosa di guerra tanta era Tallegrezza e il 

brio, eel quale i capitani e soldati Gristiani si gitta-* 

vano alle fazioni piu pericolose cbe conyeniva ai ge« 

nerali adoperare anzi il freno cbe lo sprone , mentre 



84 STORIA d' ITALIA. 

malti di loro, anche contro gli ordiDi dei medesimi 
general! , si lanciavano giii dalle brecce per aflGron- 
tarsi coi nemici con la spada e la pistola alia maao. 
^oprogli, considerata bene tutta )a cireonfisreffiza 
della piazza , venne in delibera^ione di attaccarlaptin- 
cipalmente dalla parte coperta dak bastiotie. detto il 
PanigraVnon lontano dal mare^ dov^f gli pianeva, che 
il terreno fosse piu age vole aglt approcch Era questo 
bastione' protetto da ub' opera a como ^chiamata col 
medesimo nome di Pani^a. Gli sferzi d' assiilto fa- 
rono terribili, siccome terribili gli sforzi dt difesa.N^ 
meno sopria colle palle e coUe bombe si com^tteva, 
che sotto terr^ coi fomelli, colle mine^ coirarmi 
btanchdyC persino coi ptigiii, qnando perla strett^Eza 
del Inogb 1^ armi tioi^ si potevano maheggiare. Non 
si potrebbe dire Con quanta fierezza in qu^sta goerra 
nonveduta dal' cielo da ambe ^e parts i' indrlidelisse: 
Ord gli'uomini volavano semiarsi in aria, <ora*vivi 
restavano sepolti ; imperocehe riempiendosi di^lvere 
le cave, e dandoselefaoco , cdn grand' elevaaion di ter* 
ren6 e non niiitore scuotifnento scoppiando, distrag* 
gevano quanto dMnterdvi fosse. -Nelle cupe'galterits, 
o'per gttadagnare i rami, o pei' contendere alndfnieo 
i'^progre^si, lad ogni ^ra* i soldati ^inoontravai:io, 
cbmbatlendo al bnjoe negli errori' di queglir oscari 
recesst, massime* con legrati£^te. i*Turdil prbferida* 
Vano^n sotto i favori dei' Venezia^i , e queati all-in* 
coiltro s' mvisceravan6 tanto che con U £itida'procu- 
ravano dideludere- Parte,* ebene spesso 'aeeadeva, 
ebepenetrande gli unr piul a basso, *fheeydno ivolar 



LiBRo viG£;sijiQS£Tiiiio» — 1667. 85 

quai) che.ii^llQ stesso tesipoi prasavano dtstruggei^g 
chi sUiyasoprau Si confondevano pertanto iUiCoiDune 
69poli*ro. le . membra lacere . e< i cadaveri degli amici ) e 
dei fi^nici,'^ €orre:vaiK>via quelle. caserne. indistuita'- 
meota tImi di ^udoiiis.e di saiigue. A questo modolo 
stortoo JBattistaiJSTani descrisse Je .stqpende baitaglie. 
L!affanBO, la-vahbia e raccankarcoutesa.si.&cevano 
8eatire sapra e^jsouo le parate esteriori ,.de jtte ^xm vor 
pabolo mfli^e derivato dai Francese, a cagioi^ delta 
loro farma ^ bonetti, e che /x>privano; il Paaigra. Piii 
Tplt^il MpJfOlsiQi* il Barbaro , il Villa jrestavonOiO xlalla 
terra ,«,chejper:Je. mine volava^ coperti^ oda palle o 
dj^.pietfeipi3i:Gossi. Tre volte iresto ferito il Villa <: isir 
gnoriidL Itfai^iiacuve e di ^Langeron ^ Fraucesi^ e.il 
Iwoji.Barool^ Veronese, restarojcio morti • Ja fama 
€Qii«erw la m^moria di un tanto valore. I Turx^hi^in 
qufistOf troxwono ; ua altro malefico. spedidnte per 
ucfiidec^.sioUerra, Q non mai^ o di rado usato. Gom- 
poaU.coa arte y^rameute diabolica,, ma,lodata.da,cht 
anvi. la.^^rra, certi.fumi pe^tiferiycon essi spfToca- 
,Ma;DO fLje^al^tigU oelle buche^i.miseri Veae^iaoi, Nop 
/$i. tra»Q altro rimedia gontro ^\ questa maligna peste 
cb^et.qui^Uo di ^wirrc^ggpre e wiisumArei,quei,iy^pci 
.p^tile»ti gQl.fuQPQ.dfti.gittepKi e cpll! acquayite, . , . 
:QQipreya ilquartpj guese della viva. oppugftaziopiJ 
di^iiiifista parte, ,« .^ussistevano aacora I0 ope^ie ester 
iioci,:.e L'jopcura stes^a a coruo del Panigra,..piuisper 
cialm.eotis^.bersagUata, sebbene lacerate fossero^ e 
poco meno che sconvolte. Ne cassava o s' intiepidiva 
I'ardore dei Turchi o la costanza dei Gristiani, beaclie 



86 STORIA d' ITALIA. 

gia a mucckt si vedessero i cadaveri da ambe tb parti; 
Ed essendo lo strepito dei cannoni e lo so^piar delle 
mine ormai divenuti suono ordinario, acGorretmio 
dair intemo della citta le donne stesse ed i fiuiciiilli 
con maraviglioso coraggio verso ie inara*a< portar 
terra , ad alzar ripari alle brecce , a ritirar i oadaveri , 
a sowenir i feriti. Grand' industria si usava in condur 
il nemico, sotto finta di assalto o di fiiga, a- qael 
Inogo, dove covava un fomello caricato par fiurlo, 
dato fuoco, volar in aria , non senza risa e fisdii. Non 
era pero , che alle volte la mina non offi^ndesse gli 
autori, perocch^ operando gl'ingegneri al bujo, an- 
coi*ch^ si servissero di misure e della calamita, errava 
Parte , e dando in altro luogo che in quello^a cui mi« 
ravano , V effetto non obbediva al pensiero* Si cooh- 
batteva pur anche a petto scoperto ; perchi le sortite 
degli assediati spesseggiavano frequentissime e> quasi 
giomaliere o in picciolo o in grosso numero , seocmdo 
che portavano gli accidenti e i disegni dei capitani. 

I Turchi con ogni arte e coraggio sforzatisi sboo-. 
carono finalmente in novembre nel fosso del Pamacky 
e procuravano di attaqparsi al bastione« Goi oaimoni 
piantati suUa contrascarpa facevano breccia nella 
muraglia , e con le gallerie si avanzavano , bnu»luido 
con fuochi pronti le frecce e le palificate^i Finalmente 
le piogge cominciarono, convenne al visire>ai dioiotto 
di novembre rallentare gli assalti, uscire dal fosso^e 
abbandonare la contrascarpa. E fama , che in questo 
sola anno del 1 667 ventimila Turchi perissero sotto 
Candia, e de'difensori piii di tremila, oltre la giat«> 



UBRO viG^iiianTTiiffo. '—1667-1668. 87 

tura piii giUTe di cirea qualtrocento Talorosi ufEcialt. 
Treoentosessantanove fomeili e diecinove pozz.i di 
faoco i difensori usarono; ducentododici de' primi, 
diciotto del sectmdi i Turchi. Questi andarono a trenta- 
due amdti fonnala , quelli a diciotto grosse sortite , 
oltre diciotto sanguinose fiizioni, che reciprocamehte 
sotto terra aeguiroiio. , ^- . 

Mentre MPtanto si travagliavanb Crtstiani e Turchi 
sotto Candia^e pare va, che quello fi>S8e il campo 
d* onore di tulta Europa , il duca di Saroja fece una 
dimoalrazioiie , k quale, se opportnna era per lui, 
son geaer os a mm certamente pei Yenegdani. Pnetes- 
sendo il motivo della guerra, che allora ardeva tra; 
Francia a Spagna per cuipoteya venir caso, ch'ella 
s^aeoeiidesM anche in Piemonte, ricfaiese con repltr 
cate istanze dal senato, che i suoi soldati e il taarr 
cbese Villa tomassero, Rincresceya ai Yenei^ni Tes-i 
sere priTati in cosi grave emergente del marchese ; 
aomo abile e destro, da cui la piaiza venivjEi con si 
squisito Talcnre difesa. Percio il senato andava diffe- 
rendo di prestarvi 1' assdnso , e dal pontefice impetro> 
che e6n istanza al duca ne scrivesse. Mise Glementef 
in considerazioBe del duca , a qual nota esponesse il 
deccnro^l nome, e Tantica pieta della casa, se< dai 
Turdbi oppugnandosi un propugnacolo fortissimo doUa 
cristianila, in vece di accrescere i sussidj alia reli- 
gione, egli voiesse debilitargli con rimuoYeroe e va- 
loirosi soldati , e magnanimo capitano. Carlo Emanuele 
Bon si pardper questo dal suo proposito, qiianto al 
V'dla , cbnsenteiido , che gli altri soldati ed nfficiall: 



SS srromiA n* fUMMMm « « -• r. 

rertawcra. H peamn M li Mii^ A Sgwy «» i p .4|ttertD^» 
die k repnbUiai opjiffma JhlFTMi flltowMiti pff 
cootniiiar ad arcre il fim riife Pir i w i u li m i , ri ltu ri i iii 
la ma if i lfnia ckca i titoK del 'dnaiv^ il -tnitUK 
mento de'sooi miiiistri, ollie i JnDiti:. alaliiiti' nelkt 
uitime co B fC Pii auL BHrii il ¥iUa da Gaodia^iiasMta 
Venezia, il ^enato romo con pateati €p«iiore^ ilb^ 
oenao eon rogalo di sfimila docati. ttfanalo^daSNie- 
ro0O di Tolgere pih' cfieaceroeitfe k Fiamaa in auo 
iavore, dnamo al loogo del ¥ilkil mafekesesdifiiii^ 
Andrea Montbnm ^ goerriero fionosa e iDoltO"!eserei^ 
tato nelle gnerre , particakmienfte neUe kaoga^degli 
aMedj. ■•'-••■.■. -«/'ij :f n i/nc'i' 

' II papa 9 Hon avendo potato oonsegoire il ana^iiFi 
tentoi intiero ccd daca di Saivoja 4 peir menoikiyabiia 
AiroMi , che andava>iBterminzid a^BninjfHffliyanigitAri 
prmcipt d' Italia e qaei d'Akinagna ali8oeclii6o.d#i 
Venetiaoi. Dimostrb ai primi, quantor;m<nnaal^?i&l^ 
4$esse' aHe'Cose^ d' italk:.cpieUa. guenrav tiallMNfriia 
Candia^le difese ddk madtt .comtmev. trattaniiik 
coasefivaEione di anarepubbli€a^chet;D04X»i]iler«rajm 
k'iiberta combattuta^re >lo 6pkndore eade&te^iAi mr^ 
eondi)fece'int3enderevchele>:£Drze dinure^pefrouik 
re^Kblica principalmepte*'valevaf sorvivailocjdiifrQBf 
ti^rA^airimperiov trattenfendone:i 'Tarohi divciftitiili^ 
lontani.Yatieiiiava , coglivajoti del Gristianiffa^gimifli 
ma'fisiiriainente 1' adjutorio divino , potcorsi ^Horareridi 
gaerra' tanto> 'pietosa: >4elieis8iroo fine/: II- if^ran Hxarn 
comand^, che il sao reggiiriento, che gia^in palroa*: 
zia imlitava, in Candia passasse. Il duca di ModMa 



LiBBo viG«ijiio5STTuio. — 1 668. 8q 

diedectn^faantatoUa libbnsfrii potvere, i Lucc^esi pari 
quanlila^'1'KCKfMcovD A Salisburgo 8efliiantainila.,.41 
pontefic^ .cratQfnUav 6 con esse tnentamila sctidii 
Vabtke:^ lUdaaloiio itrille tallerb^iloardkiafefiaiY 
berini'dodieb mila ^endi/Cbm e' liiso^aa«a,i che ogni 
priimipe'8i'<fi)iaas8ev e;i popbliipagasicroj perrem^i* 
dai^iint'iiiipirtiDeiiza dei.cavali^ di Maltaj . r-^A 
La oosa':iBlaiita'mtGandm vieppiu si stringevano; 
Goprogli^ dia cMito si* afiaticava edntra \l Paaigra-^ 
venne in pentito) di aasalire far citta pik mrooriLmai^ 
den^'ersii sli«alB|ii^ .debDle y eioibidi tentaretitfaaatiom 
di Sant' Andrea e delhi fijaWoDara^ii' ottenere.i:jquaE 
«ra'alla^9cmnb'>dell,e cose, nonpicoioloiinomento; A 
tale riaolaiidiie ffii. i spinto 'Specialnientevdagti:'.stimoli 

^i im'iAiidnaartBarcnieifv Caiidiotto, che cacciato^per 
zmale 4ipeii6idiir.tnia 'oompagnk idl soldatic, isn n'era 
.atidato colSiinclBy^e- gli servivai ':» ^^ f: ^ :;:> 

Okreii^-iEippifocd, cfae il visire andaya.fadondo lii 
:ir€mte contra rduebastioni in ali3fno|luo^ ndminatif. 
:ibj}d& boil /indnstria rstupehda Ufr:gran cavalierelin 
:mare, 'cfae, rijiiiartaTido fuori rquasi penisola^. t;ra¥a4i^ 
^liava e/ba|t6v^ larparrtepiii debolecteila piasza-fche- 
^ i«idiiewafl&eciavA.-ll MontbraD aorivaloin.aurquel 
ft*ang€fntia; -«i' pose* aifgaardiaf, come posta.'piu pericoK 
losd\) dic^'ba^btte -di Sant' Andrea; Mb ianto fii teniK 
-pesteisO^^cii'SIMgliarida 'Tundfiicbntro qticstd^prdpiN 
gnacolo che riiinjsIHno^ipalizzaitev parapetti^itutto gi^^ 
era fracaMito «f digtrolto , eile Ju'eece aperte permodo 
chei'neiAvr^ gi^ 6taTaii<yper iattaccarsi al recinio. Ne 
pii] giovaviano 'le sortke^ peroiocohe i Turchi fli erana 



go STOiUA D IT kUk. 

cos\ bene muniti nelle loro trincee, che cpiasi liusma 
altrettanto difficile ai Citstiani d' espugnarvt^i che 
a loro d' espugnar i Oistiani ndla piatia. JXh akro 
rimediQ seppe trovare il Montbrnn die cpiaUo di 
piantare appresso a Santo Spirito sei cammni, ehe 
battevano i nemici di fianco con grandissiBio^daimo. 
Egli, consumato nelle guerre ed esercitate ileUe pm 
fiiniose imprese d^Europa, confessata esaem inaiipe- 
rabile, se non 1' arte, ahneno la forxa dei TUpdu , e 
chiamando scherzi pamli tutti gli altri Miedj , che 
aveva veduti, soleva dire, la oppugnazioBe^e kudil^ 
di Gandta essere opere di giganti. .: / m; 

Il Yisire, impaziente d' indugio, e Vedendot hi brec- 
cia aperta nel Sant' Andrea, ordino dt 'andiire all' 
assalto. Vi corsero i Turchi con ine^mabile ferociay 
spinti dal proprio coraggio, e confi>rtatl daU'^mpio 
e dalle voci dei capitani. Goprogli stefliEk)^ atwa ki 
pugna da luogo vicino osservando ed infiaamHdido i 
suoi , che con pertinacia tre Tolte saliromv ct tre 
Yolte iurono risospinti. I Yeneti goremali dal. Mont* 
bran , da Caterino Comaro , da Grimal^, •a^ tatto. 
il fiore della nobiltk Candiottaa petto a petto '▼ido- 
rosissimamodte combatterono. Al tempo. steatoh bat- 
terie del Panigra e di Santo Spirito fulniina:YftliO di; 
traverso gli aggressori. DUe ore duro V otUiMa bat-. 
taglia« Air ultimo i Turchi^, perduti duemila doUoco, 
di cui resto pieno il fbsso, si ritirardnoj.* ■*, .^ . 

Non ostante la raccontata vittoria , inoonmoMIWlio 
i difensori a dubitare dell' impreaa> quaoda.Qrrivo 
ia porto un reggimento del duca di Loremt, ch'era 



LIBRO -VIGCSIMOteTTUfO. 1 668. 9I 

8lato racGf^lo in Pro^eniR*^ Arrivarono nel medesino 
tempo, strane- u , ma lietiasime noreUe. RisuonaTa 
per tpittcKil mondo lar &roa dell' asaedio diCmdia ; le 
lodi.dei.yeiieli fra i Cristiani , ed anche fra gli uomini 
valoFOsi dei TttFchi andavano.al eolmo. Ghi vi assi$r 
teva 0(M voti, chi Y(Je¥a assisteirvi con la persona, 
agDBno, cm I'elj^ fiorita, la ^nerositji deH'animo^ 
e I'tiso deUearmi slimolavanoj^ si sdegnava, cheki 
quel Jontani e femosi lidi^ dico &mosi ai tempi, an- 
tichi come si modecni, cosi grandi cose la gHerra 
Tolgesse, sesoA che egli id si mescolasse. Blolti. gtli 
enino i volontaij, molti i Tenturieri^da.ogni geaecoso 
paese ne sopgeya. La Fraada massimttnente di pietosi 
e- forti desiderj asdeya. La nobilta soprattutto di qUel 
cegBO solita a oorrer dietro alle animese veiilaire pa: 
comprar fiona coft sangue , non si poleva teiiere^ che 
non aodasse a pniovare le proprie spade con le spade 
Ottomane. 

. U re, che non voIeTa con dimostrazione troppo 
palese rompere Tamicizia col Turco^ vedeva volenr 
tieri, che gente volontaria a queU' impress andasse. 
Amaira anch'egli Topere. venturiere, e del ncnne glo- 
rioso de'suoi si dilettava. Ando voce, che il'duioa 
della. Feuillade raccogliesse cavaUeri; Tolontarj pei 
oimenti di Gandia. Non aU)isogn6 altro. stimolo : ac;- 
cocfevano a hii, e del fergli suoi compagniiil prega- 
Tano. Ncscelseseicento, tutii chiari per valore. e per 
saogue^ i duchi di Ghateaulhierry edi Gaderousse^ il 
oonte di San Polo, della &miglia prindpalissima di 
Longavilla , il conte di Villemor , i signori d' Aiibusr 



t k . • 1 



soffrf din Beau vau^.rcti Langeron^ di Xuequi ^^dk Ta^ 
j^anes ^ 'di Laraothe-'Fenelon ^ di , MoniraoriD., .La 
f^euillade gli conduceva a venti soldi -«! giofftto^'A 
cui paga^a la ibaggior parte ^ ancorch^ noo^fiisae 
ricco;ina ii re lo'SOKvenivajOli di«laiise^ i^piattro 
brigate commesse ^al governodi San. Polo/ Gkateaur 
thierryy'Vilieilior^e'Gadcrousse. Quteti gusvaoi fiivri'- 
Cissiftii, imharcatisi sopra reg| vasoelli in Brojrenzai^ 
soilecitato il Yiaggioy giupsera alF iscdaidifiiandia^ 
donde Iraghettadida^bieffche ieggieri orriwioiio in 
Clandia.''Al 'veder comparire jcoA prodi^e, bMkeVoU 
eompagni)^ tttUo.tl popola acooFfie.avbenedirgtii^e i 
aoldati «i ralhBgraronoi il €apitanarg6|^e^ale*gUfaor 
b(rise• con -onora^iasime parole alio abarcarftylai£mnr 
cia aj«tatrice e* loro medesiinl'con eocelae.lodL'«^- 
tando; Essi , data subito la mostra^ andanopu^ a 
moqtar 'la gtiasdia^ tixyme /a luogo ^in^^peiiooloso, 
alia breccia di San t' Andrea, e piii vi sareUMVOi*di- 
inprati, seil Morosini, serbandoglL^i fiizioai^ii frut- 
ttvoso non gli avesse mandati ad aUoggi|ure>alleo4f«^, 
•matpero in sito Vicino alia breccia. Vedevayeasere 
nejcessario atteiniere'piii a teinperargli^ oheija < pyo«4- 

i >il cavalieri di Malta soUecitabi da cosk nobUai eawi^ 
-pib^ ii 'com«ioi9sero,,^4nigliori sidi.pno^iieaaos idaUa 
-guavftche /primage di gran deskterioii'infonBaiKMao 
di'ivenjr a parte deiffamoai gesti rviandar^no^iniGan- 
dia^essanta cavalieri^ con 4recentbisoldati'8<ellifpf04to 
il comtnien^ator delki Torre , e con< centorenticiaque 
mila iibbre di polvere ed altre inunizioni^ -^kncbe 



LIBRO VIGESIMOteTTKIfO. — 1 668. 93 

qoesti aiMiliarj alloggiutmo appresso al Saul* Andrea, 
pvcmti^id ogni tauone. 

Ora >adrckno 'eom^ il ooraggio senza la pnidenza 
aoft'^ale. €«ikf hi ^ i^rie fazioni si erano mescolati i 
▼enturieri di*Fravcia, e particolanneate avevano. £itto 
aff alibggiaiMntd in facoia al nemicov il quale per^ 
duto'p^ fGna> dv Turchi, ricaperarono con estreMo 
valore, mv araanilio con moteo «aiigue. Quelia guerra 
di piccoli'ifieentri Ira trincee e^bastioni ineresecjva 
ioFO, V aiidfflre m >Iungb odiavano piii che la. mortem i 
si ^raifo nerpronii animi loro promesso v ohe al loro 
airivo' la' guerra coRtrastata- avesse siibito a>diveBtare 
guerra vinta:, e si maravigliavanc^, non senzaisdegnd, 
di'Tedersianeor Turchi a fironte. Gia della lentezza 
¥enexiana si lameatairano , come 66 le mura e le trin^ 
oeeibssero cose^da spianarsi . con un suoilo di tronoN' 
betta;'Agogna^ano con incredibile ardire una sortita^ 
C0n Ia'l|ifalesola si persuadevano di yincere la guerra, 
&4li sctarre 1' assedvo. • Per yenire va questo tentati vo , 
mm Aaivano di tempestare la FeuiUadef e lo stesso 
capitatto generale , edi ogni indugio impazienti pro^ 
testaTano, non potcr^piii soflferire si Innga molestia^ 
ed an^r piuttosto morire all' aperto <tinti di sangue 
fiemico die prolui^ar la vita dietrairipari^ 'per re^ 
tare infinieioi schtaccttatl da'sassi, o vseppelliti daUe 
raineb'lniitoimo'la Feoillade, non potetidopiu oltre 
pOrtare^ ' tante > istanze , 'Co^iscese, ma i-voleva , 
'che iiod< unafiaHicolaref ma una generals sortita si 
ftn^e^s^ con tattele forze, ajutate eziandio dalle^armi 
natali. Ma' 'Mor6sinf , clie > sapeva per lunga 'pratica , 



94 STORIA D* ITALIA. 

chequello non era modo ocmTeniente di guorra eoi 
Turchi , che solamente in quest' anno aveva taitte piu 
di cinquanta sortite con poco finitta, die vedeva U 
nemico fortificlissuno ne' suoi aHoggiwaenti, che in 
sei mesi aveva perduto settemila uommi , firm i qiu^ 
con sommo suo cordoglio numerava piu di seicento 
uffiziali, che con molta fatica e innumea^ToG moiti 
aveva a grave stento potato ributfare diciassette aft- 
salti ferocissimi , ripugnaTa al commettere al^ dmento 
d' una sortita generate tutta la fortona ddla )^azza* 
Araava meglio con mine ritardare i progrem dd ne- 
mico , e tirar in lungo la resistenza , pereh^ esaendosi 
allora in sui finir dell' anno sperava, che U nennco 
rallenterebbe le sue operaidoni, e che nuoTi aoceorisi 
arriverebbero a rinfrescare il travagliato e valorosb 
presidio. Ma per cosa , che dicesse per firastmnare 
un consiglio di tanta precipitazione^ non poli per- 
suadere il suo desiderio a quei giovani ardenli, che 
tanto imprudentemente si {nroponevano speranaee im- 
moderate. Erano, come di sangue, cosi tli ^Datura 
Francesi , nazione la quale , come osserva il Nani'^ h 
altrettanto impaziente che valorosa , essendo piu in* 
elinata ad esporsi ai pericoli, che a soffirire la lar- 
danza. Fu forza adunque al capitano generale, sdb* 
bene nell' animo sinistri presentimenti nudrisse soil' 
esito di quella piii ancora malta che forte fazione, di 
consentire a quanto volevano. I cavalieri di Maka-sth* 
molati dall- ardor Francese, si allestivano per sorlir 
con loro; ma Morosini col sommo imperio gli raffireno. 
Fece poi^ non |>erturbato il GQnsigUo dallo sdegno, 



LIBRO VIGXSIMOSSXTIMO. — 1 668. 96 

quanto la sicurezza della piazza consentiva , accom- 
pagnando alia Yenturiera squadra cento granatieri 
del reggimento di Savoja. 

II sedici decembre La Feuillade con iino scudiscio 
in manoy oome se si trattasse di cacciar paperi , a tanto 
di presunzione, per non dire di pazzia, erano giunti 
questi spen^erati giovani , accompagnato dalla squadra 
Yenturiera, ffk ridotta per ferite o per malattie al nu- 
mero di ducentottanta , e dai cento Savojardi , usciva 
dal bastione della Sabbionara, andando a dirittura a 
dar dentro agli alloggiamenti Ottomani. Quattro cap- 
puccini e due padri dell' oratorio col crocifisso in 
mano seguitavano quel fiore di Francia , esortando i 
combattenti, e confortando i feriti. I Turehi, sebbene 
stesseropreparaiiariceYere quell' urto per esseme stati 
aYYisati da un fiiggiti yo, non polerono pero suUa prima 
ginnta sostenerlo, e piegarono, lasciando le poste piii es- 
teriori in potere di quei fiilniini di guerra. Ma poi ri- 
preso animo, ed accordati ad un impeto regolato i 
consigli dei capi , a tutta fretta , ma con ordine si as- 
sembraroao per dare addosso agli imprudenti assali- 
tori; ne dal moYimento pericoioso per coloro, che 
YeniYano ad urtargli , gli poteYano distomare le bat- 
tene della piasEza , che con orribile rimbombo fulmi- 
naYaao contro di loro , secondate anche da tutta V ar- 
chibuferlui. Ma non al primo slancio perYcnnero i 
Turchi a risospingere I'audace nemico; perciocche 
duemila uomini si pararono aYanti a quel piccolo si, 
ma terribil nembo di Francesi , e furono Yinti : po- 
«aa un battaglione assai grosso di Giannizzeri si fece 



i|6 STOftIA O' ITALIA. 

loro incoDtco, e fu mcdcsimameaee vinlo. Gia piii' 
di ottocento OttomaBi erano stati accia dalP anni di 
Francia e di Savoja, e piu diqnattrocento fiBiili jnala* 
mente avevano piii JHsogna dell' i^oto altrui^ cfae^abi- 
iiUi di br male a chi gli avem offesi. Infine aMinoatisi 
i Turclii in grosso niunero, e spiccandoai da. loco una 
folia schiera per tagliare il ritoma a-qnaila ffof&fktu 
forte^ La Feuillade y che ael feroee e mislo canflitto 
era scorso per tatta, animando isuoire pcovwdendo 
ad ogni emergente assai megliocheidft queUa wiiila 
di portare lo scudiscio si aarebbe potuto.augiirare'da 
lui^ comando a' suoi^.cfae ai ritirattero^ le oon molla 
pena pot^ ritrargli aotto le miiraglie.in:Aiciiro. fiUba 
particolarmente difficolta al ritirarsi il San Pola^.-il 
quale spinto dairimpeto giavenile, sijerapiqi^diiagiii 
akro innoltrato negli alioggiamentiTarcheschL^iPiu 
di quaranta della nobile schieia restarono iicciai.o 
mortalmente feriti, Villemor, Tavanes^ il. giovaae 
Fenelon nel cospetto stesso deLsuo yeccfaia padre. 
{Hiileggei^roenteferiti furooo altri settaatasei^fffariqaali 
si notarono pmncipalmeDte Aubusson^ IMootnioria, 
Crequi': La Feuillade rimase ferito in treipaati^.ma 
fion mortalmente. Cosi terminossi questa pinixonig- 
giosa che utile o fortunata fazione , tale fii.iLfrutto^ 
che si raccolsedai non aver prestato 
rosihi, capitano altrettanto forte, ma piu sayio 

Questa boUente gioventu, non contenta di una 
pazala, ne voUe far due. Venuta, come venturiei»a 
fazioni strane, ed a fazione strana consomuia impru^ 
den2a,anzi temeri ta andala, ora, senza piii star a yedere 



LIBRO VIGESIltOSETtllKK --- 1 668- 1 669. 97 

udire altro, a' imharctrono dopo alcuni giorni, come 
mattiy per toniarseiie I^ dond' emno venuti. Siccome 
portaronto fra di loro qualche seme di peste, cosi molli 
ancora periroao nel tragitto. Pochi approdarono alle 
desiderate live di Francia, esempj di sommo valore e 
d' insigne leggereste. 

Yenexia gen^rosamente resisteva , ma eziandio to- 

talmente si eonsuinava con lo stato afflitto da spese 

infinite. Insia da venticinqae anni durava contro la 

potenza {bnnidabile de* Turchi, n^ si vedeva fine a 

tanto travaglio. Sommato il calcolo, si troY^, scrive 

il ParUy che questa Vpragine aveva divorato ogni 

anno quattro 6 cinque milioni di franchi in pecunia 

numerata, e tre volte piu in valore di munizioni s\ da 

bocca che da guerra. Nel solo aihno 1668 si consu- 

roarooo tre miliom di libbre di polvere. Insino alle 

legna y insino s^le fescine , bisognava mandarle da 

fuori ; tih altro cibo restava al presidio che biscotto , 

che A spediva da Yenezia. Non dee far dunque ma-' 

<*aviglia , che questa gu^ra abbia costato venticinque 

xnilioni di ducati, ed accresciqto il debito della re-^ 

pubblica di se»santaquattro milioni. Gio non ostante 

ella a ^forzo aggiungeva sforzo. Toccossi pei bisogni 

cli Gandia il tesoro di San Marco ; toccaronsi con Ii-« 

oenza di Clemente i beni di certi ordini religiosi da 

lui soppressi, il cui ritratto sommo a quattro o cin- 

<{tte milioni. Ma le rendite ordinarie, come i sussidj 

straordinar] non bastavano a cosi grave dispendio : 

anche dat pericoli del cammino procedeva nell' isola 

VI. .: . 7 



98 STORIA B^ITAUA. 

assaltata la tardita dei denta , e i difimsori di Candia 
non erano eq>editi delle paghe. Cio ridaceva in ultimo 
disordine le cose dei Yeneraani. Morosiiii e Comaro, 
afEnche nella lunga e feroce contesa la generosita dei 
pubblico non fosse scompagnata da quella dei pri- 
vati , si spogliarono del proprio denaro , e di quante 
robe preziose avessero per solleyare in qualcbe mode 
i soldati, che ^pportavano malvolentieri la tardita 
dei pagamentL I nobili uomini, cosi virtuosi cittadini, 
come forti guerrieri, soccorrevano coi denari proprj 
le pubbliche necessita. 

11 pericolo cresceva , non ogni giomo , ma ogni 
mpmento. I Turchi , che sentivano andar altorno ro- 
more , che nuovi e reg) soccorsi fossero per arrivare 
di Francia, poiche Morosini stess^T andava ad arte 
empiendo i suoi d' opinione , che coi Francesi doresse 
venire una gente molto grossa, fecevano gli estremi 
sforzi per impadronirsi della piazza innanziche i sol- 
dati di Luigi si fossero accostati a quei della repub- 
blica. Gia avevano recato in loro potere la meta del 
bastione di San t' Andrea ^ e si affaticavano per allog- 
giarsi nelrestante, dove per animaremaggiormente alia 
difesa, erano venuti a fare la loro stanza il capitano 
generate Morosini , il Montbrun e tutti gli altri co- 
mandanti maggiori. Tolta questa ultima parte di 
muro , non sarebbe rimasto altro ostacolo alia presa 
della citta, che un grosso taglio condotto daiCris- 
tiani dietro appunto al Sant' Andrea, perche preve- 
devano, che Tassedio s' incamminava a quella volta e 
che il suddetto bastione sarebbe espugnatoV / 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. *— 1669. 99 

Morosini concepi speranza di niandare per forza di 
mine in aria la parte del bastione, sulla quale gia in- 
sisteva il nemico. Somtna era la perizia de' suoi mi- 
natori, e pero fattigli minare sollecitamente , e poste 
dentro lo scavamento novemila libbre di polvere , e 
datorfuoco, segul uno scoppio orrendo, per cui u6- 
mini; terra, sa^si, i cannoni stessi furon6 balzati al-^ 
tamente rerso il cielo; Lo scrosoio fu tale , che se ' 
n'udi il tuono d'assai lontano e sul mare e sulia terra« 
Gran quantitii di Turchi restarono morti o sgabellati^ 
dimodocfa^ per loro sarebbe stata migliore la morte. 
Cio nondimeno non si perdettero d'animo; perch^ 
coraggiosi di natura , gia si erano anche av vezzati per 
uso all'aspetto della morte, al romore, alle ruine. 
Impresero a fare un' opera stupenda e di estremo 
pericolo. Golle zappe e coi picconi scesi tiel fosso ^i 
misero a demblire quella parte del bastione rovinato, 
che ancora i Yeneziani tenevano. 1 cannoni ed i 
mosehetti degli assediati gli sfolgdreggiavano, e per« 
che da un orecchione era*no coperti , Morosini il fece 
demolire. Laoiide ' i Turchi e da fronte e dai fianchi 
erano bersagliati. Non ostante una cosi fitta tempesta, 
per la quale molti restavano o morti o feriti, non ral*-' 
lentarono il pensiero, e con tanta costanza lavorarono' 
nel demolire e trasportar al trove i sassi e la terra , che; 
conseguirono Tintento, restando la piazza in questa- 
parte intieramente sfasciata, se non se in quanto queir 
ultima munizione del taglio la riparava ; ma opera es- 
tiemporanea e debole non ofiferiva una valida custodia.. 
Xi' estremo- caso gia s' approssimava , quantunque re- 



lOO STOBIA D iTikLIA. 

centemente una flotta Veneziana avesse^portalo nuovi 
soldati e nuove provvisioni, 

Incresceva al re Luigi il d^stinp di Candia. Chiamato 
a se Giovanni Moro^ini , an)ba$ciator^della repubblica, 
gli fe sapere , essersi dciiib^ratQ ad ajutaria, ed a pro* 
curare la causa pu^blica con mandar iQ Caadia*un' 
armata sotto il comando di FrancesQO di VandoinOv 
duca di Beaufort , grand' ammiragUo , e dodici regr 
gimenti de' piii agguerriti col duca di Navailles, 
constituito loro generate; che qcm lora u sareb- 
bero accompagqati di buoiia volonta molti ulEcudi e 
gentiluomini , trecento sioldati d^Ue guardie ^ran- 
cesi , ^ ducento moschettieri , custpdi della real^ per* 
sona. 

Adunati con grande. spUeqiludine questi aoldati , 
ed allestita pon uguale diligqnza T armata in Ti^kine, 
partiyano ai cinque di giugno , ^d alia volta dH Iievanf e 
s' incamminavano. Le navi portavano bandiera pontic 
ficia , perch^ il re , che viyev^ in pace col gran sigaore, 
geloso di ter^pre in apparent la neulralitJ^, non vo- 
leva romperla pon alzare le proprie bandiere oontro 
di lui , come i$e i 3UQi soldati non andasaero in Candia 
espressaniente ppr aipmazzar Turcbi. Quests finzione, 
cui tutto il miondo conoseeva, era oerlaniente raolto 
puerile* Molte iniquita fecero in ogni tempo i Tujm^i 
ai Gristiaiiiy e molte ancora ne fecero i Gristimni ai 
Turchi , e se si averse a sottrarre il conto , boh so da 
qual parte la bilancia andrebbe giii. Gertamente nella 
presente occorrenza , se la condotta del re Luigi era 
da lodarsi per pieta , non ei*^ per ]^tk , percb^ air 



LIBRO YIGESIIIOSBTTIMO. 1 669. lOl 

ultimo Mfehemet non aveva fatto nulla a Luigi, e 
Luigi di nulla si lamentata. 

L'armata soccortitrice, passando tra la Sardegna 
e la Corsica 9* prese V abbrivo Verso la Sicilia , e di 
quivi passo speditamente in Levante, dove per altra 
strada si cqndnssealtresV con le gsllee Francesi il conte 
di/Vl^onnes per uairsi a quelle del papa e di Malta. 
Ma qu€»ta seoonda parte della flotta , trattenuta dai 
vrati Gonlrarj^ ton pot^ arriirare sopra Tisola che 
dopd la prima e quando gik le cose inclinavano ad un 
evento terminadVo.Aidiecinove di giugnp i duchi di 
JVavailies e di Beaufort comparvero coll' armata a vista 
del porto di Gandia ^ e tdstamente vi sbarcarono. Por- 
tavano intorno a cinquemila uomini d' eccellente sol- 
datesca. 

Non cosi tosto avevnno posto piede a terra, che 
saltitaldilBforosiniye con lui accoinpagnatisi visita- 
rono la piasza; la trovarono oltre misura lacera e 
disfatta; imperoioech^ ollre che il recinto di difesa 
era liitto or^ibilmente guasto, e in piii parti rotto e 
p^rviO) deplorabile spetlacolo era il vederd lo stato, 
a cut la cittl si ii'ovava ridotta. Le contrade piene di 
palle da (^ffitoone lanciate dalle batterie Turdle, rot- 
tumi di bombe e di granfite , non una chiesa 5 noii 
una oasa f le cui muraglie non fossero fracassate e quasi 
ruindte ^ Inacie infohni pldttosto cfae chiese o case , 
uii fetore hi&lBe ne.usciva^ da bgni parte 4 inogni 
catito soldati amortio bioribondi 6-^torpj o feriti. 

I capltani Francesi e Veneziani bomsuUarono suU' 
avviamtoto'da ddrsi alia guerra. Si riiduceva princi- 



lOa STORf A n ITALIA. 

palmente il discorso , se piii convenisse difendersf , 
quanto piu si potesse , stancare il nemico, ed aspet* 
tare la stagipne dei soccorsi, ovvero con potente 
sortita scuotersi rinimico dMntorno, guastar le opere, 
cacciarlo da quella parte del suo alloggiamento , che 
sarebbe permesso. I Yeneziani, massimamente.il ca- 
pitano generale, lodavano ilprimo partita, volendo^ 
che si fiiggisse V occasione di un grosso fatto d^ arme ; 
ai Francesi , principalmente al Navaijles , meg^io arri- 
devail sjecondo. Pareva toro, che se con una battaglia 
presta e forte non si snidavano ^i Ottomani, la guerra 
minuta e tarda noo avrebbe sortito altro.efFetto, che 
prolungare con molto sangue una resistenzay che sa- 
rebbe andata infailibilmente a terminarsi, quando che 
fosse , in una dedizione. Navailles voleva una guerra 
da impaziente Francese, non da paziente Veneziano. 
Prevalse 1' ultima sentenza, ordinossi la sortita. Res- 
tava a statuirsi il tempo e il modo. Siccome una parte 
solamente del sussidio Francese era arrivata^quan- 
tunque fosse la piu grossa, era consentaneo alia ra- 
gione, che si aspettasse T arrivo della seconda, che 
non era lontana, e constava di mille cinquecento o 
duemila uomini. Oltre questa gente porta ta da navi 
Francesi , era in procinto di arrivare Francesco Duodo, 
che conduceva sopra navi Veneziane mille cinque- 
cento soldati della repubblica. Ma i generali di Fran- 
cia o troppo confidenti in lo^o medesimi, o gelosi 
di acquistar soli V onore della liberazione di Candia, 
ad ogni piu prudente partito contrapponendpsi , vin- 
sero la pruova, che senza soprastamento alcuno la 



L1BRO VIGESIMOSETTIMO. 1669. ioi 

sortita sieflfettuasae. Morosini , che sapeva p^ pruova, 
quauto. fosse diverso il guerreggiar coi Turchi che 
coUe altre naztonivesibi al capitano Francese di unire 
alJe tnippe del re alcuni squadron! della repubblica, 
conoscitori deMuoghi, e sperimentati alle battaglie 
con un nemico di quella sorte. Ma Navailles, fisso 
nel sua pensiero^ non dava ascolto a cosa che fosse , 
e confidente piu del bisogno voile restar solo a rom- 
pere, come .diceva, quella testa di Turchi. In cio 
tanto fii pittttpsto imprudente e temerario che cor«')g« 
gioso, che non voile in nissuna maniera consigliarsi 
col Montbrun , vecchio soldato , che oraniai conosce va 
Candia e il cs^mpo Turchesco , quanto Morosini me-^ 
desimo', e che percio sdegnato levo un grandissioio 
]X)more , che senza esplorar i luoghif^senza avvezzarla 
air aspetto dei Turchi, senza attendere un poderoso 
e.vicino soccorso si volesse mandar al macello quella 
Boritissima gioventu. Il capitano generale di Venezia , 
vedutQ , che Navailles voleva far a modo suo , n^ po- 
tendo temperare.queir ardore, si contento di ordi- 
nare, che al tempo della fazione, un grosso corpo 
della guamigione stesse avanti alle mura per dare da 
luogo yicino favore ai Francesi, se abbisognasse , ed 
al medesimo line comando, che una parte della flotta 
"^msse. avanti, quando il vento il consentisse, per 
ajutare da quel lato i combattenti; precauzione, cui 
la contrarieta del vento rend^ vana. Essendovi per la 
vicinita del pemico spazio troppo ristretto fuora del 
bastione di Sant' Andrea, elessero uscire da quelle 
jella Sabbionara^ 



]04 5T01IIA 0*1XALIA. 

La nopte dei ventiquattro di gtugno TeH^nda i 
Yenticinque, fu destin^ta alia pericolosa uscita. Sor- 
tirono con tanto ordine e siletizio che si ordiqarono 
ia battaglia itr una piccola pianura^ che cpfiditceva 
al campo di^gli Ottomam , senza essere uditi o^^^arti. 
Erano poco meno di sei mila a piedi^ e seicento aea- 
vallo, perche Beaufort, per dare maggior forza alP 
urto , aveva sbarcato mila seiceiito uomiiii della sua 
gente di marina. Precedera una squadra eletta per le 
prime impressioni , composta di quattrocento soldati 
tratti da tutti i corpi, con cinquanta granatieri valo^ 
rosissimi alta. testa. Seguitavano tre squadr^ di <kval<^ 
lerla.sptto Id condottadel coiite di Dampiedre^ accom- 
pagoato da quattiro feggiroenti^fra i quali quello delle 
guardie. II fianclieggiavano quattro allre iquadre di 
cavalleria suU* ali , sostenute da tre reggiddenti H 
fanti* II tiorpo di ris^va eomposto 4i sei reggimrati di 
fanti ) conlandati dal conte di Choiseul con qu^tro 
squadroni, di cavallena suU' ali , fu pdsto fra^ i dUe 
dunpi del . nemico per impedire , che V una topesse 
deir altFo r ajutasse. 

SuU' aU>a i soldati comandati all' assa^to , ohe sino 
a quel momento erano stati stramazzati a terra, as- 
pettando U segnale della mossa, con Tividissitno eo« 
raggio e maravigtiosa ordiikanza si rizzarono , -d eott 
un impeto ineredibile contro il nenlico si scagliamno. 
Non ^a aneor ben ehiaro il fume del giorno^ quando, 
per non aver potuto per la oscuritii specular il paese, 
non iscorgendo bene la strada, n^ diseemendosl fra 
lore stessi , diedero in una squadra arnica di TedescU, 



UBEO VICESJMOStTTIMO. — 1669. Io5 

die vMiTa in Idro ajuto. L'accidente prochisse qual-* 

che scbttipiglto; tl^SL conosciuto Terrore, si rimisera 

bentdsto , C(Me gente pratica, in ordinanza :s'ayven- 

taroiio di ntlOYO contro gli alldggiamenti neitiici, e 

virlttMaiillente Vi ehtrak*ono quasi innanzi che fossera 

tontiti. Dainpierre attacco due ridotti alia testa de^ 

qullk*ti^)ri$ sostMuto dalle guaime, che se tie impa^ 

drottirond. Le lihee furono cdl tnedesimo impeto su* 

perat^ ^ tif di pailsftiiUa eoda delle triticee , dbve Gastel- 

lane enlMtto don le gUardie, a cui comahdava, se 

ne insignor). Quanti Turchi trovarotio in quelli 

a vviluppati scatkmenti , tanti uccisero. I Turchi , 

veduti^ toA aspramente pereossi e respinti , avendo 

gij^ perduto dei Ion> dodici o tk-edici centinaja di buoni 

Boldati, tiftciti dal loix) canijip, si miserb ih ordinanza 

peb^Sare uddosso ai Ft*ancesi in luogo aperto, dove 

peP^&ere (>iil tiumerosi avevana il vantaggio. Ma fu* 

rond con gfan vigore due volte repressi dal duca dv 

Navadlles. Ftlggendo allora si ritirarono , e k*accoIsera 

in un rilevato sopra alcune coUine , dove i Francesi 

seguitandogli erano gi^ pervenuti ad una batteria in 

un luogo eminente, cui chiamavano delle Grotte. I 

Tyrcbi spavehtati , i Francesi con maggior ardore pei 

piitlii stlccessi ^ ogni cosa presagtva una gloriosa vit* 

toria. tJti acdidente fortuito tronc6 subitatnente ogni 

speranza di bene. Ack^esersi , non si sa come , con 

motte di trenta soldati , alcuni barili di polvere. t 

Frantesi , che da lungo tempo avevano spesso udita 

raccontare il guasto fatto dalle mine nell'assedio di 

Candia, e qual frequente uso fosse stato fatto di quest" 



I06 STORIA d'iTAUA. 

arti6zio di guerra, a quello scoppio si mentirono 
tuttl, e presi da subito terrore, credettero, che fosse 
una mina. G\k pareva loro di camminare sopra un 
terreno minato e infido, e che gia traballasse, e che 
quasi inferno aprendosi , in aria tutti gli strabalzasse : 
per la qual dosa gridando : Guarda la mina^ guarda 
la mina^ si scomp^arono, ed in fuga andarono. I 
primi si precipitarono sui secondi , questi sui terzi , e 
via via il terrore guadagnaudo , non si scorgeya piii 
schiera, che stabile o intiera fosse. I capitani, massi- 
maraente il Navailles, il Beaufort e il Colbert, fecero 
pruove maravigliose per fermare quel disordine, ma 
furono le fatiche loro sparse al vento. Coprogli, che 
stato era sorpreso da quella tempesta taato improv- 
yisa, ora usando ilbei^ficio della fo>rtuna, spinse 
avanti i suoi Turchi, che scendendo con urli ofdbili 
dai colli e con rabbia ferendo, accrebbero to spavjRito 
di chi fuggiva.Fece nella fuga il danno maggiore I' es- 
sere bersagliati dalle artiglierie delle stanize nemiche. 
Deplorabile fu la rptta , e se non era del Morosini , 
che veduto Tesito infausto della sortita dall' alto del 
San Dimitri , usc\ con un grosso corpo per sostenere 
la ritirata, pochi dei Francesi si sarebbero salvaji. 
Piansero molta gente , piansero molti nobili capi. 
Mancarono il duca di Beaufort, il contedi Rosan, 
nipote dei mare^ciallo di Turena, i marchesi di Li^ 
gnieres, d' Uxetles, di Fabert, il conte di Castellane, 
i cavalieri di Clermont e di Pernagne , il marchese di 
Boisdauphin , con molti altri ufBciali e gentiluomini 
qualiQcati. Cinquecento teste , fra le quali si osserva-* 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. 1669. I07 

rono quelle. del diica di Beaufort, del Rosan , del Li- 
gnieres, del d'Uxelles, .del Fabert, del Castellane, 
di cinquanta moschettieri , e d' un cappuccino , cap- 
pellano d' un reggimento , furono presentate al gran 
visire, e portate in mostra a spavento dei Cristiani 
tutto air intorno della piazza. 

Quantunque le cose fossero succedute cosi infeli- 
cemente, la perdita fu piii grave pel terrore concetto 
dai. soldati del duca di Navailles che pel numero degli 
uccisi; imperciocche si vedeva loro in \olto, che non 
erano piii quei di prima, e per confortargli, che il 
duca facesse, non potevano riprendere gli spiriti. Si 
vedeva manifestamente quanto improwido consiglio 
fosse stato il non abbracciare il partito proposto dal 
Morosini di assuefare appoco appoco e con piccioli 
. incontri quei soldati nuovi all' aspetto ed alia guerra 
dei Turchi. Erano istanto arrivati i rinforzi si della 
squadraJFrancese, che era rimasta indietro, e portava 
circa duemila soldati, come le galere pontificie e 
Maltesi. Yincenzo Rospigliosi, capitano generale di 
quelle porto al Morosini, per testimonianza del suo 
valore, un breve del papa con alcuni quadri di molto 
pregio. Regalo parimente con maniere conformi al grado 
gli altri rappresentanti ed uflSciali della repubblica. 

Gongiunte per tal modo tutte le forze Gristiane, 
deliberarono di dare un grande assalto dal mare contro 
il fianco degli alloggiamenti Turcheschi. Ma questo 
sfoFZOy da un vano romore in fuori, nissun effetto 
di momento produsse; perche i Turchi non u^cirono, 
e non fu fatta nel tempo stesso una sortitadalla piazza. 



to8 STOniA d' ITALIA. 

Ora la difesa si trovava ridotta a tutta estremita. I 
Turohi baldanzogi per la vittoria acquistata contro il 
Navailles^ gi4 possessor! del bastibne di Sant' Andrea, 
led in gran parte di quelli di Panigr^ e della Sabbio- 
nara, si erano tanto fatti avanti, che se non erano i 
petti animati da un disperato valore degli adtichi di- 
fensori Veneti, si sarebbero quasi senza ostacolo im- 
padroniti della citt^, Morosini mostrava un animo 
invitto; Navailies apertamente^ Rospigliosi liascosta- 
mente , ancorch^ cod parole dinotanti costanzk &vel- 
lasse, litubavano. Adunossi uda dieta militsklre di 
tutti i capi| id eui comidcio a vedtilarsi il partito, 
ohe fosse da prendersi id queir estremsl foriuda^ Mo- 
rosini air aspettd di tante mine ^ ferite e diorti > e con 
un presidio mescolato di lingue tanto varie, don 
rimetteva punto d^Ua sua costanza. Confortava, che 
si facesse una sortita con tutte h forze, promettendo 
di uscire insiedie coi Francesi, Maltesi^ podtifit^, 
Savojardi, con tremila soldati Veneti di pruovato 
valore. Mentre si discuteva , Navailles ^ state prima 
di oonsiglio precipitoso ^ ed ora essendo di timido , 
cbn sotntna diaraviglia e rammarico dei Vene^iadi , 
ed ingannando V aspettazione di tutti ^ si lascio idted- 
derew sua intedzibne essererdi tornarsene con tutti i 
suoi soldati ' id Francia. In glustificazione di cosi 
strano propdsito allegaya, essere la piazza oraidai in 
tale stato ridotta che doyeva piu pensare all' arren- 
dersi che al diiendersi; il resistere di vantaggio dover 
costare molto sangUe s^nza frutto; dpveirsi codser- 
Vare la Vita dei guerrieri^quando lo-spidddepla non 



LIfiRO VlGESIMOSfiTTIlfO. l66g. ICK) 

giova ; nissuno poter dubitare della buoni^ e pronta 
volant^ sua e d^suoi compagni; assai testimoniaria 
]e ferite, e le morti loro^ assai testimoniaria le teste 
Fraocesi con orribile spettacolo dal fiero Coprogli 
attoiKio di Candia tutta niostrate; Tonore di Francia 
e della crij^tianita essere in salvo , ora doversi salvare 
Chi la mdrte risparmio. 

Fnrongli intorno Morosini, e gli altri capi Yene- 
ziani a pregarlo di non abb^tndpnargli in cosi estremo 
(rangenl<^V^ rappresentat*gli , che nuovi ajuti si 
aspettavano fra brieve da Venezia, er cui gia la fama 
risuojoava essere vicini. Che sarebbe di Candia , dice- 
vano, per tutto il mondo famosa? Che dei beneme* 
riti cittadini, e dei bravissimi difensori, se abbando- 
nata nei momento del maggior bisogno, gli amici 
apparissero pill vogtioai d' uscitne che i nemici arditi 
per entrarvi? Che sarebbe di coloro, che avevano 
creduto , che il nome solp di Francia avesse ad essere 
la loro salute? Opera pretosa avevano fatto i Fran- 
cesi nerso Venezia , perch^ non terminarlai ? 

Non giovarono n^ le preghiere, n^ le ragioni : 
stette sempre il capitano Francese fisso nel suo pen- 
siero di partire, non curando di proqurarsi la inde- 
gnazione 4^1 re, ni di maculare Tonore proprio. Per 
ultifaa pruQyayGiacomo Gontarini, unodei principal! 
Qobili dell'tsola, devotissimo di Venecia, e trafitto d^ 
moke feritfe in qqello stesso assedio, convpcato il 
popdo e il clero, e da essi accompagnato, lo ando a 
ritrovar^. Muoveva cdmpassione col braccio tronco , 
col \o\t6 paUido , cblla compagnia delle donne e dei fan- 



no STORiA D' ITALIA. 

ciulli piangenti. Lo scongiurarbno per tutto cio, che 
ha la religione di venerabile e di sacro, di non lasciar 
agl'infedeli in preda le chiese, gli altari, le ossa de' 
martiri, le ceneri di tanti benemeriti cittadini e sol- 
dati. Quindi additando il sesso imbelle e Tata tenera 
degl' innocenti fanciulli, che riempivano gli atrj di 
pianti e di strida, tento Contarini d'indurlo a fer^ 
marsi almeno per qualche giorno. Ma il Francese 
stette inesorabile alle preghiere ed alle lagrime degl' 
inertni, come s'era mostrato restio alle ragioni ed 
alle instanze degli armati. Imbarcossi adunque con 
tutti i suoi, e andossene. Spiacque al re Luigi, se 
pero non fu una finta, la condotta del Navailles, e lo 
mando in esiglio al suo ritorno in Francia. Per cu- 
mulo di sventura i pontificj ed i Maltesi, mossi dal 
funesto esempio, partirono ancH'essi, lasciando in 
fin di morte la desolata terra. 

I difensori non avevano piii deliberazione se non 
difficile e pericolosa , e ogni speranza era spenta. Re- 
stava r obbligo di salvare quattromila cittadini, e 
forse altrettanti soldati, miserabili reliquie avanzate 
a sessantanove assalti, a ottanta sortite, a milatre- 
centosessantaquattro' scoppj di mina. Morosini, con- 
vocati ai ventisette d' agosto tutti coloro, che ave- 
vano grado nella milizia, disse : essere giunto quel 
giorno, che mai non si potrebbe rammentare senza 
dolore pubblico e pianto privato; non di una sola 
cosa, cio^ di combattere, come nelle altre consulte 
ora trattarsi , ma decidersi la fortuna della piazza e 
I'esito della guerra; avereil cielo disposto^ che sotto 



LIBRO VIGBSIMOSETTIMO. — 1669, tit 

r armi abbominevoli del furore barbaro cadesse la 

causa piu giusta; perch^ convertendo i rimedj in 

danni, il successo apparivapiii colpa del fato cbe di- 

fetto di umano giudizio; i cuori ancor fedeli, i petti 

ancora forti essere, ne cedere ai colpi delFavversa 

fortuna^ yedersi veramente da lui, essere I'ajuto del 

tempo incerto , e nei casi estremi andhe pericoloso; 

avere cio non ostante intiera fede nel valore di quelle 

invitte ihilizie, e da loro promettersi cose in sin oltre 

ai limiti dell' iimana natura; non vedere veramente 

nellacitta, non solo lb splendore antico, manemmeno 

la forma primiera, rovinata in gran parte, squallida 

tutta, desierta e sfasciata di mura, n^ ^iu restar dd 

difendere che quella poca terra, impastata d' utnane 

ceneri; amare Itli di seppellirsi piuttosto tra quelle 

mine che di sopravvivere a difesa tanto gloriosa; 

desiderate tuttavia , anzi comaijdare coll' autorita 

della carica, e per la gra'ndezza del pericolo scongiu- 

rargli, che posti in disparte i sentiment! ed i trasporti 

solitidi generosita, converita e prudenza consiglias- 

sero quello, che in si dolorosa condizione la citta, 

Te^ercito, I'armata, la patria da loro ricercassero. 

Resto con voti.uniformi eoncluso, che essendosi sod- 

disfatto largamente aU'onore e al dovere, si provve- 

desse, dando Gandia a patti onorevoli, alia quiete ed 

alia salute della repubblica/Diede speciale fomento 

alia deliberazione il parere dell' incolpabile Montbrun, 

che risolutamentQ. la consiglio. Fortunato Francese , 

che con maravigliQso valore ed incorrotta fede aocon- 



112 STORIA D IT ALU. 

ciamente compenso quantp ebbe di leggiero La Feuil- 
lade , d' infido Navailles ! 

Tommaso Anaoti, Scozzese, e Stef^no Scordilli, 
Gandiotto, spiegata bandiera bianca^aodfirono, man- 
dati dal capitano generate, $il yisire. I ragionamenti 
furono trasferiti netla campagns^ tra la oit^l^ ad U 
campo Ottomano , dove si alzarono al bisogno conve- 
nienti padiglioni, II yisire v' inviQ per trattare coU' 
Ananti e coa 1q Scordillii Ibraim, basci^ d* Aleppo, 
Bossinese, il ChUja Bey de' Gianniia^eri 9 6 1q Sjimg^ar, ' 
aga. L' animo grande del Mprosini , quantunque sof- 
focato dalla potest^ troppo grande della fortuna, 
quivi di tutto splendpre si orno. Pa um parte con 
que' suoi stanchi , pocbi e derelitti soldati ributt^ 
ferocissimamente un puovo assalto dato dni Turehi, 
meiitre si negoziava, dalFaltra alzo9si a maggiori 
considerazioni, cbe nel solo destino della piasaea si 
contenessero, Sapeva, cbe la sua patria nontmava, 
cbe i suoi cittadini , o magistral civiU o capitJEOii di 
guerra cbe fossero, oltrepassassero i mandati propij , 
ed in cio era rigorosissima* Ma vinsa in liii V onore 
del nome Yeneziano , ed aPQor^b^ pr^yedesse , cbe la 
gelosia di stato avrebbe superato COQ pericolo SUQ il 
beneficio , si risolvette di finira la guerra eon onesta 
composizione , convertendo la capitolazioqe dl Caodia 
in un trattato generate di pace tra la repubblica e la 
Turchia. Grave ^ yivido pensiero, cbe solo negli 
uomini grandi nascere ed allignare puo. 

Trapassate molte disputazioni , e levato via ogui. 
difTerenza, le cose si ridussero ai pensieri diuna piena 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. 1 669. Il3 

Concordia. Addi sei di settembre si accordarono fra 
le due parti i segueati.capitoli : 

Che a fine di goder buona pace si rim^terebbe in 
poter del priroo visire la piazza di Gandia con tutti i 
cannoni ^ che la munivano prima della guerra; 

Che all' incontro resterebbe alia repubblica il pa- 
cifico possesso delle fortezze di Suda, Carabuse, e 
Spinalunga coi loro territorj , e della piazza di Clissa 
e suo territorid con tutti gli altri acquisti fatti dai 
Veneti in Dalmazia ed Albania, dovendo essi posse- 
dere secondo posseggono ; 

Che s'intendesse dato un termine di dodici giorni 
di bonaccia alia repubblica per imbarcare i suoi can- 
non! portati nell'isola a tempo della guerra, ai cit- 
tadini e soldati per trasportare le loro robe; 

Che ratificata la pace , dopo la missione del mi- 
nistro Veneto alia porta , si darebbe la liberta a tutti 
gli schiavi di qualunque grado o condizione fatti in 
questa guerra, compresi anche gli ausiliarj ed i ven- 
turieri; 

' Che si concederebbe perdono ai sudditi delF una e 
deir altra parte , che avessero in qualunque maniera 
servi to < alia parte contraria ;* 

Che s' intendessero confermati gli articoli della 
pace conclusa dopo la guerra del 1571; 

Che perche 1' una delle parti non violasse la fede 

air altra, si dessero da ambe tre ostaggi. Da quella 

dei Veneti . vennero consegnati Faustino da Riva, 

Gianbattista Galbo, Zaccaria Mocenigo; da quella dei 

VI. 8 



Il4 STORIA d' ITALIA. 

Turchi Bebirassan, bascia, un aga de'Giannizzeri, e 
il Tefterdar, tesoriere di Natolia. 

L'Ananii e lo Scordilli, ammessi all' udienza del 
prime visire, furono da lui presentati di una ricca 
veste per uno; poscia disse loro : Ora sicuAo amicL 
V Ahanti lo saluto a nome del capitano generate, ed 
ei rispose : // capitano generate si dee consoldre 
d' OA^rdifeso la piazza con tanto valore^ e final- 
mente col cedere una cosa gia perddta , di aver ac- 
quistaio alia patria la pace e la buona amicizia 
col gran signore. Veramente oltre le mura non solo 
rotte e sconquassate , ma del tutto annichilate, eb- 
bevi il danno di un numero grossissimo di teste. Mo- 
rirono per ferro e per fuoco nei soli tre uitimi anni 
di quest' assedio ventinovemila ottantotto Cristiani 
d' ogni condizione , e settantamila Turchi soldati , e 
trentottomila tra villici e schiavi. 

Come prima si sparse fra i cittadinl la novella del 
trattato, siccome inevitabile lo stimavano, cosi al- 
trettanto per loro crudo e funesto il chiamavano. 
Appresentaronsi tutti , cosi squallidi e lacrimosi come 
erano, al Morosini, ed uno di loro per tutti in tali 
dolorosi accenti sciolse la lingua : « Che se avevano 
K avuto petto forte per opporsi ai barbari, e cuore 
m costante per mirare con occhio asciutto lo strazio 
ff dei parenti e degli amici, la ruina delle case, lo 
« spoglio delle sostanze, tenevano anche intrepidi la 
tf risoluzione di seguitar per tutto la cofopna di fede, 
a che precorreva per trargli dalla servitu edall'or^ 
« rore di quel mesto soggiorno , non conoscer essi 



LIBRO VIGESIMOSETXmO. 1 669. Il5 

a pill la loro patria squallida e deformata sotto il giogo 
(c de^ barbari, n^ amar la vita o curarsi piii degli averi, 
c< dove regnavaao la tirannide e Y empieta. Suppli- 
a carlo percio di assegnar loro altro luogo , dove al- 
<( meno in placida quiete adorar potessero le con«> 
« suete insegne della repubblica. Yoler tutti segui* 
atarlo, giacch^ dura, necessita gli discacciava dal 
<c nido altre volte caro ed ora abborrito. Yoler deporre 
« le spoglie mortali Ik dove i sepolcri non fossero 
a contaminati dagl' infedeli , n^ confuse le ceneri loro 
cc.colle ossa degli empj. Ricevesse egli pur gratamente 
cc quest' ultimo sacrificio della lor fede, essendo I'atto 
a estremo , e insieme il piii eroico di religione e co- 
(c stanza lasciar i beni della terra per le speranze del 
a cielo , e cangiar in miserie i comodi della fortuna 
a per non mutare le leggi del principe, » Cio detto , 
risuonarono gli atrj , e le piazze di alte e dolorose 
strida. . * 

Furono benignamente, ne senza tenerezza udit^ le 
miserabili ad un tempo e forti voci dei Candiotti dal 
capitano generate. Gli conforto a sperar bene; che la 
repubblica » disse, pietosa madre, non gli avrebbe 
abbandonati; che intanto si consolassero , percli^, se 
in miseria eriano caduti per un destino inesorabile,.il 
corso dei secoli non avrebbe mai cancellato la me- 
moria ddla loro mirabil fede , della loro eroica co- 
stanza. 

S' imbarcarono colle donne, coi vecchi, coi fan- 
ciulli, colle masserizie semiarse, s'imbarco il clero 
colle cose sacre , s' imbarcarono uomini , la maggior 



1 l6 STORIA d' ITALIA. 

parte dei quali avevano dato i primi vagiti al rim- 
bombo dei cannoni, ed ora che dopo venticinque 
anni d' orrido fracasso le armi tacevano, si trova- 
vano costretti , per non pruovare il giogo acerbo der 
Turchi , ad andar cercando ricovero in lontane terre. 
Ne la speranza di ricuperare un di la perduta patria 
il dolor loro alleggeriva , perche troppo grande era 
la possanza dei Turchi , onde quella nobil predaa loro 
sverre si potesse : la cristianita amava di lacerarsi da 
se stessa, ed a grave stento vedeva nella causa di 
Yenezia la causa di tutti. Morosini assegno agli esuli 
vitto e stipend], con ahri privilegi, che il senata 
appruovo. Poi il senato gli raccolse, la piii gran parte 
in Parenzo , eitta dell' Istria con assegnamento di case 
e di terreni. Trenta famiglie nobih Veneziane ven- 
nero a sedere nei magistrati suprerai della repubblica. 
Diedesi la cittadinanza ai nobili originarj di Gandia*, 
moltii»dei quali amarono di stabilire le nuove loro sedi 
nelle isole dell' Adriatico e dell' lonio d' appartenenza 
Veneziana. 

Morosini, lasciati Montbrun e Grimaldi^ affincfae 
ordinassero quanto restava delle cose militari , mas- 
sime quanto alia consegna della piazza, s'imbarco, e 
visitate le altre fortezze dell'isola, che in inano dei 
Veneziani dovevano ancora rimanere , navigo poscia 
al Zante, e quindi a Yenezia, dove T attendevano 
venture non conformi al suo alto valore. Quale e 
quanto egli fosse , il dimostra la prec^edente storia , e 
vieppiu il dimostrera la seguente. Mond)run e Gri- 
maldi, visto ogni cosa imbarcata, partirono ancor 



LIBRO VIGBSIMOSETTIMO. 1669. II7 

essi, restando in Gandia solamente il sergente mag- 
giore Po^zo di Borgo con tre o quattro ufHciali per 
consegnare la piazza. Entrovvi il primo \isire quasi 
in atto di trionfo per un ponte fat to apposta, per la 
breccia diSant' Andrea ; passo per un' ala triplicata d 
Giannizzeri, ando alia chiesa di San Francesco can- 
giata in moschea, converti altre tre chiese pure in 
moschee , demoli tutte le altre, e dei loro luoghi fece 
stanze di cavalli; il Tefterdar lo tratto lautamente 
n spese del gran signore. Il chiamarono capitano in- 
Vitto, il gridarono Coprogli degno del padre Co- 
progli. 

I Turchi lodavano Coprogli ; i Y eneziani , in riconi'- 
p^nsazione di tanti benefizj, accusavano Morosini. Tra 
le leggi pubbliche e il benefizio pubblico verteva la 
differenza, quelle piu forti di questo, perclie Tinvi- 
<}ia degli altri cittadini verso i cittadini grandi da 
maggior forza alle prime, e ne toglie alia gratitudine. 
Pui:^ nel presente caso, ch^ con brevi parole raccon- 
teremo, gli accusatori dimostrarono per la natura 
stessa d' alcune delle accuse, che piii* gli muoveVa 
la civile invidia, e il misurar le cose dello stato se- 
condo i rispetti privati, che il zelo per le palrie leggi. 
Era ahcora in piedi Tassedio di Gandia, e le lodi^deli' 
intrepido Morosini andavano al cielo, quadoD h. re- 
pubblica, per riconoscere i suoi meriti, I'aveva chia- 
mato procuratore di San Marco. Pervenne in questo 
la novella del trattato di pace da lui concluso col vi- 
sire. Presa la occasione di sfogare 1' odio occulto , 
Antonio Gorrario oro con espressioni veementissime 



Ii8 STORIA D ITALIA. 

ia consiglio grande contro il Morosini, sforzandosi 
di estenuare ia gloria de' supi fatti, e pertinacemente 
instando, perche fosse spogliato deila nuo va dignita ^ 
con cui teste pure Y avevano onorato. Di tre cose 
principalissime V accusava. Yiolatore delle patrie 
leggi, usurpatore della sovrana potesta il chiamava 
per avere senza mandato del senate concluso una 
pace generale, ed aver anzi ceduto terre spettanti 
alia repubblica ; vile il chiamava per avere , siccome 
diceva, malamente difeso Gandia ; prevaricatore il 
chiamava per avere acceitato presenti dal visire. I %e- 
lanti delle massime antiche, i gelosi ofTuscati dalla 
gloria del JMEorosini si unirono : una tempesta gravjs- 
stma si levava contro di lui. Corrario fu eletto avoga- 
dore del coniune. L'accusa, che prima per aver se- 
guito , abbisognava del suffragio dei piii voti , dive-^ 
nuto Corrario avogadore, camminava da se, e fii 
d' iiopo venire al processo. L' accusato constituissi in 
carcere, meno libero nella patria beneficata che cir- 
condato dai Turchi nemici. Rigidita e virtii antica di 
Roma sarebbe stata questa , se non avesse avuto mo- 
vitivo da passion! private. I piii stavano contro di 
lui. li popolo stesso , che per le vociferazioni degli 
avversarj era venuto in concetto , ch' ei fosse tradi*- 
tore, vmeva vedere la sua testa tronca, e minacciava 
i giudici di troncarla da se, se essi non la troncassero. 
Giovanni Sagredo, antico ambasciatore, assunse la 
difesa, acciocche il boja non ammazzasse colui, cui 
tante migliaja di palle Turche avevano risparmiato. 
Oro con forza, fu udito, parte con favore, parte con 



» ■ 



LIBRO VIGfiSIMOSETTIMO. 1 669. I 19 

sdegno. Si commise la causa ad un inquisitorato. Che 
fosse traditore a cagione del trattato parve accusa 
eccessiva, dappoiche la repubblica, giudicando, che 
quella Concordia I'avesse salvata, aveva il trattato 
medesimo ^d appruoYato e ratificato. 11 punirnelo 
sarebbe forse stato ragtone, ma certamente ingrati- 
tudine; pure i governi ne fanno spesso di -queste. 
Che fosse vile , parve cosa ridicola .* la voce univer- 
sale il qualificava prode dei prbdi. Restavano i pre- 
sent! del visire, offerte onorevoli^ che si fanno a 
tutti e da tutti in simili occorrenze. Ne fu il solo ad 
avere errato in cio, se errore ci fu, poiche altri co- 
mandanti, dopo Taccordo, ricevettero a titolo di re- 
galo , alcuna somma di sultanini dal visire. Parlossi an- 
che di peculato. In questo capitolo non era del tutto 
esente da eolpa , n^ solo : alcuni nobili Teneziani » 
erano arricchiti nella guerra di Candia^ cohdotta 
odiosissima , siccome quella che cavava guadagno 
dalle miserie pubbliche. Morosini non si arricchi , ma , 
siccome pare, fu tocco anch' egti dal verme del desi- 
derio delle sostanze pubbliche. Vero h pero, che in 
Candia spendeva molto nei conviti pei cnpi deH'armi, 
e sosteneva ihagnificamente la dignita del generaiato. 
Fu assoluto con onorevole sentenza. Se Romano fu 
V affronto &tto da Venezia ad un benemerito citta- 
dino, Romano fu il modo, con cui egli se ne vendico ; 
poicb^ chiamato dopo breve tempo a capitanar^ i 
soldafi della repubblica in pericolosa guerra, a vit* 
toria aggiunse vittoria, e fra le vittorie glorioso mori. 
La generosa istoria fra poco racconteremo. 



laO STORI4 D ITALIA. 

Nella notte dei nove di decembre fini di vivere il 
pontefice Glemente IX. Sostenne il pontificato due 
anni e mezzo con molta lode di generosita, di pieta, 
di prudenza , e di zelo del culto di Dio , temperato 
da mansuetudine. Amo anche il soUievo dei popoli , 
ed i Romani soliti a maledire la niemoria dei papi 
recentemente morti, esaltarono con ragione . quella 
di Glemente IX. Veramente ei fu uno dei piii virtuosi 
papi , che siano saliti sulla cattedra Romana. . 

Apertosi e cfaiusosi il conclave, i cardinali si divi- 
sero tosto in varie parti secondo le inclinazioni e gV 
interessi di ciascuno. Predominavano tre £Bizioni, una 
dei Chigi, V altra dei Barberini , la terza il solito squa- 
drone volante , che fsiceva professione di volere un 
papa Italiano libero , cioe non dipendente da nissuna 
corona , o da famiglia troppo potente. I Ghigi aderi- 
vano a Spagna , e s' impiegavano per Tesaltazione del 
cardinale d' Elci , di patria Sanese ; ma i Francesi si 
contrapponevano , abborrendo Tantica propeiisione 
della sua casa verso la corona di Spagna, e promuo- 
vevano in sua vece il cardinal Vidoni, soggetto di 
poca stima e poco grato all' universale. In favore di 
costui con molta pertinacia si affaticava lo squadrone 
volante. Ma facevano una gagliarda resisteinza gli 
Spagnuoli, ai quali s' accostava il cardinale Rospi- 
gliosi coi pochi aderenti, ch'egli aveva. Grande nervo 
anche procurava a questa parte Y opera del cardinale 
Leopoldo de' Medici , chiaro pel nome dellai casa , per 
Fautorita, che sempre i cardinali de' Medici ayevano 
esercitata nella creazione dei pontefici, per la fama 



IJBRO VIGr£SlMO&£TTIMO. 167O. 12 f 

acquislata nel coltivare da se e nel promuotere n6gli 
altri Tamore e lo studio delle lettere e delle scienze. 
Durava il conclave gia da cinque mesi con grandissima 
ostinazione di tutte le parti. Oltre il tedio della lunga 
chiusura, lastagione calda stringeva, i cardinali molto 
soffrivano , alcuni infermarono , il d' Elci mori ; lo 
stato senza governo travagliava, i popoli di si lungo 
consesso mormoravano , e' bisognava finirla. Per mo- 
tivo principalmente del Medici , i cardinali Ghigi e 
Barberini, capi delle due parti contendenti, rinunzia- 
rono al voler uno dei loro , e promisero di accordarsi 
per eleggere un cardinale savio*, che n^ delF una ne 
delFaltra fazione troppo sentisse; con che si venne 
ad espugnare intieramente lo squadrone volante , che 
per se solo non poteva , e molto meno contro Je altre 
due fazioni riunite, raunar voti a sufficienza. Gio fit 
cagione, che ai ventinove d' aprile, terminandosi una 
cosi lunga vacazione della sedia apostolica, venne 
esaitato al supremo seggio il cardinale Emilio Altieri , 
di famiglia Romana, uomo buono e quieto, ma gia 
molt' oltre coU'eta, essendo pervenuto agli ottant' 
anni. Prese il nome di Glemente X. Essendo Y ultimo 
superstite della sua casa, gli convenne chiamare in 
ajuto della sua vecchiezza parenti assai rimoti, fra i 
quali adotto per cardinal nipote col nome d' Altieri 
il cardinal Paluzzi , dando a tutta la famiglia Paluzzi 
il nome d' Altieri. • 

£ siccome fu spesso fatta menzione in queste isto- 
rie di elezioni di papi, e ancora si fara, non sara forse 
discaro a chi mi legge , Y intendere , come esse si 



la^ STORIA D ITALIA. 

fiioDO. Hi servrro rolentieri in questo proposito delle 
parole, cfae scriTeva Annibal Caro al suo amico Be- 
nedetto Yarcfai ¥ ultimo d'ottobiti del i534. 

ff La elenone del papa intendo, si saol fare con 
c due torti di snffiagi; Y nno domandano voio^ Taltro 
« accesjo, H voto si scrire per mettersi in on calice, 
c e ciascuno da il voto a chi vuole; ma non si puo 
a dare a piii d' uno , ed evvi scritto quello die '1 da , e 
« quello a chi e dato : ma il nome di chi di , ^ rinvoho 
a e suggellato , V altro nome si lasda aperto : e^cosi si 
c vede qual cardinale ha piu voti , ma non si veggono 
« i Yoti di chi siano. Oltra questi voti, ogni cardinale 
ff puo dare il suo accesso a tutti i cardinally che gli 
« piace , perch^ non sendo per essere papa quello a 
€t chi ha dato il roto, accede a un altro, e poi a ud 
<c altro e or coi Toti, or cogli accessi si vanno uccel- 
«c lando r nn V altro , ed a ognuno accedono , quando 
cr yeggono , che non sono per riuscire : e quando la 
« veggono vinta, recedono e dicono : Recedo et 'ac- 
« cedo ad reverendissimum falem. E cosi o per is- 
<( tracchezza o per sciagura fanno un papa : ma ci sono 
« dentro tanti begli stratagemmi, che non vi si pos- 
« sono tutti dire adesso. » 

Qualche volta il papa si fa per acclamazione, (noe a 
voce et apertis suffragiis; il che succede quando una 
parte e tanto potente, che quantunque non abbia tutti 
i voti, ha pero probabiiita A elezione; impereiocch^ 
in tale caso, questa parte chiama ad alia voce papa il 
suo favorito , e il mette in seggio e T adora , e gli altri 
vedendo la cosa si ristretta, per paura accedcHio. Evvi 



L1BRO VIGESIMOSETTIMO. 167O. 1 23 

^cora un altro modo di elezione per acclamazione , 
ed e quando tutti i voti soqo concordi sulla prima 

giunta : tutti allora , senza venire a squittinj , gridano 
papa an tale, e il mettono in seggiola e Tadorano; 
laa cib succede raramente. 

Add! yentiquattro di maggio manco di vita Ferdi- 
nando II , gran duca di Toscana. Fu lodato da tutti , 
perche mostro animo generoso, ed amo il bello ed il 
giusto. Gerc& di correggere la viltk dei tempi, e la 
bassezza del governo gretto e superstizioso delle tu- 
trici, e la inveterata pecca delle arti Medicee. Gome 
fomentasse e coltivasse le scienze e le lettere, da noi 
gik fa detto; da lui e da'suoi contemporanei e com- * 
patriotti si debbe principalmente riconoscere il lieto 
ed utile imperio della fisica e della matematica , dalle 
quail cotanto fu migliorata 1' umana condizione. Scor- 
gesi anche nel suo lungo e felice regno, che i costumi 
in Toscana molto s' ingentilirono , e la rozzezza re- 
pubblicana di Firenze die luogo a piii dolci abitudini; 
gii ultimi vestigi della repubblica veramente sotto di 
lui scomparirono del tutto. Domi sino all' intimo di- 
vtatarono gli spiriti, ma piii amabili, ed a quel, che 
manco alia forza, suppli la mansuetudine. E' bisogna 
bene accettare il benefizio, perciocch^ la repubblica 
Fiorentina fu quasi sempre, per non dir sempre, fon- 
data, nop sulla liberta di tutti, ma sul trionfo di una 
parte e V oppressione deir altra : livore e rabbia vi 
donunarono. Quella era V arrabbiata ed incomposta 
liberta del medio evo , se pero liberta si puo chiamare 

quella, che piii lungamente si mantenne in Firenze 



ia4 STORIA D'lTALtA^ 

che in altre cjtta d' Italia. Per mala sorte tra papi ^ 
imperatori, re e Medici la conciarono per forma, e la 
diedero in preda a un tale, che in vece di riformarla, 
la spense. Restano le nobili opere e i nobili scritti dei 
cittadini Fiorentiiii ai tempi deila repubblica ; ma il 
loro parteggiare fu funesto a tutti, massime a loro 
medesimi, e la benignita dei costumi puo dare ori*- 
' gine , e fare fondamento a migliore liberta. 

Dei costumi privati di Ferdinando molte cose fu- 
rono dette e scritte. Si raccontarono di lui brutture 
di ogni genere , le quali , ove anche siano false , ser- 
vono a svergognare il secolo, che le accredito, ed ove 
sian vere, svergognano lui e il secolo. E' pare tutta- 
via, che per questo conto sia stata mes$a ti^oppa 
mazza, perche i Fiorentini molto amavano di vendi- 
carsi della servitu colla maldicenza. Pure Ferdinando 
non fu del tutto senza macchia, tanto piu da con- 
dannarsi, quanto puniva rigidamente in altruile colpe 
proprie. Ne solo puniva egli, ma lasciava punire, 
certo troppo aspramente , dalF inquisizione. Moiti 
esempj potrei toccare, un solo tocchero. Faustina 
Mainardi aveva creato una scuola di zitelle , il cano- 
nico Pandolfo Ricasoli Tassisteva. Colei e costui, di 
costumi sordidissimiy in vece d' insegnare le buone 
creanze alle innocenti fanciulle, loro insegnavano, e 
con loro praticavano laidissime oscenita. Cio si seppe 
per rivelazione di un confessore. L' inquisizione pro- 
cede. Il ventotto di nov<embre , correndo 1' anno 1 64 1 ^ 
nel refettorio de' frati di Santa Groce, venne eretto 
un palco apparato di nero in forma di catafalco ad 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. 167O. 1^5 

U80 di funerale. Quivi intervennero , come narra il 

Galazzi, II cardinale Carlo de' Medici, i principi ca- 

detti, tutto r ordine teologale , la nobilta e le persone 

quali£k;ate , finclie il luogo ne fu capace. I colpevoii 

stavano sul palco vestiti di pazienze ricamate di fiamme 

e di diavoli, e inginocchiati ai piedl delP inquisitore , 

che sedeva magistralmente. Un (rate sul pulpito lesse ad 

alta voce rl processo; n^ abborni, n^ arrossi di rac- 

contare per minuto, e sempre ad alta voce parlando, 

tutte le laidezze ad una ad una confessate da essi, con 

tale scandalo e stomaco d' ognuno y imperciocch^ 

tirati dairinsolito, e forse solito spettacolo vi assis- 

tevano giovani dei due sessi purissimi, che i piu 

sdegnosamente se n' andarono piu irritati contro 

r impudenza del frate che contro le brutture dei 

delinquent!. Queste erano, non scene, ma scede, 

e tali spettacoli davano alcuni sudici fratacci alia 

civile Firenze , che in quell' anno stesso aveva ancor 

veduto il suo Galileo. Faustina e Pandolfo non furono 

dannati al fuoco, ma a morire murati in carcere, gli 

altri complici a pene proporzionate. L'inquisitore fu 

ripreso da Roma, non per av# operato e sentenziato 

cosi bestialmente, ma per aver sentenziato troppo 

mite, e gli venne sostituito un frate piii fiero. Non so 

qual animo fosse quel di Ferdinando in veder queste 

cose : certo dovette molto comporsi in se, e chia- 

tnarsi fortUnato di esser principe ; che senza di cio 

V inquisitore gli avrebbe dato di mano. Veramente i 

principi di quei tempi commettevano molte sporci-^ 

ziuole , per non dire sporcizie grosse : i bastardi non 



1126 STORIA d' ITALIA. 

mancavano, ed era il meno, massime in Toscausi, 
Quest' era un loro vizio generale in tutta 1' Europa. 
Ne se n' emendarono per religione , perche di reli- 
gione Don ne ebbero piu dopo che prima y ma petr 
I'efficacia della civilta crescente^ che scornandogli 
faceva loro vergpgna, e diceva loro, che cogli altri 
prlvilegi non avevano quello del vizio. 

Debole fu Ferdina^do nelle faccende giurisdizio- 
nali. Tornarono^ sotto il suo regno , V antiche consue- 
tudini della repubblica, che troppo davano apretied 
a frati; e le savie ordinazioni in tal proposito di 
Cosimo I e di Francesco andarono in disuso, con 
notabile pregiudizio delF autorita del principe. Roma 
di nuovo allargava il suo imperio in Firenze. 

A Ferdinando successe Cosimo III. 

L' ordine degli av venimenti prodotti dall' umana 
saviezza o dall' umana pazzia , mi porto senza inter- 
rompimento sino all' anno 1670. Ora voglio raccon- 
tare una fiera catastrofe, mandata o da Dio stesso, o 
dai terribili elementi, don cui mescolo e compose 
questa terrestre mole. Da lungo tempo il cavernoso 
Etna, che nella Sicilia fbinore di NapoH pareggia per 
cosi dire le partite fra i due regni per la sua gran- 
dezza smisurata sopra il Vesuvio , pareva starsene in 
riposo; ma quest' era veramente riposo d' Etna , segno 
cioe di spaventevoU tempeste. Gli otto marzo del 
1669 presagi funesti andarono per I'aria. Non era 
ancora il sole coinparso ad illuminare le nostre re- 
gioni, quando nel villaggio di Lapidara, ed altri 
luoghi circostanti, I'aria in un subito si oscuro, e si 



L1BRO VIGESIMOSETTIMO. 1670. 137 

senti greve, come quando la interposta luna annera 
Una parte del sole. Trapassossi qiiel gionao con pre- 
sentimenti sinistri. SulF imbrunire un altro caso veune 
a spaventare. Un gruppo di contrarj venti sollevo8si 
a Nicolosi due miglia distante da Lapidara verso po- 
nente, tale che le case si scuoterono e traballarono : 
gli uomini sentirono, come se fosse, un calor vivo e 
cocente. La notte, comincio a tremar la terra : con- 
tinuo a tremare or piii or meno, dove piii dove meno 
sine agli undici. Ma in questo giorno infausto git 
scuotimenti divennero tali in Nicolosi, che gli abi- 
tanti non potevano reggersi in piede, gli alberi a 
gujsa di palischermi ki mare continuamente ondeg- 
giavano , spezie di ballo diabolico. A mezzo di sentissi 
uno scroscio, Nicolosi non era piii ; le case tutte rui- 
nate e capovolte. Pareva, che i turbini, i terremoti, 
le ruine, fossero gli ultimi dei mali, roa erano i mi- 
nori : piii caro costano i conquassi in Sicilia. 

U giorno medesimo, non cessan.do mai gli scuoti- 
menti della terra ed i tuoni sotterranei, in poca 
distanza delF infelice Nicolosi crepo la terra , fecesi 
un immenso abisso , muggendo piii violentemente e 
tremando. Era 1' abisso tortuoso, andava da mezzodi 
a ponente dodici miglia lungo , sei piedi largo,^^<iaIIa 
pianura di San Lio sino a monte Fromento, cui 
spacco quasi sino alia cima, ne in lui si vedeva fondo; 
tanto era profondo! Non buttava fuoco, ma un certo 
chiarore, come di lume tra giallo e rosso. Vieppiii 
pmovo San Lio, qual ferale stanza fossero le falde 
Einee, Nel gioruo stesso alle undici , i soliti tremuoti 



ia8 STORIA d' ITALIA. 

e suoni orrendi n^lle viscere del monte continuando, 
anzi crescendo^ aprissi nel piano di Nociglia, a guisa 
dlniiovo cratere una voragine,che vomitava immensi 
viluppi di fumo. Poco appresso cinque altre* voragini 
si spalancarono , e tutte vomitavano un fumo neris- 
simo; la terra in questo cosi violentemente trabal- 
lava, che a Catania stessa/dieci miglia piu lungi , gli 
edifizj si scrollavatio, e facevano le viste di cadere e 
disfarsi in ruine. I paesani , che per noh vedersi se- 
polti sotto le case diroccate, si erano rifuggiti nella 
campagna, vedendo il terreno spaccarsi in voragini, 
e temendo di essere, in vece di schiacciati, inghiot- 
titi, a tormesi ricoveravano neNa citta con quel poco 
delle loro spstanze , che poterono trasportar con esso 
loro in tanto disordine e terrore. Portavano pinto inr 
volto lo spavento e lo stupore , simiti piiittosto a ca-* 
daveri spiranti che auomini. Sulfinir del giorao sotto- 
il monte Fusara, data una scossa straordinaria, come — 
se la terra volesse sgangherarsi dai poli y wdl altra 
voragine piii considerabile delle altre aprissi, e questa ^ 
non solo eruttava fumo, ma lanciava a furia pietre 
ardenti con arena e ceneri infiammate, che poi ca- 
dendo in pioggia infuocata, incendevano quanto 
tocctfjpino. A sessanta miglia tutto all* intomo volo 
rinfiammato nembo con tanta de^olazione dei paesi 
che con parole non si potrebbe esprimere. 

Sentissi improvvisamente dentro quell* abisso un 
tremito ed un suono ancor piii spaventevole, ed ecco 
uscirne un fiume fiammante, cioe una lava, due mi- 
glia larga , quindici piedi alta , la quale a ostro preci- 



LIBRO VI9]^IllfPS£Tf imp. . 1670, 129 

, pitandosi y^r^o ^{ttonpiliero, ppi a i^v^jite torcendosi, 
in poco d' ora distru^se casqili , , campag^e , villaggi. 
Quel della Guardia. nominatameute resto annichilato. 
.11 jgiomo appre^sp, che fu il dodici di marzo, jil 
fiume di fuocOvVoIgendosi novellamente vers' ostro, 
assaji Belpasso, terra copiosa di ottpmila abitanti, 
due ixii^ia lontana , dal|a voragine ; ^ Y assah , il cir- 
condo, jil peue;tr6,, tutto lo sommerse in un mare di 
fuocp. Sptte altre bocchei intorno alia prima voragine^ 
.6 r.una vipina allValtra si aprirono; ppi tremarono, 
ppi gittarpi^o un.gran rimbombo, poi il terreno^ che 
le sepairava,, preqipi^ssi negli abissi, fprmarono un 
solo ed immenso abisso« L' orribile, e quasi che diceya 
{.i^iferi^al :fiu|ne, chC; ne scaturiva^ quasi ^cheroipte 
cqngiynto a^ Flegetonte , a molti . dpppj s' i^grosso. li 
villaggio di Monpiliero era protetto contro quell' pn- 
data di.qaaterie fuse da un eterno fupco,, pel monte 
del medesimo nome; ma il fiume nelle, sue iqteriori 
c^vefrnc) penetro, e penetratolo Tabbasso^ e dall^'pp- 
pipstp kto riuscendo ^ trovo il villaggio, ed intierp,il 
somvaef;se. Sommerse, al medesimo trMto Tantics^ e 
jsuperba cbiesa dell' Annunziata, prnameptO;djeIla Si- 
c^ia, maraviglia degli esteri* Poi procedendo, e <^a' 
^^i)pi:gorg}ii prribili nuova materia riceye^do^ djstrus^e 
; pareccbie case. nel villaggio di.^scalizia. l^e ceneri 
, eje ^corie buttate erai^o/ tante, che fpr;qiarpno in- 
torno .^Ua bocpa della voragine una grossa. jnontagna 
(Wmica ,.ed empierpno ^aUnente le terre di Trepastagne 
eX^idara,!iJie sopra ai tettidelle case sei piedi s'in- 
naWoQO \ le,,3\vAdette, terre del tuttp sepolte. 
VI. 9 



l3o STORIA d' ITALIA. 

L' ignea striscia continuava it suo cammino ; mas- 
pareva, che il monte ignivomo sostasse, quando a » 
venticinque dello stesso mese tremo e tuono Y Etna • 
I popoli spaventati il gUardarono : videro la sua alta. 
cima tutto ad un tratto abbassarsi, ed intiera denti*o 
r antica e solita bocca inabissarsi ; ne sola s' inabisso^ 
ma tiro con se tutto lo spazio arenoso, che la circon- 
dava. L'Etna parve piu basso; ma eccolo rivomitarer 
r iiiabissato cucuzzolo , come se la forza dell' interuo 
fuoco, ofFesa da quell' insolito peso, quasi a gara a. 
rincacciarlo negli aerei spazj fosse risorta. Rivomi— 
tbllo sotto la forma di smisurate colonne nere, ch 
oscurarono la luce del giorno, per modo che a stent 
ci si vedea : il fuoco vinse la terra. Piu largo allora i 
cratere trovossi e piu profondo, anzi fondo non vi s 
scopriva. 

Intanto I'ardente flume giva nuovi paesi deva 
stando. Con orribil fremito procedendo, brucib 
campagne e le abitazioni di San Pietro, di Camporo 
tondo, di Mascalizia, di San Giovanni di Galemo, d 
Torre di Grifo, di Musterbianco , della Porcaria. I 
primo aprile, voltatosi a levante, s' incamminava 
dlviso m due rami, verso il mare e verso Catania 
Gia era giunto agli Albanelli a due miglia al piii deH 
citta dalla parte d'occidente. In alcun luogo era se^- 
in otto miglia largo, e venti piedi alto con sembianz^^^ 
del fuoco delle fornaci , dove si formano i vetri. Ruo — 
tolava pietre infuocate con tanta velocita , che appen 
gli abitatori dei mentovati villaggi ebberb tempo d 
scampare per ricoverarsi in Catania. I rettbri de 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO. 167O. l3r 

comune, ed il vescovo gli alloggiarono nei conventi, 
negli ospedali, e nelle case piii agiate, provvedendo- 
gU di ogni pill ospitale sussidio. Ma Catania spaven- 
tata alia pari delle campagne; perciocch^ il torrente 
igneo si approssimava , e gia da poco lungi se ne 
sentiva la vampa infuocata. 

Ebbesi ricorso ai rimedj celesti. Avvisavansi, che 
Qon senza 1' ira di Dio fosse venuto quelF orribile 
flagello. A tutte le chiese andavano o processional- 
mente o individualmente uomini e donne d' ogni con- 
dizione e d'ogni etfi, lacriniosi in volto e in abito di 
penitenti. Portossi attorno ed in varj luogbi, dove 
piu minacciava quel fiume di zolfo, di metalli e di 
sassi squagliati, il braccio di sant'Agata, sahf^, la 
quale, siccome nata in quella citta, n'era piamente 
creduta la protettrice. Facevansi dai ministri della 
chiesa divote esortazioni, e tra V esortare e il predi- 
care si udivano gli orrendi scoppj del inonte, che 
intronavano le orecchie degli uditori, ed in quel 
pun to tutti gridavano: Misericordia! parendo loro 
di esser giunti alia fine del mondo. Il vescovo, coro- 
nate di spine, accompagnato dal magistrato, pari- 
mente coronato di spine , dal clero secolare e rego- 
lare, e dalle confraternitJi , tutti in abito di penitenti, 
portb il braccio della santa verso la pianura della 
Afadonna della Concordia, e vi scongiuro il /u6co. 
PortoUo e scongiuro il fu«co a Mascalizia , a Muster- 
bianco, a Torre del Grifo , a San Pietro, a Camporo- 
tondo. Scrissero, che alia vista delle reliquie il fuoco 
si arrestasse, e dagli antri suoi, dond' era uscito , urii 



1 3a STOEiA n itaua. 

spaventevoli gittasse, come di demoDJ di^pettosi di 
essere vinti. Fatto s&, cbe qaede misere' terre turono 
desolate ed arse. II fuoco inGontro in prossimita di 
Catania un largo vigneto f praetrahdo' in c^iii speclil 
sotterranei, spianto le viti, ed il terreno dentro'^l 
abissi ingojo. Yero e pero , cbe Catania resto hella 
massima parte preserrata. II rivo fiammifero ,' che 
sempre piii vi si accostava, dato in an largo piano, 
un di ricetto di acque conosciufo sotito il nome di 
Guma di Nicil^o, quasi dietro le liiura, distnitte al- 
cune refiquie di un acquidbtto e d' ahri monumenti 
antichi , scorse tutto a\Y intomo delle mura da oriente 
in occidente, ddnde la notte dei YiEfntitre'd*aprile, si 
scaglio nel mare, avendo corsi qiiindici iniglia dalla 
bocca, che buttato Taveva. Sollevo net'inare un pro- 
montorio. Piombovvi , cotiie pasta molle , sbvra W 
stesso arrovesdossi , le acqiiescaldo per nibdo che 
il tenervi dentro la raano era insof&lbile. Le acque 
bulicavano e frehievaiio, e vapori gettavaiio, e rivoli 
e scorie rotte. AaJfFreddata'la prima fsuda^'le sopfav- 
vegnenli sopra di lei siaccumulavaiio , ene\ iriafe piii 
si sporgevano. Per tale guisa'formossi^'un cumulo, 
quasi promontorio la dove prima vi era la profondita 
dfel mare. Ancdra nl giorno' d* oggi si vede la sfriscia 
r paese, che il lunesto tiume percorse. La orribil 
scena, qua! testimonio vivo delle passate angosce e 
ruine , si mira dipinta a ff Sesco c^ii veri'ta siille niura 
della sacristia della (bbiesa cattedrale di Catania. 

Lematerie laiiciate dalle due grandi voragim for- 
marono cadendo una erainenza' con^iJerabile con 



LIBRO VICESlMOS£TTJMO. J67O. 1 33 

aspettp di una montagna dpppia che cira due miglia 
alia base, e s'innalza sino a quattrocentocinquanta 

Pledi: la chiamano Monterossi. Ha tutto airintorno 
una zona di.sabbia nera ruttata dalle voragini, e iarga 
tre midia. Le valli di Nicolosi e di Lapidara s'empi- 
rono delta medesinia sabbia. Le ceneri poi portate dai 
venti a piu disessanta miglia, ias^ombrarono le Gala- 
brie, e fecero accorti i re&nicoll di qua dal Faro, che 
il regno con[]^agno tjravagliava in quegri&tanti dj un 
male simile al loro. Bene potevano dire d' aver impa- 
rato a soccorrere ai miseri dalle proprie miserie. 

Vedonsi ancor;^ le vestigia delle yoragini , per cui 
cio, che era sotto, fu trabalzato sppra. Chi scende 
in una di esse , che apre ia bocca presso al monte 
della Fusara , e fossa della Palomba si chiama , vede 
molte caverne con orrido disordine sovrapposte , poi 
un Iqngo e cupo. speco; ma I'avventurarvisi sarebbe 
pericoloso. 

Il matematico Borelli calcolo, che la qunntita delle 
materie buttate da quest' incendio dell' Etna somma- 
rono intorno a dieci milioni di piedi cubi , e lo spazio 
corso dalla lava ardente a dodici miglia. Ma il pro- 
fessor Ferrara , che scrisse molto dottamente in un 
suo recente libro della natura dell' Etna e de'suoi 
incendi , e dal quale non poca parte della presente 
descrizione desumemmo, porta opinione, che d'una 
mcta pill si debba inc^rossare il numero dei piedi 
cubi, e d'un quinto quello delle miglia. 

L'incendio e le esalazioni di materie infiammate 
non si terminarono che alia meta di lug'lio.e tutta 

• »., n - ; r » *is ^; '« ('! i I »"f» ' ' ' ' 



1 34 STORIA D^ITAUA. 

il tempo , che durarono , il cielo si vide quasi di con- 
tinuo tenebroso, e il sole apparve come ecclissato e 
coperto di un velo di colore femigineo : il cielo con- 
sentiva colla terra a spavento dei Sicilian!. 

Quando il torrente mortifero s' avvicinava a Ca- 
tania, portando'oiinaccia di sobbissaria , venne in 
mente ad alcuni, principalmente a don Diego Pappa- 
lardo, di stomarlo, il seguente ardficio adoperando. 
Cinquanta robusti uomini , vestiti di pelli , armati di 
mazze, di forche e di picconi di ferro, ruppero presso 
a Belpasso la crosta della la^a ffk piii indurata pel 
contatto deH'aria alia superficie che dentro, donde 
zampiliando con impeto a guisa di grosso fiume verso 
un* altra parte si precipitava. Ma gli abitanti di Pa- 
temo, verso cui s'awiava, vennero coll'armi, e 
fecero restar i Cataniesi. Parve loro, che fosse , ed 
era veramente , un brutto trovato salvar se bruciando 
altrui. 

Talvolta la crosta della lava crepava da se pel pesc^ 
della liquida, che la pi^meva da dentro, e torrenti 
fiaramiferi uscivano a consumare ora questo tratto d£ 
paese, ora quelFaltro. Appunto uno schizzo simUe 
entro, sovra le mura passando, dentro un quartier^ 
di Catania ^ e lo desolo. 

Quando quella terribil pasta fit raflSreddata tanto, 
che r uomo sostenere la potesse , andavano i Cata- 
niesi raccogliendo su di quelle croste una enonne 
quantita di muriato d' ammoniaco. Narrano , che 
quando Y infuocata materia aveva fasciato il cir- 
cuito della citta, tanto iume gettasse, che anche 



LIBRO VIGESIMOSETTIMO, 167O. 1 35 

uelle nottipiu scure leggere, come nella piena luce 
del sole,) si potesse. Quattro mesi dopo di essere stata 
yomitata dal raonte , ed aver misurato quindici mi- 
glia, era ancora nel mare liquida, come pasta di 
metallo liquefatto. Boccone narra, cbe, gia passati 
due anni dappoiche 1' incendio aveva spaventata la 
Sicilia, forando il terreno profondamente , ne usci- 
vano ancora (iamme ; anzi per testimonio del gesuita 
Massa, essendo oramai corsi otto anni, in certe ca- 
vita la lava scottava ancora chi vi ponesse dentro la 
mano, e quando vi pioveva su, esalava fumi sulfurei. 

Parecchie volte si voile fare sperimento di cavare 
nella lava, sotto di cui si trovava sepolto Belpasso, 
con fine e speranza principalmente di disotterrare le 
campane , che come alzate sui loro campanili , dove- 
vano giacere a poca profondita ; ma le fatiche riusci- 
rono indarno. Cavossi a Monpiliero , scendessi sino a 
trentacinque piedi di profondita; si cercavano tre 
statue^ una sola pote ritrarsi. Bene si puo, come 
osserva il Ferrara, sperar frutto dagli scavi, quando 
i luoghi furono solamente sepolti in ceneri ed in 
sabbia, ma non parimente, quando la lava inviluppo 
gli oggetti ardente e fusa, perche in tale stato raf- 
freddandosi , forma con loro una massa dura ed in- 
separabile a guisa di macigno. 

Gli abitatori dei paesi arsi rimasero lunga pezza 
stupidi , come se il terrore avesse loro tolti i senti- 
menti. Anzi la notte i sonni venivano loro interrotti 
da fantasmi e larve spaventevoli. Si vedeva, che la 
natura umana aveva patito, e che in essi era stata 



1 36 STORIA d' ITALIA. 

iaimetite scdssa, ch^ fuori di' sesto g^ettata penava a 
ritornai^vi. Una parte se li' aiido a dimorare ih Gsltaiilsl, 
dove atjiitati' dal governd, e (^on qualclie misi^rabif 
Miqiiia ayilkizata agrincendj ed alle ruine, febbrica- 
i^6ho lin sobborgo. 61i alfri tbrnaroho stilie lave, 
tSahto h Y aihore d(^l' hiog6 natio , chi^ ileihtheab^ il piJi 
immin^iite ]^i^i*ic6lo libh lo spe^fife, e Ia'nub'^e'£H)ita- 
^bni soprsl lih tei*i*eno, cb^ Y aritieHi^ skittb di ^e 
liascoudeva , edificai'btib. It" goVeirnb non ihanco delia 
pieta dovuta a*f ihisbri. Oltri' i sussidj dati ai* piSi bi- 
sognosi , e^6ht6 per dieci anni i villa^gi e lia citt^ da 
oghi' im^bsta. Riiinasie' Y Italia stupefatfa a tan tat ^ala- 



FINE DEL LIBRO YIOESiMOSETTIlWQ. 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. — 1 67 1. 1 87 



LIfiRO YIGESIMOTTAVa 



SOMMARIO. 

A«Tjr perpelibi tra le monarchie ei le^ repubbliohe , e solite mag^gnt 
nelle cose di stato. Guerra Tiyissima tra Sa^voja e Genova per 
contese di picciolissimi confini, e raplmenti di qualcbe bestia. 
fettidie ti'atnatie in denora. da un KafTaele delliei Torre, suo citta- 
«linD sceleratissimo; Discorsi nelle eonsiilte dl Garla Bniamide: II 
intorno alia guerva conr Genova. I Piemontesi sabodarano Sa* 
Tona, ma yiene loro interroUo il disegno, e perch^. Fazioni di 
g\aer^ feroclssidiie sulla rivi^a dir Ponente tra i Piemontesi e i 
G^AoV^ti , |>rima cdBa meglio dei primi, poi coUa peggiQ. yalia*e 
infelice di- Qitalano Alfieri , generale dei r«gj, yalore fiortunato di 
Restori , Gorso di nazione , generale dei repubblicani. Compinta 
▼ittoria dei Genovesi a Castelyeccbio. Grandi moti in Piemonte 
per rinstaurave k forfuna ddla guerra. Nnoye feaieni-, e si con- 
tinue k far sangiie. U re di Francia s' introm^tte a ^i^ordia^ sua 
con maggior favore verso il duca che verso Genova. Si fa la 
pace; le cose, dopo tanti strazj , tornano come prima. 

I l>liiJMGlPi Italiani non volevano capire, che te 
gtterrfi fra di loro erano guerre civili, cio^ fraticide, 
e che, oltfe al tormetitare la comune ihadre e se 
ftte^&i, veniva poi loro addosso lo scherno e la pre- 
potens^a dei fbrestieri. Cio si vide in tanti casi gia da 
ilol raccontati, Ci6 vieppiii si vedra in quello, che 
slicces&e tt^inSavoja e Genova, ma qui la colpa fu 
d^Ua monorchia, non delta repubblica. In questo 
iuogo code r acconcio di fare un' oseservazione. Ai 



f38 STORiA d'italia. 

tempi aiftichi, cioe delF antica Roma le repubbliche 
prcvalevano alle monarchie; la Romana sola ne di- 
strusse non so quante , (ferto molte , ne altro rimedio 
avevano alia rovina loro., se non quello di piaggiarla^ 
e neanco questo bastava. Mutati poi i tempi per la 
peste settentrionale, che invase T Italia, anzi TEu- 
ropa , le monarcbie incorainciarono a sollevarsi sopra 
le repubbliche, e divenire per loro troppo formida- 
bili. Per la qual cosa i rettori degli stati liberi, per 
sovvenire ai pericoli loro, si diedero ad andare a 
versi degli stati monarcali , e neanco questo a lo/o 
J^astava. Iniqua fu Roma verso i monarchi, iniqui poi 
furono i monarch! verso le repubbliche , la forza non 
perde il dominio, peggio poi, che si voile dopo, 
come prima, coonestarla con le parole di giustizia, 
di ragione e di diritto, aggiungendo cosi I'ipocrisia 
alia violenza. Insomma s'han da ammazzar uomini, 
s' hanno anche da ingannare , e questa bestialita 
dura, e durera fin che ve ne sara, perciocche il lungo 
uso genera il fastidio in ogni cosa, fuorche nella cru- 
de! ta : questa brutta fiera mai non si sazia. Tutti pec- 
carono, e peccano in cio, forti e debpli, grandi e 
piccioli, famosi ed oscuri. Ma per venire ai tempi, di 
cui scriviamo , le monarchie assai piii peccaropo che 
le repubbliche, perche da una parte la tema frenava 
il crudo desiderio, dall' altra la forza il solleticava* 
Certo, chi disse, che Tumana razza e infelice , .disse 
la verita; per arrota poi si vede, che srfo infelice da 
se. Questo sole e queste stelle cosi magnifiche e cosi 
belle, queste piante e queste erbe cosi vaghe e cosi 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. -— 167I. iSq 

liete la dovevano pure chiamare ad altezza, a bene- 
Volenza , a dolcezza, a tranquillita ; ma conserva 
TaDelito ferino, qualche diavolo la tira. 
• I casi tra Savoja e Genova furono i seguenti. La 
casa^f»Savoja, dappoiche era venuta in possessione 
di tutto il Piemonte , aveva setnpre ambito, e tuttavia 
ambiva lo stato di Genova, se non tutto, almeno la 
riviera di Ponetite, parendole non naturale, e certa- 
mente incomodo di non avere altro sboccamento al 
tnare che la porta di Nizza, mentre il suo dominio 
Mediterraneo si estendeva, i confini Genovesi ra- 
dendo, e fasciando, sino alia Scrivia, che oltre la 
citta stessa di Genova verso V Italia ha da quelle 
sommita degli Apenniiit la sua sorgente. Dico, che 
la riviera di Ponente agognava, ma sarebbesi anche 
Yolentieri impossessata di Genova; quest' era anzi iin 
soQimo suo desiderio, ma frenato dalla cupidigia e 
dalla gelosia della Francia e della Spagna, le quali 
quel ricco emporio , e quella comoda porta d' Italia 
volevano ciascuna per se, se dei Genovesi piii stata 
non fosse. Carlo Emanuele I, siccome gia da noi fu 
descritto, era stato molto sollecito di questi tentativi 
sopra Genova , e se non venne al compimento del suo 
disegno, i fini piii reconditi della Francia, e la gelosia 
del maresciallo di Lesdighieres, piuttosto che la pro- 
pria fortuna od il proprio valore ne furono cagione. 
Ma viveva la pertinace brama. Vittorio Amedeo I e 
per la molestia delle guerre tra Francia e Spagna in 
Italia, e per la brevita del regno, non pot^ soddisfar- 
sene; la reggeiiza di Cristina torbida e disgraziata ne 



l4o STOIilA d' ITALIA. 

distolsQ ii pqosi^ro; Carlo ^apuel^ II, i|sqito dalla 
pupillary all^ maggior^> eta, e gi|i. asskestate 1^ cose 
del proprio dominio cplla pruf}qn^ e colla fer,mezza, 
rivolse l!animo, rimaneD4p in lui Tantic^ ci^pi4ita 
della su^ casa;, a quantp U sqp, inquietp, q. Xj4|ro^o 

ayolo non ^vev4,pptu|l/^, iinp^d|tp>dA fj^lf^U ^ci^fin^y 
aggiungere. I t^mpi si dimp^ti^vaiao, i^voreyoU : una 

gros^a guerra. mossa dal r^< di Frapcia iH) Fijai^cka 
teneva if^ qut;lLe parti la Sp^goa in graye ^avaglip,; 
la Spagna stessa per al^tre i^agipi^, grandevientie^ il^- 
bolita^ Don qra i^ gradp di recare. ui^^gra;^ n^inento 
nieUe eipei;Qenze , ^1;^ ^^serp, per Pi^^^e^ nella, p^rte 
superiore 4' ^^fl)^ Qiovan^ , af;4^nte^ ed, ajp^oso, 
nato da, principi guerrieri, iiiarlp Evaanud],e. de^e- 
r^va, di 4^^ Jdoxne ^ sup ^egnp cpi^i^ una felice guerra^, 
e con un' ^ggiqpta c^ u^pv^ ag\i antiphi sU^, 4fsi- 
derio antico , i^ pw in quell' e\^ dft^, i^ Mft'ahi:^, 4* 
tutti i prinpipi ^ ^tiij^^olati ifla^inji^meat^ ^^f^e^^p 
di Luigi XIY, V^, di fra^Rpift. 

Gli a^prtatpri al sai;^gue np^ ipai^c^pQp, ^ ^eg(i- 
^ioi^i pemqiena, ma di p^cciolo, 9^\^i n\\in i^g^^nU)^, 
e pertapiente non p^ri ^ \^n\9 incf^^^p : \l Piepio.iite 
ft«ibizip§o , Q piH^Q^tp il f uo pifippipe as^aUl^ Geuova 
innpc^qte. Er^np insor{:p gia pisglj ^ni pr^^d^nti 
aperhe) diffiprpna^e per confini p pf^t^p^ioqi di p^coii 
e rapi^i^ 4f I?P4|iami , pojpe ^yple tr^ yicifu ^ diyersi 
^t^ti,^aqyei4ell^3rig^ p 4j Tqpp^, qu# 4i dj^ione 
Pier^pptpse, q^psfi di Gpnpyese. Msi jntrppfts^osf il 
re di Fr^pci;^ per me^p d^ejl' ab^jt^ ^^ryiep^ iDan4ato 
espreps^pf^pte, e^p prai^p ^Jtate ^ppjtp ppl cfjrrpn^^ 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. — 1 67 I. Ikjl 

atinb p^run ti^attato Mtiduso tt*a<ta<r6pubblj(«a e il 
dtica. Aflohtaniatn questa cagione di discbrdia , gli 
animi mfe&sida una parte e dall' altra died^ro' 6rigiMe 
ad'to'altra. 

Due picciole terre alpestri situate'^lte alte>ri|)e 

deir Arbscia , - V tma ticina air altf a , ' Rezzo , siiddita 

d^r eaValiere ^ GlaV^sana , ' va^^ailk) deHa > i^epubblica , « 

Cenbvaj'Stiddita' del'ttiirch^e (del Mtiro, vassftUo- del 

daca, erano *destilidte< dkl' eielo a' da^e 6righie e<fo- 

' Inento ad una^crtida-fed'arirabbiala guerfa.'Cdr^it) 

quei^di Rezzo ^iii tbrritbt'j di Ge%i6Va^ c6tom(?ttei](do 

nririatar'inano insuHr contta le^pe^sone d r^pimenti di 

bestiathi. ihibrsei^o '^uei di^ Geh6ta per V^hdicarsi, 

ma' i Rezzaschi'iiTfevatto* il vhiitag^io pier esser 'Retlo 

* tieJtra • 'pHii pdpdlbisa e* di IU6go piu forte. Aprirbnisi 

alcune'^pra^icUe d'accbrdo, aiibhe'per ihaiidato'dbi 

due princJipi, ma' non cbbtero' feffeftlo, piairte per?la 

iifiala Yblontk'dei confihahti,' hiassimaMl^hte del Rez- 

iasfehi/pattef |)*chft it duira di Savoja ateva ranimo 

alieild'Aalid c6n6oi^dia, piacendogli qvieV tnoto, totAe 

* ' j/Wtdsto deHa ^iierra, che'andava^rla itieirte rav- 

" Hnbl^iido^ Kataa fet'a kstrada, tilii'^il dtica dbve*ra 

seguitare in tale frangente. Per certo non pbteta 

" ^^tiirtnetterfedtdareasddtenka, iaciiVihe'di i*agione 

* * Ibfee^,* af kUoi s\idditi* Bl <}ettbva V ma prtt^ 

'^I'lfeiW dbvtiVa richiimai^si di gkistiifia pe' sttoi Ap- 

' *^rtts50^al'BWfcilo della r^ubbtica, e quandc giiisti^ia 

^ * riorf*?iifpiftrifee,''Mploi:^re di'm!^ la mediaziolie 

■ *akla fVaiida;'e**se*ahdid iqu^^ta^ttegata^li-f^^^ 

* * *intriaciiare coir armi ^ esfeld iifiirfiacdia foss^ rBdarno^ 



14^ STORIA d' ITALIA. 

usarle, intimando apertatnente guerra. Ma niuna di 
queste cose fu fatta, avendo il duca proceduto ostil- 
mente coU' armi senza previa dichiarazione, per modo 
che piuttosto insidia , che generpsa azioue di nemico 
dovette riputarsi. 

A frivole cagioni mescolaronsi perversi consigli. In 
Francia ed in Piemonte ie medesime cose , e pure fra 
di loro diverse succedevano. Luigi corse armato con- 
tro ia Olanda, perch^, oltre il proprio genio, che a 
cip il tirava, Louvois, fiero miiiistro, il vi sospinse 
per odio contro Colbert , ministro savio , il quale sic^ — 
coine quegli che regolava le (inanze, non.<amava ve^ 
derie mandar in ruina dalla voragine della .guerra. Ir^. 
Piemonte Gianbattista Trucchi^barone.diLavaldigi ^ 
generate, come il chiamavano, di (inanza, uomoassa ^ 
favorito dal principe, copfortava alia guerra, all^*- 
quale i primi fra i buoni soldati del duca, e.fra gl^- 

altri il marchese di Pianezza, ed il marchese di Li 

yorno, suo figliuolo, si opponevano. Cos! il guerriercr' 
ii^ Francia spingeva e tirava a guerra, il camarlingci^ 
a pace , il contrario si vedeva in Piemonte ; ma, qut ^^ 
la due cattivi ministri suscitavanp un flagello di po^ — - 
. poli. 

L' umile querela di Rezzo e di Cenoya servi di pre — 
testpa far sangue in riviera di Ponente, una comoditSB- 
di fisco mosse Trucchi , e Trucchi poi Carlo Ema- — 
nuele. lo ho vergogna di dirlo , ma inso/nma lo dir^ * 
I sali dal mare al Piemonte facevano la strada d i 
Nizza, assai lunga ed aspra pel colle di Tenda: La — 
valdigi la voleva aprire per la piii breve e facile d^^ 



LIBRO VfGESIMOjTAVO. *— 167I. 1 43 

Oneglia. Era d* impedimento a tal prop^ito il villag- 
gio di Pornasio , die d' appartenenza GenoTese es- 
sendo , si frapponeva tra via , ed era d' uopo farlo 
Piemontese , perche asini e muli potessero trapassarvi 
con le some del malavventurato sale. Tal fu la cagione 
della guerra. Gosi fra Trucchi, Rezzo, Cenova, sale 
e Pom^io , Piemontesi e Genovesi ne andarono con 
le ihem* a rotte. 

Fattasi in Torino la deliberazione della guerra, $i 
pensb ai modi di condurla. Il marchese Villa, che se 
ne mostrava anch'esso assai caldo autore, aveva in/- 
telligenze in Savona, per cui sperava di farla muo- 
vere contro il proprio governo , ed accettare dentro 
i soldati del duca , tosto che sui. vicini monti si sco- 
prissero. Un prete Piemontese, che in Savona dimo- 
rava, dava principalmente opera a queste insidiose 
trame contro Genova. I Savojardi confidavano , che 
quando Savona, citta tanto principale, fosse venuta 
per subita sorpresa in loro possanza , oltre che forse 
sarebbe nato qualche grave scompiglio e mutazione 
in Genova, tutta la riviera di Ponente si sarebbe 
rivoltata verso il nuovo signore, e che quella terra 
littorale aggiunta alia mediterranea del .Piemonte, 
avrebbe ricomposto in intiero 1' antica e forte nazione 
dei Liguri. Ma siccome si voleva procedere per sor- 
presa e per insidia, non coi modi soliti di guerra, fu 
preso consiglio di dare altro colore ai movimetfti 
delle truppe, cui Carlo Emanuele mandava verso i 
confini del Genovesato , e che gia erano giunte ad 
alloggiarsi nel marchesnto di Ceva. Fu mandata at- 



-1 



>* 



l44 STOBIA p' ITALIA. 

txjTBo voce^^e quei moirimeiid d^armi per altroBon 
si facessero che.per rinforzare Ceva ed Aiha, le &r- 
tificazMHii delle quali si vociferava , che il 4uca yi^^sse 
condurre la pei€ezione. Con,studiosa t^iik si, muo- 

* vevano, n^ per grossixx)i:pi, come.ae ,a bifiogui jo- 
temi dello. statQ ,« non ad operazioBi. ooutro ^anieri 
intendessero. Ma gia taatoelle si eri^o ingpos^ate 
nelle due mentovate citta e luoghi vicini wb^^wm- 
ponevano una giusta forma ^d' esercito. Gia r evano 
•ul punto di avventftrsi contro i Genovesi^ cl^ie anqora 
andavano spargendo , che niun altro tfiaet mw^ywo^^ 
non quello di rinfirescar le guernigioniyieri^ttarea 
modo militare ie. mura d' Alba e^di Geya. 

Erano veramente pervenute: in tenspo oppprtuno 
alia repubblica le notizie dei moyimenti delPiemoiite. 
'Gianbattista Cottaneo, nobile Genovese, che n^'eta 
)minore del conte Filippo^ suo augino , gO¥eriuiya :il 
•feudo delle Mallare, emolto.attentamenie inyigilaya 
>a quanto nelle vicine Langhei^ccadesse.o non^acca- 

idesse, HKreva avyei?tito il senato , e dimoatratogli il 
*sospetto concepulo pei yicinl antmassamenti dei^I^e- 

.;niontesi.> In altre parti ancoraec da quasi tutti i <$o- 
mandantl delle frontiere aveva.il senato rftceyuto av- 
yisi, che^qualche straordinario pensiero era.nato a' 
suoi danni nella mente di chi reggeva le sorti de' suoi 
belHcosi yicini;! Ma benet ponderate le xircostauze de' 
4lBnipi^ xnassime quella, che il duca npn si sarebbe 
deliberato di^suscitare un incendio nella parte df: Ita- 
lia yicina allai Francia senza Tassenso x)d 'almpiio ja 
connivenza del re Luigi, e che importaya >al"re-^ che 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. 1 67 I. 1 45 

1' Italia si conservasse quieta , ii senatQ non venne iit 
credenza, che nelle operazioni di Carlo Emanuele 
fosaero fini diversi da quelli. ch' egli per le fortifica- 
zioni jd'Alba e di Ceva andava.con ia fama pubbli- . 
cando. In questo penaierp tanto ntaggiormente si* 
confecoiava, qua&to che il duca'tutto intento agli 
eserci]^ che nobilitano i riposi delta pace , in tacce., 
in maneggi di cavalli , in edificazioni lli tempj e di 
palazci andava impiegaqdo il tempo. Il senato di 6e- 
nova, quantunqiie ftnmaestrat(9 dair esperienza , e 
molto penetrativo fosse, difBcilmente persvadeva % 
se medesi^io, che le feAe del Piemonte avessero cosi 

• pi^to a part(H*ire le iftiserie ed i piant^ della gueiTa. 
Si'vivevA adunquc. fra^i Genovesi, se non del tutto ¥ 
alia sicun^ almeno senza proVyedimenti tali che po- 

«tessero ostare alia tempesta gia vicina a farsi sentire. 

Genoifii era chiamata a r.ovina dai forestieri , tna 
nel tempo stessj un' altra rea macchinazione andava % 
ordinando contro dijei un suo cittadino sceleratis^ 
simo. 'RafFaela della Torre; discendente inde^no di* 
▼irtuo%> avolo^voleva condurre a perdjzione quella pa- 
tria^inciulasuafatniglia aveva sempre ottenuto gi^do 
e seggio onorato. Costui in eta di ventidue anni , ne- 
glette Torm^ de' suoi maggiori^ e sprezzati gli amore- 

,voli ricordi dei piii congiunti, tutti nobili Genovesi, 
in ogni piii infame« vizio profondando^, diedd con 
impeto giovenile nelle crapule, nelle disofiesta, nelle 
soperdiierie per modo che era divenuto lo scandAlo 
ed il tenure' di Genova. Dissipate nel •piii schifoso 
lezzo le proprie sostanze, ne piii "a Bio guardando, 
VI. r 10 



« 



# 



I 46 STORIA d' ITALIA. 

hh a uomini, nh a legge, n& a patria, ne ad onore^y 

incoraincio a far disegni sopra le sostaitice altrui, ag- 

giungendo ad una troppc^ llcenziosa liberta V abbomi- 

. nevole disegno di farsi capo di ladri e ladr<\ esso 

s|esso. Tutti colbro, che per libidini, per tavepne eper 

bische avevano dissipate le sostanze proprie e quelle 

^ d'altrfli, chi si trovava aggravate da debiti -e^^f^-pro- 

cessi', chi era* dannato pier false testimonianze e per 

omicidjy insomma ogni perdutof ogni profligatp uomo, 

erano grintimi famigliari e gli aAnicl.di Raffaele; e s^ 

'jfualcheduno migliore con lui s' addomestibava o ccf' 

* supi compagni , tosto tocco da quel soitio^ pestifero 

' diveniva uguslle a tutti e peg^ore di molti. Piii po- • 

^. tente e piii brutta corruttela di questa iion fu mai'in 

alcun luogo, n^ mai si tnanifestano, senqn quando 

^ % - Iddio manda Tira sua nelle infelici citta. . 

' Col seguito deir intame comitiva comn^ il la 

Torre moiti gravi.eccessi, arrivato iAsino ad imbrat^ 

tar le mani nel sangue civile; ayzi poi spinto dalFab- 

» l!)Qinine^ol talento, e credo, dalle infernali furie, ardi 

4 farsi Udrone di^mare nelle acqua^stesse del la f ua pa- 

tria, orarnsti spaventata dello averdatoiorigine ad iin 

tsinto mostro. Nella vicinanza delia sua natia sede, e 

si puo dire a vista d^l porto stesso di Genova, dove 

scorreva qual corsdro, anzi piuttosto qual pirata, rapi, 

una nave, che vers^ Livorno s'avyiava caricadi grossa 

somma di danaro di negbzianti Genovesi. Fu formato 

coll quel rigore, che conyeniva ad un si esecyrando 

fatto, il processo, e meiitre egli datla giustamente 

' sdegnata patriae esalando nella Provenza e nella Lin- 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. — 167I. l4^ 

guadoca, piii miserabile, ma ndn migliore si raTVol-' 
geiNi^ fu in Gfuova condannato &IIa forca con confis- 
cazione di beni , ed alia restituzione di quantcr colle 
rapaci e snaturate mani aveva tolto. 

A modo dei malandrini banditi, soliti tan to piii ad 
odiare le ps^triftloro, quanto piu elle hanno*ragione di 
castig^li, tavvolgendo fra la mente esecrandi pen- * 
sieri^ volto i p&ssi , pel Ffnale passando, f erso Tofino, • 

a.ciS di^poffto di fare ogni opera e.4i noi) cessare, se 
prinia<Ron A vendica^e, e qudlla* nobil sede, do v' era ^ «> 
IT nato e»iresciuto, a rovina ed a perdizione non man- * 
dasse. Sue cagioni prineipalmente il tiraVano a TorinQ. ^ 

Aveva egli, pbchi mesi innanzi che esul6 fosse , avuto * 
conversazione e co^tilltto amicizia in Genova con , * 
Carlo di Simiana, msurchese di Livorno'^ figliuolo; • 

come gia notammo, del njarchese di Pianezza, coll' * St * 
appoggio ed autorita del quale sperava d' insinuar^i e 
spianarsi la-strada a' suoi detestabili disegni. Aveva t 
inoltre^vuto sen tore, che la corte di Torino Tnacchi- 
nasse g«erra contro Genova, onde confidava di ve-' • ^ 

nirvi, skcome utile 5 cosi ancbra gradito. Vide Carlo •• 
cK Simiana, e irindettb con lui. Quantunque sc^rato 
fosse, molti lood^ aireva di piacer^ aftrui : nobil volto, " * 
spirito vivace, maniere graziose , ^loqaenza forle, 
spontanea,' persuasiva;. siftiile^al Fiesco per I'avv^ 
xienza e^iia grazia della,]ierspnav ma piii scelerato di 
Itii per essere ladro ed assiassinoV Qual peste sorse da 
s\ onoi;9ta falfiiglia ! PalesoT 1' animofsuo al Livorno< 
^ette intenriSherditSovvertir Genova, affermbdi voler 

'e :qpir»ippera sua e de' suoi aderenti la impresa, "* 



', 



t 



1 48 STORIA d' ITALIA. 

che il duca stava preparancio; at duca il presentasse, 
prego. Grandi appog^i^-fidati amici, nujnerose intelli- 
genze prometteva neir odiata patria, cio^ in Genova, 
che gi^ piu patria sua non era. 

Parve al marchese ua gi^an fatto ; pure anda^a fra 
se medesimo esitando, se il ributtasse 6 il secondasse. 

• Sollecitavalo da una parte la molta utilita, che ne 
pottfva ridondare al Picmonte, tenevato dalF alurail 
pensiero, che sempre^creduli ed eccessivi e Vani pro- 
mettitori sono i fuorliseiti. Onde esitasse non so « per- 

*che qual fosse la utilita o la non utilita, questo ben 
cf* ^rto era , ch' egli udiva un infame uomo, che da ladro 

* ed oniicida si voleva anche far traditore* Ribaldi di 
Simil sorte non si odono, od almeno si eacciano, 

# quando non si vogliono dare al boja, ch^ gP impicchi' 

# * Finalmente o che 1' aspetto dell' utile al itiotivo d' o- 
nore nel Simiaha prevalesse, o che temesse, che'altri ^ 
g se non era egli , il Genovese fellone al duca present 
tasse, egli medesimo al cospetio AA prilicipe Piemon^ 
^ « tese r introdusse. La posferita durera forse -fatica a 

• • credere e certamente stupirjl, che il palazzo4i Carlo 
EmanQele, che pure principe d'alti e g^qi^rosi spiriti 
* era, sia stato contaniinato per consensu suo dai passi 
di'un impictatof er furti ed omicidj. Raf&ello espos^ 
•^ JUsuoidisegni : quando I'drmi di SavQJa rtsuomissero 
suUa riviera, volere-e potere sovvertir Genova pe«^ 
mezz6 de'suoi £imici ed aderenti; odiato.ibi popoli -a 
sonnacchio^o per se medesimo essere ^uel governo ^. 
&cile la sorpresa\ averla a secondare' il popolo. I 
"^ nonvprrei'dirlovma pure il ifatto fu, die jion 



# 



LIBRO V!«JESIMOTTAt6. — lO^A 149 

tnente si iidirono con consenzienti orece^ie le prof- 
ferte delF impiccato , ma fu vefitil^^irabito militai*e 
di Savoja, e creato capitano di cdfeizze. If savfo<£larlo^ 
Emanuele U iii)it6 in qu«sto I' imprudente ed inKjuieto 
Carlo Emanuele I , che il Vacbero accolse. Tanto poco 
brutte pajono le operazioni di steak), quando appunto 
pill brutte sono, purclie utili siano o si credano ! * 

Restava a vedersi come e quando le e^ibizioni di 
RafTaeie dovesserp usarsi , ed in qual modo la guerra 
fosse per indirizzarsi. Il cfuca convoco a questo fine 
un consiglio. Chiamovvi quel ^Lavaldigi, cagione di 
tutti i mali^ il marcbese Villa, 1' auditor generale di 
guerra Blancardi cpn moiti altri personaggi dei primi 
SI di toga cbe di spada. Chiamovvi fra gli altri il veccbio 
marcbese di Pianezza, il piii anticp , come il piii illustre 
servitore della ^roM a quei tempi , il quale vec^ip 
e poco atante della persona se ne^vyreva in onor^iko 
riposo nel convento dei padri Agostiniani scaizi di 
PianezzsT, ch' eglFmedesimo aveva fondato. Grande 
era il stio-nome, grande la sincerita d'animo,grande : 
ja esperienza delle cose del mondo. Spesso il duca " 
con «sso lui nei casi piii di0ic^i e golosi si consigliava. 
Spesso 'ancora i pcincipi forestieri pei loro'^me^^ggi 
nel convento di San Paucrazio allettati dalla virtii 
deLPianezza accorrevano per aver lume nelle f^cende 
loro da quell' uomo, cui qufisi dracolo di IbMano ono- 
ravano. ^ 

Espostosi dal principe il soggetto della consnlta, il 
marcbese di Pianezza {^rese le parole dicendo : in- 
giusta, iniqua.essere la guerra centre i Genovesi; nen 



•> • 



»'. 



l5o If STOttl d' ITALIA. 

arere il senato, cioe Tautorita pubblica di Genova* 
fatto ofFesa alcuiu^'al duca; ipale" consigliar coloro, 

\he vo^ono tirarcAd ingiuria pubblica le impronte 
e contuete querele degli abitanti d^' confini |'«e a 
quelle retta si desse coll' armi , eterne aver a riusicire 
le guerre; tali litigi-toi negoziati, e se i negoziati non 
bastano, colle mediazioni doversi terminal^; gia la 
Francia av^re composle le differenze tra Briga e 
Triora, potere ancora facilmente pomporre quelle, 
che correvano fra Rezzo e Cenova ; chi ardira sost&- 
nere, che per una rapina di due .6 ire vadbhe ab- 
biano a sorgere nemicizie |)ubblich6 fra statp e stato, 
a profondersi tesori, ad ammazz^rsi'uomini a mi- 
gliaja? Aversi ancora a considerare, che in quel tdinpi 
tanto agevoli a burrasca^ la discordia tra Piemonte e 
Qetfova facilmente s' allargher JBbe icon grave, pre- 
giftdizio non sojamenie di loro, ma di tutta Italia; 
perciocche e Francia e Spagna a quel romore certa- 
mente con voglie nemiche frd di lo^ accorrd^ebbero, 
e nella guerra si mescolcKebbero ; saperlo il santo 

' padrs , che tenero delist pace d* Italia con paterfio 
amoi^ a noi venule confortandoci e prima ed era a 
posar gli animi e 1' armi, a non dar x)ccasione di nuove 
percosfie al corpo gia* tanto ififermo dell'infelice Ita- 

> li£r. M^poi, soggid'hse il Pianezza, quand'ancfae si 
volesse iril^Pendere una glierra Sngiusta e contraria* 

* ai^veri intet'd^si. oelld stato, avrassi ad usare ud assas-* 
smo, un ladro, un traditore? Qonviensi ad un duca 
di Savoja il congiui^gere i suoi consigli e le armi con 
un uomo , che non per alcun moti vo o gQlosia politioa y 






« 



UBAO VICESIMOTTAVO. •l6j.t. l5l 

ma per delitd vilissimi se ne va erraudo esule dalltf 
patria con pArtai^^in fronte scritta una sentenza, che 
coi pill infami e detestabili uomini raccomOna? Uir' 
pirata diventeraragentetlel nostro alto signore ? Che 

* puo costui in Genova senza beni , senza credito, senza 

* stAto?-Ghe puo in Genova, dove % abborrito da tutti 
i buoni , e o4iato anche dai tristi come piii tristo di 
lore, e per avergli, qual vile, nei maggiori pericoli 
fgggetidp abbandonati? Qual fondamento fare suUe 
sue promesse , cui egli esprime unicamente per am- 
bizione, per vendetta ; per disperazione ? Sarebbe un 
innestar senza pfo vergogna ad Jngiustizia , e fare , cl^ 
se si vince , con onore non si vinca. Abbiano adunque 
Iuo^9 cohforto, le voci^di Roma, gl'interessi dello 
state, i dettami della giustizia, 1' onore della corona; 
e poiche fra taifti rdmori ^i^ guerre pace godiama, ]a 
pace si fopienti, ne si soUeticIiino con imprudetite 
deliberazione contro di noi le armi di principi po- 
tentissimi, le qudi peravventarsi contno il Piemonte 
altro non aspettano che un primo segnale di dis- 
cordk. * * 

Le parole del venerando vec^cbio mossero ad opi- 
nione confornfe alia sua quasi tutti i consiglieri , e lo 
stesso marchese di Livorno, suo«figIkiolo, al quale 
dapprima, c&me si e detto^ ave^ la Torre aperti i 
suoi pensieri. Ma dissentfrono, e nel cOBtsigliar la 
guerra -e nel voler servirsi di Baffaello perseverarouo 
La valdigi. Villa, filancardi. Diversi niotivi ciascuno di 
loro muovev&noy il primo. quel 3U0 misembil sale^ e 
quel suo oscuro Pornasio^ il secondo la speraiiza di 



• 



1 5'/ ^. • STORIA D'lTALftl. 

•far faccende in Savona per Y intelligenT^e, ch^i av^a^ 
e con CIO di cagionare un gfan flanno^ Geneva , it 
terzo Fadulaziohe verso JLavaldigi, e la spei^anza di 
salire pel iiuo favore a piii alti gradi* La senlenza di 
costoro concordava con la volontii di Carto Emaouele * 
gia volta all'armi.'^Si prese pertanto rko^uzione 4i ' 
guerra, e mandossi un esercito con mal%£[>rtuna oltre 
I'Apennino. il marchese di Pianezza si ridusse di 
nuovo a' suoi riposi di San l^ancrazia^ il aaarcbese di 
Livorno, come giov^ne.e guerriero, offerissi pih>nto 
a concorrere col consiglio e con la mano ad ilna inoh 
presa , cne disappruo^ava. ' ^ 

Le in3idie e 1' armi si„ niettevano in ppera per coa- 
seguire il fine, a cui si teq^eva. Savona princt|Md- 
mente era la mira dei Piemonteni; (Jonne^e preti 
macchiuavano per daila , qjjando' le ^nii di Savoja si 
fosserofatte vedere in qualche|uogo vicino.lL Villa, 
invitato ddlla speranza daftigli dai congiuratori , acca- 
lorava le pratiche occulte , e gia ttna considerakile 
contaminazioixe vi aveva introdotto. II sussidio poi 
deir armi al seguente modo fu prSinato. RaccoHb un 
corpo di nove a diecitnila combattenti tra (isinti e ca- 
valK nel mnrchesato di Ceva, si stava cai capi aspet- 
tando il momento* propizio per appro$simtt^i a Sa- 
vona, il quale momento credeva^o ensev quello,in 
cui i tratlati segreti in qu^la citta fossero condoUi^ 
perfezione , e Raflfaello della Torte con qualche nervo 
di truppa ed un' accoUa di uomini di mal affare simiti 
a lui , dico simili , perche jpeggiori non potevano es* 
sere , avrebbe tenia to novita da un' altraparte confro 



LIBRO VIGEsAfOTTAVO^ — <- l67f,-<672. l5i 

Gcdftova. Si notavano nella mihssa Piemontefte special* 
mente i regfKmentf del|^ guait^e, di Savoja,Vli M&ti- 
ferrato^di Piemonte e di Nkza, gli archiougieri deffi& 
guardie del duca,4e genti d'arme, la coiii{^ma ge« 
Derail di ^oB Gabrkle di Savoja, zio del duca^con 
un aocompwnamento sufBci^nte ^i cavallena e di 

JrambardiiMi* a* « 

II grosso di queste genti, die pafte da Mondovi^ 

parte da Ceva ^parte da^ulazzano trano venute , si 
era cong^egaftt ai veojitpiaftro di giugno dBr\6j:k 
nel hiogp di Salicetto , affinch^ steSte apparecchiato 
a mtioverin^er Iklsgra dell'Altare verso Savona. £m 
stato preposlo al |U itii genXnib governo il conte Ca- 
tahmo Alfieri , uomo nato , si puo «Rre , e nutrilo fra 
rartni,% di cora^io e di sperieiup sijigol^re. Ne 
cio si afferma -indamd^ 4mpetdbcche gia insln dalia 
guerra di Gandia si ^|^ dinipstrato ^iH^rriero di squi- 
sito .valore/poi nelle guerre del Piemonte soccoise e 
difese Triao con lode d' ognuilo contrO V armt Spar- 
gnnole n^l i65!2 , e non poca parte ebl)e n^ racquisto 
della%iiedesima piazza, quando nel t658i Savojarc( 
andarona alia fazione di ricuperarla. Teneva*il te^ 
condo luogo, come comandante . della ca valient, if 
marjbhes^f^di Livomo, anch'egli compiuto soldato, 
ma cUe per qualcly emtilazidiie portava poco buona 
volont^ air Alfieri. Militavano nel medesimo campoi 
marchesi di San Giorgig e della Bx)cca, e i conti di 
JEHossasco e di Ma^liano , figljuoledeir Alfieri , col ser- 
^ente maggiore di battagli%Boiiardi, uonio a nissuno 
secondo nell' artfe teiTi|^ile della guerra. Dalla qualita 



4 54 •/ STOtti^ d'itaiA. 

f 

delle perst>ne facilmentlil si puo argomentsf^e qualhlo 
a duore^tesse al duc%U motq, che intenftkva difare, 
^*gia si rendeva certo, ffae nissiino avrebbe»potuto 
impedire^la loro venuta s^ul Genovesgto. 

Mentre i Piemontesi s' adunatano itf^ S|iliceUo , e 
stavano con 1^ a^}^lo iiftento a Savona ^dove crede- 
xano di trovarft i Genovesi impacatissimii^ Raffaelkx 
.dellaTorre, al quale il^ckiea^di Savoia per meEzo di 
LAvaldigi aYeva^soii;iipinis6mo qualcl|e soumia di de- 
uafo^*dopo di es$erai fei^ataj^ilcun (iSnpo alU Mal- 
lare per raccorre^anditi^ ladri e vagabondi piiittosto 
cb^e soldati, promettendoloro g^ali (ose^si eratraV 
ferito nella riviera difLtvantdfa^lChiavftri, citta di 
Rapallo^ poco pihidi venti miglia lontana da Geneva. 
Quiyi contj|iua^ ad aojunar biftanti,^.frall i quali 
s'accordo con alcjuni AercognAne stesio della Torre, 
cui saliitava co4 dolce n^e d^parenti,quantunque 
non.fossero, ma il somignavano in malvagi^a. ^cor- 
reva dbche col medesimo intento le vicine contrade 
del'^Parmigianofte del Piacentino, dove chi piii.spen- 
4eva il teg^po in ribalderie , il seguitava. DavaK :CQn 
costoro , come si era dato con GarlaEmanuelfi, gran. 
. *jaifti,di avere in Genova tra parenti, amici e aderenti 
considerabil seguito . coll' appoggio dei quaK cerCava 
di persuadere altrui , che gli^arebbe stato ageVole il 
wltar Genova a' suoi desiderj. La verita peco ^era, che 
doveano stimarsi piii parole qjhe'fatti; poiche sebbene 
alcuni congiurati v4 «cova^sero , che con lui s'inten- 
clevano , e iui vol^vano c^locare nflla tirannide , non 
orano peio ne per«iuinero n^ per.autqjrita tab, che 



• LI]^6 VIG5SIMOTTA.VO. iGt^. 1 55 

uoAi raglbnevole potesse promettersen^ un mG#i- 
mento 4' ipportapza. Aveva ^l fra gli altri guasto 
un certo Vicco , uomo df bassd Hgnag^o , ma aggira- 
tore al sommo , e che non mancava di aderlnze nelF 
insidiata cfittSl. Costui s\i aveva dato fe^e di assisterlo 
per suscitarvi il movimento.conforiB^tsuoi disegni. 

Ora si avvicina 1' effettuazione delH intendimento 
SI dei^Piemoniesi dbe dei congiuratifScelsero per«tale 
effetto n giornqpdi San (^ovanDi ^attista , protettoft^e 
sp^iale di G^dova , in txxi essendo i magistrati e il 
popolo intenti a ^steggiare , credeyhno poterte piii fa- 
cilmente faijiyi nascere scompfglio e tumulto. S' aecor- 
darpnOy cha altw^po stes& seguisse 'la sorpresa di 
SavOna per opera dei Piemontesi, ed^il sovveftimento 
dt Genota per lo iforzo del della Torre. Jf on dubita- 
vano, che i due .accidftlti ,. <|utfido^avessero avuto il 
successo, che s^ ne promote vano, Hvrebbero co9- 
dotto la repubblica all' uhimPruina; Con^iossiacbsa- 
che supponendo eziandio, che qualche cosa dopo il 
moto fosse rimasta intera in Geneva, e qu|ilch« lorza 
ali^oftemo o di soldati o di fortezze cosi neUa capitale'^ 
cpme nel resto del dominio, il terrore^e la conster- 
na^onedei {^opoli nel sentire la sede della 1repiibblic% 
sconvojta'^ Savona presa, un nemico ^potente n^lle 
viscere stesse ^ellc^ staio , fpssuna difesa apprestata 
conlro si ifnprovvisa tempesta, sarebb^ro stati tali 
che meglio antivedere la fine si sarebbe |5otuto chfe 
provvedere alla^ute. Mai insulto piii fatale fu tentato 
contro quieta potllQza. ^^ 

Fermati questi fondat^enti , i Piemontesi si niosserd> 






f56 ^ STORiA ditalA. ^* m 

da Calicetto ! conducendo il marchese della Roccaia 
vanguardia comppsta pffincipalment^ dal rQggimento 
delle guardie. (Ibrreva il giorno veqtiquattro di giufgno 
alie ore fentitre Italiane, qiiando partirono, tempo 
opportuno per viaggiare la ootte senza essei^e sentiti, 
e per arrivareMpra Savooa il gioi*i|o segiiente , come 
disegnavano. G4a eranagiunti alle Carcare per avviarsi 
air Altare, quantio ^uoc^se- cio, cHe' diremo^poco 
aj]f{)resso. • . • • • 

In questo mentre V emplb RafTade Qon' era sAto 
o^ioso /ma era sceso co' suoi malanc^rm? , che gi^ neil' 
aninio facevano^propriele ricchezze di Geneva , nella 
valle di Bisagno, prdnto a metterew fuoco, a sacco, 
a sangu^ quella qhta , dove aveva sortito i natali , ed 
a cui niun' altra ^ccusa poteva .daf e se non quella'di 
non aver voluto ^opportare le' suc^ s^eleratezze. Fero 
i'animo avea, fero di^gno. I congiur|ti di dentro 
ogvevano secoftdo il cflicerto dargli la poria di San 
Simone poco guardata , donde sperava , coperto dalle 
teneBne della notte^ imperciocch^ aveva destinato 
alia snaturata lazione quella di San (jriovanni, 3'iin- 
possessarsi deli altra piii importante delF Acquazzola. 
Qorrere iniprovvisamente la citta co' suyi masnadieri 
e sgherri, accendere una conserva di polvera, dare 
la liberta ai carcerati ,* si|cheggiai*e it tesoro di San 
uiorgio, poHre a rnba i principaii palazzi /chiamare a 
rfi^rte i piu ragguardevoli cittadini, niassime quelli, 
che delle sue ribalderie 1' avevano caStigalo; tatti erano 
i pensieri, tali le risoluzioni di quclisto^Genovese, che 
pill ne G«novese, ne gentiluomo, e neiAtneno uomo, 



• ^ * luUfitt) •VislsiMOTTAVO. — 1672. l57 

imibeiigi ctudele bestia doVeva stiiparsi. A man salva 
crJftevft aadare ; perciocche \^ npv^Ue, che aspcrtt^va 
da Savpnaoiel momepto stdlso delF orrenda mischia , 
a^[flmgendo terrore a t^rore, aviiA^berov facilit^to 
r infernal tgitativo. Se piii oltredelsacco edelferroe 
del fuocp/estende&e i %uoi pen|ierif^6 ipe a farsi ti- 
rayno delksua patria irttendesse , o a darla al ducadi 
Savoja, i^n ^llen cer^'/ma'certamente era»capace 
deir uncrfe delP altro . • ^ 

Ma er^ s^itlD la , dove si reggono le um^ne cose , 
che cosi iqplita citta , pre^oso ornamento d' Italia , 
non div^nisse preda di* assassinl. Lsrjfede eje com- 
pagnie dei scelerati sono sdfaipre^nfide e non dursAili: 
^in Dio i^lle , conservatore delTe innocenti cllta. Ora 
paFlereniip cii quel Vicco, cui la Torre aveva fatto 
partecipe della ^congiura. OiDstui ando pensando cio, 
che poteva guadagnare conservan^oja patria o per- 
dendola , e se fosse da ante^iorsi la sicurezza ten p4i- 
mio o il pericolo con'ruba. Vinse il piu salutifero 
pedsiero. 11 consyevqle Vicco ando a trovare^f due 
giomiavanti cheavesse I'indegna tranfii ad effettuarsi, 
ir senatore Gianbattista Cattaneo , e tutto V ordine 
della congiura gli svelo, ne Cattaneo fu lento nel 
riirelarlo al senate. I padri jtupirono , lAa non trepl- 
daroAo : ^i Geneva e di Savona furono $olleciti , per- 
che oltre alle rivelazioni del Vicoo , ei^o pervenute 
novelle, che i Piemontesi mossisi dalle stanze«di Sa- 
licetto verso qutst' ultima c\ttk s'iiu^^mminiivano. Fu 
tnaraiugliosa la prontezza <lel senate nel mandare 
verso SaVoi^ parte delle joldatescbe raccolte dal pre- 






1 58 STORIA D^ITAmiL. * %% 

sidio medesimo cji Genova, ordinando|^ G^rokuno 
Spinola govema^|^e^ di quella priQcipalisttnML cm^ 
deUa riviera di Ponente , fli rinforzare*4 pasiu del CovBh 
fini , e di sopraiv vedere con^somma diligenza a liitd i 
casi , che potrebbero sopravvenire. ^, 

II senato ckiftmo goitre il^ollefinlo dei pjrocural;^. 
camerali, ed il minor consiglio, dovei^ato raggu^g^ 
della vicinanza alio stato dei yldati Strfojat^ij e^degl' 
insulti, che»s' attendevano a momenti ai cofafiQi delte 
ville df ^isagno per Raffaele della Horn ^ fa subito 
con incredibile vigore ddfiberato , e con. qguale pron- 
tezza esgguito [''ari^jfl^ihento di tre vascelli dsf guerra, 
e la spedizione di tiiitte b'galee per a'ssistere alia ri-* 
viera -di Ponente. Si elessero Marco Doria e^Gianbat-* 
tista Gentue con titolo di commissarj xielU armi^^ e 
carico di battere le campagne n^lle Valli du Bisagno 
e Polcevera per .tener a freno i popoli , quando fosse 
iikessi qualche mal fomento contro la quiete pubblica^ 
e per opprimere qualunque n^oto , die vi si potesse 
suscitare. Fdroqo loro date a qu^st' yopo alcune baiide 
di soldati. Doria e Gentile esercitarono con lodevole 
vigilanza 1' ufficio , e quelle parti restarono sicure da 
qualunque sinistro tentativo. Riusci anche Doria di 
fare cattura di Pasquale d^Ua Torre di Ghiavari , com- 
plice delle congiur^ di RafFaello, uomo gia attempato, 
ma di manegi»io assai a proporzione^ del suo' basso 
nascin;iento, a capo, gia gran tempo, di facinorosi^ 
perduti upmini. Quanto^Raffaele, vedutosi scojjerto, 
preje una. subita fuga con poche persone, die gli 
serviroQO di scor^i nella incertezza delj^jB strade, e 



LIBp#*VlQctlM6TT\YO. — ^^1672. 169 

ritirosu in iii|a villa aperta del Piaeentino , dove brucio 

, molte s^ritture. che aveva po^tate seco, ^ in cui 

erana scritti Fgrdiqe della dbngiura , i nomi de' 6on- 

giniatiy e di coloro, ci^ parMper Vendetta, parte per 

mera peryersita de^nava a morte o ad esilio : feroci 

tavole di'proscriaie^^ erano quejile. Spadi anche un 

di (^lorb, che I'^VeVano accompagnato , per 1^ strada 

diKapa|}o al mare, per<^e imbarcato^i quivi passasse 

nellariviiBte diJPonente per portar ie notizie di quajato 

gli era fkcd^ShUo, a'jsuoi corrispondenti in^quella 

parte; ma queslKpassandcyHriHno alia fokezza di ^ado^ 

veone scopeito^ arrestato e condoUo a Genova/dove 

rivelo quaaU> sapeva di tanti^'macchinairieiiti , (Riide 

^ 5^uie mcogiftzione Si molte ^Itre .pattrcolarita 

della eoBgiura. L infame^della Torre se ne torno po- 

^cia profugo a Torino^ -^^^ 

II senate decreta, che a Vicco , per avere svelata 

la trama e salvata la patria. dalla rabbia d' un cittadiho 

Omicida e parricida^ fosse pagata ogni anpo dal pub- 

hlico erario una pensione considerabile ; poL, che y 

parent! della Torr^ fossero tutti esclusi dai collegi a 

da qualynque altra carica pubblica!; finalmente, che 

gF inqunitori. di stato ricercassero della congiura , ed 

a Bafl^ello facessero il processo. Confennarono la 

septenza di morte e di confisca gia contra di lui Y anno 

precedente pronunciata , dannarocio i fi^uoli a bando 

perpetuo, posergli^una taglia addosso di veytimila- 

scudi a chi il desse o vivo o morto ; fec^ro. impic- 

care n^lla. piazza vicina al pubblico palazzo il ca- 

dayere di Pasquale della Torre, che consapevole e 



l6o ^ ASTORIA. d'iTALIA. • * 

complice era morto'tiaHe careen , pubbltcati al fisco 
i suoi b«pi e demoliti gU stabili.' Voile oltre a cio il 
senato, che fosse alzatoja Ghiaur^ up rauPo*con la 
seguente inscriziofte latttaa , clfis noi voltiamo in ita- 
liano. \ • 

(c RafTaela della Torre , figliuplor di Vincenao^ mal- 
«xagio. omicida, coinpagno di ladrom, pirata nel 
ft mare patrio, Aiacchinatore dell' eccidio deUa repub- 
« blic^ , piu reo cbe «ion fur gravi Ji suppliij; dannato 
ft due yoke aUe forche, qUesta moamfi^ntojil^er i^na- 
ft luscoDsulto«*ad etema sda ignomipia eretlo:via, 
ft uomp detestabile. LVnno MDCLXXIII. » 

E^er dire cio , xih^ poi RafFaek facasse , e qual 
vita e ^ual morte,' racconle'ro, ch^ tomato a Torino 
fu ricompensato , come si tjcompemaito i trs^ori, 
massime quelli, i cui tradimenti sqrtiscono infeliQe 
fine, vogHo dire , che gli furono dnti danari , ; rifiutati 
gli 0HK>ri. Gli venne stanziat^ una pei|sione vit^izia, 
ma inibitogli T accesso-alla coile. N^ per fortuAa ,,ne 
^er venyira il «ua perverso auimq oambiava. La rabbia 
il rode\i} contro^Vicco, fatale inteppo al|a sua ven- 
detta e fortuna : penso strano|Eodo di vehdi^afsene, 
d' invenzioni diabolidie era ferace. Studio di pna 
cassptta artifiziosst, riempilladi pistole adatte in modo 
che per ordigno tosto si scaric^ano contrd chi apei^ta 
r ayesse « V iiidirizzor a Vicco , gik si sallegfava di sen- 
tirlo presto mortb. Vicco sospolto di qualche mala 
insidia^ U cassetta i;on cauteia aperse in presenza di 
molte persone , una fu uceisa, Vicco ferito. Ii^iuieto , 
avaro', furibondo, yolle Raffaello far pigliare dal duca 






uno via?smoTTAvo. — 1672. 161 

le navi Genovejsi ^ che venivanoocariche dalle Indie , 
ma Carlo non gU diede ascolto. Matto , s' iacapriccio 
dell' astrologia giudiziaria , cerco la pietra filosofale , 
e non la trovo ; studio la magia , nan so se la nera o 
la bianca , ma forsie tutte due; diedesi al diaYolo, 
giacche gli uomtni piii nol volevano. Ingolfatosi in 
tante chimere , che pasce vano Y animo suo , ma ndl 
contentayajao , finalmente un Ungaro furbo il trap- 
polo. 6li a^dh dicendo , vdergli mostrare ora questo 
secreto , ora quell' altro , ora questo mistero , ora ^eir 
altro; intauito gli cayava ,denara Quando gliel' ebbe 
cavato tutto ^ s^ n' apdo. La Torre rimase scomato 
ma sempr0 il desiderio di vendicarsi col sobbisso della 
patria il trav9gliaya , e i sonni gli turbava. Penso ad 
un' altra cassa , ma piii grande , vera macchina infer- 
nal^. Misevi dei^tro molti terribili artifizj di fuoco , ed 
a G^novii mandoUa : sperava , che a un dato momento 
scoppifindo subitamente, sconvolgerebbe e mande- 
rebbe sottosopra o I'edifizio della dogana, o la sala 
del senato. Ma visitato qudl nuovo quasi cavallo Tro- 
jano all$i frontiera dai diligenti doganieri per vedere 
che ci fosse dentro, fu scoperta I'insidia, del che 
La Torre resto dolentissimo ; il suono della rovina di 
Genova gli avrebbe dato la vita. Stette alcun tempo 
nella valle d' Aosta , compratovi un podere ; poi , morto 
Carlo Emanuele nel 1676 , la duchessa Giovanna reg- 
gente dello stato gli diede in contante quanto valesse 
la pensione^ e vifi il caccio. Ando vagando pel mondo 
venne in: Francia , diede suoi scartafacci pieni di pro- 
getti ai nlinistri, ma non fu dato ascolto alle sue 

VI. II 



iGa STORI4 O'lTALfA. 

chimere. Si condusse ai soldi del re, milito in Alsa^la 
con coraggio , di cui non mancava ; poi ristucco di 
Francia peregrino in Olanda, vi ebbe la naturalita, 
vi spese gran denaro, dico di quel del Piemonte, che 
gli frutlava infamia. II rovello dell' ambizione , paren- 
dogli di non aver grado conveniente in Olanda, lo 
spinse di nuovo in Francia mezzo disperato. Finak 
mente il suo mal genio il tiro a Yenezia. Ingordo, 
spensierato, dissoluto, vi teneva scaiidalosa vita; fine 
condegno a tanti misfatti 1' aspettava : fu ucciso 
nel 1 68 1, mentre correva mascherato le contrade di 
Yenezia in compagnia di laide Taidi. Roma ebbe un 
solo Catilina, Yenezia nissuno, Genova almeno sei: 
il Yachero ed il La Torre pessimi di tutti. 

Mentre in Genova si trovavano gli spiriti grande- 
mente soUevati per la congiura dell& Torre, e che 
i governatori speravano , che la scoperta della mede- 
sima avrebbe trattenuto i Pieinontesi dal moto, che 
avevano ordinato contro Savona , questi marciavano 
verso r Altare, e sarebbervi giunti prima dei venti- 
cinque di giugno per assalir poscia Savona, se una 
subita malattia del conte Catalano Alfieri non avesse 
alquanto rallentati i loro passi. Fu egli sorpreso in 
Salicetto da grandi dolori del corpo, per cui tanti 
era Tanibascia, che sentiva, che si storceva e con- 
torceva in letto con molti sospiri e grida miserabilil 
Mando pel conte di Magliano ordine al marchese di 
Livorno, perch^ governasse le cose, ed alia concer- 
tata impresa andasse. U Livorno tenne coi primi capi 
consiglio su quan to fosse a farsi : cio ritardo il moto; 



LIBRO VIGESIMOTTAYO. -— 167!!. 1 65. 

ad ogti modo statuirono, che si continuasse. Gia 
erano pervenuti nel giorno venticinque alle Garcare 
sul Gervio , dove fecero alto due ore per riposarsi , 
poi presero strada alia volta dell' Altare. Gik si erano 
avvicinati a due miglia della terra, quaudo un frate 
delle Carcare, che pareva delle scuole pie, venne a 
trovare il Livomo : essere venuta a luce la congiura- 
zione, gli disse, fuggito la Torre, i complici carce-. 
rati o profughi, turbati tutti i consigli, ad altri fon- 
damenti doversi pensare. 

Udito Tavviso del frate, Livomo aduno di nuovo. 
il consiglio. Fu deliberato, che non si rallentasse, 
anzi che si accelerasse la mossa del campo verso 
F Altare, dove arrivo veramente la sera dei venticin- 
que. Speravano nelle corruttele di Savona e nello spa- 
vento prodotto dalla congiura della Torre, che dal 
volgo molto oltre il vero si esagerava. Lo spayento vi 
cresceva per Tapprossimarsi delle armi di Savoja, una 
confusione molto mista gia vi si sentiva; le grida delle 
donne, dei fanciulli e dell'altra gente imbelle muo- 
vevano anche coloro, a cui Tanimo era piii fermo. 
Chi diceva, che i Piemontesi gia arrivavano; altri, 
che gia erano arrivati; questi, che gia erano alle 
porte; quelli, che gli aveva veduti gia scalare le 
mura. Se non erano la prudenza e costanza del. go- 
vematore Spinola, vi sarebbe nato qualche pericoloso 
garhuglio , e la citt^ si perdeva. 

Nel mentre che da tanta trepidazione era assalita 
Savona, il prete Piemontese, che vi aveva ordita la 
congiura per darla al duca, e che a tjuesto fine cor- 



|G4 STORIA d' ITALIA. 

rispondeva per secreto carteggio, prima collVAlfieri, 
poi cot Liyorno, sospettando a qualdie indizio di 
essere scoperto , perche veramente lo Spinola aveva 
intrapreso' qualche sue lettere indirizzate al Livorno, 
si era a tutta fretta salfato con la fuga in occasiooe 
dbe si era dato all' armi per la prossimiti^ dei Pie- 
montesi alVAltare : pon lui fuggirono anche altri 
congiurati, passando senia essere conosciuto Gra i sol- 
dati di Genova, penrenne al Livoi^no^ ed ogsi cosa 
essere in palese ed in rotta gli annunzio. Cio hondi- 
meno , fatta una consul ta fra i capi ^ ed avtibo da loro 
parere, che pure verso Savona marciare si dovesse 
per la speranza , che pel terrore del popoloc il iJebcJe 
provvedimento deirarmi vi si potesse far fiutto, II 
condottiero supremo a quella voha avvio le genti. 

intanto lo Spinola , che soldato destro e valoroso 
era, nori era stato in cosi grave pericolo a iiadare. 
Ddto ordine a quanto fosse necessarioper la sicurezza 
propria della citta, mando ai pass! -dei monti^ parti- 
colarmente all' incontro d' Altare nelle sommita di 
Cadibona , Ferrera ed altri luoghi circonvicini , 4]uanti 
soldati Ck>rsi, uomini valorosissimi^ ^ quaiiti soldati 
di fortuna in cosi subito caso pot^ raccorre, e see- 
mare senza pericolo dal presidio deUa importante 
terra alia sua fede commessa. Non cosi tosto furono 
giunti ai luoghi destinati , che si diedero ad afiwtifi- 
carsi in quel miglior modo , che la brevita del tempo 
loro consentiva. Obbedivano a Gerolamo fiaeigalupo 
e ad Alfonso Gentile Gorso. Erano nel medesimo 
tempo arrivate nel porto di Savona le galee della re- 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. — 1 67 2. l65 

pubblica cob nuovi rinforzi e c(A sergente maggiare di 
battaglia Pietro Paolo Restori , anch' esso di nazione 
Gorsa , condottosi nei gioroi precedenli agli stipend] 
di Genova dopo d'ayere per un lungo corso d'anni 
ser vito con molta sua riputazione Y an^zia oelle guerre 
di Candia, JSh maggior coraggio, n^ maggior pru- 
denza si poteva ael Restori desiderare : 1' esito delle 
cose dimpstrera quale e quanto ^gli fosse. Questi ca- 
pitaui e questi soldati aspettavano sugli* erti monti i 
soldati di Savoja, i quali, quantunque niuna dichia- 
razione di guerra seguita fosse, nemici erano e da 
nemjci procedevaiK). 

Sull'aprirsi delFalba ai veiatisei i Piemontesi s'af- 
facoiarono alia vista di Cadibona e di Ferrera; ma 
conosciujbo, obe lu stava in suU^avviso, e che rarmt 
deUa repubblica si trovavano pronte aila difesa, si 
rimsLsm^Qf uh vennero ad ^Icun att^ , dove si sogliono 
menar le mani^ Qui finirono i tentativi dei Piemon- 
tesi da questa parte ; percbe noti che Livorno s' atten- 
tasse di sforzaiic i passi, ritrasse i suoi con molta 
^^etla iu Salicetto ed a Calizzano, t^ra di Spagna. 

Dm ^moti¥i di eosi subita ritirata diverse voci si 
sparsaro nel pubbjico : dxe Le Iruppe di Savoja man^- 
cas6en> di viveri , che le piogge smisurate cadute a 
^0^ di impedissero dl libero (transito delle prowisioni 
« 4ilei rinforzi, cfae Livorno da se, stante la malattia 
del Gatalano , non s' arrischiasse ad internarsi nel 
cuore deUo stato Genovese. Ma la vera cagione fu , 
che il duca essendo stato avvisato per un corriero 
spedito da Genova alle ore dioiassette del giorno ven- 



1 66 STORIA n' ITALIA. 

I 

titri di giugno , che vi si era &tta una consulta am 
r esclusione dei parenti di Rafiaello della Torre , e si 
Tociferava tradimento, aveva risoluto di non piii ten- 
tare r impresa di Savoiia , ma di restringere V armi a 
qualche utile fazione in altre parti della riviera, e 
massimamente ad assicurarsi i passi dei sali per la via 
d' Oneglia , cosa , che, come narrammo, era stata la pri- 
ma origine delle mosse. Mando adunque per corriero 
espresso ordine al Catalano di levar la mano da Sa<- 
vona, e d'impadronirsi della Pieve, terra poco distante 
da Pomasio. Ne contento ad avergli spedito un prime 
corriero, gliene mando un secondo, portatore di una 
sua lettera tutta di suo pugno dd tenore seguente : 
« Se non foste apcora giunti in Savona, e lion aveste 
a nuove buone del principio del negozio, come molto 
a dabito dalle niiove, che vedrete da un'altra lettera, 
« che per altra via vi ho mandata, non mahcherete 
<c d' incamminarvi per la strada della Pieve, dove fa- 
ce rete Y occupazione di detta terra potei^dolo , e 1' is- 
« tesso farete, se foste di gia giunti in Savona, come 
<c credo , senza perder tempo ad altre co^e. » Certa- 
mente il duca aveva fatto fondamento suUe congiure 
di Genova e di Savona, ma pero, siecome non gli 
era nascosto quanto siano fallaci simili speranze, si 
era provveduto d'armi di maniera , che eziandio senza 
Tappoggio dei traditori la guerra esercitare si po- 
tesse. 

Secondo la volonta del duca, Alfieri, awegnache 
raal disposto ancora della persona fosse, si era non- 
dimeno condotto al campo, e preso con se il Livorno^ 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. 1672. 167 

si erano trasferiti colle genti ad Ormea per dare ad- 
dosso , da quel luogo partendo , alia Pieve , in cui 
per essersi vissuto sino a quei di dai Genovesi senza 
sospetto, non vi era preparazione sufBciente per re- 
sistere e contrastare alia loro forza. Ma per venire a 
capo del disegno, restava necessarjo 4' impossessarsi 
del pbnte di Nava , passo importante ^ assai difBcile 
a superarsi , quando secondo la convenienza del luogo 
bastantemente munito fosse. Ma non si trovava'in 
miglior grado di guernizione che la Pieve. Per la qual 
cosa i Piemontesi, datovi dentro, dopo leggieri conflitto 
se ne impadronirono. I popoli della Pieve e le milizie 
del paese rette dal colonnello Groce e dal sergente 
niaggiore Quartara, soprappresi d^ un cosi subito 
nembo d' armi, ne trovandosi a gran pezza provveduti 
per opporsi con frutto, stimarono miglior partito il 
cedere, che 1' avventurarsi a combattimento troppo 
ineguale, ancorche sul primo comparire degli avvex- 
sar] fosser'o con prestezza accorsi ai passi delle mon- 
tagne. Gaspare Maria Gentile, nobile Genovese, 
giudice del luogo , mando incontro al Catalano il 
canonico Benso e due cappuccini, offerendogli rin- 
freschi e viveri pei soldati , quando fossero di pas- 
saggio per quelle montagne, e ti*attandolo come 
ministro di un principe amico. Ma il generate del 
duca da nemico rispose, volere le chiavi del luogo, 
entrarvi con tutti i suoi; se in qualunque modo re- 
sistesseroy manderebbe i popoli al ferro, la terra al 
sacco ; si ricordassero , ammoni , della catastrofe del 
1626. Dove non vi era mezzo di resistenza, era forza 



]68 STORIA d' ITALIA. 

piegare la volonta : Pieve abbandonata inciino subito 
il collo al viticitore. Entrarono i diicali , e con tutti 
gli usi ed ordi&i della guerra poserb le stanze nella 
conquistata terra. 

Pill sovente hel limitare delle guerre le parole pre- 
cedono i fatti,^e qtialche volta dncora i fatti le parole; 
qUella niossa (lal doca di Savoja alia repubblica di 
Genova fu dell' ultima spezie. Pure e' bisogtiava pur 
parlare , affinche il moto pan^sse , se non giustificato , 
^Imeno colorato. Alfieri pubblico un manifesto per 
dire al mondo, che non per altro aveva posto alcnn 
soldato d' infanteria nella Pieve che per attetidere k\h 
difesa degli uomini di Cenovia molestati da quei di 
Rezzo; che non era mente di Sua Altezza reale di 
appropriarsi o ritenersi 1' altrui , ma solo difendere 
con la forza cio, cha con la forza si era preteso di 
usurparle; che percio non farebbe nissuna mutaifcione 
nel governo politico di quel luogo, che anzi a nome 
del duc^ dichiarava e prometteva di ritirare i soldati 
introdotti, sempre che dalla repubblica si foss6 ri- 
messo il giudizio delle ragioni di quei di Resszo al 
coUegio dei dottori di Bologna , come gia si era pra- 
ticato nel 1 696 per simili differenze di confini. Ordi- 
nava finalmente con minaccia di pene tadilitari ai sin- 
daci della Pieve, di mandare fra otto giorni ai loro 
signori di Genova la presente sua dicfaiarazione. 

Quando successe Y aggressione di Savoja , era doge 
della repubblica Alessandro Grimaldi, uomo versato 
in tutti i magistrati della patria, neU' ambasceria di 
Spagna e nel governo delle armi marittime. In con- 



LIBRO VIGESItfOTTAYO. — 1672. 169 

lingenza cosi grare si dimostro nelle deliberaiidni 
vigoroso, tiegli annutizj sollecito^ nelle eseduzioni 
vigilante, nei ^ricoli inyitto. Aduno spesso il senato, 
spesso il colk^io camerale, spesso il consiglio. Presr 
savaoo le cbse di guerra nelle <;oiisulte della repub- 
blica ^ che aveya la mente molto indiq>osta a (oedere 
air iniimcot. Molte provvisioni assai matnramente fii- 
rono £aiUe. S' inviarono neUa riviera di Ponente due 
seDatori ill cjualitlk di cdminitearj generali deirarmi, 
e furono Gianbattista Centurione e Gianluca Diirazzo, 
ainbi chiari cittadim , ambi meriteyoli dell' amore 
della patriii per ingegno, per esperienza^ ^er virtu. 

Agli uomini egregi si accoppiarono le cose confe- 
centi. Spacciaronsi orcUni al govematore del regno di 
Corsica per levair gente, avvisaronsi tutti i magistrati 
e i comaiidanti deli' airmi nelle due riviere di quatito 
succedeva^ mandaronsi in quella di Poilente molti 
rinforzi di soldatesche Gprse^ s' ingross^ la guerni- 
gione nella €itta e fortezza di Savona ed in icpielia di 
Vado, non luacora condottaa perfezione; oitre i sol- 
dati d'ordinanza ^ ordinarono in tutta la riviera le 
miUzie paesane, atte a combattere dai luoghi forti 
delle liionti^ne , a portare gli awisi , a travagliare il 
nemico con assalti improvvisi , #1 intraprendergii le 
vettovaglie^ ad (^rimere i ^ioooli "corpi viaggianti 
alia sfikila. Ed acciocch^ <con maggiore segretezssa , 
vigore ed unita di consigfio si potessero condurre le 
operazioni della ^erra, fii dal gran consigHo preso 
<lecreto , 'che tutta 1' autorita deik repubbtica fosse 
ristretta pel governo deirarmi in una giunta suprema, 



170 STORIA D ITALIA. 

<x>mposta di quatlro senatori e quattro nobili con la 
presenza del doge , am piena baBa sopra le cose delta 
goerra. Dimostrossi yeramente mirabile in quella 
grave contingeiiza V onione della nobilta per la difesa 
comune. Non solo con la nniformita degli animi, 
ma ancora con effetd rileyanti soccorsero alia patria 
a cosi strano modo improYvisainente assalita. In pochi 
giomi si numerarono quasi due milioni di offerte vo- 
lontarie, £aitte al pubblico da molti nobili cittadini. 
Chi offeriva contanti, chi crediti sui mdnti, chi doni 
di gran valore in gioje ed altfe suppellettili preziose. 
Non e da tacersi il generoso zelo cU due nobili vedove 
Anna e Veronica Spinola , avendo la prima donati ed 
immediatamente pagati duemila scudi d'oro , e Taltra 
fatto fare a proprie spese una leva di sbldati in ser- 
vizio dello stato. Il principe Andrea Doria con lo 
stimolo del proprio affetto e con I'.esempio de' suoi 
maggiori, abboccatosi col doge, esibi per ajutare, le 
cose della patria, persona, avere e soldati. Anzi es- 
sendo certificato, che Rafikello della Torre andava 
trascorrendo con alcuna squadra di malcontenti i 
confini di Parma, spedi incontanente ordine agli 
ufficiali delle terre , che cola possedeva , affinche fat- 
tolo cadere nella rdtlBj lo pigliassero; il che per poco 
stette , che non venisse loro fatto. N^ minore affezione 
verso la patria mostrarono i cittadini del secondo or- 
dine che i nobili, offerendo parimente e donativi di 
denaro e munizioni da guerra in quantita rile van ti. 
Ardeva Genova di fuoco pa trio, felici sorti se ne 
auguravano alia repubblica. 



UBfib ViCEStttOTTAVO. — 1 67 2. I7I 

Ricevette anche il senate un lontano conforto. La 
repubblica di Lucca non cost tosto udi le liovelle 
deir invasione di Savoja contro Genbva, mando con 
espresso corriero ofFerendosi in quanto potesse per 
soccorrere al bisogno presente, massime con leve di 
soldatesche e somministrazioni di denard. Fu risposto 
gratamente dal senato, che si sarebbe valso delta 
graziosa volonta dei Lucchesi , qilando i tempi venis- 
sero tali , che Geneva ne abbisognasse. 

I Genovesi si querelarono appresso tutte le potenze 
degli atti violenti del duca , e che prima avesse usato 
la guerra che parlatone. Si lamentarono altresi, che 
oltre Tarmi sop^rchievolmente adoperate, avesse {)er 
soprappiii dato fomento ai crudi nemici della pace 
interna, ed ai detestabili congiuratori contro la 
potesta sovrana, infame gente, che voleva^ pritoia 
desolar Geneva col sangue e coi latrocinj , poscia 
sobbissarla con la tirannide. Dalla sceleratezza mas- 
simamente degli uemini prezzolati dal duca argo* 
mentavano all' ingiustizia del sue precedere. Gian- 
battista della Revere, poi Maria Salvage, persero le 
presenti querele a Parigi , Gianbattista Pallavicine a 
Madrid , Maria Balbi a Milane. Stefano Pallavicino 
^condottosi ai piedi del sommo pontefice Clemente X 
gU espose con fervente discorse le ingiurie fatte alk 
repubblica dal duca Carlo Emanuele. Ma eccettuato 
Clemente , che interpose le sue pateme ammonizioni , 
nissun principe piegessi alle querimohie del senate , 
anzi appai*ve manifestamente, che meglip inclinavano 
a favere del sovrano Piemontese che della repubblica. 



1J% STOUIA D ITALIA. 

I commissarj Centurione e Ourazsso, come prima 
furono giunti ia Savona , oomposero per cbmanda- 
meato del senato, una scrittura ki risposta al mani- 
festo deir Alfieri , e la mandarono ai sii^daoi della 
Pieve, perch^ al medesimo la ccmsegnassero; poi k 
mandata ftiori coUe stampe ; essere, rammentayaiio, 
liiucito iniprovviso e lontano da ogni credei^ il moto 
del duca, vak mollo maggior ammirazione aiicora 
dare i motivi ael manifesto ailegati ; essere riuscito 
assai nuovo , che per dispareri di confini fra gli 
ttomini dei due stati si fosse voluto procedere cod 
atti violenti e vie di fatto contro la repubblica, anche 
priina di farla comparire contumace al dovere con 
una qualche preoedente interpellazione, quando mas- 
sime era uoto, e nan si poteya ignorare, ch'ella 
aveva dato , molti mesi innanzi ^ bpportuiio assenso, 
perche tutte le contro versie vertenti per <>ceasione 
dei confini ibssero rimesse aeU'arbitriodel ir« Gratia-- 
nissimo; che <(uanto essa aveva offerto avanti, tanto 
ofSmva adesso, essendo sempre pronta ad (dibUgareL. 
il suo vassallo a rimettersi in giudice confidente ed 
all' esecuzione del giiidicato, n^ essendo mai $tat» 
mente di lei di proteggere coo la sua autorita e molta 
meno con la forza quelle pretensioni dei sudditi ^ 
vassalli, cbe potessero essere riconosdutd per in* 
giuste, ma semplioemeate per quelf oUbligo, che 
compete ad ogni principe , di prendergU in ttitela per 
difendergli dairingiustiziae dall'oppressioQe. Asseri-' 
vano :in ukimo i due commissarj , che trovandosi la 
repubblica offesa nell' onoi^e, voleva e intendeva , cbe 



LIBRO VrOBSmOTTAVO. — 1672. 173 

iimanzi che si vedesse da qual parte fosse la ragione, 
^ eseguisse la reinlegraziofie delle cose nello stato 
pristino. "* 

Le asprezze gia nate da lungo tempo tra TAlfieri 

ed il LiT«mo erano andate in questo mentre ere*- 

scende : le enulazioai fra di lore pregiudicaTano ai 

success! delle ariiii. Le quali cose venute a cognizione 

del dttca, mando al campo don (rabriele, accioochi 

fecesse opera di ricondliare i due generali , e rinte* 

grasse fra i soklati la discipliiia molto traseorsa , mal- 

grado della severitli usata dal Catalano contra coloro, 

che o Tagando per le oampagne o ndle terre stesse 

dimorando, mettevano in pi*eda le sostanze dei pacifiei 

cittadini. inoltre don Gabriele condusse con' se alcun 

nervo di nuova soldatesca, ed an manifesto port5 

disteso con non poca arte per confutare ^ello , die 

dai commissar) di Geneva era stato dato in luce. 

Quel di don Gabriele fu mandato fuora da Catalano 

AlEeri. Ando discont^ndo , che 1' ingresso dell* armi 

del duca nel luogo della Pieve non doveva cagionare 

alcuna marariglia, stantech^ Sua Aitezza altro non 

pretendeva che la mera difesa dei propij suddid e 

delle proporie ragioni contro le violenze irragioneToli 

ed ingiuriose commesse dai sudditi e vassalli della 

serenissima repubblica ; che non si potcva negarc , 

che in tutte le differenze con essa il duca non si fosse 

mostrato inclinatissimo ad ogni accettabile aggiusta*- 

mento, preferendo in ordine a questo i mezzi piii 

dolci; che cosi aveva proceduto nelle controversie 

tra Pigna e Castelfranco , negli insulti fatti da quei 



174 SIORIA 0'lTALIA« 

della Pieve agU iKMnini di Yiozenna, nel prosegoi- 
mento delle sue ragioiii sopni ana parte di Pbmasio 
ed aitri faioghi Ticini; che se arease inGontrata pari 
condiscendenza ndla repohMica per gli altri £aitti» 
spedalmente pel litigio tra CenoTa e Rezao, anche 
questi con ugiiale dcJoezza, e sana seandali si sareb- 
bero acGonciati; che V abate di Serrient per parte 
del re di Francia aTeva solamente mandato di com- 
porfe le differenze insorte fira bi Briga e Triora e non 
altre; cbe cio non ostante il doca aveva offerto per 
mezzo dd presidente Conteri di rimettere nd man- 
datario di Franda ancbe le controrersie tra Cenoya e 
Rezzo, ma cfae il Saidi j commissario della repubblica, 
non aveva voluto prestarvi Fassenso; cbe certamente 
la repubblica era informata delle ingiurie e soprusi 
£aitti dagli uomini di Rezzo a quei di Cenova, stante 
che il Glavesana, signore di detta terra, si era trasfe- 
rilo in Genova, dove non si poteva dubitare, ehe non 
avesse. dato tutte le notizie appartenenti ad una cosa 
di tanta importanza y e prese le regole della sua con* 
dotta; dal che si deduceva manifestamente, che 
quanto faceva, e cosi i suoi sudditi di Rezzo, faceva 
e fecevano, se non per ordine espresso, almeno per 
connivenza tacita della repubblica; che intanto Sua 
Altezza aveva proposto il collegio dei dottori di 
Bologna > in quanto aveva creduto, che fosse libero 
da tutte le eccezioni , e dovesse essere accettato con 
ogni soddisfazione; che ^a ragionevole la proposi- 
zione di riporre in primo luogo le cose ne' pristini 
termini , ma che bisognava , che la giustizia fosse 



LIBBO VIGESIMOTTAVO. — 1671I. fjB 

Uguale, cio^ tanto per Tuna che per Taltra parte, e 
che pero convenivasi, che quella, che era stata la 
prima ad innovareF con le'violenze, siccome non^si 
poteva negare, che fatto avessero i Rezzaschi, cer- 
tamente oon'saputa della repubblica, fosse anche la 
prima a ripararle ; che percio quando quest' effetto 
fosse seguito ( si trattava principalmente di restitu- 
done di bestie) 1' eseguirebbono anche i ducali , non 
volendo il duca lasciarsi vincere da nissuno n^ per 
giustizia, ne per civilta. 

La presente' guerra era pel duca di Savoja non solo 

d' invasione , ma ancora di conquista , proponendosi 

di £ire suoi alcuni territorj di Genova. Per la qual 

cosa gli .stava molto a cuore, e poneva molta* cura, 

che i popoli pei* gf insulti e le rapine delle soldatesche 

non si scontentassero, ed il suo dominio non abbor- 

rissero* Laonde oltre le dolci parole contenute nel 

manifesto, aveva premurosamente comandato al Ca- 

talano ed agli altri capi dell' armi , che con attento 

studio raffrenassero i soldati. Ma parte pel furore , 

che sempre porta seco la guerra, parte per correre 

le paghe lentamente, parte finalmente per avere i 

soldati con insolita licenza rapito e consumato quanto 

di bene fosse nella Pieve, e ne'luoghi circonvicini , 

sperimentando grande strettezza di vettovaglie, tra- 

scorrevano rabbiosamente per le campagne con daimo 

infinito dei miseri abitatori. Per ovviare ad un disor- 

dine tanto contrario all'umanita e pregiudiziale ai 

proprj ihteressi, il duca aveva mandato con don 6a- 

briele grossa somma di danaro, per cui s' incomincia- 



176 STORIA d' ITALIA. 

rono a soddisfare soUecitaihente ddle paghe corse i 
soldati^ oon ordinare eziandio, che delle correnti ogni 
otto giorni 91 soddisfacessero. N^ cio bastando per 
impedire la rulna per rapina, perciocch^ il mal uso 
pone radici difBcili' a sradicarsi , e continuando le 
rubeiie, si rompevano le vettovaglie piii aneora ai 
Pieiuontesi /che ai Genovesi, cheie potevano aver 
comode per la via del mare, fece passare da Torino 
al campo il carnefice con ordini precisi di riszar la 
forca nella Pieve, e d'impiccare senza remissione i 
soldati, che dannificassero i paesani. Or^no inoltre 
al conte Catalano 9 che quando la reintegrazione dei 
particolari danneggiati Aon eccedesse trecento doppie, 
dovesse con prudente e regolata distribuzione effet- 
tuarla; il che pero, trattandosi di danni gravissiimi e 
di molto maggiore stima, non ebbecffetto. 

La repubblica non voleva risarcire, n^ il duca de- 
siderava, ch'ella risarcisse. Percio le sole armi dove- 
vano giudicare la contesa. Per questo fine le due parti 
s' ingegnavano continuaniente di rihforzarsi per riu- 
scir superiori. Il duca invio nuovi soldati alja Pieve, 
massimamente Svizzeri di suo soldo, uomini valorpsi, 
e degni dell' antica fama. Coi nuovi soldati andarono 
al campo non pochi volontarj, parte per desio d'onore, 
parte p^r voglia di rapina ; imperciocch^ la £ima delle 
ricchezze di quella Liguria stimolava molto gli animi 
malsani. I Genovesi dal loro lato accrescevano le 
compagnie , assoldando principalmente soldati Corsi , 
della cui fede e valore avevano, n^ senza ragione, un 
grandissimo concetto. Il commissario generate Du- 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. ^— 1 672. t^»J 

cazzo era venuto ad Albenga per vegliare da luogo 
iricino sopra le provvisioni e le moMe dell' armi. 
Mando avanti piii verso i luoghioecupati dai Pie<» 
montesi-il 6€»*gente maggiore Restori co'suoi Corsi^ 
che gik per numero componevano una grossa squadra 
di fa#ttaglia^ Le galee della repubblica^ il cui stuolo 
smdaTa ogni giomo crescendo, correvano i mari del 
porto Maurizio col fine principalmente di portare 
nuovi soldati e nuove provvisioni alcampo^e di 
danneggiare i traffichi e le vettovaglie di Oneglia y 
che tuttavia nella devozione del duca si conservava. I 
Genovesi avevano il vantaggio, perchd, oltre i sol^ 
dati regolari e pagati, avevano posto le armi in mano, 
in compagnie distinte partendogli, agli uomini del 
paese, che come gente di confine odiavano i Piemon- 
tesi, e conoscendo bene i luoghi ed itragetti^ davano 
lord addosso alia non pensata, e cagi^iavano gravi 
danni. DaU'altra parte il duca era ridotto a far la 
gnerra quasi intieramente coi reggimenti di soldo. 
£ra vero bensi , che le milizie paesane d* Ormea , Geva 
e Mondevi erano accorse con volonta prontissima , 
ma essendo fuori dei proprj territoij non potevano 
prestare queir ajuto, che i Genovesi dai loro paesani 
ricavavano. 

I narrati deonsi stimare sussidj leciti di guerra , ma 
non del pari i seguenti, che sono pessimi. La reptib- 
bticdt ayeva ^timolato, come se bisogno avesse di 
essere, a far sangue contro i Piemontesi un.bandito 
di prima classe, per nome Antonio Folco^ e per so- 
prannome il Turco. Costui, cioe questa peste, con 
VI. I a 



178 STORIA d' ITALIA. 

una squadra di circa altri sessanta sudditi della re — 
piibblica, la maggior parte banditi capital! come egli^ 
batleva le campagne con licenza del senate e sotto I 
fede pubblica, e quant i Piemontesi isolati o piceol 
aqiiadre incontrava, tanti metteva a ruba ed a morte. 
Fu poi tan to audace, che assali le poste Piemontesi^ 
anche di cavalleria , e tento di &rsi padrone del pont^ 
di Nava, per modo che fu necessitl^ di mandarvi iL 
conte di Magliano col reggimento di Piemonte co 
qualche compagnia di quel di Monferrato per iscac 
ciarlo. 

U duca non voile restar di sotto della repubblii 
neU'adoperar banditi. Per la qual cosa avendo spe 
dito per rinforzo al Catalano il marchese di Parell 
con molti volontarj , vi mando con esso un tale 



bastianOy bandito capitale, che condusse con se altri 
banditi similiia lui, i quali poi.&cevano ai Genovesi 
cio, che il Turco faceva ai Piemontesi , per forma ch 
tra il Turco e Sebastiano Piemontesi e Rivieraschi ne 
avevano una buona derrata , ed erano conci come Dio 
.voleva. Fu poi da notarsi, come singolare accidente, 
che fra le rapine e le stragi varie , che qijiei due bir- 
banti andavano contro gli estrani commettendo, tra 
di loro si schivavano : tanto rispetto V uno aveva per 
Taltro! 

I Piemontesi, sotto la condotta del conte di Sca- 
lenghe, avevano demolito il castello di Rezzo, piut- 
tosto per vendetta che per un motivo di . buona 
guerra. Si erano anche impadroniti di Poripsio, tanto 
che il Lavaldigi , al suo sale pensando , ne poteva 





lilBRO VIGESIMOTTAVO. 1 672. 1 79 

restar.gpntento. I.Genovesi e i Corsi govemati dal 
Restori) dal sergente maggiore Yicentello Gentile, dal 
capitano Yentimiglia , e da Alfonso Gentile, si erano 
posti a campo nelle ville di Mozzo e di Yezalico, ambe 
poco lontane dalla Pieve. Numeravansi fra. di loro 
cinquecento Corsi fortissimi, cui il Restori mando 
ad occupare 11 ponte della Pieve con due fini, Y uno 
di combattere lo Soalenghe nel suo ritorno dalla.de- 
molizione di Rezzo, I'altro di serrare la strada verso 
la marina , caso che i Savojardi vi voltassero i passi , 
come gia si vedeva a qualche segno, che avevano 
intenzione di fare. Occuparono a questo medesiiho 
proposito r edifizio di una cartiera, detta dal volgola 
paperera, situata in capo al detto ponte, che h la 
strada battuta e piii comune per scendere.al miare. 

Importava al generale patalano di sloggiargli da 

luogo di cosi.gran momento, e percio fece risoluzione 

di assaltargli. Si combatt^ da ambe le parti con non 

ordinaria ostinazione , perche il generale Piemontese 

mandava continuamente dalla PievS nuove schiere al 

ponte , ed anzi vi ando egli medesimo col reggimento 

delle guardie. Dall' altro lato i Genovesi menavano le 

mani aspramente, ed essendo riparati con una trincea^ 

al ponte^ vi facevano una bravissima resistenza. Oltre 

a cib erano ajutati dai loro moschettieri , i quali dalla 

cartiera fulminavano spessissimi colpi contro* gli as- 

salitori. Finalmente i* Piemontesi, cui la presenza, 

Yesempio ed i confortijd^i capi da una parte, I'emu- 

lazione naaonsje dall' altra stimolavano , si ^insero 

avanti con grandissimo yalore, e guadagnarono il 



l8o STORIA d' ITALIA. 

ben conteso ponte con avere discacciati i Gof^i dalia 
trfncea e dalla cartiera, i quali andarono a porst in 
.un iuogo superiore, nominato la Cappella. In quesla 
battaglia fii fatto molto sangue , massime fra i Pie- 
motitesi , che combatterono alia scoperta.Yi morirono 
per ferite ricevute sul ponte stesso partecchi ufBciati 
di nome e di vaiore , fra i qtiali si nofaroiio speeial- 
mente il conte d'Osasco, il cavaliere di Porporato^il 
marchese di Cavour ed il cavaliere di Pluvier. Questa 
vittoria diede itl itiano dei Piemontesi M ozzo t Veza- 
lico, e aperse loro la strada per calarsi v^^so il mare, 
"^arlavasi nel campd, parlavasi a Torino della di- 
scordia nata tra 1' Alfieri e il Livorno. Questi dispareri 
gia avevand tAtAto nociilto alle operazidni militari, e 
pill ancopa per V avvenire potevaiio nuooekie. It dttca 
avrebbie preso buon parti^, se richiamato ttresie o 
Tuno o Taltro, ma avendo fede itt ambediie non 
seppe risblvervisi , ed ebbe per migiiore aVviso il 
consefvargli in ufHcio, mandando pero don Gabriele, 
e commettendb]gli il govemo supremo dell' artni. In- 
fatti arriv6 al caihpo il giomo stesso , che si combattd 
al ponte, che fu ai diciotto di luglio. Goiidusse con 
se un battaglione di Piemonte a guida del conte della 
Triniti, molti volontarj del Mdridovi, graticquantitj^ 
di munizioni da guerra e da bocca. L' arritt> di don 
Gabriele coi soldati freschi diS maggior fohfca airafeini, 
ma da un' altra parte pregvudico agli efFetti di guerra, 
perche Alfieri e Livorno sentirono qualche dispetto 
per ess* e loro sopravvenuto un capo j rf^'^pero rjcon- 
ciliatisi fra di ^vq incominciarono a discordare con 



LIBRO VIGB^IMOTTAYO. — 1 67 2. 181 

<lon Gabriele^ e Tarmonk necessaria al buon successo 
tlelle cose andd maneando. Ne seguiroiio accident! 
important! , come si vedra. 

Tennesi consulta fra i primi capitani per risolvere 
quale avviamento «i dovesse dare alle offese; imper- 
ciocche don Gabriele portava con se ordine irrevQ- 
cabile di entrar dentro al paese nemico, e riuscire alia 
marina con impadronirsi di qualche citta di rilievo 
sulJa costiera. Alfieri e Livorno avrebbero voluto, che 
con tutte le genti raccolte in un solo corpo si andasse 
in cerca di qualcbe effetto importante. Temevano, 
cbe avendo i paesani nemici, il paese rotto da ^alli e 
monti, e di accessi e tragetti difficili pieno, se si spic- 
Ciolasse I'esercito, le sue parti diverse potessero ve- 
nire facilmente oppresse. Don Gabriele a veva contraria 
opinione, e siccome era in lui investito il oomando 
supremo, la sua sentenza prevalse, la quale fii, che 
r esercito si dividesse in due corpi, di cui uno andasse 
a rinfrescare di gente e di munizioni Oneglia, V altro 
si conducesse ad occupar Zuccarello per la via delle 
montagne., per doversi poi ricongiungere verso III 
marina al Testico, villaggio, che resta situate suL do- 
minie Genovese nelje colline piii alte tra Alassio ed 
Albetiga. 

Questa divisione delle genti , che fti opera o di don 
Gabriele stes^ o dei ministri in Torino, che ne ave- 
vano formato il disegno sulle carte geografiche senza 
ben oonoscere la natura de' luoghi , ed il modo del 
muoversi ^Isi soldati riiiniti in grosse schier4| pariori 
a danno dei Piemontesi cfTetti di grandissima mo^ 



^- 






T 



1 82 STORIA. d' ITALIA. 

mento, e fu causa principale del fine, che ebbe la 
guerra. S'aggiunse, per quanto si puo giudicare di 
accident! cosi lontani da noi, un altro errore, e fu, 
cbe ]a parte , a cui era ordinate di atidar a Zuccarello, 
in luogo di condurvisi per la piii breve e piu diritta, 
perciocche dalla Pieve a Zuccarello havvi poca di- 
stanza , ebbe dal generalissimo commissione di recarsi 
prima a Garessio', poi rientrando nel territorio He- 
novese, a Zuccarello. Strano viaggio per andare dalla 
Pieve a Zuccarello, poi a Testico, lo sprolungarsi alle 
. spalle sino a Garessio. Forse don Gabriele penso , che 
cie fosse necessario per accozzarsi coi rinforzi, che 
gia erano arrivati in quest' ultima terra, o fece avviso, 
che la parte da lui divisa pericolasse per qualche in- 
sulto del nemico, innanzi che egli c6l suo viaggio 
verso Oneglia 1' avesse eccitato a venire a se* Quale 
di questo sia la verita, certo e, che per tale risolu- 
zione appunto cominciarono a deplinare le cose dei 
Piemontesi. 

Usci adunque il giorno vigesimoprimo di luglio 
tutto r esercito ducale dalla Pieve : don Gabriele si 
avvio alia volta di Oneglia, conducendo seco i reggi- 
menti delle guardie, di Savoja, le compagnie degli 
Svizzeri e di Nizza con tutto il nervo dei volontarj e 
parte della cavalleria. Lascio al conte Gatalano, che 
doveva compire 1' altra parte del dis^gno , i reggi- 
menti di Monferrato e di Piemonte col resto della 
cavalleria. Il giorno seguente, ai ventidue, don Ga- 
briele giunse felicemente in Oneglia, dond^, lasciativi 
qoalche rinforzi e gli ordiini necessarj, se ne parti ai 



■'*W!^ 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. — 1672. 1 83 

ventitre per le sue fazioni, e specialmente per con- 
dursi alia posta generate del Teslico per ivi unirsi 
col conte Catalano, che vi doveva venire da Zucca- 
rello. Dal suo lato.l' Alfieri, dato fuoco alle mine per 
atterrare le mura della Pieve, prese, partendone, la 
strada di Garessio, conducendo con se il capitanp 
Gentile della Pieve, e pochi prigiohi tra Corsi e pae- 
sani. Giuntovi il giorno medesimo, vi fece riposare 
tutto il seguente i suoi soldati, ed in questo mentre 
venne a con^ungersi con esso lui il reggimento di 
Saluzzo con roolti volontarj. Lasciato poi Garessio, 
s' incammino alia volta di Zuccarello, scaramucciando 
per istrada con isparse zuffette di poco rilievo coi 
paesani, che usando il vantaggio deMuoghi continua- 
mente da ogni banda il bezzicavano. Assalto Castel- 
vecchio, e dopo ostinata resistenza di quei di dentro, 
la maggior parte soldati fuggitivi di Savoja , il prese : 
preselo,^ fece incontanente passar per Tarmi i fug- 
gitivi. Quindi passo, ed alloggiossi in Zuccarello coi 
soldati molto stanchi dalla fatica, dal caldo e da qual- 
che smarrimento di strada, per cui furono obbligati 
a niisurare piii lungo cammino. 

In questo mentre arrivo da Torino ad unirsi al 
conte Gatalanoil roarchese di Parellacon non pochi 
volontarj, ottima gente, e qualche branco di ban- 
dit! , gente pessima. Quivi, fatto consulta, delibera- 
rono di passare alia volta d' Albeij^a , assicurandosi il 
ritonio per la strada medesima con lasciare in Erli il 
reggimento di Saluzzo , ed altra gente tra Zuccarello 
e Castelvecchio. Sua intenzione era di traversare la 



1 84 STORIA D ITALIA. 

pianura di Yillanova per condursi, varcando le mon-^ 
tagne della Garlenda, al Testico per la desiderata ri- 
congiunzione con don Gabriele. Addi Ventisei si ac- 
camparono nel luogo di Chiusano, donde mandarono 
avviso a don Gabriele del posto , che occupavano. II 
principe di Savoja gia era pervenuto a Diano, cui^ 
salvo il castello, che non si voile arrendere, diede a 
ruba ai soldati. Poi, vieppiii avviandosi lungo la co- 
stiera, prese il Cervo, e il saccheggio. Gia le sue armi 
risuonavano nella valle d' Andora : i due capi Piemon- 
tesi si avvicinavano 1' uno all' altro , e se non vi fosse 
stato ovviato, Timperio di Genova avrebbe naolto 
pericolato nella riviera di Ponente. 

I capi deir armi Genovesi accorsero al rimedio. U 
senatore Durazzo , che aveva la sua stanza in Alassio^ 
consigliandosi principalmente col Restori, penso, che 
ogni mira si dovesse indirizzare, ogni sforzo far» per 
vietare ai due corpi Savojardi la unione. Ai Gorsi, 
che gia militavano sotto il governo del Restori, si 
era aggiunto altro nervo di soldati della medesinia 
nazione condotti dal sergente maggiore Fedriani, 
pure Gorso, uomo di sperimentato coraggio in ser-* 
vigj forestieri. Pertanto fu dal Durazzo oommessa la 
cura al Restori ed al Fedriani di seguitare diligente^ 
mente gli andamenti di don Gabriele e del Catalano 
per impedire la loro congiunzione. Queste forze unite 
in ordinanza stabilo^ regolare dovevano a seguitare 
il nemico, e* combatterlo in corpi grossi, ove la ocoa** 
sione favorevole per cio fare si aprisse. Oltre a que^to 
principale fondamento della guerra, il senatore Jt 



LIBRO VJGESIMOTTAVO, 167a. l85 

commissario Genovese mando alia sommita dei mojnti 
sppra Alassio ed Albenga gran parte d^Ue miliju^ 
scelta, o Yogliam dire bande paesaiie, o cerne del 
paese, cplsergente roaggiore Begesla , accioccha col 
Restori, e $oUo i comandamenti $UQi cooperas^erQ a 
portare gli avvi$i, a tagliar le strade, a turbare )e 
vettovaglie,a conculcare i cprpisbandati, I^iportaat^ 
impresa fu confidata a capitano forte ^ priidftnt^ ; il 
de$tino di quei paesi stava nelle maui d^l H^stori, 

Doa Gabriele , sempre intentp • al dar$i mano col 
resto deir esercito , aveva pre$o il gammino verso le 
montagne pel Yillaggio di Chiappe, e ^ppra le alture 
del luogo del Gervo ; del quale movimento e^iiendo il 
Restori, che soggiornava nelle vicine montagne 
d' Alassioi informato, 3i avanzo n^l far del giornp del 
venticinque al monte della Madonna » donde scop^se 
il nemico. Divi^ tpstaniente le sue genti in due 
squadre , raccomandata la retrognardia al valors del 
Fedriani, e postpsi in testa della vanguardia? cor3^ 
ad a$saltarIo ; e per qnanto il generalp Pi^montese 
avease gia gnadagnato il pin altp del monte, e ai 
fosae trincerato ne'aiti pin yantaggio^i, tantp fu il 
valore del Restori e la braynra dei Cpr^i ch^ i Pie^* 
montesi, abbench^ ay^ssero ponipite tutte l^ parti i 
che xm buppi e valpro^i soldati 91 po^^pnp d^^iderar^i 
furono costretti a ead^re d^l qampp, ritira^dpsi 
sempre combatt^n^o <^u prdine « valors per Ip 
spazip <fi pnquf) uiiglia , ^ Stananellp , f^ndo impi^- 
riale : i repubblif^ini gli $eguitaronp. Rese piu fun^tf^ 
la^ritir^tf^ m 2^pcident0 fprt^ito; neiravyicinar^i di 



i86 STORIA. d'italu. 

Stananello , s' aceese una conserva di polvere , che 
mise in confusione tutto il campo , e strazio cosi nia- 
lamente il corpo al conte di Lucema che indi a 
pochi giorni mori. Sarebbe seguito in quel momento 
maggior danno ai Piemontesi, se ai Corsi stanchi sotto 
il pill fervido meriggio ed illanguiditi da una tormen* 
tosa sete non fosse mancata la lena di niaggiormente 
incalzargli. Nei giorni seguenti i vincitori avrebbero 
condotti i vinti gia diminuiti d'animo e di forza; im- 
perciocche i spldati di Genova si moltiplicavano loro 
ad ogni momento intorno, all' ultima rovina, senon 
avessero portato rispetto al territorio imperiale di 
Stananello. 

Non era ancor compita la vittoria di Genova, per- 
ch^ i due corpi Piemontesi, stando uno in Stananello, 
I'altro in Chiusano, si trdvavano I'uno poco lontano 
dair altro , e solamente divisi da quella giogaja di 
monti non difHcili a superarsi, che le regioni d' Alas- 
sio da quelle di Stananello e del val d' Andora divi- 
dono. Il Restori soUecitato dal Durazzo, considerato, 
che il corpo Piemontese, il quale aveva fermato Fal- 
loggiamento a Stananello, pel danno teste ricevuto, 
non fosse abilitato in quei giorni a tentare cosa dMm- 
portanza, e temendo molto piii del Catalano, viag- 
giato tutta la notte de' ventisei , occupo suU' alba del 
giomo seguente il monte Cipolla a vista d' Albenga e 
del campo dell'Alfieri. Gia il generale Piemontese, 
lasciato in Chiusano il battaglione della Trinita con 1^ 

• 

munizioni da guerra e da bocca, le insegne, i dana^* 
e il bagaglio per poter marciare piii speditamente j ^ 



LIBRO VIGESIMOTTA.V0. 1672. 187 

prowedulo da vivere e da combattere a ciascun sol- 
dato per due giorni , aveva preso la via di Villanova 
per andare al luogo appuntato con don Gabriele. Ma 
yistosi in poco d'ora il Restori, che con somma dili- 
genza in^gilava , ai fianchi per la coUina di San Fe- 
dele a tiro di moscbetto, e le genti di Villanova tutte 
in armi e ben disposte alia difesa del luogo , fece alto 
nel piano di Villanova , dove i suoi soldati depreda- 
rono e consumarono col fuoco parecchi villaggi ed 
altri casali villarecci. Il Restori non si mosse dal suo 
monte, che si trovava di mezzo tra don Gabriele e 
r Alfieri, e stava aspettando gli eventi per accorrere 
a quella parte, che piii premesse. Sopraggiunta poi 
la notte dei ventisette, accese i lumi per tutto il 
campo per evitare gli sconcerti improvvisi , fortifico , 
quanto pote per la brevita del tempo, i suoi quartieri, 
e mando avanti verso don Gabriele alcune squadre 
sciolte per intrattenerlo, e subito avvisare, se contro 
gli alloggiamenti Genovesi e verso il Gatalano si muo- 
vesse. 

Finalmente nel mattino dei ventotto i Savojardi 
vennero alF estremo sperimento : dall' unirsi o dal 
non unirsi dipendeva tutto Y esito della guerra. Erano 
passati tutta la notte fraTun campo e I'altro dei Sa- 
vojardi frequent! pedoni per aggiustare la forma di 
darsi mano. Quando poi compari Talba, si tocc5 da 
ambe le parti la levata. Della qual cosa avvertito il 
generale Genovese, fece dare all' armi, e tenendo 
bene assicurate le coUine per mezzo delle milizie 
scelte, spinse avanti i Corsi verso Stananello, daUa 



l88 STOBIA o' ITALIA. 

vanguardia dei quali furono i corpi di scolta €li don 
Gabriele cosi furiosamen^e investiti, che io poco 
d' ora diedero indietro ohi la morte e la prigionia di 
moltiy e fira questidi non pochi ufficiali di conto, che 
avevano voluto far testa. I Piemontesi (xmfiisi e spa- 
ventati si rimessero entro StaDanetlo, in cunKurdbbero 
stati danneggiati aU'estremo, se il neniico vincitore 
non avesse per la seconda volta portato rispetto al 
territorio imperiale, 

Don Gabriele, vistosi alle strette, non avendo tutta 
la sua gente per averne lasciato parte in Oneglia per 
gelosia delle galee e galeoni della repubblica, cbe 
vicino a quella spiaggia correvano il mare, fece 
sopra le colline una gran salva di moschetteria per 
domandare soccorso al Gatalano. Ma questi , non cbe 
ajutare il potesse, aveva bisogno d'ajuto egli stesso; 
inipercioccb^ il Fedriani con non minore sallecitu- 
dine V aveva urtato nella gbiara di Garlenda, mentre 
marciava ansiosameAte alia volta del Testipo. S' in- 
grosso talmente la zuffa, bersagliando i Genovesi il 
neniico per fianco , cbe il reggimento delle guardie 
del duca e quello delU Croce bianca, che stava in 
capo della fila, orribilmente pativano. Per reprimere 
un tanto fiirore e divertire il nemico dall' insistere nel 
pensiero d' impedire la riunione , )' Alfieri fece avviso 
d* inviare il reggimeuto di Piemonte sotto il conte di 
Maglianp ^d occupare un po3to detto il Gastelvecchio 
di Garlenda; la qua) co^ gU riusci. Ma non per questo 
le g^pti di Genova si partirono dall' intento primiero 
1^ jtener separate le due schiere Savojarde. ^ pugno 



LIBRO VIGESIMOTTAro. — 1 672. 189 

taCto il gionio con datino reciproco piu di feriti che 
di morti , e fra questi de' piii qualificfiti si annovero il 
conte di ProVana. In questa fazione combatterono 
egregiamente , non solo i Gorsi , ma ancora le cerne 
di Lingueglia e di Alassio, e principalmente il Turco, 
che coti i^ isiie masnade di bandtti , conoscendo bene 
il paese, travaglio incessanteMente con imboscate il 
nemico. * 

Il marchese di Livonlo, che volontariamente per 
consenso del Gatalano ^i era condotto iti Paravetina a 
prossimita del Testico col suo reggimento di Monfer- 
rato^ per facilitare lia scesa di don Gabriele da Stana- 
neilb al Testico, non trovo forma di eseguire il suo 
disegno, per non essere stato il principe Savojardo, 
con le truppe stanche ed infievolite e col Restori a^ 
fianchi, in condizione di muoversi da Stananello sen2a 
gravissimo pericolo. Gli convenne pertanto ritornare 
al catilpo verso la sera. Perduta ogni speranza deila 
congiunzione, 1' Alfieri, rimesse le genti sotto le in- 
segiie, se ne torno, camminando di notte per la 
ghiara del fiume con la cavalleria alia coda, che 
riusci di non poco vantaggio contro gl' insulti det 
Corsi , a Ghiusano , dond' era partito. 

Don Gabriele accuso gravissimamente 1' Alfieri per 
questa sSSLtL ritirata, e 1' ineolpo formalmente deft' 
unione non efTettuata e di tutti i disastri , che §egui- 
roilo. Alcuni autori scrissero a $econda di tali accu- 
sazioni, accagionando Gatalano di viita e di tradi- 
metilo, senza tacere che piuttosto a saccheggiare, ad 
abbottinare, a taglieggiare, ad arricchirsi che a com- 



igO STORIA D ITALIA. 

battere e ad unirsi con don Gabriele intendesse. tfa 
a chi bene considerera i movimenti dei due eserciti 
nemici, 1' avvedimento del Durazzo, del Restori e del 
Fedriani ed il valore dei Corsi con quella separazione 
dei due corpi Piemontesi ordinata da don Gabriele, 
diventera manifesto , che da cause del tutto ordinarie 
e naturali, non da tradimento o codardia di alcuno 
il mal successo pel duca di Savoja dei fatti orora rac- 
contati si dee riconoscere. Gertamente Catalano Al- 
fieri non era vile , manco ancora traditore. Delia ra- 
pacita non saprei giudicare ; perche da un lato i suoi 
soldati commisero senza dubbio detestabili rapine, 
dall'alti^o gli autori, che Taccusano di aver tenuto 
n^iano per .arricchirsi a cosi fatte ribalderie , sono 
quelli stessi , che di villa 1' incolpano e di tradimento. 
Per me , per quanto si puo di fatti cosi lontani co- 
noscere, crederei, che piuttosto di soverchia seve- 
rita per mantenere la disciplina fra i soldati che di 
colpevole indulgenza biasimare ed imputare si debba. 
Che sia stato ladro esso stesso , non trovo ahre autorita 
fuori di coloro che di cose ancor piii gravi il tacciano. 
Don Gabriele, veduta T impossibilita di riunirsi al 
Catalano , levo il campo da Stananello , e preso il 
viaggio per le colline piii sicure dalle imboscate dei 
paesani e dagli assalti delle soldatesche nemiche, se 
ne torno con tutta diligenza in Oneglia , donde , dope 
di avervi accresciuto il presidio con buon numero di 
Svizzeri e di cavalleria^ s'incammino col resto delle 
genti per le montagne verso il Piemonte. Un nuovo 
pericolo J' attendeva. Trovossi ad un tratto, gia vicino 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. — 1672. iqi 

essendo ai confini , col battaglione delle cerne di 
Triora a fronte, coi Corsi alle spalle. Salvossi con 
lodevole stratagemma di guerra. Fatto dare nei tam- 
buri per una strada per tirarvi i nemici, s'avvio di 
notte, di pieno andare marciando, per un'altra, e 
giunse a salvamento sui territorj del Piemonte. Per- 
dette pero qualche munizione e parte del bagaglio 
con ducento muli carichi di prowisioni da guerra e da 
bocca, ch'egli stesso poco innanzi, quando si trasferi 
in Oneglia, aveva preso ai Genovesi. A questo modo 
succedette la famosa separazione delle armi del duca, 
che aveva rivolto in se I'attenzione di tutti gli uo- 
mini , massime di coloro , che si dilettano delle cose 
di guerra , e che fu stimata ad onore del Restori una 
delle piu lodevoli operazioni militari , che da capitani 
esperti e valorosi fossero state fotte. 

Restava a vedersi qual partito prenderebbe , ed a 
qual fine andasse Catalano Alfieri, dappoiche per la 
ritiratadi don Gabriele si trovava solo esposto a tutte le 
forze dei Genovesi. Ne vedo, come scusar si possa don 
Gabriele dello averlo abbandonato, mentre la ragion 
di guerra richiedeva, che se non poteva congiungersi, 
restasse almeno , in alcun luogo sicuro alloggiandosi , 
poco discosto, affinch^ tutto il pondo delle forze della 
repubblica contro il compagno non piombasse. Se il 
fece per dispetto, la scusa sarebbe peggiore della 
colpa; se il fece per lo studio dell'antiche parti ai 
tempi di Cristina, la colpa sarebbe ancor maggiore. 
Comunque cio sia , Catalano si trovo in condizione 
molto pericolosa constituito. JLe armi- di Geaova^ gli 



igt STOttIA b'ltALlA. 

tempestavano tutto all' iatomo, aveta Tandare diffi- 
cile, lo stare ancor piii difBcile. Cio non ostante non 
perdutosi d' animo , iDaiid5 pat^cchi messaggi a don 
6abriele, non credendolo cosi lontano, ne con ri- 
^lazione definitiva d'abbandonario, per avvisarlo, 
ch' egli se n' andrebb^ ad aspettarlo a Zuccarello , e 
pregario, che pet* la via dei monti situati alle spalle 
il venisse a trovare. Ma i messaggi o non arrivarono, 
D don Gabriele tton gli cwb. Alfieri trasferissi in fetti , 
quantunque infestato fosse da ogni banda dalla sol- 
datesca spedita del nemico , ma per virtu della buona 
cavallei^a , che gli restava , e di cui i Gibovesi man- 
cavano, a Zuccarello , dopo di aveire, partendo, dato 
alle fiamme il villa ggio di Ghiusano. In Zuccarello 
Btette aspettando don Gabriele sino ai due d' agosto ; 
premendogli sommament^ di mettere in siciiro colla 
congiun^one I' onore delle armi Piemontesi , gV inte- 
ressi dello stato e la persona stess^ di don Gabriele , 
nella quale risedeva Fufficio di generalissimo e la 
dignity della casa di Savoja. Ma non vedendolo com- 
parire, nfe alcuna nuova di lui ricevendo, e veden- 
dosi ad ogtii ora piu stretto dai repubblicani , ab- 
bandonate le speranze di far piu frutto in que' luo- 
gfci, entr^ nel pensiero di ritirarsi alle montagne 
verso Gares^io fra i confini del Piemonte e dd Gene- 
v^sato per |)oter6 da quelle sommit^ piik sicuramente 
riunirsi con doft Gabriele, ed appigliarsi "a quel par- 
tito,che pill sarebbe onorevole per le armi del suo 
signore. 

PartVdunque con tuUe'le sue genti ai tre d' agosto 



i 



LIBRO VIGKSIMOTTAVO. 1 672. IqS 

da Zuccarello per andare a Castelvecchio , Erli e Ce- 
risola 3ul confine di Garessio, donde gii pervenivano 
i rinforzi, e la facolta del cibarsi. Fu ritardato per 
viaggtb da una grossa scossa d'acqua, dal garbuglio 
delle bestie da soma, da qualehe disordine di caval- 
Jeria. Cio nondimeno la vanguardia trovo modo, oltr' 
Erli passando^ di arrivare a man salva a San Bernardo 
di Garessio; la qual cosa fu cagione, che le bande 
paesane serrarono tutti i passi , per cui la retroguar- 
dia doveva fare strada per avvicinarsi a Garessio. 

Restori,.^e stava molto alj'erta, veduta I'occa- 
sione propizia, e che gl'indugi cagionati dagli acci- 
denti sovradescritti gli davano in mano la vittoria , si 
mise con ogni studio a procacciarla. Mando il Fe* 
driani con alcune compagnie di Corsi sulle montagne 
dai due lati , accio ferissero di ^anco i Piemontesi , 
^ egli invest! alle spalle la retroguardia. Fu 11 com- 
battimento feroce e da ambe le parti sostenuto con 
inestimabile valore. Specialmente sopra il monte, che 
sta a sopraccapo a Castelviecchio , e dove il marchese 
di Parella era salito per coprire questa terra, si azzuf-- 
farono Genovesi e Piemontesi con tanto non sola- 
mente impeto ma costanza , che gli uni e gli altri si 
dimostrarono guerrieri degni di piii grandiose scene 
e di causa piii accetta a tutti coloro , cui la medesima 
lingua congiunge e stringe. Resiste il Parella co' suoi 
Yolontarj, imperciocche di questi principalmente il 
suo prode stuolo si componeva, per piii di tre ore, 
facendo tutte le parti, non solo di prudente capitano , 
ma ancora di valoroso soldato. Nel tempo stesso il 
VI. i3 



194 STOaiA d' ITALIA. 

Catalano sosteneva fortemente la battaglia nolla re** 
troguardia con molta strage delle due forti schiatte. 
Quivi massimamente il marchese di Livorno , quel di 
Bianz^ e molti altri signori Piemontesi ed ufBciali di 
conto, diedero pruove di un invitto coraggio. Il valore 
era uguale fra 1 ducali ed i repubblicani , ma il nu- 
mero di questi maggiore, e tuttavolta andava cre- 
scendo. La stanchezza, la mancanza delle munizioni, 
il dover rispondere da tutte le bande pei Piemontesi , 
fecero , che prevalessero di fatto coloro , che gia pre- 
valevano di niunero, ne pei perdenti^rimase altro 
scampo che di sermrsi in Gastelvecchio , terra debole, 
esausta di vettovaglie e di nissuna speranza. Il fortis- 
simo Parella scese, incalzato dal nemico, ancor egli 
nel borgo, dove occupo il posto della chiesa vicino 
ad una fontana. L'^lfieri sforzato, ma non domato 
dalla fortuna avversa , s' alloggib nel recinto della 
terra. 

Accorse da tutti i lati Restori, cinse e restrinse i 
Piemontesi in Gastelvecchio , ed aveva somma confi- 
denza di ottenere la vittoria. Fatti quindi provvedere 
i suoi bravi soldati di rinfreschi , viveri e munizioni 
da guerra, sali sulla sommita del coUe, che soprafia 
la terra, e quivi adunati sull' alba- tutti gli ufficiali, e 
gran parte dei migliori soldati di ogni nazione, al- 
zandosi in luogo , donde potesse essere udito da tutti, 
in tale guisa con generose parole loro favello : 

(c Compa^ni, disse, questo e il fine d'ogni fatica, 
« questo il principid" di una somma gloria. Viva la 
a repubblica : il cielo dal|||\fore alia giusta causa sua. 



LIBRO VIGESJMOTTAVO. 167a. I95 

cc La s|fiiino serrati i nemici suoi; se nol di noi stessi, 
fic del Dostro debito e del nostro onore memori siamo, 
« presto si pentlranno dello avere le armi Genovesi 
« provocate. Gli separammo ne' giorni scorsi , gli vin- 
(c cemmo jeri , ma 1' avergli separati e vinti non fia 
a nulla , se da quel nido , che \k cosi viGino di Gastel- 
« vecchio vedete , o vivi o arinati usciranno. Nostre 
a sono le montagne , nostri i passi , in fuga le nemiche 
ecinsegne; chi in Castel vecchio si e riparato, stanco, 
oc sprovveduto , femelico , sitibondo , presto preda 
(c vostra sara. Questa.a voi tocca, questa a voi si serba. 
((Le vittorie sino ad ora acquistate sono fatturadelP 
<( invitto animo vostro , dell' invitte vostre spade ; 
(c opera mia fu piuttosto ammirarvi che indirizzarvi ; 
(( vidivi piu capitani che soldati, vidivi piii pronti a 
<c lasciare la vita che la difesa della repubblica , nostra 
(c padrona, nostra protettrice , nostra madre. Or resta , 
a che a lei mandiamo prigignieri i suoi nemici : questi 
. (( saranno i piii indubitati testimonj delle vostre pro- 
(( dezze; ne piu generoso retributore de' vostri sudori 
atroverete di quel senato, che alia preda ben ricca, 

ache farete in Castel vecchio, aggiungera lasuareale 

■J 

«munificenza.)) 

Gosi spiego il ^^estori i suoi ^ensi , e udissi repli- 
car da tutti con alte grida, F'ii^a la repubblica, vwa 
^angiorgio ! 

Stavasi intanto il conte Alfieri serrato in Gastel- 
vecchio, fremendo dell' atroce caso, ne sapendo com- 
prendere, come il reggimento 4i Saluzzo e la sua 
vanguardia avessero aUin^nato il posto d' Erli, 



196 8TORIA. D ITALfA. 

ch' egli aveva destinato per sicuro passo alia latirata 
di tutto Fesercito verso Garessio. L'uno e I'altro dei 
nemici eapitani stuHiavano modo, quelle di vineere, 
questo di liberarsi. Restori muniva e chiudeva con 
mirabile diligenza tuttij sentieri per impedire il tran- 
sito ai messi, e proibire il passo ai soccorsi, che pote- 
vano venire all' aVversario dalle vicine Langhe di 
Garessio, Ormea, Geva e luoghi adjacent!. Batteva 
intanto cot moschetto e con le spiugarde il castello. 
La nptte accendeva lumi per tuttM monti; i suoi 
applaudivano, e davano incessantemente nei tamburi. 
Alfieri all' incontro mando a Garessio due messi se- 
greti , pratichi delle montagne, comandando al conte 
diPiossasco, che senza dilazione coll'antica vanguar- 
dia, e coi rinforw nuovamente arrivati dal Piemonte 
v^nisse a soccorrerlo. Soggiunse, che per dargli adito 
di entrare, uscirebbe dalla piazza apercuotere i Ge- 
novesisullafronte, quand'^glialle spalle gli assalisse. 
Nel viglietlo confidato ai messi scrisse pel case che 
irt mano del nemico venisse, avere in Castelvecchio 
provvisioni emunizioni d'ogni sorte, ma gli ordino, 
che a parole dicesse al Piossasco, non pane avere , 
non vino, non acqua. 

. Obbedi Piossasco^ e venne. Sorgeva Y alba del 
quinto giorno d'agosto, quando i eapitani della Pie- 
montese oste in Castelvecchio rinchiusa, affacciatisi 
alle altezze maggiori, e da esse speculando, scoprirono 
verso le sedici ore qualche numero di gente in vici- 
nanza di Roccabarbfena. Gonobbero , essere i compa* 
gni vegnenti al soccorsi^ Aallegraronsi , e coa liete 



y3RO VIGESIMOTTAVO. 1 672. I97 

grida gli salutarona. Rallegrati e coraggiosi forbi-^ 
rono ie armi, posero le genti ai posti^ aspettarono 
ansj il memento di sboccare e fare empito a seconda 
della schiera soccorritrice , iei bon ispesse funiate 
avvertirono. Vane speranze, vaiii preparamenti, con 
Restori avevano a fare. AcOo|tos» Restori dai moti di 
Roccabarbena, e^dal nuovo strepito di Castelveccliio, 
che un nuovo nemico si approssimava , gli niando 
contro il Fedriani per conAutterlo : diedegli tjuindici 
centinaja di buoni fanti. Piossasco e Fedriani s' attac- 
caronO) ambi forti, nmbi sperti capitani. Furore a 
valore si aggiungeva, quelle montagne risuonavanp, 
rimbombavano, echeggiavano di scoppj, di grida e di 
stricla. Nel tempo stesso usci a gran fracasso da Gas- 
telvecchio il Gatalano , ed assalto Aestori. Quanto la 
forza puote^^^quanto pii6 la perizW^ tan to fece Tinn 
petuoso.Piemontese, ma Piossasco a Catalano ave- 
vano a fronte uomini degni di )oro : dolor sento pen^ 
sando ^ che di qua e di la generose mani Italiane stra«* 
xivvano generosi petti Italiani , n^ a quest' uso Iddio, 
che ha cr^ato Y Italia cosi nobile e cost* bella , aveya 
dato ad Italiaiii quelle armi e quella virlii. Vinsie e 
sotto Roccabarbena e sotto Castelvecchio la fortuna 
della repubblica« Piossa^o ripiglio la viadi 6are§sio, 
Alfieri si rincafllello. Le rocche grondavano sangue ^ 
perch^ veramente la ^trage fu grande^ massime fra i 
Piemontesi, siccome quelli che av»vanO combatiuto 
alia scoperta contro un neniico riparatosi con triplici 
barricate, e a^e aVeVd' fulmioato partioolarcn^nte da 
una colooibaja poco distante dalla porta del ca&telk) ^ 

1* 



198 STORIA D* ITALIA. * 

e che lo sopraffiiceva. Morirono fra di loro molti 
officiali di nome e di valore. 

Gli estremi danni soprastavaao ai difensori di Gas- 
telTecchio. Il minora erano Ic ferite e il sangue : una 
orrenda sete gli tormentava, perche essendone il cas- 
tello totalmente sprov^upduto , era loro necessita di 
uscire per attinger acqua nel borgo«yicino alle case , 
che i Corsi avevano occupato, e che ostinatamente 
impediTano I'accesso al ftnte. Ando a tal colmo il 
tormentoso flagello della sete , che il Catalano stesso 
pagava^r acqua quattro doppie la secchia. Molti, in- 
sopportabili al tormento, bebbero, ferendosi da di- 
sperati, il proprio sangue. A cio, il cielo'un' accesa 
fornace , V aria infuocata , giacenti le membra dei 
soldati : fremiti e qverele gia si udivano in ogni canto, 
funesti presagi delTeccidio ultimo dellel^ose. 

Ov' era la disperazione , non trovava piii -^ogo la 
dubitazione. Catalano chiamo ai cinque d'agosto un 
consiglio di guerra. Y'interve^nero i marchesi d'Este, 
di Livomo, di Bianze, di Parella, di Lapierre, i cdliti 
di Magliano e della TrinitsI , il b^one di^algrana , 
Bodani, e Tingegnere Amedeo Castellamonte. Cata- 
lano cosi parlo : 

aVoi cont>scete, o generosi compagni, la dolorosa 
ff serie dei nostri infortunj , voi veae1% Y infelice con- 
« dizione, a cui siamo ridotti; la fortuna pur troppo 
« contraria, forse^le mie disgrazie, non il vostro va- 
oc lore, opponendosi ai magnanimi disegni del duca, 
« nostro signore , ci hanno qlii ristr^iti senza spe- 
Qc ranza di soccorso , senza pane , in necessita di com- 






4 





l^RO VIG£SIMOTTAVO. 167 a. 1 99 

« prar acqua con sangue. Che fia percio? I vostri pari * 

« non s'arrendono. Yedremci noi condurre inceppati 

« con vi^ ritorte al senate di Genova per trionfo di 

a quel nobili e perludibrio di quella plebe? Senti- 

(c remo noi per le vie della nemica citta'Ie derisioni 

« del Piemonte e di Carlo Emanuele ? Non tali patti 

(( accettero io , ne voi. Possono gli uomini valorosi 

« sopravvivere alia gloria, non aU'ouore; ne questa 

f€ vita ormai troppo lunga macchiero con una vile 

(c deliberazione. Stommi fermo neiranimo di morire 

« piuttosto combattendo che vivere vergognando. A 

cc uomini prodi ip parlo. Usciamo colle spade in mano, 

« urtiamo quel superbo nemico^ rompiamo quegli ar- 

« gini , fracassiamo quelle sbarre , vediamo quanto la 

a fortuna ci apparecchia sui liberi campi. Se vinciamo, 

<c compenseremo con un gloriosc^tto le nostre dis- 

a grazi^ se moriamo, quali uomini forti con ammi- 

cc razione dei posteri nioriremo. » 

l^on cosi tosto ebbe T Alfieri posto fine al suo ra- 
gibnamento che tutti all&generose parole applaudi- 
rono., e di volerlo seguitare protestarono. Diedero 
forma alia sortita, sceisero 1' imminente notte alle 
tre. per godere del lume della luna, che splend§va 
molto chiara. U generalissimo col marchese di hi- 
vorno prese con se la cavalleria, commise la fanteria 
al marchese di Parella. S' accordarono. Convennero, 
che mentre i cavalli sortirebbero ed assalterebbero il 
qampo nemico da una parte , i fanti usciti dalla parte 
opposia del villaggio urterebbero i Genovesi da questa 
lato. 



IMfM STORl\ D* ITALIA. ^ 

I Le due colonne sortirono alFora accordata , 1' UDa 
tootro il quardere deila CappeUa, Taltra contro quello 
delta colonibaja. Fremendo ed mfinriando marciaYano 
i Piemontesi, ben disposli a fiurr ultima pniova del 
loro valore. Ma i GenoYesi stavano in suU' avviso e 
dkntro i ripari, se non con furore, certo con corag- 
gio gli aspettavano. I &nti , scaricate prima le pistole, 
poi posto roano al ferro percossero con un irapeto 
incredibile gli steccati del nemico, e tale fu la loro 
carica , che non ostante la yiYissima resistenz% dei 
Genovesi gli ruppero, vi entrarono, e con presti passi 
alia campagua si avviavano. Ma Restori, che in 
mezzo a cosi terribile scroscio e scombuglio conservo 
la mente serena e Tanimo invitto, fe restringere i 
suoi, e dar per lo mezzo nei fiancbi delia colonna ne- 
mica. Questo moto' fu cagione alle genti del senato 
della vittoria; perocchft'*i Savojardi, che puntayano 
avanti, ed ii medesimo impeto non avevano sni due 
lati, si scompigliarono, ed i piii meglio a salvarsi 
coUa fuga che a combattere pensarono. Il miscuglio 
e la strage di quelia terribil notte fu tale che il Pie- 
monte ebbe occasione di piangerne lungo tempo. 1 
so^ reggimenti di Monferrato e di Piemonte, ma ri- 
dotti a picciol numerd, scamparono. Gli altri scon- 
6tti, dispersi, sanguinosi rientrarono nella terra, 
dove nissun sostegno di vita piii non potevano tro- 
vare, ed una dura sorte gli aspettava. L'Alfieri, il 
Livorno, TEste, il Magli&no, chi per una strada, 
chi per un' altra ecu I' ajuto delle guide, cui sforza- 
rono a seguitargli, si salvarono. Attoniti e quasi in- 



UBRO VIGESIMOTTAVa. j6']'2, 'kO\ 

tronati apparivano, nfe altro per molti giorni seppefo * 
raccontare dei fieri casi trascorsi ^ se non s^ che tra 
mezzo al fuoco e al pj^bo avevano, come per mira-* 
colo, trovnta la strata alio scampo. Alfieri, arrivato 
in Garessio, e fatta la rassegna degli avanzati a tanta 
rotta, non trovo piii che ducentocinquanta fanti di 
tanti che erano : il resto delta gente morta , o sfilatd. 
Non incontro miglior foriuna il Parella, perche 
non avendo potuto rompere co' suoi le barricate dei 
nemici, fu obbligato di far si e talmente con molti 
tfficiall e soldati, che Gastelvecchio fosse suo rifugid^ 
dove perd non altra'sorte gli restava se non quelk, 
che dai vindtori conceduta gli sarebbe. Nel misto ed 
accanito conflitto morirono piii di seicento Pj^mon^ 
tesi : caddero fra di loro ^ e col sangue e coUa moilie 
confermarono il loro valore i conti della Trinitli, di 
Flos e d'Envie,^ marchesi de lavierre e del Carre tto, 
i cavalieri di Morozzo, di P^rporato, di Gavour, di 
Pluvier e di Basset. 

Il marchese di Parella deitituto di ogni mezzo di 

combattere, messo in difficolta inevitabile delle vet* 

tovaglie^ e menato dalla necessity, avuto anche il 

parere conforme del consiglio di guerra , alzo sopra 

il castello bandiera bianc^ , e si arrese a discrezione. 

U primo fra i vincitori ad entrare^Hella presa piazza 

fu il sergenle maggiof% iii battaglia Fedriani, ed il 

sergente maggiore Vicentello Gentile , poscia vi venne 

ilRestori. Il Parella gli'presento la spada, ma egli co^ 

militai^e cortesia di nuovo gliela cins^, dicendogli, 

^oiche east bene la sapete adoperarei doi^ete anche 



102 STORIA D ITALIA. 

* consetvarla. Mentre i capi facevano cortesi^, i su- 
balterni %valigiavano i vinti , e con lindegnita inescu- 
sabile gli ridussero quasi nudi.J^scIa con jpari, anzi 
maggiore indegnita legati a du^ a due ( erano mila- 
trecento), scaizi, in camicia, squallidi di sudore, di 
polvere e disangue, gli mandarono con miserabil mos- 
tra in Albenga. Quivi Tumanita e la generosita ebbero 
il loro luogo. Per disp^sizione del senatore Durazzo 
furono ai prigioni apparecchiati subito quartieri per 
tutti gli oratorj e conventi con provvisioni di viveri , 
e prontamente somministrati vino ed acqua^ ei^sencfo 
incredibile la sete, che avevano sofferta, e tuttavia 
sofFrivano. Tanto era il rovello che le aride loro vi- 
scere t^rmentava, che non davano tempo gli uni agli 
altri di b^re, benche fossero con ogni affetto serviti 
con quantita di secchie dai vincitori. Al Parella ed 
agli altri ufBciali fu dUposto Talloggioin un.palazzo* 
dove furono loro fatte lautamente le spese dal pub- 
blico,e curati delle loro ferite. Tutte le muniziom,il 
bagaglio, le scriUure del generale Piemontese ven- 
nero nelle mani dei Genovesi. Fra molti altri ricordi 
trovarono scritto tutto V ordine della trama del della 
Torre , e la sua intelligenza col duca di Savoja. 

Quando pervennero in G^nova le notizie della vit- 
toria di Castelvenchip , tutti gli ordini della citta si 
riempierono di una maraviglii^sa allegrezza. N,e po- 
tendo capire in se medesimt i cittadini privati nelle 
case loro, uscivano nel pubblico per comunicare ai 
compagni e g^dcr con loro la concetta contentezza. 
Le strade e lejpi^zze si ve^evano piene di popolo, che 



UBRO VIGESIMOTTAVO. 1 67 2. !Io3 

con lietissime grida applaudiva ai magistrati, ehe * 
avevano ordinato, ed ai general! e soldati, che ave- 
vano a cosi prosper fine condotto la guerra. Non 
mai Genova si era veduta cosi festiva : si rallegra- 
vano di avere vinto un nemico , non solamente per- 
petuo, se non di fatto, almeno d' intenzione, ma an- 
cora potent&e bene armato. U senato poi e tutti, che 
partec^avano del governo, inolto in se roedesimi si 
compiacevano, non solo perche una cosi segnalata 
vittoria avesse iUustrato le armi Genovesi , ma ancora 
perche un cosi fortunato avvenimento avesse preve- 
nuto le istanze del re di Francia, che si temevano 
favorevoli al'duca di Savoja. 

Crebbe poi a molti doppj la comune allegrezza, 
quando si videro arrivare nella commossa citti i 
trofei conquistati s^l debellato nemico. Gomparirono 
suUe galee della repubblica, e ne sbarcarono mila- 
trecento prigionieri con tutte le militari spoglie in 
Castelvecchio conquistate. Tutti miravano il mar- 
chese di Parella, principale ornamento del trionfo^ 
con cinquanta de' piii qualificati ufficiali, ai quali fu- 
rono assegnate per custodia alcune stanze del palazzo 
pubblico. Gli altri prigioni di minore stima furono 
aUoggiati nell'albergo doi poveri diCarbonara, Furono 
dalla giunta di guerra con lettere^pubbliche lodate 
le azioni del commisduiD Durazzo , e quelle altresi 
degli altri generali, che con tanta diligenza, maestria ' 
e y^ore avevano a gloriosa repubMica ancor piu gio- 
rioso nome acquistato. Furono anehe^ inyiate al Du- 
razzo aleune coUaiie d'oro per gratificarne gli uffi- 



p- 



ao4 STOHIA d'iTALIA. 

ciali , che meglio si erano segnalati nella felice guerra^ 
ciascuna di valor diverso secondo la proporzione del 
grado. Ne restarono ornati il ^estori con accrescH 
mento anche di stipendio, il Fedriani, Vicentello 
Gentile, Begesta ed il capitano Gastellazzo, che coUa 
sua coippagnia di Villanova^ composta delle cerne del 
paese, aveva dimostrato un esimio, e veramente sia* 
golar valore. 

Mentre Geneva si rallegrava, Torino si doleva. 
Sdegnossi il duca dell' infelice esito delle cose : gli 
rincresceva inQnitamente, che in vece della perpe- 
tuazione eterna del suo nome per un aumento di state, 
ne andasse in declinazione per una fatale sconfitta. 
Uomo jsdegnato facilmente si separa dalla giustizia. 
I matti ed ingiusti promovitori della guerra, per es-^ 
cusare se stessi, accusarono Mfieri, graditi suoni pa-^ 
revano a Carlo Emariuele indispettito. Comando ad 
Alfieri, andasse al suo feudo di Magliano, e non se 
ne muovesse. Poi gli s' incomincio a fare il processo 
^el ministerio del Blancardi. Odio e rabbia muove- 
vano cestui , non giustizia : nuocevano all' accusiato 
le nimista della passata guerra civile non ancora 
spente; la sua fedelta verso Gristina, ^d il pupillo 
Garlo Emanuele il pregiudicavano. Livorno pareva 
implicate nei falli , che s' imputavano al generose e 
forte Alfieri. In grazia del padre Pianezza il velevano 
esentare. Seppeselo Livorno , dell' infelice ed inne* 
cetite generale gl' hicrebbe, sdegnossi ed arrossi dell' 
esenzione, vergognosa e vile chiamava lagraeia. Pub* 
blico uno scritto in favor dell' A)fieri^ di8<»evi cose 



LIBRO VIGESIIMOTTAVO. — 1 672. Qo5 

crude, roa vere contro gli accusatori. Ciafececolpo, 
nwon di giustizia, ma di odio; gih si vodferava, che 
Livorno sarebbe tirato nel processo , giJi si prepara* 
vano due palchi per due teste. Livorno per motivo 
del padre aado viaggiando in Francia, il nobile, vec- 
chio ed incolpabile Alfieri mori in carcere : il Piemonte 
nbn ebbe ad inorridire per quell' innocente sangue. 
Ma la sentenza di niorte fu pronuhziata contro am^ 
bedue. Yennero poi altri tempi so tto la duchessa Gio* 
vanna, fecesi revisionedel processo, Alfieri e Livorno 
restarono assoluti. Blancardi, per alduni suoi scritti 
contro il governo, fu carcerato, e condannato a morte, 
e tagliatagli la testa. Cosi fini la tragedia. Chi pagasse 
lo storico Gerolamo Brusoni per dire tanto male di 
Catalano Alfieri, io non lo so, ma lo presume. 

Oltre il danno pubblico, i pianti degli amici e pa- 
renti uccisi in Castelvecchio contristarono tutta la 
citta, ponendo persino, come fu scritto, in appren-* 
sione di qualche maggiare inconveniente con pregiu- 
dizio della quiete dello stato. 

Ma non per questo si sconforto il duca , ne fece 
deliberazione indegna del suo grado e del popolo, 
cui reggeva ; anzi costanza a fortuna contraria oppo- 
nendlp, mando^ tosto fuora ordini per provvedere for- 
teinente alle cose afHitte. Fece subito spedizioni per 
tutto il dominio per adunar nuova gente con oflFerte 
di denaro e di franchige ai piii puntuali , e con mi- 
naccia di castighi severissimi ai renitenti ; concesse 
mdltiplicate patenti di nuove leve a capitani valorosi, 
tiliiamo specialmente alFarmi tutte le milizie, che si 



' * 



ao6 STORIA. D ITALIA. 

poterono racconre in un bisogno tanto urgente, ai 
confini del Genovesato. Ne le cose esteme trascurb. 
Invio conrieri ai duchi di Baviera, Mantova e Parma, 
suoi alleati, per ottenere nuovi soldati; alle qiiali 
requisizioni quei sovrani condescesero facilmente, ed 
i loro soldati senz'altro indugio alia volta del Pie- 
monte gia s'incamminavano. Stavagli massimamente 
acuore 1' assistenza del re di Francia, tanto potente 
era il suo nome, tanto potenti le forze! Lo mando 
pregando , fosse contento di mandargli qualche sussi- 
dio di mare, afEnche la repubblica restasse impedita 
dall'impadronirsi, col vantag^o delle sue galee, di 
Oneglia, e dal molestare Nizza e Yillafranca : le quali 
preghiere del duca furono dal re favorevolmente 
udite, e gia nel porto di Tolone si andava allestendo 
una flotta destinata a frenare gl'impeti del G^novesi, 
ed a servire di fondamento alia mediazione, che gia 
meditava, quando fosse venuto il tempo di metterla 
in opera. 

Dair altra parte i Genovesi fatti piii arditi dai suc- 
cessi di Gastelvecchio, e volendo prevenire i moti 
del re di Francia, di cui si vedevano i segni in To- 
lone, indirizzarono Tanimo, e rivolsero tutto lo sforzo 
delle armi ad acquistare Oneglia. A '^uesto Jpie il 
generale Durazzo si era trasferito al porto Maurizio 
per condurre da luogo piii vicino ¥ impresa. Per 
mare e per terra ne voleva tentar I'espugnazione. Con 
le galee e con le tre navi annate in guerra teneva 
chiusi gli aditi ai soccorsi dei viveri, mentre alcuni 
brigantini piii leggieri di nottetempo in ogni piii ri- 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. — 1 672. ^O'J 

posto ricetto vicino a terra sguizzando, prevalevano 
contro i tentativi delle navi minute. A questo mode 
niuna speranza di soccorso marittimo restava ad One- 
glia. Ghiusa la via del mare , penso il Durazzo a ser- 
rare quelia di terra, e per mezzo di vicentello Gen- 
tile s' impadroni degli aditi , che dal Piemonte portana 
nel principato d'Oneglia. A prima giunta si fece pa- 
drone del luogo di Carpasio , i cui consoli andarono 
in porto a giurare fedelta ed ubbidienza alia repub- 
blic^, poi esegui il resto. Nel tempo stesso, che fu 
agli undici d'agosto, da porto Maurizio e da Diano, 
che tengono in mezzo Oneglia , partirono le forze per 
soggiogaria, il Fedriani dalla prima citta, Giovanni 
Pratp dalla seconda. Entrarono nells valle , ed a fu- 
rore di scorrerie , di minacce e d' assalti vi turbarono 
e spaventarono ogni cosa.L'intento loro era appunto 
di spaventare il contado e la citta per ridurla piu fa- 
cilmente alia dedizione. Si proponevano eziandio di 
far in modo col terrore, che le comunitk andassero 
a giurare fede ligia in Porto in mano del Durazzo; im- 
perciocch^ intenadone del senato era , non solamente 
di acquistare , ma ancora di serbare Y acquis tat o. Al 
terrore cagionato da Prato e da Fedriani s'aggiungeva 
quello del Turdb, che trascorrendo da'^ar suo quelle 
infelici terre era autore, che ancora piii si soffrisse 
che si temessie, sebbene la temenza fosse estrema. 
Prato conquisto tutta la valle col marchesato del Maro, 
Fedriani il contado di Prela. 

Queste cose fatte , strinsero Oneglia, alloggiandosi 
a&sai vicino alia piazza. Per ordinazione del Durazzo , ^ 



3o8 8TORIA o'lTALfA. 

Restori prese le sue stanze nel ppsto della marina con 
mille soldati Gorsi; Ambrogio di Negro nel posto dl 
Sao Mauro con circa ottocento fanti Genovesi, quasi 
tuUi di leva del senatore Gerolamo Spinola; GioyaEBni 
Prato in quello di Sant' Agostino con una schiera di 
pill di un inigliajo di combattenti tra Italiani e Gorsi. 
Un corpo volante di seicento soldati ieggieri coman- 
dati da Gian Francesco Pallavicino Serra, se ne stava 
parato ad accorrere ai casi improvvisi. Lc navi so- 
pravvegghiavano il mare , e serravano il pbrto. ^ 

Oneglia era commessa alia custodia del conte 4' 
Gastelgentile , che aveva pelt sussidio deila difesa 
intorno ad ottocento soldati tra Svizzeri, Francesi e 
Piemontesi con'provvisione sufficiente di viveri e di 
munizioni ed attrezzi militari lasciati d^ don Gabrieie, 
quando vi scese T ultima volta, cacclato dalle alture 
di Stananello. Le fotrtificazioni d' Oneglia erano di 
poca considera^sione, ma tali per^ che se non davano 
speranza di r^sistere lungo tempo, offerivano mezzo 
di propulsare il nemico per qualcbe giorno per ve- 
dere almeno, se dal Piemonte si pensaya al soccorso. 
Ma ii Gastelgentile, poco badando a quanto la fedelta 
verso il principe ed il debito di soldato Y obbligavano, 
senza aspettaH'e nemmeno , che si 4aoesse qualche 
approccio, o batteria si apprestasse, tratto di iare 
appuntamento col nemico. Mando pertanto fuora due 
padri agostiniani , i quali sventolando bandiera bianca, 
mostrarono di voler trattare della resa. GoAdotti al 
porto Maurizio alia presenza del Durazzo esposero,. 
essere mandati per introdurre pratica di capitolazione. 



LIBRO VIGESIMOTTAYO. 167a. ^09 

Fu risposto, che gli aflbri dell' armi non si trattavano 
co' frati^ ma che si darebbe orecchio ai govematori 
djtWa piazza^ se fira il termine di due ore fodsero com- 
parai. Vaanera il comandaate della cavaUena d' One* 
glia, ed il cotite Tana« cometta. Sopfaggiunsero poi 
gli aidziani e i ^eputati della cittii ^ i quali esposero la 
prontezsa dei cittadini nel riceyve le leggi della re- 
pubblica. 

Ai quindici d'agosto fu concliisa nel porto Ma»- 
rizio tra Gianluoa Durazzo , commissario della repnb- 
blica ^ edon Antohio Castelgentile , gOTematore d' One- 
glia pel duca di Savoja^ per fa dedizione della piazza / 
una. oonvenzione con condizioni gravi pei nemici di 
Geno^na. 

GonsQgnerebbe il Castelgentile il giorno stesso dei 
quindici d' ago&to al Durazzo la detta piazza con tutte 
le baiidiere, artiglierle, artni, munizioni e bastimenti , 
che fossearo in essa e nel porto ; 

I Piemontesi del presidio resterebbero prigionieri 

di guerra, agli esteri fosse permeaso di andarsene, 

nia ptrik senz' armi alle case loro , e sotto fede di non 

militare in qneste guerret contro la repubblica ; 

' Dnrazzo riceverebbe il popolo ed abitatori di One- 

glia ^tto il dotjiinio della repubbliea a discrezione , 

sal^K) pero Y onore e la vita 5 e con liberta di assogget- 

targli m tutte quelle contribuzioni ^ imposizioni , taglie 

e grayami, che a lei piacessero« . 

Per onore delle armi Piemontesi , come se il mi- 
gllor onore non sarebbe stato quellp di prupvarsi in 
li^tfaglie, e fiire sperimento dell' armi col nemico^ 
VI, '14 



tllO STOKIA D ITAUA. 

Castelgentile anzi ridicolosamente che no chjesc ed 
ottenne dai Durazzo, che prima di usciredalia piazza 
€ol presidio, i Genovesi facessero segno con una fu- 
mata^ e tirassero un colpo di cannone. La qual cosa, 
non fatto pero altro legame che semplice promessa 
senza scritto, essendosi eseguita , alle ore quindici 
del giorno seguente»usci la guemigione dalla terra, e 
le armi Genovesi vi entrarono. Durazzo , servito da 
tutte le galee , sbapco in Oneglia, ricevutovi a grand' 
onore, cosi dal governatore Castelgentile, come dagli 
anziani del comune. Gli anziani medesimi con tutto il 
consiglio municipale giurarono vassailaggio verso la 
repubblica. Sul bel principio del nuovo governo, e 
come per primizia la citta fu tassata in trentamila , e 
la valle in ventimila pezzi da otto sotto pretesto, che 
fossero stati esenti dal saccheggio , come se uno dei 
fini necessarj , ed indispensabili della guerra fosse il 
saccheggio, e saccbeggiare , cio^ rubare si dovesse 
chi non si difende. Senti molto amaramente il duca 
la perdita cosi subita di Oneglia, e crucciatosi contro 
il Castelgentile il danno all' esigliocon sentenza di 
morte, se tornasse, e confiscazione di bcini. 

I Genovesi , fatto maggior animo per la prosperita 
della fortuna, disegnarono maggiori progressi, e ad 
ulteriori fazioni andarono. Pensarono in primo luogo, 
che la vittoria dovesse indirizzarsi al fine di castigare i 
Brigaschi. Grande era Y odio , che nutrivano contro 
gli abitatori della Briga, per essersi questi in ogni 
caso ed in ogni tempo dimostrati nemicissimi del 
nome Genovese. Oltre a cio il villaggio della Briga 



.. I 



9.. 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. 1672. 211 

era situato sur un passo importante dal Piemonte 
verso la riviera. Andovvi il Restori, e dopo qualche 
contrasto fatto dai Brigaschi, se ne impossesso con 
prehder prigione Antonio Lascaris , signore del luogo , 
cui mando al porto Maurizio e poscia a Genova. Pre- 
sero i Genovesi anche Perinaldo , ma con assai mag- 
gior sangue che la Briga ; imperciocche i difensori , 
trinceratisi nelle case, ed occupate alcune fortifica- 
zioni 9 menavano grande strage degli aggressor! , ful- 
minando contro di essi coi moschetti e coUe spin- 
garde una spessissima grandine di palle dalle finestre, 
dai tetti, dai campanili e da ogni parte. Finalmente, 
essendo arrivato un nuovo rinforzo di gente fresca ai 
Genovesi, messo fuoco alle porte, vi entrarono per 
forza, e posero la terra miseramente a sacco. Mag- 
gior male vi avrebbero commesso, se per mezzo di 
un religioso non avessero con un donativo al coman- 
dante fermata la rabbia del vincitore. I luoghi d' Isola 
e d' Apricale seguitarono la fortuna del vincitore con 
aver cambiata la croce di Savoja in quella di Genova. 
Pill vincevano i Genovesi, e maggior inclinazione 
aveva il duca di Savoja al resistere ed al riscuotersi, 
non potendo sopportare con animo pacato, che Tonore 
delle sue armi restasse oflfeso da tante percosse rice- 
vute da un nemico certamente per la ristrettezza de- 
gli stati assai meno potente di lui , e che gli pareva 
troppo immoderatamente favorito dalla fortuna. I 
suoi popoli armigeri e bellicosi di natura alia sua voce 
volentieri accorrevano, e per rivoltare le sorti contro 
il nemico, che ipsultava, postisi sotto le insegne, 



«I2 STOBIA D ITALIA. 

Terso le mmta^e della Ligtiria concorrevatio. Poco 
diiTBToIe era stata rafHizione partorita dai recenti in- 
fortunj, suporata facilmente dal desideriD di rinte- 
grare 1* antica fama dei Picmaontesi in guerra. Il duca 
non mancava ai popoli , ne i popoli al duca* 

Fra il tumalto nuoTo e Tardore in tutti soscitato^ 
il duca, e i suoi consiglieri andavano pensando quale 
iodiriaio si dovesse dare alle fazioni ttiilitari« Si fer- 
marono in questo pensiero, ehe poichci le montagne 
della riviera di Ponente erano cosi difBcilmente vali- 
cabili pei fanti^ a niun modo agevolt per la cavalleria, 
poco per t'artiglier\a, fosse da itltraprenderki 1a guerra 
suUe due estremit^ , cioi dal coritado di Nisiza e dalle 
pianure della Lombardia. Con questo intento il roar- 
chese di San Damiano, governatore di Nissa, aVeva 
racGolto un corpo di circa tremiial soldati tra bande 
paesane e reggimenti d'ordinanza, e con essojiiinac- 
ciara la frontiera di Ventimiglia. 
^ Davano maggior gelosia ai Genotesi da questa parte 

le intenzioni del re di Francia, che si andavano uu 
gtorno pill che V altro scoprendo. Aveva gii^ egli 
mandato il signore di Gomoht a GetioVa pet* trattare^ 
come mediatore, la pace fra le diie parti belligeranti; 
ma innanzi che i negoziati fossero ^ non che ccmdiitti 
a perfezione , coitiinciati ^ aveva scritto nelU seguente 
conformita al conte di Yivonne^ ^omandante delle 
sue flotte nel M editerraneo : u Ho mandati i miei or- 
« dini al signor di Gomoilt j gentiluomo ordinario 
cc della mia camera, di fare istanza in mio nome al 
^ « mio fratello e cugino il duca di Savojd^ e al duca e 



\^ 



*".'*- 



.iK.. 



LIBRO VJQESIUJOTTAVO. — 1 672. 21 3 

(( senate (Ij (JeqoVfi per ter|t)inare le differa^i^e , che 

a so no fra Jpro, e depor^e le ar^ii; ad ancprcba ip 

« non dubiti punto, ch'ieglipo sianp par cpndescan-* 

<c dere volentien alle mie istanjce, ndndimano, sic- 

(c coiiie potral^ba a&sere , che il dqca e senate di Ge- 

(( nova vi f4ca$serQ qualohe difBeolta, io ho valuto 

« fare que^tfi lattera per dirvi, ch'ip yoglip, cha la 

<c seconda sqqadra dalle inia galee, cha dovara partire 

c( nel termine di pophi giorni ,* cominci la sua naviga- 

« zioqa per la riviera di Genoya , e chq non permetta, 

« che le galea di quella rapubblica assaltino alcuna 

<c delle piazze del mio suddatto fratello e cugind, e 

« che qu^ndo il datto signor di Gomont, secondp 

a I'ordioe, che g|i ho dato, vi faccia sapare, cha In 

« datta repubblica non voglia aassare dalle o^tilita e 

cc deporre le armi , in questo^caso voi avarete ad im-^ 

<c p^dronirvi di tutte le galee e barche, cha appar* 

(c tenganoa datta rapubblica, e suoi sudditi, e dasi- 

ccdero, che pubblichiata I'prdine, che yi do sopra .4^ 

tf cio, e m'a$sicuro, cha vat senz' altro esaguirata 

« puntualmente qi^esto, che e di mia volonta. » 

Con queist' ordine, che fix pubbliaato, il re di Fran- 
cia restringavai considarabilmante i me^i di guerra 
dellarepubblica, mentre npndavanissuoaliniitazione 
a quei del duca; dal che risultay^ evidantemente, 
che spogli^iidpsi della qili^litl^ di fpedi^fpre giustp ^ ^ 

inclif]krente , vaniv^ a favorire pip una parte phe I'^J- -^ ^ *4 
ira; onde que^ta si confpftava, quella si sponfortf^V^ : 
i Genovasi teinevano, cha Luigi fps^^ ^11^ fine par 
pr endere la gH^rra per Carlo Em^nuale, 



!2l4 STORI/L d' ITALIA. 

Dair altra parte il duca ayeva congregato nelF Asti- 
giaiul, principalmente in Asti ed in Canelli seimila 
fanti emille cavalii, e dato in goverao i primi a don 
Gabriele, i second! al marchese di Livomo, succe- 
dendo queste cose innanzi che il marchese per le vi- 
cende da noi raccontate di Catalano Alfieri , fosse ve- 
nuto in disgrazia della corte. Proponevansi i generali 
del Piemonte di far passata ad attaccare con quelle 
genti fresche Y inimico in Novi ed in Ovada o per 
conservargii o per ricompensare con essiOneglia. {Ira 
bens) gia arrivato in Genova il Gomont e messosi a 
negoziare secondo le intenzioni del suo signore per 
quietar le cose tra Genova e Savoja. Ma prima che ie 
parole venissero a conclusione, le due parti nemiche 
maneggiavano le armi, con maggiore alacrita il duca 
che la repubblica, si perch^ meno temeva del re Luigl 
per essergli piii amico, si perche nutriva desiderio di 
compensare con fatti gloriosi i successi sinistri occorsi 
sino a quel giomo.Yoleva avacciarsi ed avvantaggiarsi, 
acciocche le cose tra iui e Genova restassero meglio 
bilanciate. 

Per la qual cosa il marchese di San Damiano, mos- 
sosi da Nizza , era venuto insuitando 1' estrema fron- 
tiera del Genovesato dalla parte di Ventimiglia, dove 
per hi morte d' Ottavio Maria Doria , reggeva le armi 
Giovanni Prato , che gia nei fatti d' Oneglia aveva di- 
mostrato quanto valesse uel pericoloso mestiero di 
soldato. Quivi successe una guerra, il cui governo 
ebbe molte varieta. Si commettevano frequenti e roo- 
Icsti abbatliuicnti tra quei di Dolceacqua, marche- 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. 1672. !il5 

sato suddito di Savoja, coi popoli Genovesi di quei 
confini. Per frenare i loro avversai*} i capitani della 
repubblica avevano fatto un grosso alloggiamento a 
Camporosso , ma non tale che potesse fermare t' im- 
peto delle forze raccolte dal San Damiano. Si era 
quest! fatto avanti , danda gelosia a tutta la froatiera , 
senza pero accennare chiaramente a quale special' 
parte intendesse ferire. Ma non indugio molto a sco- 
prirsi; perciocch^ fatto un inoto improvviso, dopo 
d'aver racquistato Perinatdo^ mando il capitano Bal- 
dat con una grossa schiera ed accompagnamento 
d' artiglieria ad investire la Penna , terra situata sulla 
sponda della Roja con un forte ciastello, e che serve 
quasi d'antemurale a VenUmiglia. Andando alia sua 
fazione, Baldat mise a ferro ed a fuoco le campagne, 
riempiendo ogai cosa di fuga e di terrore. Approssi-* 
niandosi alia piazza, gli riusci di far prigioni due fi-^ 
gliuoli ancorsi di tenera eta del capitano Gerolamo 
Gastaldi, die vi stava denlro. Il capitano Niccolo 
Corsalinoaveva il governo supremo della terra e della 
fortezza. Costui, o fosse paura o fosse tradimento voleva 
arrendersi, ma trovo intoppo nel Gastaldi, risoluto di 
morire piuttosto che di consentire alKindegna dedi- 
zione. Corsalino dopo un andare e venire tra Penna e 
il campa Savojardo, se ne rimase finalmente con chi 
faceva guerra a chi il pagava. Baldat si era avvicinato , 
ma i difensori col moschetto e con la spingarda il te- 
aevano tanto lontano dalle mura^ che non poteva 
aivanzarsi a cosa, che gii facesse sperare il buon esito 
della fisizione. Non potendo con la forza ridurre il ne^ 



ai6^ sToniA d'jtaua. 

mico a sua volonta, si diede di nuovo a devaslare ed 
iofuocare barbaramente yille e campi , sperando con 
questo terrore di romper V animoNlei difeosori di 
Penna , ed ottener la piazza ; desolo anohe due chiesid 
in poca distanza situate^ anai attinenti alia terra. 
. Questi erano atti di barbaro; aggiunse una dinios» 
trazione piii barbara ancora. Mando dicendo ml Gts^ 
taldi, il quale, iuggito Gorfialino, era riinasto al go- 
verno della piazza, ohe se non la dava, avrebbe fiitto 
impiccare i suoi due figliuoli, e si , ebe fece piantar le 
forche in faccia alia terra, e condurvi i due figliubli, 
come se aresse volato dargli in quel momento stesso 
in mano del carnefice. Il misero padre mirava daU' 
alto delle mura lo strazio, che s* apprestaya de' suoi di«* 
letti ^rmi , cioe di se stesso , anzi piii di se slefio. 
Ma il dolore non supero il dovere , sttette il 6ii|faidi 
intrepido al miserando spattacplo, e npn che si pie* 
gasse, codforto i sixoi aul incontrave piuttosto una mor te 
dnorevole, che ad eleggere il vile avanzo di una^tta 
macchiata di disonore. Per me, disse, sonmi al tutio 
risoluto; gia dedicato ho il mio sangue aUa pairia, 
ora volentieri ancora le dedico queUode* miei^U. 
Cosi dicendo s'^^lnfierl, e mando palle al ntoijco. Bid* 
dat^ vista 1^ miaaccia vona, si rimase daU' opera oiw 
renda , e conservo la prole a coliii , €he piii di lei 
amava la patria. ' 

AcoorsaK) in ajuto del prode'e virtuoso ^Sastaidi 
Fedriani co' suoi Corsi, Prato oo' suoi Genovesi; la 
venuta dei quali seqtendo il capitano del duca , penso 
a levare ilxampo, andando non s^iaa soompigliae 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. — 167X * 217 

precipitazione a Sos^ello. Resto in potere dei Geno- 
vesi buona parte deijbagaglio, armi e munizioni con 
due carcetti di sagri portati per battere il cagtello, il 
quale, siceome posto in site alto ed accessibile da un 
solo la to 9 poteya fare una lunga reid&tddsa. 

Liberata Penoa , Prato si accinse a conquistar Dot 
ceacqua,' portando in tal modo la guerra dalle rivc^ 
dellaKoja 8u quelle della Nervia. Era la fitagione gia 
trascorsa alia meta di settembre. S'impadroni dd 
bbrgo, gia batteva col cannone e col moschetto \^ 
mura della piazza difega con vaiore dal tbarchese 
d'£ntracqua, che aveva con se settecento buoni 
fanti di ventura. 

Nuove importanti soprav venule da altre parti fe- 
cero cessar i G^noveai dalla ben cominciata , ma tut- 
tavia ardna iihpresq. I due commissar] generali della 
repubblica Gerolamo Spincia, e Ben^ardo Balbiano 
sostituiti al Durazzo ed al Genturione, che avQvano 
compito il loro tempo d' ufScio , avevano avuto a vviso, 
che era in viaggio on valido soccorso di pietnontesi 
per ia montagna di sopra, e che dalle parti della 
Vieve. ingrogsavano le genti di iS^voja per andare al 
racquisto d'Oneglia con rassistenza ddl^ galee di 
Francia, che in quell' istesso tenrpb si vedevino an-* 
dar oosteggiando la riviera da Viilafranca a qnella 
volta. Sollevati da questa nuora tempesta , e consMk- 
rato, che meglio 6^»e conservare cto, che si possis*- 
deva, che incontrar nuovi pericoli in cerca deiraltroi, 
s{)edirono ordtne a Prato di ritirare il campo da Ool- 
ceacqua, e af;tendere unicatnente alia sicurezza di 



2l8 STORIA d' ITALIA. 

quella frontiera, massime di Yentimigiia. Perloche 

uniformandosi alia volonta suproma, Prato levossi da 

Dolceacqua, e con buon ordine procedenda>gia era 

arrivato a Gamporosso, dove si dava a ruifrescar i 

soldati stanchi , quando senti subitamente un toccarsi 

furioso air arme. Questi erano i Piemontesi, che 

iisciti da Dolceacqua, e ingrossati dal soccorso, che 

avevano aspettato, venivanoper dargli addosso. In 

queirimprovviso accidente, che porta va con se un 

gravissimo pericolo, armossi, chiamo i suoi alia bat- 

taglia, gli condusse al nemico, cui con tanta furia af- 

fronto , che lo costrinse a partirsi vinto dal campo , ed 

a ridursi di nuovo in Dolceacqua. 

La guerra molto mista sulle Alpi marittime nonera 
ancor giunta al suo fine. Antonio di Savoja con sei- 
inila buoni soldati accumulati a quei giorni ando ad 
una seconda oppugnaziohe di Penna. Seppelo Prato, 
e s' apparecchio a stornarla. Aveva con se solamente 
ottocento uomini, ma corse tacitamente , viaggio di 
notte, sorprese il nemico, Tassalto da due parti, il 
mando in rotta. Pure finalmente i Piemontesi s'accor- 
sero, quanto poca gente gli cacciasse/voltarono la 
fronte, affrontarono chi gli fugava. I Genovesi vol- 
tarono le spalle, tirando con se nella fuga il generoso 
Prato, che con la spada in mano non voleva cedere. I 
\incitori s' impadronirono degli alloggiamenti del ne- 
mico, dove trovarono molte bagaglie, armi e muni- 
zioni. 

--Non scoraggissi il capitano Genovese per tanta 
sconfitta, risorse piii fiero il dimane, prese Brecco^ 



LIBRO VI6ESIMOTTAVO. 1672. 21^9 

silo posto ai fianchi di Penna. I difensori di quest' 
ultima terra rincuorati dalla prossimita del soccorso , 
fortemrente si dlfendevano ; ma troppo piii che non 
era necessario, prevalevano i Piemontesi di forze : 
Penna assai pericolava. Arrivarono ordini dai com- 
missarj a Prato , cessasse ed a Ventimiglia tornasse. 
Non obbedi. Sparse artatamente voce^d' avere ricevuti 
grossi rinforzi portatigli da due galere recentemente 
arrivate; don Antonio il credette, il Genovesel' as- 
sai to. Tra il vigore dell' assalto , e la fama sparsa il ca- 
pitano di Savoja s' intimori, e levo scompigliatamente 
il campo, di cui i Genovesi s' impossessarono con * 
tutto Tattrezzo militare lasciatovi. Penna resto libera; 
il prospero successo scuso Prato appresso il senate 
della disubbidienza. Un fatto barbaro , anzi un delitto 
atrocecontamino la vittoria dei Genovesi : trucidafono 
a sangue freddo i prigionieri Piemontesi, detestabile 
beccheria. Cosi erano vessate Y Alpi marittime. 

Mentre queste cose succedeyano sull' estremo con- 
fine verso Nizza, i Piemontesi ingrossati suUe Alpi 
della Briga, Ormea e Garessio, s' ingegnavano di 
farsi strada alia ricuperazione d' Oneglia, che molto 
stava a cuore al duca. A questo medesimo fine prin- 
cipalmente per motivo di d^ersione a favore del ri- 
covero d' Oneglia tendevano le mosse de' suoi gene- 
rali verso leregioni bagnate dall'Orba, e particolar- 
miente contro Ovada. Aveva il duca, per cdnseguire il 
suo intento, fatto una congregazione di seimila fanti 
e cinquecento cavalli ai confini d' Asti, ne spinse una 
parte sotto il conducimento del conte M affei alia 



220 STORIA D ITALIA. 

volu di Ovada. Yersava questa terra in grave peri- 
colo per esser cinta di debole muraglia senza fianchi 
o t^rrapieno con borghi moho viciini e vasti senza 
alcun riparo. Ambrogio Imperiale aveva dentro ii 
comando d^lV armi, i^apitanp gia conoaciuto per 
avere con molta Ipde militato in riviera; pochi ^sol- 
dati in debole Jl^i^rra. I Savojardi investirdno aH'iin- 
provviso i borghi* ma tjrovarano resistenza tale che 
furono neci^ssitati a ritirarsi senza aver fetto altro 
che r incendio di alcune case : andarono a quartiere 
nella valle di Grigliano e San Lorenzo feik la rocea 
Grinmlda e Cremolino. Ma minacciati da una grossa 
schiera mandata lord incontro dalP Imperiale e gui- 
data dal colonnieUo Marini e da Gerardo Sjiiiiola , e 
commossi dall'essersi da to nelle vicine eampagnea 
eampana a marteilo, si tiracono indietro iosino ad 

Acqui. , i 

Miglior Ventura incontro il marcbese di Livorno, 
it quale uscito da Canelli con buon numero di fanti e 
di cavalU, e condpttosi a Sassello, il prese senza fa^ 
tica, saccheggiollo ed arselo, essendosi d^Ha solda- 
tesca usate crudeltk troppo graiidi insiho contro aUe 
chiese ed altri luoghi saci*i. Mami^ a Toriiio, oitre 
una grossa preda ^ quattro piceioli ^nnoni. 

Pervenute queste notizie a Geiiova , e desiderando 
la giunta di guerra dare maggiore assi^tenza alle OMse 
di Lombardia, elesse coniaussario generalc in quelk 
parti il senatore Cesare Gentile, uno dei procaratori 
perpetui, soggetto di singolari prerogative, e di 
molto zelo delta salute comune. Parti ogli da Genova 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. — 1 672. 921 

il di secondo d' agbsto , ed elesse per sua stanzas la 
terra di OaTi conaVer coridotto con se qUaldhd ^dU 
dalesca di fok-tunk e buon nuntero di it)ili»e ftcelte. 
Rinfbi'za priiiiieranlente il presidio di Novi, ddve 
comandflva il fnaesti^ di caitpo 6inseppe Serra, che 
gia aveva fortificato il castello ddtl ripsiH di tefra, 
secgndo che il sito permettera. Accdmodato mddd di 
guerra ayera elettd il Gentile , perdhe nott pof endo 
avVenturare le sue genti a combat timen to catnpale, 
ue s' impegndre ad impre^ decisira, pei^ ndd AVer 
cavalli ad oppdrre ai Pietnontesi, e prevalendo anch^ 
quirsti di artiglier\e, che facilmetite pdtevano ttia- 
neggiare hi quelle cdmpagn^ piand fort^ate dalF apSr- 
tura degli Apennini^ si contenne detitro ai ludghi 
f(nrti, e nfei passi piii aspri delle hiotitagne. Fecie pdi 
scavare e passare molte mine sotto ii ludgo d' Ovada 
p^* mandarlo in aria^ quando ^1 nemico accaded^e 
d' impadroniiSene. . • 

Don Oabriele di Savoja giiintd sul prindpid d' dt- 
tdbni a Cati^lii oo^ tutto reserclto^ si ktidsse quasi 
siibitd , ^ sul mezzo giortid dei di^di dd med^sittio 
mese comparve itl bella ordinanza alia vista d' Otada. 
Si attacfco tra r una parte e V n^tta uh' ardente 9(;ara-^ 
muccia^ nella quale edsendo i Savdjafdi Htna^ti su- 
perior! ^ entraroho pel cdnvento dei dappuccini , e si 
alloggiaronb nei boi'ghi. Don Oabriel^ feed la dhia- 
mata airimperiale; ma pi*dp6nendo condizioni^ che 
al Genovi^se pabv^rd insopportabili , idi venne nuova- 
ihente al fiioco ed al ferrd. Imperiale ric^orde iillo spe- 
rimelito della mina , la quale accesa con orribile fra- 



!iatl STORIA. D ITA.LIA. 

casso sconvolse i borghi , e sbalestro in aria molti 
corpi di Piemontesi. Quattrocento rimasero estinti, 
fra i quali si numerarono non pochi ufBciali di qua- 
lita, il barone di Demonte, il conte di Canale, il conte 
di Beggiamo, il cavaliere Gromo. U capitano di Genova 
si ritiro nel castello dopo d' ayer mandate fiiora il 
pill delle sue genti con avviso, che andassero a |rat- 
tenersi nel contado di Tagliolo , feudo dello state di 
Milano , per accudire a quanto fosse necessario. Don 
Gabriele diede opera a fulminare con le artiglierie il 
castello con gravissimo danno dei difensori, massi- 
mamente per le pietre, che venivano percosse, rotte 
e disperse dalle palle. L' Imperiale vedendo del tutto 
disperata la difesa , cerco di salvarsi co' suoi per la 
porta di soccorsp. Usci in fatti, nia con infelice sue- 
cesso ; perche sebbene egli giungesse a salvamento in 
Tagliolo, i compagni, nominatamente it sergente 
maggior^ Cialli , ed il capitano Pietro Morle , Corso , 
perseguitati dalla cavalleria, che infestava la con- 
trada all' intorno , furono fatti prigioni. Don Gabriele 
resto padrone di tutta la terra e del castello. S'ado- 
perarono in queste fazioni contro Ovada molto segna- 
latamente il conte Olgiati ed il conte Brichanteau. 
I Piemontesi presero nel castello alcune munizioni , 
viveri, spingarde e piccioli pezzi d' artiglieria , che 
mandarono al duca in segno della vittoria. 

Espugnata Ovada, don Gabriele si avvento contro 
i siti di Rossiglione, Romorto e Paladesa, famosi per 
gli accidenti della guerra ai tempi di Carlo Enianuelel, 
e che i Genovesi avevano con molto studio fortificati. 



LI6RO VIGESIMOTTAVO. 1672. asS 

Prese Paladesa ,' urto in vano Bomorto : si ostinava, 
voleva venire ad un secondo assalto; ma sopravven- 
nero in quelF istante novelle, essere stata aceordata 
una sospensione di offese tra il duca e la repubblica. 

Abbiamopiu sopra accennato come il re di Francia , 
a cui non piacevano quei romori di guerra suUe fron- 
tiere d' Italia, aveva inviato a Geneva per terminare 
con la sua interposizione le difTerenze fra i due stati, 
il signor di Gomont , suo gentiluomo di camera. Era 
gia insin quando ancora bolliva piii feroce il conflitto 
fra le due nazioni, arrivato nella capitale della Li- 
guria il Gomont, che alloggiato in casa di Gianpietro 
Spinola , era quivi trattenuto a spese pubbliche con 
isquisite dimostraziotii di cortesia. Cio era e dovere 
d' ospitalita verso 1' inviato d'un gran re , e mezzo di 
renderselo benevolo. Espose al senato, avere gia 
esplorata I'intenzione dd duca diSavoja, e trovatala 
in tutto Conforme ai desiderj del re ; desiderare il re 
la pace, per incominciamento della quale pi^pdheva, 
che si sospendessero le armi colla restituzione d'One- 
glia al duca. 

Fu risposto, non essere il senato alieno con Tanimo 
dalla Concordia , desiderarla anzi ardentementey tro- 
varsi pronto a secondare le intenzioni del re col fermare 
subito le armi ; ringraziarlo dello avere ammesso nel 
suo reale anfTno la cura della repubblica ; ma quanto 
alia restituzione d' Oneglia , pregare sua maesta^ ac~ 
cio fosse contenta di riflettere , quanto la detta resti- 
tuzione ofifendesse la dignita pubblica, quanti e 
quanto gravi danni avesse soflerto Genova per la 



■i~ 



aa4 STORli D ITALIA* 

guerra ingiustamente niossale dal duca di Savoja, 
qual fomento esso duca avesae datd alia detestabile 
eongiurazione di Raf&ele della Torre; che di tale 
part^ipazione e fomento la cotte di Toriao non po^ 
leva a liiisun . modo escusarsi^.staDte cbe risultava 
chiaraiklente ed indubitatanieBte dalle. scritture^ let-^ 
tere.e ricordi smarriti did conte Catalano^ quando 
parti alia sfuggiasca d^ Castelvecchio ^ e venuti in 
mano dei comandanti delta repubblioa; ohe la re- 
pubblica d^ideratd) cbe il re. prendesle cognizione di 
tali sCritture ^ lettere e ricordi ^ i^nchib potessd re- 
golare la dua reale ihediazione, come alia sUa somma 
prudenza ed equita s'apparteneva; cbe noa era 
^iusto , cbe ohi era offeso 6 dmineggiato stesse alle 
medesime condisioni di cbi aveva ofifeso e danneg- 
giato; cbe pure qUalche itidennita . erti dovuta al 
primo dal s^condp ; qbe cq^ dettavano la rsgione e 
r USD delle getiti nel fine ddle guerre. 

Furoito inostrate per ordine pubblico .da Ugo 
Fiesco e.B'andineUo Sauli le sdprammentovate scrit- 
ture, lettere e ricordi all' inviato Gomont, emtodatone 
copia ^utentiqa per corriero espre^o ai ministri della 
repubblica ftov^re e Salvago in Plarigi , acciocche il 
re ed i 6uoi ministri ne facessero consapevoli. L' in- 
viato di Franoia non si mostro soddisfatto della re- 
nitenza dolendpsi^ cbe ad un tantb rcr^i.d^sse una 
negativa, come se uyp principe piil e potente, e^mi 
^pr obbligo abbia di uniformarsi alia giustizia. Cio 
partori, cbe il senato , il quale stimo, ch0 V amicizia. 
di Francia fosse da anteporsi alia po^sessione di One 



LIBKO VIGESIMOTTAVO. •— 167a. aa5 

gtia, si delibero di condescendere del tutto ai desiderj 
del re, consentendo alia sospensione delle offese ed 
alia conclusione della pace con rinunziare ad Oneglia 
ed a qualunque compenso per le spese della guerra ; 
ma cib facendo, protesto, venire a tale determina- 
done solamente pel suo desiderio di compiacere al 
re, sperando, ch'egli aggradirebbe questa sua buona 
volontk, e che il duca di Savoja torrebbe via di 
mezzo ogni seme di discordia. 

In questo mezzo tempo erano da Parigi arrivate 
le risposte si al Gomont dal ministro di Francia 
Pomponne, e si al senato da' suoi due inviati, intorno 
alle prime deliberazioni per la ritenzione di Oneglia. 
La somma era , che il re restava capace delle ragioni 
della repubblica , ma che cio non ostante egli non 
voleva appartarsi dalla fatta risoluzione di volere la 
restituzione in integro di ogni cosa dalle due parti 
per essere gia la detta sua risoluzione fatta pubblica 
in Europa. Delio stesso tenore furono le lettere di 
Rovere e Salvago ; solo aggiunsero , che non con- 
correndo la repubblica nei desiderj di Luigi , il re 
non si potrebbe esimere dall' assistere colle sue 
arrai il suo cugino, e che tale era Y intenzione loro 
<3ata dal Pomponne, acciocche al senato la parteci- 
passero. Fu adunque accordata la sospensione dell' 
^urmi col Gomont senza nissuna limitazione o riserva, 
^Kvendo egli dato certezza per lettere venute da To-- 
nno, che il duca avrebbe medesimamente anch'esso^ 
alzate le mani dall' armi. 

Mentre si pensaf a di venire per parte di Geneva 
VI. 1 5 



126 STORIA d'iTA-LIA. 

air esecuzione del trattato, sopraggiunsero le novelle 
della presa di Ovada fatta dall' armi di Savoja. Questo 
accidente, non che rallentasse gli ordini dati per la 
tregua, ne fece anzi sollecitare 1' adempimento , sd- 
mando i Genovesi ed il Gomont medesimo, che il 
duca sarebbe convenuto piu facilraente e di miglior 
voglia alia esecuzione per avere da contrapporre qual- 
che cosa alia restituzione di Oneglia. Per la qual cosa 
Fiesco e Sauli consegnarono nelle mani delF inviato 
di Francia gli ordini indirizzati ai general! della ri- 
viera e di Lombardia, perche frenassero da ogni parte 
r armi , e cessassero da ogni ostilita dentro lo spazio 
dei ventuno e ventidue ottobre. Gomont prometteva 
ordini consimili da parte del duca, avendo spedito per 
maggiore prestezza il suo proprio valletto a Torino. 
U duca rispose con qualche ambiguita, avere bisogno 
di tempo per bene considerare la cosa; stargli a cuore 
r uniformarsi alia volonta del re. 

La cosa era bella e considerata. Carlo Emanuele 
covava un disegno. Gli pesava il riconoscere la resti- 
tuzione di Oneglia dai Genovesi , non dall* armi pro- 
prie. Gli pareva ed era veramente piii onorevole, poi- 
ch^ cosi si chiama talvolta il prezzo del sangue , il 
ricuperarla da se. Cio vendicherebbe intieramente 
I'onore delle insegne oscurato dal fatto di Castel- 
vecchio, e gia incominciatosi a restituire da quel 
d' Ovada. Raccolto con ogni celerita da tre in seimila 
paesani sul confine del Piemonte, specialmente dal 
Mondovi, verso la riviera di Genova, diedegli a go- 
vernare al marchese di San Giorgio. Yi aggiunse un 



LI6RO VIGBSIMOTTAVO. 167a. tia^ 

buon nervo di genti d' ordinanza , fra le quali si os- 
servava il reggimento della croce bianca , composto 
per la maggior parte di veterani Francesi. Comando 
al marchese , entrasse nella valle d' Oneglia per quel 
passo , che per la natura de' luoghi e per le stazioni 
dei Genovesi stimerebbe piu agevole. Fece intendere 
al San Damiano , romoreggiasse dalle parti di Venti- 
miglia. 

La fazione bene ordinata fu anche bene condotta. 
I Pien\onte$i diedero aU'arine nel tempo medesimo 
su tutti i varchi dei monti, che circondano quasi in 
guisa di corona la valle d' Oneglia : San Damiano si 
fece ad assaltare per la terza volta Penna. I Genovesi 
se ne stavano con qualche rilassatezza per la sicurta 
data della sospensione dell' armi.- San Giorgio insul- 
tava ai passi di Nava e d' Ormea , accennando alia 
Pieve e piu oltre verso Cerisola sopra Castelvecchio. 
Uscirono parimente da Monaco le galee di Francia, e 
la mattina dei diecinove ottobre diedero fondo lielle 
acque d' Oneglia ; poi presto salparono ed a Monaco 
tornarono. I capitani dissero, non esser venuti per 
altro che per vedere, se la sospensione si osservava. 
Quest' era una coperta : fatto sta , che i Genovesi se 
ne intimorirono, le galee della repubblica, che stan- 
ziavano nelle vicine fosse d' Alassio , non sapevano 
che farsi. 

Mentre ogni cosa era a romore su tutto il contorno 
dei montl, il marchese di San Giorgio spinse con 
maggior forza , passando pel pian di Latte , le genti 
verso r adito, che aveva scoperto piu facile del coUe 



^^8 STORIA D^ITALU. 

del Pizzo. Investillo specialmente col reggimento della 
croce bianca , e tale fu T impeto degli assalitori , che 
dopo una ostinata resistenza fatta dai Corsi retti dal 
Vicentello per tre ore, se ne impadronironp. Non 
cosi tofito entrarono per quel varco nella valle che i 
paesani, favorevoli a Savoja, si sollevarono e diedero 
addosso at Genoveai. Vi fu qualche sangue, e molte 
insolenze soldatesche. Le quali cose, poiche furono 
intese dai comandanti deUa repubblica, mandarono 
ordine ad Ambrogio di Negix) , governatdre d' One- 
glia, ponesse sollecitudine io isgombrarla con quel 
pochi soldati, che aveva, essendo il sito incapace di 
difesa, atleso che era stato smantellato dai nuovi si- 
gnori, e vi si temeva rivoltamento di popolo. Eva- 
cuata Oneglia , andarono a posarsi , per non omettere 
le opportunita di nuocere al nemico , da una parte 
al porto 'Maurizio, datl'altra nel castello di Diano, 
due luogbi 9 che come posti ai fianchi della citta ab- 
bandoaata, le danno continuamente apprensione, e 
la tengono io gelosia. Quando gli Onegliaschi videro 
comparire le insegne d[ Savoja , di tutt' allegrezza si 
rallegrarono, dando in giubbilazioni ed in feste , i piii 
con animo sincero, alcuni per ricoprire le cose fatte 
in favore di Genova. Gli abitatori delle altre parti 
della valle seguitarono la medesima inclinazione, ed i 
Savojardi colori vestirono. 

11 senate y che ave va gia sentito nop poco disgusto 
dalla dilazione interposta dai duca al consentimento 
della tregua, ne riceve un molto maggiore per la 
perdita d' Oneglia. Bene allora si avviso della cagione 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. 167a. Hag 

del soprastamento del sovrano del Piemonte. I citta- 
dini restarono generalmente molto malcontenti e 
dolorosi per 1' ingrato accidente. Accrebbe la mesti- 
zia di tali pensieri V essersi persuasi, che quel la ma- 
rittima citta dentro i confini Genovesi rinchiusa, ce- 
derebbe in potesta della repubblica. 

Gomont, che infrattanto si era trasferito a Torino 
per abboccarsi col duca intorno alia sospensione dell' 
armi , ebbe in quelta citta contezza del fatto d'One^ 
glia, per cui si poteva turbare la speranza della pace. 
Ne dimostro di fuori alcun rammarico , ma quel , che 
sentisse dentro, ravvisera facilmente c.hL fara consi- 
derazione , che i monarcbi amano i monarchi , e ch' 
egii era inviato da un re, che pLu aveva bisogno del 
duca che della repubblica. Ebbe Gomont lunga e ae- 
greta conferenza con Carlo Emanuele, al quale non 
restava piii cagione di soprastare al eonsenso della 
tregua; anzi molto volentieri condescese, perche gia 
si andava moltiplicando la fama, che i Genovesi, 
apparecchiato un gagliardo sforzo, stavano in pro- 
cinto di cominciare un mo to per cacciare i Savojardi 
d' Oneglia. Si restituirono da ambe le parti i luoghi 
presi, e furono anche nel medesimo tempo recipro* 
camente restituiti i soldati prigionieri ; anzi il senato 
mando suUe proprie galere a Marsiglia quelli , che di 
nazione Francese erano, ed avevano sotto le insegne 
del duca mill ta to. Quanto alle diflerenze, le due parti 
promisero di rimetterne V arbitrio nel re di Francia, 
e di stare al suo giudicato. 

Addi diciotto di gennajo deli' anno segnente 1673 



a3o STORiA. d'itaxia. 

da San Germano in Laye , il re pronunzio il lodo : 

Che la sospensione d'armi si cambiasse in una pace 
buona, ferma e durabile, senza che cio, che era av- 
Tenuto durante la guerra, potesse portar turbazione 
alcuna in avvenire ; 

Che fosse rata e ferma la restituzione de'Iuoghi 
occupati e dei soldati prigionieri; 

Che nissuna delle parti potesse avere alcuna pre- 
tensione per gl' interessi e spese della guerra ; ne pei 
danni, ch'essa avesse procurati; 

Che il commercio tanto per terra che per mare, 
fiumi ed altre acque fosse stabilito tra i sudditi delie 
due parti nel modo, che era per lo innanzi; 

Che per le differenze fra i luoghi di Cenova e 
Rezzo le due parti s' accordassero nel termine di due 
mesi per Y elezione di giudici in Italia per terminarle , 
e che al medesimo modo e pei medesimi giudici clo- 
vessero aggiustarsi quelle insorte fra i luoghi d' Or- 
mea e della Pieve per la giurisdizione delle Alpi di 
Viozenna, e quelle tra Briga e Triora, e quelle di 
Tomasio con alcune altre, cui non importa di nomi- 



nare; 



Che se dentro il termine di due mesi, le due parti 
non avessero fatta la elezione dei giudici, il re la 
farebbe egli , ed esse ne stessero al giudicato. 

Gomont, cio piacendo al senato e al duca, elesse 
V universita di Ferrara. 

Cosi fini la contesa del ridicolo Pornasio e delle ri- 
dicole Cenova e Rezzo : ambe le parti si fecero co- 
mandare da un re straniero. Non parlo del sangue 



LIBRO VIGESIMOTTAVO. 1672. a3l 

sparso, ne del dolori sofTerti. Dimenticava di dire, 
che la repubblica regalo Gomont di un' intiera cre- 
denza d' argento con alcuni tagli di velluto molto 
belli 9 e che il duca lo regalo d' un bacile d' argento e 
d'un bellissimo giojello : e chi pianse, pianse. 



Fm£ DEL LIBRO YIGESIMOTTAXO. 






232 STORIA d' ITALIA. 



LIBRO VIGESIMONONO. 



SOMMARIO. 

LuiGi XIV, re di Francia, ha nnovo capriccio di guerra per le 
cose del Brabante, e la dichiara agli Olandesi. I principi d*£u- 
ropa piu potenti accorrono in ajuto di quei repnbblicani. Strane 
riyoluzioni in Messina. Stato politico di questa citta sin dai 
tempi antichissimi. I Messinesi fanno una solleyazione contro la 
signorta Spagouola , e si danno a Francia. Manifesti di Luigi in 
questo proposito. Battaglie nayali asprissime nei mari di Sicilia 
tra i Francesi da una parte , e gli Spagnuoli ed Olandesi dall' 
altra : la cosa finisce , come finiscono per 1' ordinario quelle dei 
popoli, cbe si danno ai forestieri , ciod che Tantico signore 
toma, e glj castiga. Pace di Nimega. Cnriosi accidenti di on 
Cpmneno, ed arrivo di una colonia di Spartani in Paomia di 
Corsica. Turbazioni nella proyincia di Mondoyi in Piemonte per 
cagioni di tasse e gabelle. Morte di Carlo Emanuele II , duca di 
Sayoja , ed esaltazione di Vittorio Amedeo II , ancor fancinllo 
sotto la reggenza di Gioyanna Battista , sua madre. II re di Fran- 
cia fa disegno , per aprirsi strada alia possessione del Piemonte , 
di mandar Vittorio Araedeo a regnare in J'ortogallo ; ma non gli 
riesce, e perch^. Come Casale yenisse di nuoyo in potest^ di 
Francia. Si tocca del Mattioli , che fu poi , come alcuni credono, 
la maschera di ferro nella Bastiglia di Parigi : certo , ei fece nu 
solenne tradimento. Nuoye turbazioni in Mondoyi. Vittorio 
Amedeo, peryenuto alia maggiore eta, assume I'esercizio dell* 
autoritii regia. Doma i Mondoyiti, ma non tanto che non insor- 
gano un* altra yolta. 

Gli storici da seimila anni in qua hanno avuto a 
raccontar guerre : cosi ho da fare ancor io. L' uomo 



LIBRO VIGESIMONONO. — 1672. a33 

e un \erme , in cui la form<izione ha fallato. Se non 
fossero gli atti pietosi , che qualche volta fa, e che c» 
rallegrano e consolano , come il fiioGO di Sant' Elmo i 
naviganti fra le tempeste, ci sarebbe forza disperarci* 
Una guerra suscitata da luogo lontano, e guerreggiatd 
fra le paludi d'Olanda, partork una gran ruina ed odj 
e fatti crudeli nella estrema parte d'ltalia. E'bisogna, 
che dal Piemonte e dalla Liguria voltiamo il pensiero 
a descrivere le cose di Sicilia. 

L' ambizione vegliava nel re di Franeia : cio , che 

sino a quel di aveva fatto a forza e gloria del suo 

reame, gli pareva poco, se non &ceva molto piii. 

Kiposare non poteva, ne lasciar riposare altruiv 

Questo tasto gia abbiamo toccato sul principio de) 

libr.o precedente, ora vieppiu insi^teremo, ma pero 

brevemente per non discostarci di soverchio dsd par- 

ticolare soggetto di queste storie. Non poteva il ve 

Luigi pazientemente sopportare , che le gazzette 

d'Olanda, paese libero, parlassero, come facevana, 

con poco rispetto di lui, e quasi la sua potenza bra- 

vassero. Gfesceva in lui un giorno piii che I'altro lo 

sdegno contro quei repubblicani , perche gli pareva ,. 

che poco tempo innanzi ajutati dalla Franeia a ven-- 

dicarsi in liberta, ora troppo facilmente il benef)C]o^ 

dimenticassero. Louvois, ministro superbo di superbo^ 

signore , ed emulo di Colbert , che amava la pace ,. 

stava continuamente coi pungoli a' fianchi del re, 

perchfe gli Olandesi castigasse, e quelle armi innigi-- 

Jiive non lasciasse , ne diventar disprezzabili in quel)' 

£uropa, che di loro aVeva gia concetto tanto spsir 



234 STORIA d' ITALIA. 

vento. Le condizioni di Spagna promettevano grandi 
cose, cioe grandi guerre e grandi successioni : ad 
esse doversi accostare la Francia con fama fresca , 
intiera e guerriera. Cosi instava Louvois, dando in 
quella parte dell' anima di Luigi, che piii era sensi- 
tfva. Il consiglio gli riusci gradito , fecesi risotuzione 
di guerra contro gli Olandesi. La Francia gia era forte 
per se stessa , ma voile fortificarsi di vantaggio con 
nuovi alleati : pareva , che volesse sobbissar del tutto 
quella piccola Olanda. Fatte sue pratiche con Carlo II, 
re d' Inghilterra , ottenne, che per amicizia e per 
armi il secondasse. Bene in cio si avvisava Carlo, male 
Luigi, perciocche si venivano a distruggere gli Olan- 
desi , emuli naturali e perpetui del commercio e delle 
ricchezze dell' Inghilterra, ed ajutatori di quelle, di 
Francia. Cio massimamente doleva a Colbert, ma 
r impeto militare sopravvanza va. 

Oltre Carlo d' Inghilterra , il re Luigi alletto e tiro 
nella lega , per mezzo del Furstemberg , vescovo di 
Strasburgo, 1' elettore di Colonia:fu dato a quest' 
elettore e principe dell' impero Germanico ..molto de- 
naro di Francia , ed egli diede al re alcune piazze , 
che gli appartenevano sul basso Reno, e potevano 
servire di scala e deposito di munizioni all'impresa 
d' Olanda. Yenuta la prima vera del presente anno 
1672 , i Francesi, il re medesimo essendo con loro, 
invasero con poca difHcolta quattro province dell' 
Olanda T Utrecht, la Gueldria, I'Overyssel e la Frisia 
in parte. La.giovane repubblica si trovava vicina al 
disonore e quasi alia morte. A dure condizioni era 



LIBRO VIGESIMONOWO. — 1672. 235 

risoluta a consentire, ma.piu dure e piii acerbe e 
non accettabili ne voleva il re Luigi. La superbia 
dair un (}e' lati produsse la disperazione dalF altro , la 
disperazione la salute : il popolo si sollevo in Amster- 
dam, uccise barbaramente i fratellide Wit, di cui uno 
era gran pensionario , e cui accusavano d'intenderyla 
coi Francesi. Nel tempo stesso crearono statholder il 
principe d' Oranges. Risplendeva per memorie glo«- 
riose della sua famiglia e per valore proprio. S' accese 
in tutti assai vivo il desiderio di salvare la patria dal 
giogo e dair ignominia , corsero aU'armi, rallenta- 
rono il corso ai Francesi, che dal canto loro non 
operarono con quella celerita, che era . richiesta ai 
tempo e tanto consueta della loro nazione. Difesero 
gli Olandesi i passi forti, inondarono i piani, daogni 
parte si mostravano quai valorosi uomini , sul mare 
erano prevalsi con parecchie vittorie. 

Le alleanze fuggono i deboli, cercano i forti. L'im- 
peratore e il re di Spagna, commossi gravemente a 
quella mossa d' armi del re Luigi, ed increscendo 
loro pei loro fini politici la servitii dell' Olanda , e 
vedendola animosa e pronta al difendersi , stimarono, 
che convenisse di non lasciarla perire. Fecero adun- 
que confederazione con gli stati uniti d' Olanda, 
s'armarono contro la Francia, e le intimarono la 
guerra. Trassero con se altri prhicipi di Germania , 
fra gli altri I'elettore di Brandeburgo, gelosi della 
grandezza di quella potenza. Tanto ancora s'ingegna- 
rono appresso al re Carlo d'Inghilterra, che aliena- 
tosi da Luigi e dalla lega con lufi contratta allonta- 



236 STORIA d' ITALIA. 

Dandosi, si pacifico cogli Olandesi. Gli SpagnuoU 
dalia Fiandra , i principi dair alta Germaniii ven- 
nero avanti coi loro forti battaglioni, ed obbliga- 
rono i Francesi a sgombrare da tutti i paesi cod- 
quistati sopra le Province Unite ad eccezione di 
M^stricht e di Grave. Gosi la guerra ando ad in- 
Oerire nella Fiandra Spagnuola e sulle due rive del 
Reno. 

Questi lontani accident! vennero ad aver correla- 
zione con le strane rivoluzioni, che conimosset*o una 
parte della Sicilia. Messina, citta nobilissima di quel 
regno, se ne viveva con leggi proprie e quasi in 
intiera liberla nel grembo di una monarchia assoluta. 
Di tutto il vasto reame di Spagna erano i Messinesi 
il popolo, sul quale meno s*aggravava il dominio 
regio , per modo che piuttosto con forme di repub- 
blica si reggevano che come sudditi di un re. Cio era 
cagione, che molto sentissero di loro medesimi, che 
pretendessero , che la loro cittii fosse capitate del 
regno oltre ii Faro a pregiudizio di Palermo, citta 
assai piu popolosa; che stimassero gli altri sudditi di 
Spagna inferiori a loro e quasi schiavi; eke final* 
mente tanto gelosi fossero delle loro prerogative, che 
per poco che il goverao insorgesse, subito si stima- 
vano ofiTesi, e moltiplicavano le querele, e si soUeva- 
vano : stavano attentissimi, perch^ fossero loro osser- 
vati i privilegi. 

L' origine di una condizione cotanto privilegiata 
era molto antica, e parimente onorevole, e sin dai 
tempi del primi re Normanni incominciata. Avevano 



LIBRO VIGESIMONONO. - — 167a. 237 

i Messinesi assai fortemente il padre di Roggero , 
primo re di Sicilia , secondato al cacciamento dei Sa- 
racini, ed alio stabilimento della dominazlone Nor- 
manna. Per riconoscere e ricompensare un tanto 
mejito, Roggero, con diploma dei quindici marzo 
del 1 1^9^ concesse loro i seguenti privilegi : 

Che, eccettuati i casi di stato, i Messinesi non 
potessero essere giudicati ne pel civile ne pel cri- 
minale , che da giudici eletti da loro , ed in Messina 
residenti ; 

Che gli ufHciali del fisco non potessero procedere 
contro di essi, e le controversie col fisco fossero giu- 
dicate dai tribunali eletti come sopra ; 

C^ r autorita del re non si esercitasse mai dispo- 
ticamente in Messina , ma sempre fosse regolata dalle 
leggt e ad e&se conforme ; 

Che*ogni ordine regio non conforme alle leggi e 
statuti di Messina, fosse di diritto nullo, e niun ef- 
fetto sortisse; 

Che tutti gli ufHciali pubblici nominati dal re fos- 
sero Messinesi , ed ai Messinesi piacessero ; 

Che il re fosse sempre riputato cittadino coronato 
di Messina; 

Che in totte le assemblee pubbliche convocate dal 
re, i deputati di Messina dovessero occupare il primo 
luogo; 

Che nella sola Messina si battesse moneta ; 

Che nel tribunale di Messina , che chiamavana 
curia , vi fosse un consolato , i cui membri fossero 
nommati dai proprtetarj delle navi e dai commer*- 



238 STORIA d' ITALIA. 

cianti, e giudicasse le controversie per gli affari ma- 
rittimi , e che questi membri fossero Messinesi ; 

Che i Messinesi fossero esenti da ogni spezie di 
gabella e dritto di dogana , non soloo in Messina , ma 
in tutto il reame; 

Che potessero tagliare nelle foreste regie senza 
pagamento di nissun dritto , quanto legname fosse 
loro necessario per construire e risarcire i loro navilj; 

Che nissun Messinese potesse essere sforzato al 
servizio militare; 

. Che la galera di Messina portasse lo stendardo 
regio ; 

Che' in niuna assemblea convocata dal re, in cui 
si dovesse trattare degl' interessi di Messina, nissuna 
deliberazione si potesse fare senza la presenza dello 
stratico, dei giudici ed altri ufHciali della citta; ' 

Che gli Ebrei di Messina godessero i medesitni pri- 
yilegi ed immunita dei Cristiani ; 

Che i Messinesi potessero essere ammessi ad ogni 
ufHcio regio qualunque. 

I narrati privilegi furono confermati dal re 6u- 
glielmo di Sicilia con diploma dato addi venti d'agosto 
del 1 164. 

Nei tempi poi piii vicini a noi, i Messinesi si leva- 
rono ancora in maggior estimazione diloro medesimi; 
conciossiacosache essendosi mantenuti in quiete e 
fedelta durante i tumulti di Palermo e di Napoli , il 
re Filippo, per riconoscere la loro buona volonta, e 
dare animo ai popoli a conservarsi ubbidienti alia 
corona, aveva ad essi non solamente confermati i 



LIBRO VIGESIMONONO. 1672. aSj 

privUegi antichi, ma aggiuntone de'nuovicon molti 
favori, prerogative e preminenze. I^a loro liberta se 
ne accrebbe, la quale pero non pareva eccessiva agli 
Spagnuoli , ne la petulanza Messinese pericolosa , 
perche quel cittadini piuttosto per vanagloria se ne 
vantavano che con intenzione d'innovar cosa, che 
potesse riuscir pregiudiciale alle ragioni ed autorita 
regia : la loro presunzione era piuttosto sfogo che 
minaccia. 

Ora per dire del governo municipale di Messina, 
che teneva del principesco , esso era del modo se- 
guente. La citta si trovava divisa in nobilta , borghe- 
sia o cittadinanza , ed in popolo. Le faccende comunali 
erano amministrate da un senato di sei, quattro dell' 
ordine dei nobili, due dell' ordine dei cittadini, quelli 
e questi eletti colle piii voci o dai nobili o dai citta- 
dini , e stavano in carica tre anni. Da cio si conosce, 
che il popolo non partecipava nella parte attiva del 
governo della citta. Cio nondimeno nei casi piu gravi 
e straordinarj il senato convocava un gran consiglio, 
chiamandovi, oltre i senatori, i capi delle arti, le 
quali erano venti, i consoli del consolato di mare, 
quei de'setajuoli, droghisti, orefici, argentieri,;con- 
fettieri , sarti , gepponari , parola che suona facitori di 
gonne, barbieri, falegnami, calzolaj , sella], concia* 
tori, tacciari, cioe venditori di chiodi, cojaj, funa- 
juoli, linalori, calderaij, ferraj, vetraj. Oltre li sei 
senatori in officio nominavano a ciascuna elezione 
un' arrota di altri sei , pure di nobili e di cittadini , 
per essere surrogati a quelli fra i primi , che venissero 



■;^- 



m^O STOBIA d' ITALIA. 

mancando o per morte o per malattia o per dimissione 
o per altra causa. 

Grande era Tautorita del senate; eleggeva i ma* 
gistrati, anche i giudici, amministrava il patrimonio 
pubblico^y sedeva in palagio proprio, mandava al re, 
quando occorreva ambasciatori, e pretendeva, che 
avessero nelle udienze il trattamento regio, comegli 
ambasciatori dei principi sovrani , cioe che fosse loro 
assegnato il giornd dell'iidienza, che T introduttore 
degli ambasciatori gli accompagnasse , che fossero 
mandati a cercare coUe carrozze del re. Gio piaceva 
ai Messinesi , ma dispiaceva agli altri Sicilian! , mas- 
simamente ai Palermitani, che non si tenevano da 
meno, e pure erano trattati in corte da meno dei 
Messinesi. La superbia di Messina le fruttava odio in 
tutta Tisola. 
V . Il re per Y esecuzione degliafFari generali del regno 

e degli t>rdini regj, mandava in Messina un governa- 
tore, cui chiamavano Stratico , e che dope i due vica- 
rs di Napoli e di Sicilia, del governatore di Milano e 
deir ambasciatore a Roma , era stimato la prima ca- 
rica, che la Spagna averse ne' suoi stati d' Italia. 

Era insin dal 1671 stratico in Messina don Luigi 
deir Hojo. Gredeva la Spagna , per tener Messina , e 
domare quegli spiriti tanto ardenti di liberta, che 
vedeva nei nobili ed in parte della cittadinanza, di 
accarezzare il popolo, il quale non avendo parte se 
non poca e lontana nel maneggio delle faccende, non 
si mostrava cosi geloso della liberta, come coloro, 
die soli erano chiamati alio stato. Si scorgeva in 



LIBRO VIGESIMONOWO. ^ 1672. a4l 

Messina una cosa contraria a quella, che succede 
d' ordinario negli stati liberi,.ed era^ che i nobili e gli 
abbienti pendevano per la liberta, il popolo per I'au- 
torita regia piii assoluta. L' arte della Spagna, se non 
era ne sincera ne giusta , ne generosa, che certa- 
mente tale non poteva stimarsi , era almeno utile per 
lei, quando pero non trascorresse oltre i liniiti, o 
niun accidente straordinario sorgesse, per cui gli 
animi fuor di misura si commuovessero. 

Lo stratico delFHojo non aveva ne prudenza n^ 
discrezione, e cio, che era solamente arte di Spagna 
per tener a freno per mezzo del popolo la nobilt^ e 
iaborghesia, le quali col mezzo del senafto signoreg- 
giavano, voile convertire in assetto definitivo, rovi- 
nando e spegnendo del tutto 1' autorita senatoria, e 
riducendo Messina al ragguaglio delle altre citta sud* 
dite. Astuzia e doppiezza av^va neU'anim^, n^ dall' .it, 
ipocrisia abborriva. Cio, che si misea fare, sarebbe 
ststto lodevole, se per verita, non per- specie ed in- 
ganno n6n I' avesse fatto. Mostrossi tutto intento a 
guadagnarsi il popolo. Molta pieta , molta divozione 
ostentava; persona piu santa, n^ piu dedita alle pra- 
tiche religiose non si era mai in Messina veduta di 
lui. Visitava incessantemente le chiese e gli ospedali , 
frequentava i sacramenti, si comunicavaspesso, vo- 
leva> che i suoi domestici spesso si comunicassero ; 
tutto il suo tempo dava ai sacri esercizj. 

Dalle dimostrazioni, che potevano essere sterili , 
sigli atti utili trapassava; imperciocche il re avendolo 
fproyvisto nel suo venire a Messina di cinquantamila 
VL i6 



H^H STORIA I)' ITALIA/ 

scudi, tutti gli distribui in elemosine ai poveri. U 
popolo il guardava come un uomo mandate da Dio a 
bellaposta per consolarlo; e cbi avesse detto^ ch'ei 
non era un santo, I'avrebbero mandate per la peg- 
giore. La cosa ando tanto avanti, che si vanto d'aver 
fatto un miracolo , e il popolo glielo credeva. V a vrebbe 
anche pubblicato con le autentiche, se TarcivescGvo 
non si fosse opposto. Fuggiva nobill e borghesi , con- 
versava volentieri coi popolani. Andava seminando, 
che il senato e la cittadinanza erano tiranni del po- 
polo, che con esso loro nulla di buono o di be Ho che 
si fosse, si poteva fare; che meglio era darsi del tutto 
agli Spagnuoli ; dolce e paterna essere T autorita del 
re. Accarezzava , anzi visitava sovente i consoH delie 
arti, e delle condizioni loro amorevolmente s'infor- 
mava, e con doni magniBci gli allettava,' e gli adu- 
lava e gl» baciava , e quando gli dicevano di vivere 
in poverta, con occhi pietosi gli guardava, e con 
mani liberali*gli soccorreva : uomo piii andante ne 
pill alia mano col popolo non si era mai veduto di 
questo deir Hojo. 

Cio, che faceva egli, i suoi fidati il facevano ancor 
essi per ordine suo. Costoro nelle piii umili case e fra 
i pill minuti uomini insinuandosi, andavano vantando 
la benignita dello stratico, e quanto amasse il buon 
popolo di Messina affermavano. Beatinoiy dicevano, 
se deW Hojo avesse V autorita liberal Ma quel se^ 
nato di gran signoriy questi cittadinuzzi superiij 
che coi gran signori vogliono sedere a pari, gua^ 
stano ognicosay e coUa potesta^ che hannoj imf^ 



LIBRO VIGESIMONONO. 167a. ^l\Z 

disconOy ch' egli la sua ottima volonta dimostri y 
come desidererebbcy in pro e beneficio del popolo. 
Il popolo Messinese adunque viveva malcontento 
delJa presente fort una, e V autorit^ regia stimava 
scudo contro la tirannide altrui. Il cielo sinistro venne 
a . mal disporre maggiormente ed inciprigDire gli 
animi. Insin dall'anno 1670 si comincio a scoprire da 
ogni parte tanta penuria dl grani, che gli uomini 
prudenti e prlncipalmente il principe di Ligny re- 
centemente arrivato in Sicilia per esercitarvi la carica 
di vicer^, si misero in grande apprensione, e molto 
solleciti stavano per darvi un conveniente provvedi- 
mento. Ma cresciuta nell' anno seguente quiesta man- 
canza, e massime nell' avvicinarsi del verno perve- 
nuta ad una crudel carestia, ne il rimedio si vedeva 
parato, ne potevano assicurarsi della volonta dei po- 
poli ; . perch^ sebbene nel concetto delle persone 
savie e consideratrici delle cose venisse la difHcolta 
delle vettovaglie attribuita ad influsso di natura ca- 
gionato dal sofBo de' venti siroccali , che avevano 
abbruciato le biade, non mancavano pero chi ne 
rivoltasse in gran parte la colpa sovra P avarizia di 
persone nazionali, che avevano nascosti i frumenti 
per. vendergli a piii caro prezzo , o per esitargli fuori 
del regno. Cioforse era veroin parte, ma certamente 
ancora molto esagerato. La fame non solamente in- 
crudelisce V uomo, ma gli toglie anche la ragione. 

Lo stratico dell' Hojo non era uomo da pretermet- 
tere simili occasioni. Da se e co' suoi seminava mal' 
erbe fra il popolo ; increscergli sino all' anima quella 



244 STORIA D* ITALIA. 

miseria; sapere, esservi provvisioni di grani nascoste 

in casa di qualcuno , ma non poter provved^rvi per 

mancanza di autorita; doversi riformare la citta a 

govemo di popolo sotto protezione del re. Fuvvi 

eziandio chi scrisse in questo caso cose orribili di 

lui, ma piuttosto, seeondo che io credo, dettate^air 

odio di partigiani che dalF amore della verita. Nar- 

rano , ch' egli scrivesse lettere a tutti gli ufficiali di 

Spagna, che in Italia erano, pregandogli d' impedire 

le spedizioni di frumenti verso la Sicilia; che alia 

med^sima crudelta confortasse i contadiui dell' agro 

Messinese; che per opera sua fossero negati i grani 

dal vicere di Napoli al canonico don Scipione Alifia 

mandato dal senato ad implorarne; che i suoi sicarj 

andassero seminando di nottetempo tracce di grano 

per diverse con trade della citta, ora dalla casa di 

questo senatore , ora di quell' altro sino alia inarina 

per far nascere concetto nel popolo , che mentre esso 

se ne moriva di fame, i facoltosi, massime i senatori 

e di vettovaglia abbondavano , e fuori del regno la 

trasportavano. Gia le brutte voci di monipolio, di 

ladri , di assassini del popolo si spargevano ; i lament! 

salivano alio stratico, ma ei si stringeva nellespalle, 

ne aver modo di provvedervi afFermava : andassero 

dal senato , a requisizione sua farebbe ogni cosa per 

sollevare la presente miseria. Il senato non aveva 

mancato a se medesimo , mandando uomini fidati in 

tuttele parti d' Italia, ed anche in altri paesi esteri 

per fare incette di grani ; ma non potevano suppiir^ 

al bisogno, ne sollevare tanta difBcolta, per essere 



LIBRO VIGfiSIMONOWO. -^ 167a. ^45 

in quegli anni disastrosi mancate le raccolte per ogni 
dove. Penso eziandio ad un altro spediente , armando 
alcune navi , e mandandole a correre i mart sotto la 
cohdotta di Francesco Giovanni per obbligare tutte 
quelle, che con carico di grani incontrassero, a venir 
fare scala nel porto di Messina, dove promettevano 
loro il pagamento a giusto prezzo. Cio ajutava a 
portar oltre con istento il flagello, ma nol toglieva. 
Il senato ordino, che le botteghe de' pistinaj , intorno 
alle quali il popolo faceva concorso e minacce, si 
serrassero , e da se spianava pane , e il vendeva al 
solito prezzo, ma^emo di peso, prima delle dodici 
oQce otto, poi seij poi quattro; n^ si vedeva fine,, 
perche sempre la mancanza andava crescendo. 

La fame da un lato , le cattive suggestioni dalF altro 
produssero un moto funesto. Il popolo si soUevo, e 
correndo armato contro le case de' senatori, le arse. 
Quindi, non isfogata ancora la rabbia, investi il pa- 
lazzo*stesso del senato, il devasto, gitt^ il mobile e 
le scritture per le Bnestre. I senatori schivarono na- 
scondendosi il popolesco furore. Dell' Hojo lascio 
fare molto pazientemente il popolazzo sfrenato ; anzl 
alcuni narrano, che nell' opere ree il secondasse, tra 
la irenetica folia ravvolgendosi, e i carcerati libe«<- 
rando, e denaro ai soldati spargendo, e pubblica 
grida mandando, che quanto prendessero negli odiati 
edifizj , tanto fosse ben preso. A grave fatica fa sopito 
il tnmulto per opera dei piii gravi cittadini, che ve- 
devano con dolore mescolarsi il sangue e le rapine 
alia fame: 



/ 



4 

/ 



.j^LK STORIA D ITAUA. 

miseria; sapere, esservi provvisioni d| 

in casa di qualcuno , ma non potef 

mancanza di autorita; doversi f' 

governo di popolo sotto prof '• 

eziandio chi scrisse in qucsf \ - 

lui, ma piuttosto , secondo ' ' //^ y/^ 

odio di partigiani chc d»' . . f^ 

rano , ch' egli scnvesse • ; -^^ ** t 

Spagna, chc in Italia V * tormeatare, n 



le spedizioni di fru- ' ^^^^^a^^- Tornossi m 

medesima crudclli > ^^^ero diciotto de' piu 

Messinese; chc r ' -cusarcino dell' Hojo deWo 

dal vicei* di N ^"® suscitati , e con arte quelle 

mandato dal <^^« ^^1^"^ rimirate. 

andassero p -^ narrazione si vede, che Messina si 
per diver ^^^ ^"® P^^**' ^^ mortalmente fra di 
qucsto f >r<"^' ^ ""^ desiderava !a ruina deiraltra. 
„^|^,/^ la maggior parte dei cittadini col clero si 
se n- >^^ regolare , si aderivano all' antica- consti- 
f V, ^ '* *"* conservazione desideravano ; e sic- 
f ^P^ procedimenti dello stratico attuale, e ad 
i^^ sospettavano delle intenzioni della Spagna, 
^lostravano a questa nazioiie poco amici. L' altra 
jlfi era composta dal popolo , e da alcuni fra i cit- 
\^\ ed anche fra i nobili, che dell'lmperio del se- 
^(0 o gelosi o infastiditi , o le forme del governo 
3 isfloluto aniando , perciocch^ di costoro in ogni paese 
le ne trova, o Bnalmente dagli allettamenti dello 
stratico corrotti , degli antichi privilegi e prerogative 
poco si curavano , e facilmente si sarebbero dati in 



itfi STORIA d' ITALIA. 

Dell'Hojo insorgeva, e faceva sue pratiche. Voile 
mcominciare a ravvicinare il pppok> al senato con 
ordinare, che fra i sei senatori, in iuogo di quattro 
nobili e due cittadini , fossero tre nobili e tre citta- 
dini. Poscia essendo i sei stati cacciati nel furore del 
precedente tumulto, in fine anche banditi, si misero 
in carica i sei arroti. Ma gli animi commossi non si 
fermavano perquesto, ne la quiete ancora si riute- 
grava, perche lai fame cotitinuava a tormentare, ne 
lo stratico la pace o la quiete desiderava. Tbrnossi in 
i^i tumulti e in sugF incendj , arsero diciotto de' piii 
bei palazzi di Messina : accusaropo dell' Hojo dello 
avergli, qual altro Nerone suscitati, e con arte quelle 
Bamme procupate e con diletto rimirate. 

Dalla presiente narrazione si vede, che Messina si 
trovava divisa in due parti, che mortalmente fra di 
Ibro si odiavano, ed una desiderava la ruina delFaltra. 
I nobili, e la maggior parte dei cittadini col clero si 
secolare che regolare , si aderivano all' antica oonsti- 
tuzione , e la sua conservazione desideravano ; e sic- 
come pei procedimenti dello stratico attuale, e ad 
altri segni sospettavano delle intenzioni della Spagna, 
si dimostravano a questa nazibiie poco amici. L'altra 
parte era composta dal popolo , e da alcuni fra i cit- 
tadini ed anche fra i nobili, che deU'imperio del se- 
nato o gelosi o infastiditi , o le forme del governo 
assoluto aniaiido , perciocche di costoro in ogni paese 
se ne trova, o Bnalmente dagli allettamenti dello 
stratico corrotti , degli antichi privilegi e prerogative 
poco si curavano, e facilmente si sarebbero dati in 



LTBRO VIGESIMONONO. — 167Q. 247 

braccio aThi del tutto secondo i modi Spagnuoli 
avesse govemato. Avviene qualche volta , che i nomi 
creano le sette, e qualche volta ancora le sette i 
nomi. Cosi la prima fra le mentovale parti si chiamo 
de' Malvezzi , spezie di tordo cosi nominato dai Sici- 
liani, T altra s' intitolo de' Merli. Queste due sette 
contrarie facevano in Messina cio, che avevano fatto 
in Italia i Guelfi ed i Ghibellini, i Neri ed i Bianchi 
in Firenze ; i Mai vezzi somigliandosi ai Guelfi , i Merli 
ai Ghibellini; i primi parteggiavano pel senato, i se- 
condi per lo stratico , questi si stimavano aderenti al 
re, quelli contrarj; perche queste cose si formano 
primieramente peramore di setta, poi per amore di 
moda : ciascuno voleva potersi vantare, lo sono MaU 
i^ezzo , io sono Merlo, ed a questo modo si dava 
spesso all'armi fra le due parti, e spesso ancora 
le usavano. La misera Messina gia travagliata dalla 
fame, era ancora tormentata dalla rabbia de' Mai vezzi 
e de' Merli, e tra nobili e popolani inclinava alia 
sua ultima ruina. Fazioso era il popolo, superbi e 
sprezzatori i nobili, n^ si vedeva modo di composi- 
zione. 

Le altre cittatlq)la Sicilia da principio non pensa- 
vano a tramandare alcun soccorso ai Messinesi per 
Talterigia e il fasto, con cui si trattavano di quasi 
liberi in paragone degli altri Siciliani, che percio 
godevano di vedergli oppressi da tante calamita. Pure 
finalmente vedendo, che nella causa di Messina si 
trattava in qualche modo la causa di tutti , perocche 
anch* essi per la forma del parlamento avevano qpat 



2^S STORIA d'iTAUA. 

che parte di govemo libero, feoero alcuna dimostra- 
zione in favore dei Messinesi, promettendo loro un 
benevolo ajuto per soUevargli. In segno d' amicma 
Palermo mando a Messina una reliquia ed una statua 
d' argento di Santa Rosalia, cui i Messinesi ricevet- 
tero con grande allegrezza e solennita; Messina mando 
a Palermo in contraccambio una ricca catena d' oro, 
in cui da un lato era rafBgurata la vergine Maria della 
lettera, cosi chiamata a cagione di una lettera, che i 
Messinesi pretendono avere lei scritta al senato di 
Messina, promettendogli la protezione del suo figliuolo 
Gesii, dall'altro la citta sotto forma di una.bella 
donna armata, con sul petto e suUo scudo scolpita 
una croce d'oro, stemma, siccome credevano, date 
dair imperatore Arcadio a Messina. 

Quest* accordo fra i Siciliani dava molta gelosia 
agli Spagnuoli, sapendo quanto facilmente le rivolu- 
zioni dei popoli si appiccano V una coU'-altra. Per la 
qual cosa il principe di Ligny, vicere, veduto, che il 
caso era grave e da non trascurarsi, parti da Palermo 
con lo stuolo delle galere , quattro vascelli carichi di 
formento, tre di soldalesca ed altri legni di conserva, 
e volto le vele verso Messina. F^iiincontrato dallo 
stratico e dal popolo solamente, mentre quasi tutta 
la nobilta si trovava o ritirata o sbandita. Richiamo i 
nobili banditi , ma castigo quelli , che piii per super- 
bia e per soperchierie si erano tirato addosso V odio 
dei popolani. Alcuni ancora dei popolani castigo. 
Aggravata per tal modo la mano della giustizia sui 
colpevoli, procuro, che fossero mandati in dimenti- 



LIBRO YI6ESIMOWONO. — 16711-73-74. !i49 

canza i notili di Merlie di Malvezzi, acciocch^ tutti i 
M«ssinesi vivessero fra di loro concordemente. 

Ma niuna delle parti voleva quietare, perch^ i no- 
bili volevano signoreggiare e vendicarsi, i popolani 
non consentivano all' essere ingiuriati e tiranneggiati. 
I primi come astuti e pratichi del mondo, ostenta- 
vano ossequio e fedelta alia corona; solo si lamenta- 
yano delle ingiurie ricevute dallo stratico e dai po- 
polani. Ligny cred^ necessario d' acquistarsi 1' aura 
della nobilta con tor loro davanti agli occhi colui , 
che pill odiavano , ed a questo fine mando via da 
Messina lo stratico Luigi dell'Hojo con sostituirgli 
don Diego di Soria, marchese di Grispano. Parve 
tomare per alcun tempo la calma alia travsigliata 
citta. Ma essendo pregna di mali umori, ora per una 
cagione ora per un'altra, massimamente nei giorni 
festivi, le due parti venivano spesso alle ingiurie,* 
qualche volta all' armi , e succedevano di molte iii^o-^ 
lenze. U nuovo stratico don Diego, non che s'inge- 
gnasse di rattemperare quegli spiriti tanto ardenti ed 
inveleniti, teneva fini e modi poco proporzionati al 
genio dei Messinesi , usando in tutto una grandissima 
severita, siccome quegli che era stato avvezzo lungo 
tempo al ministerio rigoroso di procedere contro i 
banditi nel regno di Napoli. Asperava principalmente 
i Dobili , i quali concepirono contro di lui tanto 
sdegno che poco meno T odiavano che lo stesso delP 
Hojo. Cosi tra i rancori, le minacce e le insolenze 
passossi I'anno 1673. 

Giunto poi il 1674, si aperse T occasion a mag- 



tXJO STORfA d' ITALIA. 



giori mali. Erano nel mese d' aprile stati ^letti secondo 
le forme solite I nuovi senator!, fra i nobili don Tom- 
inaso Caffaro, don Yincenzo Marullo, don Raimondo 
Marquet; fra i popolani Francescomaria Majorana, 
Gosimo Caloria ed Antonio Ghinigo.Piacquero le ele- 
zioni alia nobilta ed al popolo; per questo stesso 
dispiacquero agli Spagnuoli. Tale effetto avevano 
partorito i rigori del nuovo stratico , che , siccome 
per lo avanti il popolo parteggiava per gli Spagnuoli 
e per le loro forme politiche , cosi dopo e nobilta e 
popolo contro di essi in una medesima volonta con- 
corressero. DelF Hojo aveva bene col suo procedere 
alienato da Spagna la nobilta, ma almeno avevale ac- 
quistato il popolo; il Grispano, non riconciliata la 
nobiltii , irrito e mal dispose il popolo. . 

Atroci fatti, se si dee credere ai Messinesi, si mac- 
•chinavano dallo stratico Grispano : ch' egli, siccome 
allora a voce per la cittJi afFermarono , poi coUe stampe 
pubblicarono , avesse chiamati al suo palazzo i sena- 
tori sotto pretesto di conferir con lora suUe pubbliche 
faccende , ma col crudele intento di tagliar loro im- 
provvisamente le teste , poi dare il sacco alia citta 9 
mandar a fil di spada la nobilta, tentare insino i sacri 
monisterj. Gertamente Y insano romore , vano parto 
piuttosto di menti aspreggiate e malsane , che i^alta 
d* uomo , a qualunque modo efferato suppocre si possa, 
s'era sparso per Messina, per modb che e nobili e 
popolo spinti massimamente dai figliuoli del senatore 
Gaffaro corsero con grandissimo tumulto armati al 
palazzo dello stratico , dove i senatori si trovavano 



LIBRO VIGESIMONOWO. ^^^4' ^^I 

congregati , e.se non fosse stato , che al loro appros- 
simarsi gli videro "uscire sani e salvi, avrebbero con- 
dotto a mal partito k) stratico stesso e chi oon lui sen* 
tiva. 

Esca conlinuamente ad esca si aggiungeva , favilia 
a favilla per far riuscire in aperta fiamma il fuoco , 
che gia covava. Ceiebravano i Messinesi , secondo il 
lore costume, la festa della Madonna della sacra \et^ 
tera , loro ^peranza , siccome credevano , e loro pal- 
ladio. Ravvisaronsi in quel di a casa un sarto certi 
emblemi pinti, che alle cose correntiacdennando,in- 
sultavano i Merli , e lo stesso stratico don biego di 
Soria. I Merli , che ancora ve n'era, stimandosi ofTesi, 
s' apprcstarono a dar addosso al sarto, cui Malvezzo 
arrabbiato chiamavano. I Malvezzi presero Tarmi 
anch' essi contro i Merli, in un momento la citta 
ando sottosopra ; i Malvezzi gia in numero di venti- 
mila superarono gli avversarj ,;gli uccisero, s' impcys- 
sessarono dei posti piii importanti, obbligarono i sol- 
dati Spagnuoli accorsi al romore a ritirarsi nel palazzo 
dello stratico, il quale rinchiusosi per impedire , che 
la moltitudine furiosa non I'assaltasse, ordino alie 
artiglierie dei forti, che con replicati colpi la rafTre- 
nassero. . La parte dei senatori allMncontro, tratti 
fuori anch' essa due cannoni sfolgorava i regj : una 
vera guerra ed una Vera battaglia spaventavano Mes- 
sina. Da ogni banda accorrendo i Malvezzi, tanto so- 
pravvanzarono, che posero 1' assedio al palazzo dello 
stratico, da ogni lato circondandolo fuorch^ verso il 
mare, perche quivi era difeso dal castello di San Sal- 



252 STORIA d' ITALIA. 

vatore. Dichiararono don Diego traditore di Messina^ 
scadutodalla carica, indegno d' ubbidienza. Al sangue 
ver^ato dalle armi guerriere si mescolo quello sparso 
per opera delle mannaje , perch^ parecchi Merli o rei 
di corrispondenza con lo stratico o sospetti di essere , 
furono dati a morte per mano del carnefice. 

I Messinesi, cio6 la parte, che fra di loro aveva 
soverchiato I'altra, avevano sfoderate le spade contro 
i soldati di Spagna , e fattigli fuggire in luogo di ri- 
covero, tenevano in assedio il palaa^o, dove svento- 
la vano i vessiili del re, e con I' artiglierie il fracassavano. 
Gio ndn 'ostante , come se di queste derisioni od iltu- 
sioni il mondo non ne avesse veduto abbastanza, 
protestavano fedelta al re, e dichiararono, che quanto 
fossero per operare , tutto era indirizzato alia maggior 
gloria di Dio, e servigio dell' invittissimo loro re don 
Carlo II, per cui erano, come scrissero, ed erano 
per essere sempre pronti a consumare 1' avere , la vita 
e'il sangue, come esemplarissimi e fedelissimi vassalli. 
E come se I' apparenza delle cose avesse ad anteporst 
alia realta dei fatti , per pruovare questa fedelta , or- 
dinarono, che i loro cannoni tirassero solamente con- 
tro il palazzo, dove si era riparato I'odiato Crispano, 
non contro le altre fortezze^ dove stavano i coman- 
danti regj. Inoltre esposero, e cosi esposto serbarono 
sotto un baldacchino ad una finest ra del palazzo del 
senato il ritrattodel re. Vollero finalmente, che su tutti 
i bastioni, di cui si trovavano possessori, ed in tutte 
le poste militari a canto alio stendardo della citta 
restasse inalberato quello di Spagna. 



LIBRO VIGESIMONONO. — 1674* ^53 

Le novelle delle turbazioni di Messina pervennero 
tostainente a Palenno al marchese di Bajona, venu- 
tovi per esercitare la carica di vicere in iscambio del 
principe di Ligtty «ino all' arrivo del duca di Ferran- 
dina , marchese di Villafranca , eletto vicer^. II senato 
stesso , ch<i^ temeva , che i canuoni fossero presi per 
quel, che erano, vi aveva niandato il padre Giovanni 
di Rittana, religioso delF ordine di San Francesco, 
commettendogli di scusare appresso al vicer^ la con- 
dotta loro con gli atroci fatti , che raccontavano dello 
stralico , e di pregarlo a mandar via da quel seggio , 
che aveva contaminato , lo stratico medesimo, ag- 
giungendo, quello solo essere il rimedio dei mali, 
quella la sola speranza di riposo. 

11 Bajona , giudicando acconciamente della gravita 
del caso, partissi da Palermo verso la citta commossa 
andando , ben disposto a non far cosa , per cui si 
avesse ad offendere la maesta regia. Come prima fu 
arrivato a Melazzo, i Messinesi gli fecero intendere, 
che se venisse dentro solo e senzasoldati, il vedreb- 
bero volentieri; quando no, se ne tornasse. Poscia 
essendo venuto avanti accompagnato da qualche sol- 
dato per entrare, gli fu tirato del cannone, ed obbli- 
gato di tornarsene a Melazzo.' 

Se questa non era guerra e ribellione , io non so 
pill che cosa sia pace e fedelta. Vide allora Bajona , 
che per ridurreall'obbedienza i soUevati , e' bisognava 
pensare a sostenere una viril guerra. Perloche, fa- 
cendone sedia principale Melazzo, vi congrego tutte 
1^ forze dei diversi luoghi dell' isola, chiamo i baroni 



^54 SToaiA. D^rrkhik. 

del i*egno all' armi , che con uomini armati a loro spese 
concorsero , vi ammasso armi e munizioni d' ogni ge- 
nere. Primo suo pensiero fu di soccorrere lo stratico 
assediato, di rinfrescare le fortezse^ii Messina, di 
serrare i passi di Teormina per tagliar la strada ai 
Messinesi verso i paesi convicini , e di uaire , impe- 
diendo le vettovaglie , cosi il rimedio della fame , come 
quello della forza. 

Poscia oltre la Sicilia rivolgendo V animo , mando 
pregando il marchese d' Astorga, vicere di Napoli, 
che gli piacesse ajutarlo con ogni soUecitudine alF 
impresa di Messina. A*storga, riputandola molto , come 
veramente era, di servizio regio, mosse subito alia 
volta di Reggio di Calabria , destinato a sua piazza 
d' arme la maggior parte del battaglione del regno , 
commettendola al governo di Marcantonio di Gennaro. 
Gli ordino, passasse in Sicilia tosto che Bajona il 
chiamasse. Sped! oltre. a questo a Melazs^ due galere 
cariche di quattrocento soldati Spagnuoli con pari 
numero d' Italian] , ed altre minori navi piene di mu- 
nizioni da botca e da guerra. Per non avere poi 
in pronto un numero sufHciente di galere a tener 
padronanza sul mare, perciocche quelle di Spagna 
stanziavano la maggior parte nei porti di Catalogna , 
fece sue diligenze appresso al papa, Yenezia, Tos- 
cana, Genova e Malta, affinch^ delle loro navi il. 
soccorressero. Genova e Malta sole spedirono galere. 
per assisterlo, nel porto di Melazzo. 

Non isfuggiva ai Messinesi , che per loro medesimi 
non erano capaci di resistere alia potenza di Spagna ; 



LIBRO VIGESIMONONO. iCy/j. 255 

ne non pensavano, che, ove gli Spagnuoli di nuovo 
acquistassero la signoria di Messina, a piu duri patti 
la reggerebbero, c che non che libera non la con- 
serv<issero, I'avrebbero fatta sangulnosa e pienadi 
vendetta. Rivolsero i pensieri agli ajuti esterni con 
intenzione di darsi a quella potenza, che piu di ogni 
altra fosse nemica di Spagna , e valesse a preservargli. 
Nel che nissuna appariva piii opportuna delia Francia 
tanto per se medesima forte , ed in quel tempo stesso 
gareggiante d' armi col legittiino loro signore sui 
campi gia tante volte insanguinati della Fiandra. Yi 
era pero in questa risoluzione non poca malagevo- 
lezza; perciocch^ da una parte molti, anche frtico* 
loro, che piii ardentemente e pertinacemente difen- 
devano contro gli Spagnuoli la liberty di Messina, 
abborrivano da un atto , che non si poteva qualificare 
i^on altri nomi che con quelli di fellonia e di tradi- 
mento. In non pochi ancora viveva un odio ingenito 
contro la nazione Francese per la memoria delle an- 
tiche cose. I vespri Siciliani nuocevano ai Messinesi, 
ne si fidavano dei discendenti di coloro, da cui gli 
antenati loro erano stati crudelmente tiranneggiati , 
e che eglino avevano ancor piu crudelmente uccisi. 

Bene considerate queste cose , i principali sosteni- 
tori del moto Messinese , ma sopra tutti il senatore 
CaffarOfUomo di maggior credito e dipendenza d'ogni 
altro , e che in questa grave faccenda procedeva con 
maggior calore, si risolvettero bensi d' implorare 
r ajuto del re di Francia, e di riconoscerlo per si- 
gnore , ma d' incamminarsi a questo scopo con pru- 



256 STORJA. d' ITALIA. 

denza e destrezza per non irritare gli spiriti gene-^ 
ralmeate poco inclinati ad una deliberazione cotanto 
insoHta e ponderosa. Nel tempo stesso, in cui face- 
vano le viste di negozjare un .accordo col viceii, 
^parsero fama, che il senato avesse fatto risoluzione 
di mandare don Antonio Caffaro, figliuolo del sena- 
tore , a Roma per trattare cola di un aggiustamento 
coir ambasciatore di Spagna. Yeramente don Antonio 
fu mandato a Roma , ma con secrete commission! di 
trattare col duca d' Estrees e col cardinal d'Estrees, 
suo fratello, dei mezzi di soggettare Messina al re 
Luigi, d' implqrarne 1' assistenza, di fare, che nella 
sua yrotezione gli ricevesse , di agevolar il viaggio al 
medesimo don Antonio per Francia per patrocinarvi 
piu efficacemente coUa presenza la causa della sua 
patria. In Messina si andava seminando fra il popolo, 
che i Francesi d' ora non eran piii i Francesi d' una 
volta,che la civilta gli aveva renduti piii miti, che 
mai non erano stati di natura vendicativa , che per 
religione e civilta gli odj nazionali ai tempi antichi 
cotanto acerbi, si erano nei moderni considerabil- 
mente riaddolciti , che del rimanente i Francesi per 
accordo, cioe per condizioni statuite di libera vo- 
lenti da ambe le parti, non per forza e conquista, 
sarebbero ammessi a reggere, se pure a cio si ve^ 
nisse, la nobile Messina; che il re Luigi era tale, che 
siccome era formidabile per la sua potenza, cosi 
ancora venerando per la santita delle promesse. 
Queste insinuazioni giunte all' odio contro Spagna , 
ed alia guerra, che gli Spagnuoli facevano ai Messi- 



LIBRO VIGESIMONONO. ^^^^ ^5^ 

nesi ^ partori vano effetti grandissimi , non solamente 
negli uomini di condizioni piii elevate, raa ancorft 
nei popoiani, in cui odio ed amore sono ugualoiente 
pill tenaci che in altrui. 

Don Antonio arrivo a Roma, trovovvi don Filippo 
Cicala, suo parente, e doii. Giuseppe Balsamo, ba- 
rone di Cattasi , due senatori di Messina espulsi nel 
motflfiel 1 67 1. Da essi, che gia, come fuoruscitt^ 
tenevano loro pratiche coll' ambasciatore di Francia, 
fu introdotto a coUoquio segreto con esso lui, e col 
cardinale fratello. Espose il mandato : Y ambasciatore 
e il cardinale Ipdarono il proposito , e diedero buone 
parole. Restarono, che trattando^ di cosa di somma 
importanza, intorno alia quale 1' ambasciatore non 
aveva.nissuna instruzione da parte del re, che don 
Antonio si trasferisse a Parigi per far capace il go* 
verno di quanto propbneva, e domandava. VoUero 
pero , che passasse per Tolone per conferirvi col duca 
di Vivonne, comandante supremo dell'armi marit- 
time, di Francia nel Mediterraneo, e che allora ap- 
piinto era in ordine per far vela verso la Catalogna. 
Nel patrocinio del Vivonne singolarmente confida- 
vano, SI perche per le qualita sue godeva di una 
grande autorita in corte, e si perch^ governando le 
cose del mare, la sua sentenza sarebbe stimata di 
moltopeso per respedizioni di Sicilia. L^ ambasciatore 
e il cardinale diedero all' inviato Messinese commen- 
datizie pel duca di Vivonne e pei ministri del re^ 
Scrissero poi anche direttamente in corte per un 
corriero spedito per via straprdinaria. 

VI. 17 



a 58 STORIA !>' ITALIA. 

Grave deliherazione restava a farsi nelle consulte 
di Francia su quanto spettava alia causa Messinese , 
nh unanimi vi furono le sentenze. Gli uni, memori 
delle uccisioni Siciliane e dell' avversione di quel po- 
poli Uontro il nome Franoese, dissuadevano qualun- 
que intervenimento nell' impresa , dubbia durante il 
bontrasto , dubbia ancora e pericolosa dopo ; ri^ 
belli per fetto, volubili*per natura essere i Meajpesi, 
osBervayano , ne gli altri Suiciliani con essi consentire ; 
fkh decoro essere pel re, ne siourta per lo stato il 
mescolarvisi ; non essere la lontana Sioilia e da tanto 
ware separata , come la Fiandra , vicina ed attinente, 
ipui si Yorrebbe cftnquistare ; ferire coll' armi marit- 
time nella Catalogna piu convenirsi agl' interessi di 
Francia che correre in ajuto di coJoro^ che forse 
I'lgiito non ricercavano per altro obe per procurare 
^ $e medesimi un accordo piu favorevole con Ispagna, 
e obe da supplieanti potevana facilmente diventare 
nemici. 

Dall'altra parte s'insisteva dicendo, che sarebbe 
pregiudicare di proposito deliberato alio stato il non 
i^sare una occasione tanto propizia per nuoeere all' 
inimico; che Timpresa di Messina molto importava 
alia guerra, che allora girava. fra le due corone ; che 
ad Qgni modo ed in ogni caso servireUie di'potente 
diverbione alle armi Spagnuole; non ignorarsi dal 
inondo , che non solailiente i Mes^esi , ma g^ieral- 
mente tutti i popoli di Sicilia e di Napoli yivevano 
pieni di mala contentezza verso i presenti signori ; 
che quella prima lavilla^ se fosse statu Ibniientata, 



LIBRO VIGBSIMONONO. 1 674* ^Sg 

avrebbe partorito un grande incendio; che dei Messi- 
nesi non si poteva dubitare , posti , com' erano , tra il 
persistere e i supplizj : che bene essi sapevano, che 
raramente g\i SpagnuoU perdonano , non mai ne' casi 
di stato ; ia necessita, se noi^ la perseverante volonta , 
aver a fare i Messinesi perpetui amici di Francia; il 
sangue di soldati SpagnuoU da loro sparso essere 
suggello della loro costanza verso chi contro Spagna 
sara per difendergli. 

Cosi parlavano coloro , die promuovevano 1' opi- 
nione, che la Francia dovesse intervenire negli af- 
fari di Messina. Poi per conseguire piii facilmente 
r intento , adulavano il re, cui conoscevano assai te- 
nero alle adulazioni , ed in cui era potente 1' ambi- 
zione; non esser dubbie le ragioni della casa reale 
sopra la Sicilia ; del resto , qual personaggio piu glo- 
rioso poter fare un re oi Francia che quello di pro- 
tettore degli oppressi , di difensore della liberty d^ 
popoli? 

Si venne alia conclusione, che si ordinasse al duca 
di Vivonne di secondare i Messinesi , ma che per6 
prima di andare con tutta la flotta in loro ajuto, 
mandasse uno stuolo di navi piu leggieri p*er intro- 
durre in Messina qualche soccorso , e confermare 
quei popoli nella ribellione. Procurasse ancora di far 
prendere esatte informazioMi suUo stato delle cose 
per poter poscia deliberare piii consigliatamente sa 
quanto convenisse di operare. 

Mentre queste cose si trattavano, e si preparavano, 
i Messinesi senjpre piu si riscaldavano nella guerra. 



a6o STORIA. D ITA^LIA. 

II seiiato, la cul causa specialmente si trattava, non 
pretermetteva mezzo alcuno per infiammare gli spi- 
riti , ed ordinare quanto fosse necessario alia difesa. 
Parti la popolazione in regolaricompagn\je, e gli sotto- 
pose alia disciplina di uomini, la piu parte nobifi, 
fervidissimi nell' intento , dotati di non ordinario 
coraggio, ne senza perizia delle faccende militari. 
Pochi eccettuati, che del dominio Spagnuolo si con- 
tentavano, tutta la citta ardeva di desiderio di vin»- 
cere la pericolosa pruova, in cui si erano da per loro 
medesimi precipitati. Da ogni parte si vedevano 
opere di guerra , qua ofBcine da far polvere e palle , 
la fucine per fabbricare e forbire armi di punta e di 
taglio, in questoluogo cannoni, che si conducevano, 
in quello soldati, che si esercitavano. Maravigliosa 
dimostrossi I' attivita Messinese , ne senza uiaraviglia 
si puo leggere nelle storie il numero dei cannoni, che 
' • adoperarono e la maestria, con la quale gli maneg- 
giarono. Pareva, che lo sforzo fosse, non di una sola 
citta, ma di molte, anzi di una potenza gia da lungo 
tempo ordinata. 

Ne le preparate armi tenevano oziose, premendo 
loro , che i^nanzi che tutto lo sforzo di Spagna piom- 
basse loro addosso^.avessero cacciato gli SpagnuoII 
dalle fortezze, che o dentro la citta stessa, od in pros' 
simita di lei occupavanQ : stimavano quelle fortezze 
molesti e pericolosi freni, cui importava torsi di bocca. 
Assaltarono in primo luogo il palazzo, dove si era 
riparato lo stratico , e tanto fecero coi cannoni e con 
le mine, che 1' obbligarono ad arrendersr ai tre 



LIBRO VIGESIMONONO. — 1674. 261 

d' agosto , con dargli pero facolta di ritirarsi nel cas- 
tello dl San Salvatpce. In tutte queste fazioni gli Spa- 
gnuoli gridavano , Viva il re di Spagna ! i Messinesi, 
Vivada Vergine Maria ! 

Gonquistato il palaKzo deilo stratico, sMmpadro- 
nirono per assalto, e condotti da don Jaeopo Averna, 
del castello detto il Castellazzo , situato sur iin luogo 
eminente e cavaliero alia campagna, e che domina 
tutta la citta. Fatto questo importante acquisto, in- 
vestirono il castello di Matagrifone, chiamato con tal 
nome, perche il volgo crede, che sia stato fabbricato 
da due giganti , 1' uno nominato Mata , I' altro Gri- 
fone: sono le soliteubbiedeipopoli. Questo castello, 
per essere situato dentro le mura , riusclva di grande 
incomodo agli abitanti : ad ogni costo il volevano 
avere in loro potesta. Il fulminarono con le artiglierie 
dai due bastioni della Yittoria e di Sant' Andrea : pure 
il governatore resisteva ostinatamente. Infine alcuni 
Messinesi piii animosi e piii rischievoli degli altri an- 
darono ad appiccar fuoco al forno del castello , nel 
quale intento essendo i;iusciti, ed il presidio non po- 
tendo pill cuocere, si arrese, salva la vita. Alio stesso 
modo recarono in loro potere il castello di Gonzaga 
posto sopra un monte iti qualche distanzada Messina. 

L' espiignazione di queiste fortezze diede maggior 
animo al senato , che ando a sedere nel castello di 
Matagrifone : accrebbe anche forza all' impeto gia cosi 
pronto dei popolani. Dalle fortezze di dentro volta- 
rono il pensiero ai passi di fuori. Cacciati per vive 
battaglie gli Spagnuoli dalla Colla di Lombardello 



^64 * STORIA d' ITALIA. 

tro le patenti delF indullo dal capitano don Fracesco- 
antomo Dattilo, marchese di Santa Caterina, non 
soiamente non fecero alcuna stima delle pacifiche 
esortazioni , ma serrarono in duro e bujo carcere il 
capitano Dattilo. Le qnali cose lisaputesi a Madrid , 
kt regina ordino al nuovo vicere, marchese di Yilla- 
franca, di partir subito per la Sicilia, ed al marchese 
di Yico e a don Melchiorre dellaQueva di salpare im- 
mantinente daBarcellonaper trasferirsi inquelPisola : 
effiettivamente yi arriyarono verso la fine dell' anno. 

Non coa tosto il nuovo vicere giunse in Palermo , 
dove prese possesso della carica, che parti alia volta 
di Melazzo per poter attendere da luogo vicino alle 
cose di Messina. Il marchese di Yico vi arrivo colle 
galere. L' una e Faltro usando le armi valorosam^aite, 
avevano gia fiitto progressi notabili, preso la torre 
del Faro , e guadagnato tanto ^pano vicino alia citta 
renitente, che poca speranza le rimafneya di poter 
essere soccorsa sia d' armi dai Francesi o ^ di vetto- 
vaglia da altre parti. II generale della flotta col mag- 
gior nervo delle navi ando a gettar Tancora nelia 
fossa di San Giovanni, donde, scoprendo la citta, 
dava animo agli aggressori , e credeva di dare spa- 
vento agli assediati. Gia in Messina venivano man- 
cando le prowisioni, e il popolo si trovava ridotto 
molto alle strette , ma stava paziente per la speranza 
dei soccorsi £ Franda. 

Stando le cose in questi termini , T estremo timore 
trasformossi subitamente in estrema gioja. Yidersi 
companre da lungi su navi, che venivano a golfo 



LIBRO VfGESlMONONO. l674' 265 

lanciato verso Meseina, vessilli di Franda. Francia 
gridossi incontanente per tutta la citta : uomini, 
donne, vecchi, fanciulH, il popolo intero accorsero 
sul lido, e con lietissime grida le amiche bandiere 
salutarono. Rispoudevano i Frances! dalle prore , e in 
segno di salute sventolavano le insegne del generoso 
re Luigi. Erano sei vascelli da guerra, quattro bru- 
lotti , alcune oherarie : le reggeva Giovanni Valbel , 
cavaliere di Malta, capo squadra delle armate di 
FraQcia. Maudavale il duca di Vivonne con in ten- 

* 

zione di s6ccorrere Messina d' armi e di viveri. Le ga- 
lere di Genova.e di Malta, vedute le forze Francesi 
in ajuto di Messina, dagli Spagnuoli segregandosi, ai 
porti loro si ritrassero. 

Valbel, girato da lungi il Faro, e veduto,che il 
castello di San Salvatore gli vietava di entrar nel 
porto, ando a dar fonda, senza che gli Spagnuoli si 
muovessero per contrastar^i il passo , ad un miglio 
dalla citt^. Una folia immensa corse a vederlo ed a 
salutarlo. Don Antonio CafTaro venuto con lui , 
smonto fraromorosi applausi , e ando a render conto 
al senato di quanto a favor di Messina, e conforme 
alia sua commissione operato avesse. Vennero i se- 
natori ad onorare Valbel, come salvatore di quel po- 
polo e primo portatore dello stendardo di Francia. 
Gio fatto , il senato comando , che al suon delle 
troinbe e dei tamburi ed al rimbombo di tutta T arti- 
glieria lo stendardo e le armi di Francia fossero in- 
alberate su tutti i bastioni. Gia sin da questo di co- 
minciarono a protestare di non voler riconoscere ne 



a66 STORI4 d' ITALIA. 

avere altro signore che il re di Francia. Cantarono 
con solennita nella basilica I'iano dalle grazie, uffi- 
ciando pontificalmente 1' arcivescovo Simone Caraffa. 
Questi primi cannoni avevano annunziata I'alle- 
grezza , questi altri annunzieranno gli strazj e la 
morte. Valbel e i capi di Messina deliberarono di as- 
salire il castello di San Salvatore, perche continuando 
quel forte propugnacolo in possessione degli Spa- 
gnuoli., ihcerti erano sempre i destini, incerti i soc- 
corsi. Mandacono pel padre Lipart , religioso di San 
Francesco, intimando al castellano, ch^ si arren- 
desse. Rispose, volere serbar fede, non cederebbe 
che alia necessity. Si venne alia forza. I Messincsi 
batterono con le artiglierie dei bastioni vicini , a cui 
rispondeva virilmente il castellano con le sue colu- 
brine. Gia la muraglia dal lato, che guarda la citta, si 
trovava tutta diroccata, la maggior parte dei cannoni 
scavalcati , i cittadini coifdotti da don Gerolamo. Yen- 
tftniglia , da don Francesco Campolo e dal marchese di 
Gallero, con cui si erano accompagnati ducento Fran- 
cesi , pronti a dar Y assalto. Mandarono una seconda 
volta il padre Lipari al governatore , il quale rispose , 
che darebbe la piazza, se fra otto giorni non fosse soc- 
corso. Il senato condescese alia condizione proposta, e 
si accordo che durante gli otto giorni si sospendes- 
sero le offese. Ma i Messinesi , o che temessero ,che 
la parte avversa non volesse serbar la fede, o che 
volessero romperia essi, usarono un'insidia per im- 
padronirsi della contesa fortezza. Trecento Messinesi 
senza nissun segno d'abito militare con pistole e 



LIBRO VlG£SIMON01fO. — 1 67 5. 267 

stocchi nascosti sotto il mantello vi entrarono furti*- 
vamente, eservendosi del momento, che i presidiaij 
attendevano ad una loro bisogna soldatesca , soprag- 
giunti anche in quel mentre ducento Francesi , sic- 
come era stato accordato , occuparono in un subito i 
posti pill importanti della fortezza. Poi, posto mano 
agli stocchi ed alle pistole , intimarpno al governatore 
e a' suoi soldati , che gia la piazza era in potest^ di 
Messina, e se resistessero , sarebbero tutti uccisi. Gli 
Spagnuoli sorpresi da cosi strano accidente , si arre- 
sero. Don Pietro Faraoni e don Gerolamo Ventimiglia 
condussero questo fatto. 

Da sciagura nasceva sciagura contro gli Spagnuoli, 
che oggimai perduta la'speranza di soggiogar Messina 
per la forza dell' armi , si erano ridotti al pensiero di 
domarla pel tormento della fame. Le provvisioni in- 
trodottevi dal Valbel non erano in tanta copia che po- 
tessero bastare lungo tempo per una popolazione cosi 
numerosa e per tanti soldati , che vi erano accorsi. 
Gia si prevedeva , che fra un mese al piii tardi non 
vi sarebbe piu da vivere ; gli estremi mali si temevano, 
non val forza ne coraggio contro la fame. La via del 
mare mal sicura per la prossimit^ della flotta Spa-^ 
gnuola, che vegliava e sopravvegliava per vietar I'a- 
dito a qualunque soccorso; le vie di terra tutte 
chiuse, essendo gli Spagnuoli padroni dei passi, per 
cui dalla citta si poteva andare nelFintemo delFisola. 
Del rimanente , gli akri isolani , che sul principio deilla 
discordia , allorquando pei Messinesi si trattava sola- 
mente di contrapporsi alF oppressione e della conser- 



2l68 STORIA D^ ITALIA. 

vazione delle antiche leggi , avevano con animi pro- 
pehsi abbracciata la causa, ora vedendo, che una vera 
ribellione procuravano con darsi anche ad una na- 
zione odiata , se n' erano alienati , e la ruina loro de- 
sideravano. Da tale sinistra impressione procedeva , 
che i Siciliani, non che si sforzassero di portar viverl 
in Messina, serravano da per loro medesimi i passi, 
perche non ve n'entrassero. 

Venne dalla diligeuza di Francia rotto il disegno 
agli Spagnuoli. 11 duca di Vivonne , inteso il buon 
s}iccesso del Yalbel, e come i Messinesi persistessero 
nel proposito, era parti to da Tolone con nove vascelli 
di guerra , tre brulotti , ed otto bastimenti carichi di 
vettovaglia. Portava con se il titqlo di vicere di Mes- 
sina, di cui il re V aveva onorato. Pervenne nei mari 
di Sicilia in sul principio di febbrajo. I '. generali di 
Spagna vedendo, che da quell' ihcontro pendeva 
r esito di tutta la guerra , salparono incontanente e 
andarono ad affront arsi coU' armata Francese. Agli 
undici di febbrajo attaccarono le due flotte nemiche la 
battaglia. Gombatterono con tanta ostinazione, che 
non cessarono dal menar le mani dalle nove del mat- 
tino sino a notte. Finalmente o fosse sfortuna o ne- 
gligenza o cambiamento di venti in favor dei Fran- 
cesi , le galere di Spagna costrette da superiore forza 
si ritirarono. Valbel , che molto destro e valoroso era, 
usando la occasione propizia, usci dal porto con do- 
dici vascelli, e andossene a scagfliarsi pel bel mezzo 
della flotta nemica. A tale improvviso e fiero assalto, 
che un non contrastabil impeto aggiungeva alia forza 



LIBRO VIGESIMONONO. 1675. 269 

del Vivonne, gli Spagnuoli si sgomentarono, si sgo- 
minarono, e cedendo il campo, alia sfuggita si dis- 
perdettero. I Francesi col vento in fil di ruota in Mes- 
sina entrarono. 

Le feste e il giubbilo dei Messinesi nel veder en- 
trare in porto il vincitore Vivonne, non potrebbero 
cosi facilmente descriversi. Tanto maggiore era 1' al- 
legrezza, che da una estrema penuria risorgevano ; ipi- 
perciocche a tale di mancanza di viveri e di stento erano 
venuti, che si erano dati a mangiare i cibi piii sozzi 
e pill immondi. Un ultimo giorno non vi restava da 
logorare che qualche massa di cuoj , che gli abitanti 
per ordine pubblico si distribuivano a peso misurato, 
ed anche il peso era lieve. Se non fosse stato il sena- 
tore CafTaro, che in quell' estremo frangente seppe 
opportunamente intrattenere con promesse e speranze 
gli spiriti, sarebbe nato fra il popolo qualche grave 
rivolgimento , non ostante la presenza di Valbel e 
del marchese di Valavoir, che ai Francesi del presidio 
comandava. Ma V arrivo del ViTonne rende la vita a 
. chi gia rendeva lo spirito. Fu egli condotto con gran 
pompa al palazzo pubblico , furongli dal senato e dal 
popolo rendute grazie pel soccorso, grazie per la 
conservazione della liberta. Usaronsigli sovrani onori 
per la qualita, che con se portavadi vicere e di rap- 
presentante del generosobC potente Luigi. 

Non cosi la Spagna. La regina malcontenta de' 
suoi generali di mare , ordino , che fosse fatto il pro- 
cesso al marchese di Bajona, al marchese diVico, 
suo padre , al generale della Queva, all' ammiraglio 



tk'JO SXORIA d' ITALIA. 

don Francesco Genteno. Nomino ammiraglio delle flotte 
di Spagna il principe di Montesarchio. Domandossi in 
gran copia denaro , uomlni e navi a Napoli , doman- 
dossene alia Sicilia per la guerra di Messina. 

Yivonne annunzio, che il re aveva benignamente 
accettata la citta di Messina nella sua real protezione 
e sudditanza, e che d' allora in poi ella era, e doveva sti- 
marsi Francese. Poi vi fu ai ventotto d' aprile grande 
solennita nella chiesa cattedrale per prestare giura- 
mento ed obbedienza al nuovo sovrano. Sedevano con 
magnifico apparato il duca di Yivonne, i marchesi 
di Valavoir e di Preuilly , il commepdatore Yalbel con 
tutti gli altri ufEciali Francesi. Ai suoni di una lieta 
sinfonla ufEciava pontificalmente V arcivescovo. Il 
senato era presente , la nobilta , i consoli delle arti , i 
personaggi piii ragguardevoli. Una folia innumerabile 
riempiva le navate e gli atrj , echeggiava il tempio 
d'altissime voci : Fiva, viva il re di Francial Fe- 
cersi avanti i senatori Tommaso CafTaro, Francesco- 
inaria Majorana , Yincenzo Marullo , Cosimo Caloria, 
Raimondo Marquet, Antonino Chinigo, inginocchia- 
ronsi, toccarono i santi evangel], giurarono, per &- 
colta loro data dal gran consiglio per inandato di tutta 
la citta addi ventidue d' aprile, nelie mani del Yivonne, 
omaggio ligio di fedelta all' invittissimo Luigi XIY, re 
di Francia e di Navarra , e* suoi successori per Mes- 
sina e per tutte le citta di Sicilia, che d' allora in poi 
si sgraverebbero del giogo Spagnuolo. Yivonne dal 
canto suo giuro sopra la croce di Cristo e sopra i suoi ' 
santi quattro evangel] ai senatori di osservare alk 



LIBRO YIGESIMONONO. — 1675. 27! 

citta di Messina g suo distretto e dipendenze i capi- 
toli , privilegi ,*'iinmunita e liberta concedute da qual- 
sivogliano re ed imperatori, e cpsi ancora gli usi, le 
consuetudini e i buoni costumi di essa citta, ed altre 
prerogative, che sarebbero in futuro per coneedersi, 
comandando a tutti e qufisivogliano ufEciali di custo- 
dirgli , rispettargli ed osservargli. Le quali parole non 
COS! tosto furono pronunciate dal Yivonne , che se- 
guitarono con strepito grandissimo gli applausi , ed i 
Fiva y viva il re di Francia nostra signore e re, Tuo- 
navano intanto le artiglierle da tutti i forti , e il po- 
polo afifollatosi a calca per le contrade e piazze si 
diede al rallegrarsi ed al festeggiare. 

Stabilitosi alia corona di Francia il possesso di 
cosi vasta e importante citta , disegnarono i Francesi 
e i Messinesi di allargarsi nella campagna, perche 
essendo tutti i passi verso terra chiusi dalle armi 
Spagnuole, e di piii i paesani attentissimi a dare 
addosso a chiunque da Messina uscisse, si pativa 
dentro ogni giorno piii di strettezza di vettovaglie, 
non potendo le provvisioni arrivate sulle flotte a 
gran pezza sopperire alia numerosa cittadinanza ed 
al grosso presidio, che la guardava. Ma i regj trovan- 
dosi numerosi di seimila combattenti tra fanti e ca- 
vidli alia Scaletta , alloggiamento principalissimo e di 
somnio rilievo sotto il comando di Marcantonio di 
Gennaro e di don Antonio Guindazzo, soggetti Na- 
politani , amend ue di gran prudenza e valore, quello 
pei fanti, questo pei cavalii , si difesero egregiamente, 
ributtando ogni tentativo del nemico tanto contrb la 



a7« STORIA D ITALIA. 

Scaletta, quanto contro alcuni quart\f ri circostanti : se^ 
gui anzi in questi fatti grande mortalita fra gli aggressori* 
Riusciti vani gli sforzi dei nemici di Spagoa negP 
incontri di terra, e trovandosi i Frances! superior! di 
forze per ben condurre la guerra marittima, uscirono 
al mare per andar volteggfandosi attomo all' isola 
coir intento di far sorgere fra le popolazioni^ massi- 
mamente delle coste , moti contrarj alia dominazione 
Spagnuola. Speravano specialmente di tirare nella 
loro parte Palermo, meti'opoli delFisola^.a cio per- 
suasi dai Messinesi, i quali , siccome accade a tutta 
la gente commossa, credevano facile cio, che era 
impossibile. Si fondavano soprattutto sulla.voce, che 
andavano spargendo , che intenzione. della Francia 
fosse , non di unire la Sicilia alia corona, ma di darle 
un re nazionale e indipendente. Giro adunque a 
quella parte 1' armata Francese, fermandosi quattro 
giorni continui a vista di Palermo in distanzadi 
quattordici miglia. Ma quel popolo, non tanto che si 
lasciasse adescare, si armo con mirabile prontezza 
alia difesa. Le trentasei arti formarono subitainente 
altrettante compagme capitanate dai loro consoli, le 
quali provyedute d' armi dai senato custodivano, 
ciascuna secondo la sua volta, i dodicibastioni. Queste 
arti componevano da esse sole un corpo di quaran- 
tamila combattenti effettivi , che uniti poi alia gente 
civile , nobili e religiosi , sommavano quasi a ottan- 
tamila uomini atti all' armi. Le marine altresi per 
molte miglia all' intorno si miravano guemite delle 
compagnie de' paesani , gran parte d' essi a caxallo. 



tidao vjoilBitONOifo. -^ 167S. 1273 

Veduto, chf)«l^6sperhnento rinsciva inutile, Tarnidta 
Frances^ parti finalmente per tentare al trove la fbr«* 
tuna deir armi^ Ma le spiagge si dimostrarotio gene-* . 
ralmente rfedeli ; perciocch^ i popoli , quantunque 
SGontmiti fosaero del proprio governo , non atnavano 
i FmnGesi, odiava«io i Messinesi, ed abborrivano dal 
laaciare una cx>nd]zione certa per eorrere dietro ad 
una incerta. >Solo per qualche dissensione civile iiata 
da leggerissimo accidente , entrarono e fecera seggio 
in Augusta^ citta , che giaoe sulla marina tra Siracasa 
e Catania, e dagl' indigeni cbiamata Agosta. . 

Parve alia corte di Parigi , che il torre T incertezza 
sulle sorti di Sicilia, e Tassicurare grisolani'tanto 
della volonta stabile del re nell'esser loro liberate 
d'ajuti, quanto della avere un .Ve proprio, molto 
valesse a confermare i propehsi , a confortare i de- 
boli, a disperare gl| ^vversi , per produrre se iK>n 
un^consenso, almeno un moto generale a vantag- 
gio di Francia. Per la qua! cosa Luigi agli undici 
d^ ottobre mando fiiori con pubblico manifesto le 
seguenti parole : vt 

«La condizione infelicissima, in cui si trovava 
a 1' auno passato la citta di Messina, il pericolo , 
«ch'essa teste liberata da un giogo crudele ad un 
« giogo ancor piu crudele sottentrasse, il ricorrere, 
a die fece quell' antica e famosa citta alia protezione 
ccdel re, la coropassione eccitata nelF animo regio 
« dair aspetto di un gran popolo vicino ad esser con* 
« d^ttP si suo estremo eccidio , i tormenti di una 
a Ituiga fame, i supplizj preparati, mossiero sua maesta, 

VI. 18 



^74 STORIA d'iTAUA. 

«r pill ancora per un atto di genarositk <che per mo^ 
M tivo di una diverstone importante contro la Spagna^ 
^ « a noD abbandonare tanti poveri i^nocenti oppressi, 
a ai quail niun' altra speranza cbe Ifi bonta del re 
a restava. Le navi di Francia due volte soceorsero 
« Messina, due volte coi recati vureri dalla instante 
« fame la liberarono , due volte le vittorioae iitsegne 
c di lei il porto chiuso dalle forze nemiche apersero e 
« ravyivarono. A gran beneficio gran riooaoseeaza , 
cc cosi pensarono i Messinesi. Fecersi avanti al lorolibe- 
« ratore , per loro signore 1' elessero ^ potente il pruo- 
d varono un di v, potente il vogHono pruovare per 
« sempre. Supplicarono, in luogo di sudditi gli rice- 
fcvesse. Alle loro preci piegossi, giurarono in lui, 
« ed egli il loro giutamento accetto. Poteva per questo 
a stesso nuovo titolo, e per laragioni si antiche e si 
ccgiuste, che gli competono sq^ reame delle due St- 
ic cilie unire alia sua corona e Messina e chi ^ si 
cc diede, e chi gli si dar^. La liberta muove quei po- 
m poli, I'orrore di Spagna gli trasporta. Poteva. il re 
«cco'suoi Francesi congiungergli. Pure atteso che 
'«c non il desiderio di maggiore grandeia» il maove , 
cc ma la cottfpassione di popoli, che il suo soccorso 
« implorano , dichiara e testifica , avere aperto il 
a grembo ai Messinesi, ed a chi i Messinesi imitasBse, 
cc non per altro che per fargli vivere C09 le ptoprie 
<c leggi. Due voke la real casa di Francia diede re a 
« Napoli ed a Sicilia , ora vuol dar loroun FQcJeLme- 
ff desimo sangue; a lui tutti i diritti cederk, cfa)e Ka la 
a Francia su quei resani, tutti quelli, che dal con- 



LIBRO VIGE8IMOIYONO. -^ 1675. 276 

« s^jptimento dei popoli sorgono o sorgeranno; IfM 
« ammonira 3i farsi e di maniere e di costumi edi 
(c leggi Siciliano ; lui a wertira ^ suo dovere essere di 
cc ristorai^e fra iSiciliani quel trono^ che con tanto 
a dolore i suoi antenati videro in Aragona ed in 
cc Castiglia trasferirsi. Sua maestk solo vuole e/iolo 
a pretende , alia Sicilia pensando e sotto la perpeCua 
a ombra della Francia ricettandola, la possanza 4k 
(c quel reame confermare e la felicita di quei popipli 
a procurare. Gio ha voluto dire per pubblico «cirttk> 
cc sua maest^, percbe PEuropa sappia, ch'^lla jqgmi 
c( al suo utile, ne a maggior lu$tro di coronarisguai'da, 
«c ma solo a rimetterne una in onore , il cui nome ed 
cc in Italia e per tutto il mondo cosi alto suona* » 

Alle magnifiche parole suceedettero valorosi iatti. 
Avevano gli Spagnuoli, ai quali stava sempre fisso 
neiranimo il racquisto. di Messina, e le flotte dei 
quili o rptte dalla miglior fortuna di Francia , p fra- 
cassate dalle tempeste, piii non supplivano al bisognq, 
soUecitato qualche ajut6 di mare dagli stati generali 
di Olanda loro confederati. Gli stati , accesi in quirl 
tempo di grandissimo sdegno contro U neLi^^i^ 
condescesero volentieri nel desiderio d^l m CatUdice^ 
e mandarono nei niari di Sicilia upa flotta, di trep>la 
Yele. L' iimmiraglio Adriano Michelemuyt^r.^ iCjJiO la 
governava,!^ ando verso la fine di decembre*a,dai* 
fondo a Melazzo : a lui si unironq le^navi l^gnuolfi; 
con una battaglia speravano di Qflvar i^Francesiidi 
Messina. Ma V ivonne non era stato pzioeo , anzi . il 
j^cirno di Francia^ a ^i pF«mey^ oen .una yittpria 



A 



•176 STORIA d' ITALIA. 

segiuriatli, non solo di tenere quella cittaiy ma aximtt 
di dar animo agli altri Siciliani per soUevarsi , aveva 
mandato nuovi rinforzi marittimi. Duquesne gli aveva 
condotti , ed a lui obbediva tutta T brmata. Dae 
famosi capitani pari di nome, pari d'ardire, pari 
d' esperietiia , i due piti gran sosU^i in mare deUe 
loro Idntane patrie , Ruy ter e Duqueshe , ora s' av* 
tentavano V uno contro V alti'd , le gia famose acque 
di Sieilia con nuove pruove di valore nobiittando. 

S'uftftccarono agli otto di gennajo del 1676 tra le 
iMjk di l^alina e di Stromboli , diir5 la battaglia dalle 
died delta mattina sine alia sera. Quanto pu6 il va- 
lors, qtiahto puo la perizia, tatto fa posto in opera 
dai due valenti awersarj. Riusci a Duq|^dne di goa- 
dagnare il ventb, t col vento in poppa si slancio 
contro Ruyter; ma questi coUe grosse e gravi navi 
d'Olanda ostinatamente resisteva, urto per urto ren- 
dendo e moltiplicando. Gombatterono da iungi, crnn- 
batterono da presso y co2zarono , s'abbordarono, me- 
flK^lnrono le famose destre. &uy ter ^ Duquesne , cbe 
gii ta!nte ferocl zufTe avevano vedute, fbrifl pari a 
<{Oesta di tion aver veduta mai affiermarono. Gik i 
Francesi peiendevano del yantaggio, pereh^ Duquesne 
jrel tK)rpo di battaglia gia laceva piegane Ruyter , il 
mdl^ose di ft^uilly nella vanguardta gli Olandesi, 
cbe ute^ ^ fronte, Grabaret neila retrogipnfiii >qaei, 
cbe gli eontrii^sthvano. Ma la bon^ccia , che soprag* 
giunse , ed^'il mare spianato senea vento non permi- 
sero ai Frianc^sti di pigtiere maggiormenfce e di segai- 
tarie il corao delta fertuna^ die 4ero 4» eeopriva 



LTBRO VlG£SlMONONO. '676. 277 

favorevole. Si diagiuosero i due forti qemiai^ loa iKm 
per lungo tempo 9 si disgiunsero ptri d'QQPr^, e 
degni, ^iccome erano veramente, I'uno deH'altro. 

Tre naesi dopo a vista del tarribil Etqa si rattftcoqi* 
rono. Xante fatiche vedeva il mondo in quei mari per 
una sola citta di "Messina. Ruyter assedi^va Agosta , 
senti venirgli coatro i Frances!, corse ad incontrar- 
gli. Le due parti anelavano con uguale impeto alfa 
vittoria, Non era ancora passata una ipe^'ora:.da ohe 
si combatte va , quando una paUa di cannone por to 
via il pi^ sinistro ed infranse la gamba air intr(9|^|do 
Ruyter. Non mori sul faito dalla dolorosissima fenta , 
continuo a dar ordini, continuo ad animarai suoij 
muovevaiisi lie navi di Spagoa e d'CManda, copiese 
intero e sano il loro invitto ^pitano fosse« Tutto il 
giorno duro la liattaglia , la vittoria pende incerta , 
n^ a chi dovesse inclinare si yedeva* Alia -fine gli 
Oiandesi piegarono e si ritirarpno, r^staudo i -Fmn- 
cesi content! di aver liberato Agqsta dall' assedio, I 
primi si ricoverarono inSiracusa, dove il benen^erito 
Ruyter rend^ 1' ultimo spirito , ben degno di patria 
lij^era, ben degno delta lode dei postal. De Haep gli 
successe nel governo della flotta. N^ qui ebbe fine la 
guexTa marittima : qu^i mari, a cui le ^vole aotiche 
davano mostri crudeli, vedevano una rabbia compar 
gna,rnia4!che gli uomini chiaraano gloriosa, e poco^ 
Qianca, che non la chiamino benefica : sarebbe vera- 
.ipente, se a difesa d'innocenti patrie sempre e sola* 
•m^nte si adoperasse. Yivonne e Preuilly seguitarono 
gli Oiandesi e gli Spagnuoli usciti ditOuovo al mare 



i' 



3^8 STORIA D* ITALIA. 

per andare a Palermo; arsero loro alcune na^I , aitre 
af&ndarono, altre mandarono di traTerso a rompersi 
sugli sco^i. Fa grave U danno pei nemici di Fran- 
cia, la fiuna dei Francesi per le cose di mare andava 
crescendo. 

N^ il vigore, col quale i Frances! ayevano ultima- 
mente amministrata la guerra, vk il manifesto del 
re, ni gl' incentiTi dei Messiiiesi , ne le maccbina- 
zlcMii deir ambasciatore di Francia in Roma , cbe non 
cessaTa di mandare avanti nell' Abruzzo e nelle Cala- 
bria iq>paatatori, principalmente frad, con la bocca e 
le mani piene di parole e di scritti insidiosi per ecc%, 
tare i popoli a ribellione, ed a movimenti pericolosi 
pel govemo, avevano potuto &re, cbe o in Sicilia, 
eccettuate Messina ed Agosta , o nel regno di Napoli, 
il nome di Francia prevalesse a quello di Spagna. Il 
solo effetto prodotto fii, cbe alcuni o deboli o scele- 
rati ubtnini, guasti dagFinsidiatori, furono impiccati 
tanto a Napoli, quanto a Palermo. Messina restava 
sola ribelle, e sola esposta, se si eccettuano i lontani 
soccorsi di Francia , a tutta la potenza di Spagna , cbe 
dal yicino regno di Napoli e dal poco distante Milano 
r andava a ferire. 

Ihsorgeva in fatti piii fortemente la Spagna ; percbi 
essendo stato eletto vicer^ di Napoli il marchese di 
*1os Velez, ottenne dalla nobilta e dal popolo Napoli- 
tano per la guerra di Messina un donativo di ducento- 
mila ducati , per cui mandava continuamente a Me« 
lazzo e soldati e munizioni e daiiari per le paghe delP 
esercito e d^ll'armata. Il principe di Li|^y, cbe. 



LIBRO VlGESIMOJfONO. — 1676-4677. a 79 

lasciato il viceregato di Sicilia, era stato chiamato al 
gOYefno di Milano, nissuna diligeaza ometteva per 
levaFtfoIdati , e raccorre danari per uso degli aggres- 
sor! ^ftlla citik ribellata. Era giunto 1' aqno 1677, che 
essendo nominato a vicer^ di Siciiia il cardinale For- 
tbcarrerOy che di non ordinaria grandezza s'incam- 
mipava a grand^^ ancor niaggiore, le flotte Spa- 
gnuole rinfrescate e risarcite gia ricorrevano i mari ai 
danni del nemico. Oltre a cio si aveva gia certezza, 
cfaelaOlanda mandava per accrescere la loro forza, 
una possente flotta pdta a freno del vice ammiraglio 
Evertz. I Messinesi principiarono a dubitare dilora 
medesiini; molte ed importanti considerazioni trava- 
gliayano 1' ai^mo dei France$i , vedendo Y inalterabile 
ii^eltkdellecittaSiciliane, il nuovo ardimento di un 
nemico, cui, credevano debellato^ed il poco frutto 
deJIa guerra ferocissima fatta per ti^rra e per mare in 
tttttoranno 1676 e seguente, poiche a nissun modo 
si era dato triegua all' armi , Messina cagione del fu- 
rore di tante nazioni. Sinistri presagi ingombravana 
1& mente e di chi combatteva fra le Messinesi mura e 
d\ chi non combatteva* Yi succedevano^spesso tu-- 
multi, sommosse, risse sanguinose, non tanto per 
Finsolenza deUe soldatesche, quanto per sparger vist 
fama, la quale un gicn^no piti che I'altro andava cre- 
scendo ^'^che i Francesi fossero per saccheggiare 1# 
citta, poi abbandonarla al furore di Spagu^ 

EfFettivamente restava considerato diai consiglieri 
di Francia Timmenso dispendio, ch' essa era obbK'- 
gata di fare per trasportar le truppe ^ le provvisiorh 



a8o sfTOftiA d'itaua. 

orceawirie in Siciliau Consideravaoo ancom^ cfaenon 
Ti era in Messina oosa che fosae per vivere, e faiso- 
gnava pensare a mandanri da paesi lontani vettoTa* 
glia per patcere non solamente i soldati, ma anoora 
i cittadini ; cbe di ventimila Francesi mandati alle 
fiizioni di quell' isola, appena dnqiteniila si rnunenh 
vano sopravriventiy morti gli altri ^ per guerra oper 
fiune o per malattia ; cbe non solo era neoessario di 
mandarvi naove flotte per combattere e Spagnnoli e 
Olandesi, ma inoltre tener continuamente na'vi in 
sulla via per preservare dalla rapacita del nemico le 
portatrici di soldati, d' armi e di muinzioni; che 
gia r Inghilterra Doinacciava di accostarsi alle parti 
d'Olanda e di Spagna, se il re Luigi noi| si risolveva 
ad inclinar ranimo alia pace; che la Francia noa 
aveva annate, che bastassero per far fronte e oel 
Mediterraneo e nejrOceano e nel mare di Lamagna; 
che due spaventevoli incendj ayevano consumato 
cosi r arsenale e le muniziooi di Toloae, come i ma- 
gazzini di Mar^iglia. Ne non era nata in Francia qual-* 
che diffidenza stti Rlessinesi $tes$i, perch^ nelmenCre 
a))punto, c^ i Francesi consumavano tesori e sangue 
per lore, non pochi fra di essi, o per tedio degU 
afFanni presenti , o per affezione verso Spagna , ave^ 
vano congiuratp per riguadagnarsi la grazia del re 
£attolico, ,e ritornare sokto la sua ubbidienza^Le quali 
macchinazipni sai'ebbero anche venute a termine , se 
la. parte dei 'Cafiari , la quale e per odio e per paura 
di Spagna senza posa alcuna invigilava, non le avesse 
impedite. 



LIBRO VIGESIMONONO.^ —^ 1677-1678. a8l 

Gravi ed importanti consideraidoni erano queste. 
Quindi poi anche si traUava la pace di Nimega, I'ln- 
ghilterra minacciava sempre piu, la Sp9gna non vo- 
leva a patto uissuno lasciar iotrodurre discorso d' ac- 
cordo, se primieramente i Frances! non cedevano da 
Messina. Fu adanque risoluto nei consigli di Francia 
di ^bbandonarla^xla lei , e da Agosta le armi ritirando. 
Yivonne, che con n^olta lode aveva esercitato la ca- 
rica di vicere, ed abborriva dal pensiero di ridare a 
Spagna uomini, che si erano dati a Francia, avendo 
subodorato Tintenzione del re, fece intendere ^er- 
tamente , ch' egli non avrebbe mai consentito a servire 
d' istromentx) alFatto doloroso. Inviarono per eseguirlo 
il inaresciallD Aubusson de La Feuillade. Nel mede- 
«imo tempo ilre di Spagna, avendo chianpato all'ar- 
civescovato di Toledo il Poirtocarrero, gli surrogo 
per vicere don Vincenzo Gonzaga^lei duchi di Gua- 
stalla. 

La Feuillade, arrivato a Messina, «i mise suUe 
prime a far un gran romore; che voleva far^mna ca-> 
lorosa guerra , che \oleva imbarcare le truppe sull|[ 
potente armata per condurle alia cQnqaist#di Catania 
6 di Siracusa , procedere , che nou era ne da Fran- 
cese, ne dacavaliero, ne da galantuomo, posciache 
si trattava di abbandonare del tutto e Messina e* le 
cose di Sicilia. Se una iipmensa leggere2!^ non lo 
scusa , per me non saprei come scusarlo* . ^.^ ^ 

Dopo un tanto brayare , Aubusson chiam& a se il 
senate , mostro gli osdini^el «re per lasciare la Si<silia, 
prpteste di volev {)artfre.e pr^fta^Qualmefite, qual 




aSo STOHIA. D*ITAI.IA. 

aecessarifl in Sicilia. Consideravano ant^. 
vi era in Messina cosa che fosae per ^ 
gnnva pensare a mandarvi da paesi J 
glia per pascere non solamente ' 
i cittadini; che di ventiniila Fi 
^zioni di quell' isola, appeoa c' 
vano sopravviveDti, morti ^i'^ % *'' ' 
feme o per matatliaj cbe nr^ % \. '■ 
mandarvi nuove flotte perk ^ i''; ■ 
Olandesi, ma inottre twi "i \ i' 
sulla via per preservare^ % %. *t ?i ■ 
portatrici di soldati, ' V ^ V \ * 
gia t' Inghitterra min I- v % 4 
d*01anda e di Spag: $ W " 
ad inctinar I'aiiir i V^ 

aveva annate, g >.\ ' ^^ j^,^ , 

Mediterraneo e ^ f _ ^ gtesai. H te 

che due spa^J * .^ aveva e feceva fr 

cosl rar»eiip( ^^ pe^h^ ^0^ ^nt la n 

gazzioi di I j,j ^jj^ ^4 j^ conlrade n^ le | 

che difBd'' ^jjQ ^ gonteoerla ; te navi ancor n 

appunto ^Uade ^ ricettatane una parte, creM 

P^ '*" ^ ta folia dei miseri a bordo , pel pet 

"^"f ^^ stracariche, i sopravvegnoiti anchi 

^'* ' ^ libutto ; la ucurezza della flotta ricen 

^fHi anSassero al boja. Hibelli furono , eaali d 

^nffit presto pruovarono come grere sia I 

y Jttant- Francia ed Italia , massimamente Venena 

' fWtate gli ^-idero ; al name di Messina i popoli 

pietOMTano e si ade^uinuio; se piik cavj divenb 



^ 



38a STQRIiW 1/ ITALIA. 

Guore fosse atlora dei Messinesi, non fa bisogno, cfa'ia 
il dica. Pregaronlo , scongiucaronio , il suo onore , la 
sua pieta tmplorarono , perch^ soprassedesse almeno 
tanto ch' essi potessero ai casi Ibro provvedere. Stette 
ioesorabile piii che se nemico fosse. Non valse loro 
n^ la protezione promessa e data , n^ H chiamare la 
generostta Francese, vkh rmvocareralto animo de! 
potentissimo re; insomma abbandonati senza pieta, 
sen^a riserva , senza aita. 

Chi potr^be degnamente descrivere lo stato deir 
infelice Messina in quel supremo frangente ? Pianti e 
querele risuonavano per Y aria; donne e fanciuHi con 
quanto di piii prezioso trasportare potevano , corrend 
alle navi di coloro, che niun' altra cosa a )oro ofFe- 
rivano ch&i mezzi di fnggire. Gli uommi, parte la- 
grimosi, parte sdegnosi se n'andavano ancH>r essi: 
maledicevano FfaHcia , Spagna le se stessi. Il tempo 
mancava, perche la Feuillade aveva e faceva fretta; 
mancava anch^ lo spazio, perch^ tanta era la molti- 
tudine degli andantisi che n^ le contrade ne le piazze 
}f^ il lido basjtavano a contenerla ; le navi ancor meno; 
e pero la Feuillade , ricettatane una parte , cresoendo 
se^ppre piii la folia dei miseri a hordo , pel pericolo 
delle navi strac^iche, i sopravyegnenti anche con 
foma ributto ; j|^ sicurezza della flotta ricercava, 
ch' essi atlQassero al boja. Kibelli furono , esuli diven- 
taroyo , iplesto pruovaroho come greve sia V aere 
alieno. Francia ed Italia > massimamente Yenes^a , spa- 
ventate gU videro ; al nome^ Messina i popoli % m- 
piatosivano e si<id^g)3li9^ano| s» pi^ ^yj diventassaro 



tiBAo vi&KsiMOKOno. -^ 1678. a83 

alle moluzioni, in vedendo com' esse finiscono, io 
non lo so. Non tutti fuggirono i miseri ; chi non pote 
per bassa fortuna , chi non voile per credersi inno- 
cente o per stimare lo Spagnuolo clemente ; ma cio 
non ostante di parecchie migliaja scemo la popo* 
lazione. Distesero le vele al vento, non so se mi 
debba dire i liberatori o gli oppressor!. Guardaronsi 
r ultima volta con lagrime i Messinesi, che parti- 
vano , qu^ , che restavano. Gli .ultimi aspettavano 
tremando la tempesta Spagnuoia, e <}uel, che di loro 
la Spagna risolvesse. I soldati del re Carlo vi entra- 
rono. *• 

Buono e clemente dimostrossi il Gonzaga, perdono 
a tutti, salvo i fuggitivi, del senato aspetto gli ordini 
di Spagna. Ghiamo alia zecca tjatta le moaele all' (4* 
figie di'Ijuigi XIV, poi la trasferi a Palermo, donde 
nacque, qhe d' allora in poi, non piii a Messina, ma 
a Palermo si conio la moneta. 

La dolcezza del Gonzaga dispiacqt^ a Madrid. Il 
richiamarono, ed in sua vece mandarono il conte di 
Santo Stefano, vicer^ di Sardegna. 11 conte la clemen« 
di Gonzaga detestando , e contro la inerm^e derelitta 
citta infuriando , aggravo la mano regia. Faceva da 
se, faceva instigato^da Rodrigadi Quintana, pessima 
specie d'uomo crudelissimo. Persegiito i rei, spa^ 
vento gP innocenti , spense*'il seiiato, cre6 in suo 
Iuog> un magistrate degti eletticon assaiJtaNtat%po- 
festa, casso ogni franchigia, ogni privilegio, ogni 
immunita. Demoli il pafetezo della citta , semino sul 
nudato suolo sale , rizzovvi una piramide , v' inscrisse 



a84 SToaiA d'italia. 

parole infamatorie pei MaBsinesi , posevi su la statua 
del re fatta del metallo di quella stessa cainpana,che 
chiamava i cittadini a consiglio ; proibi ogni adunanza, 
regolo a modo suo imposte e dazj , aboli V unlversita, 
Catania onorandone, spoglio V archivio, dove si con- 
servavano i privilegi dati a Messina dalla repubblica 
Romana , dall' imperatore Arcadio , dai principi Nor- 
manni , dove ancora si conservavano i mano^ritti di 
Costantino Lascaris ; se abbia portato rispetto alia 
lettera della Madonna si o no , non trovo scritto , i 
Messinesi il devono sapere; 1' archivio stesso a Pa- 
lermo trasporto. Pianto una cittadellaper eterno freno 
^i nialcontenti. Tale frutto cavarono i Messinesi delle 
loro pazzie , ti^emendo e forse sempre inutile esempio. 
Andat^ e ribellatevi , andate e fidatevi. 

Ai dieci d' agostp si conchiuse in NimegqE. la pace 
tra Francia, Spagua ed Olanda. La prima acquisto 
spoglie ricchissime , la Franca Contea , Valenciennes, 
JSoiiqhain, Gqnde, Cambray, Cambtesy, Aire, Sant' 
Omero, Ipri, Yervins, Dinant; restitui alia Spagna 
^and , Liegi , San Geslin , Limbucgo , Oudenarde 
Courtray , ^Atb , Binche, Charleroi e Piiiqerda nella 
Qatalogna. L'accordo coU' imperatore segqito quello 
qolla Spagna. Rimas^ all' Austria IPtlisbiirgo , alia 
Francia Friburgo. Luigi cogli acquisti andaira ricom- 
ponendo 1' aqtico corpd delle Gallie , e c<we se la 
forza non^astasse per un tal fine, le dedizioni il se- 
Condavano; imperciocche nel 1681 Strasburgo, citta 
libera della Germania , si sottomise alia Francia , ac- 
cesjsione importantissima per la grandezza e fortezza 



LIBRO VIGESIHOVONO. — 1 67 8. a85 

ddla cittik e pel suo 'sito sulla riva del Reno sul con- 
fine stesso dell' Aletnagna. 

Mentre la principale fra le isole del Mediterraneo 

era in una sua parte straziata dalla goerra civile , e nel 

resto sospettosa di un nuovo e straniero govemo , 

un' altira delle piii grosse , che allora da crude guerre 

riposava, e prima^ che a piu crude, tornasse, apriva 

il grembo a profughi illustri, che cacciati dalle natie 

sedi per la furia Turchesca e per gli odj intestini, 

andavano cercando ricovero sicuro per respirare / 

campi fecondi da coltivare , principe buono da obbe- 

dire. A cose vere^ furono, secondo che accade nei 

casi insoliti , intrecciati comenti e favole. Narrano , 

che Alessio Comneno , imperatore di Costantinopolt 

sul principio dell' undecimo secol% avess^allai'sita 

prima inDglie,Maro o Caterina che si chiamassie , dm 

figliuolf^ Giovanni e Stefano. Morta Caterina, passo a 

seconde nozze , sposando TeoBora , nipote dell' impe^ 

ratore Michele, poco innanzi passato ad altra vita, 

Costei amava i ngliuoli di^ Caterina da%natrigna* Nel|a 

Greca Gorte odq e rancQri si nascondevano, poi veil*- 

nero gli scandali. Teodora amo Germano, amicore 

ministry d'Alessio; voile lirarlo a' suoi voleri* Resist^ 

sttUe prime di' impadica fiamiha ¥ amico del marito , 

poi cMi; percio<^e Teodora era donna bellissima : 

meseolaronsi. II giovane Stefano «fttro in camera net 

teoeri momenti^ Teodora. lo sgrido, Germano riii* 

vsMo. Per irendicarsi, instlgato da} fratMio Giovanflii, 

brasEio it sjmgiae di Genmano e T ^ebbe , av^ndolo uo^ 

ckw nd mentre che tkiciva dagli ahbracciarhenti'^eir 



a86 STORIA d' ITALIA. 

adultera. Poscia temendo lo sdegno del padre, cahe 
tutto non sapeva, ed il furore della matrigna, che 
troppo sapeva , fiiggi sopra un agile legno, ed a Me- 
telino ritirossi. Alessio il dann6 , miselo a taglia di 
tremila monete d' oro con altre magnifiche promesse 
a chi vivo o morto gUelo desse. Stefano, sentite le 
crudeli risoluzioni del padre , nh piii potendo vivere 
sicuro in Metelino, dove da tutti era conosciuto, 
penso di salvarsi riparandosi a luogo piu remoto e 
piu selvaggio. Venne e fermossi in Yitilo, citta di 
Maina , dove celando il suo essere e il nome , vivea 
sconosciuto a tutti. "k Maina , antica sede degli Spar- 
tani , una valle fra monti asprissimi , che formano quelia 
lingua di terra j che i moderni chiamano capo^di Ma- 
tapan , e ^li antic^i nominavano prpmontorio di Te- 
naro. La parte, che congiunge questa lingua di terra 
col circuito della Morea, h una orribile stretta da 
altissime montagne sopravvanzata, in cui pochi uo- 
mini, per la fortezza del luogo , possono frenare V oste 
la piu grossa. <2uivi abitavano , e tuttora abitano i 
Mainotti, forse quarantamila , gente fiera e nemicis- 
sima dei Turchi , ed i Turchi di loro. I costumi come 
la contrada, cio^ aspri e selvaggi, e vivevano per lo 
piiidi ratto si per mare che per terra. Quando i Turchi 
gli assalivano, ammazzavano i Thrchi, e qaaado i 
Turchi gli lascia^no in riposo , si ammazzavano fra 
di loro. Del resto, V amore della' patria, ed il valore 
in^uerra, come a Sparta. Gorsari barbari per predace 
o per vebdicarsi , abitatori ospitali e buoni verso chi 
in loro si fidasse ; i vi^ e le virtii degli uomini oLviii 



UBRO VIGHSIMOnONO. 1 678. IkS^J 

non conoscevano, ma i vizj avevano e le virtu degli 
uoinini feri e selvaggi. Terribile e pietoso ad un tempo 
era il promontorio di Tenaro. 

Venue Stefano a Yitilo , addomesticossi con quella 
ruvida gente, piacque a lei, ed ella a lui , con la fi'- 
gliuola di Pietro Lasturi, ricco e principal cittadino, 
sposossi. N' ebbe tre figliuoii , PoKmene , Michele e 
Gostantino ; i quali accasatisi procrearono una nuine- 
rosa stirpe. Sorsero percio tre rami della medesima 
famiglia , i Novacchei da Polimene , gli Stefanei da 
Michele, i Falzei da Gostantino; ma sicoome tutti 
da Stefano discendevano, cqsi tutti ancora il cognome 
di Stefanopoli ritennero. Divennero potenti in Maina. 

Teodora intanto, per tomare all'infame e cruda 
corte Greca , mori : la natura senipre potfote vinse 
r antico sdegno; Alessio rifeordossi del figliuolo ra- 
mingo , €ui non sapeva dove fosse , e nemmeno se 
ancora vivesse, Lev6 il bando, perdono a Stefano, nella 
pristina grazia il ristitui. La fama porto in Yitilo la 
felice novella, Stefano s\ scoperse per quel, ch'egli 
era, i Mainotti s'accorserb aver fra di loro un figlio 
d' imperatore. Seppelo* Alessio , ed a Gostantinopoli 
il chiamo; ma fatto dal lungo soggiomo e dalle eon- 
giunzioni parentevoli piii Mai not to che Gostantino- 
politana ricuso lo scambiace i ruvidi monti del Tenaro 
con la splendida corte di Bizanzio. Alessio per ricono- 
scere T ospitalita usata dai Mainotti al figliuolo , mando 
loro in regalo quantita d' oro per edifecar chiefte, 
concede ai medesimi mplte esenzioni e priVilegi , fra 
i quali di uno ma$^amente si sodditfdciro^.e fii. 



\ 



a88 STORIA d' ITALIA. 

che ottennero uq metropolitano in vece del vescovo , 
che g\k risedeva in Yitilo. 

Cosi Stefano se ne viyeva in Maina, amato dai piii, 
ma non da tuttt;- perciocch^ una setta oontFaria e 
perversa, cotne sono tutte le sette cittadinesche, il 
dedico a morte. Fu ucciso a tradimento da una mala 
femmina, messa 8U dai maladettisettarj. 

Moltiplicossi in Maina considerabilmente la fami- 
glia degli Stefanopoli, ricca , potente, valorosa, sem* 
pre fra le prime, quando si trattava di combatlere i 
Turchi. Ma colla potenza e la ricchezza crescevano 
anche contro di lei gli ^pdj civili, o per dir meglio 
incivili , n^ i Greci sanno vivere , se non si danno di 
quando in quando su per la testa. Altr^ potenti fa- 
miglie grihvidiaiano, nominatamente i Cosinii edi 
Medici , anch' esse di mdlta dipehdenza« Gli Stefano- 
poli non cedevano agli altri d'odio, come non eede- 
vano in potenza : famiglia contro femiglia; le piii 
deboli ne prendevano una per capo, le parti e le 
sette si formavano : i Greqji ' sono sempre Greci. Se- 
guivano atti crudeli fra gli uni e gli altri , gli Stefe- 
nopoli non migliori. Tant'oltre ando la cosa, cfae 
quasi tutti essendosi accordati contro gli Stefenopoli, 
questi schivaiido una dolorosa sorte , petttturono a 
lasciare Maina divenuta inospita per loro , in {hu mifi 
spiagge.qualche riparo alia tempestosa for tuna cer- 
cando'. Da Stefano esule «rano nati, ed un secondo 
esltio elessero anzi che continuar la vita in Un iudgd, 
dov' eihi noti era sicura. MiraronO iitr Itailia , shcdtsit 
alia pih farga fed amena parte #Euitoptt. Per 



LI6RO VIGESIMONONO. -— 1 67 8. 289 

nere quale luogo di lei migliore fosse , ed ai desidexj 
ed ai bisogni piu confacente, iniperciocche alle ro-^ 
buste braccia ed alia pronta volonta una terra feconda 
alle fatiche abbisognava, mandarono Giovanni Stefa- 
nopoli a visitarla. Vide costui Napoli , vide la Toscana. 
Giunse finalmente in Geneva con intento a seguire i 
suoi viaggi, non avendo ancor trovato sede, che, 
secondo che avvisava, a quanto intendevano i suoi 
compatrioti , si convenisse. IjO strano pellegrino 
ognuno mirava ed interrogava. Sentirono , andare lui 
cercando una nuova patria. Fecegli alcuno dei signori 
Genovesi intendere, essere nel regno di Corsica re- 
gioni , che per amenifa di sito, per fertility di natura^ 
per mancanta d'uomini, sarebbe ai Greci laboriosi e 
forti opportuna stanza. Giovanni suj^plico al senato. 
Accettarono i padri la proposizione di ricevere in 
(Corsica la Greca colonia, dando facolt^ a Giovanni di 
visitarla per vedere qual fosse il terreno, che in mag« 
giore utility ediletto ridondare potesse. 

Pervenuto in Corsica dkpero quasi di quanto si 
era nell'animo proposto, tan to trovo il paese disabi« 
tato, orrido , incolto, ingombro di alte e spe3se selve: 
male gli sembrava consUonare colla civile e colta 
Italia. Tttttavia cercando, secondo il mandato de' 
suoi, aria oenefica , acque salubri, accesso al mare, 
s'invogli5 e fece elezione del sito di Paomia. Giace 
Paomia sopra un' amena collina di la dai monti nella. 
Pieve di Yico, quasi nel mez2o tra i golfi di Sagona e 
di PortOs, ed h distante dal mare circa due migiia. 
Voglicma alcuni, che Paomia sia detta per avere le 
VI. 19 



ago STORIA. D ITALIA. 

colline contigue qualche somigllanza con la coda del 
pavone. 

Fatto certo del codsentimento del senate per la 
concessione di quel sito, Giovanni ritorno in patria, 
a' suoi compagni quanto aveva veduto narrando,e 
come fra tutti i luogbi il piii conveniente gli pareva 
Paomia di Corsica. A lale avviso gli Stefanopoli si 
rallegrarono , ed a prepararsi alia partenza comincia- 
rono» Ma a volere spatriarsi , e nuova patria adottare 
non furono soli gli Stefanopoli. Posciache Fisoladi 
Candia era caduta nel 1669 in potere dei Turchi, 
come si legge piii sopra nelle presenti storie , ebbero 
i Musulmani comodita di voltarsi con maggiori forze 
contro il braccio di Maina : v' infuriavano. Prevale- 
vano di numero, prevalevano anche di concerto, per- 
ciocclie i Mainotti fra di loro discordi e parteggianti, 
non tutti unanimi al medesimo fine concorrevano. I 
Turchi s' avanzavano , 1' antica liberta pericolava. Cio 
fu cagione , die al partire s' aggiunsero agli Slefano- 
poli molti altri cittadini, che o della salute della pa- 
tria disperavano, o le scimitarre Turche temevano, o 
la setta prepotente detestavano. Una nave Francese 
opportunamente in quel tempo nel porto di Vitilo 
avvenne. Y' imbarcarono le cose piu preziose^ poi vi 
s imbarcarono e sur alcune altre navi pronte quattro* 
cento Stefanopoli tra maschi e femmine, trecento di 
altre famiglie, specialmente di contadini per coltivar 
la terra : questi ultimi popolani chiamavanOy e con 
tal uome ancora si chiamaiio a' di nostri. Lo Spartano 
suolo abbandonaronOyda yitilo partendo ai tre d'ot- 



XIBRO YIGESIMONONO. 1 678. agi 

tobre del iG^S^e verso I' Italia le prore indirizzarono. 
Giovanni Stefanopoli gli guidava, imperio di neces- 
sita, di gratitudine, di rispetto. Videro Ceci, porto di 
Zante, videro Messina di Sicilia, quando appunto ella 
era dalla crudel guerra travagliata. Portati quindi da 
Venti contrarj e burrascosi, corsero i lidi di Barberia; 
finalmente il primo di gennajo del 1676 diedero fondo 
nel porto della desiderata Genova. Raccolti dal senate 
benignamente 9 con esso lui trattarono delle condi- 
zioni colonarie. I capi, oltre Giovanni sopraddetto, 
erano Apostolo e Gostantino, ambi Stefanopoli, Tra 
essi e il senato fu accordato quanto segue : 

La repubblica assegno loro a titolo di enfiteusi 
Paomia , Revida e Salogna in Corsica per essi e loro 
successori a condizione , che le porzioni di terra con- 
cedute a ciascuno fossero divise tra i loro figliuoli ed 
eredi senza distinzione di maschi e femmine, e che 
venendo a mancare una famiglia , la repubblica sub- 
entrasse al possesso de' di lei beni ; 

Che il magistrato di Genova provvederebbe i ma- 
teriali per edificarle chiese e le case, e somministre- 
rebbe i grani necessarj per seminare , coll' obbligo 
pero di essere rintegrato nel termine di sei anni ; 

Che fosse ai coloni permesso il traffico di qualun- 
que genere di mercanzia, pagando pero i dazj con- 
sueti alia repubblica ; 

Che la colonia per quanto spetta alia religione, 
fosse subordinata al pontefice Romano, ed esercitasse 
il rito Greco in quella guisa, che si usava nel domi- 
nio pontificio e nel regno delle dueSicilie; 



^9^ STORIA D ITALIA. 

Che giurassero in nome della repnbblica, a lei pre^ 
tassero fedelta ed ubbidienza, le tasse presenti e future 
da iei stabilite pagassero, nelle sue urgenze ai servigi di 
terra e di mare, come gli aitri sudditiaoddisfacessero; 

Ghe al loro arrivo in Paomia s' occupassero in 
fabbriche di chiese e case pelloro uso, e fosserd 
ubbidienti al reggente, che ogni due anni, e ciascuno 
per due anni la repubblica vi manderebbe. 

I Greci partendo dat porto di Genova, e portati 
dalle navi della repubblica, pervennero felicemente 
in Paomia addi quattordici di marao del 1676. Rin- 
graziarono Iddio , che da lidi infausti , ed a cui so- 
vrastava una nazione nemica del nome Gristiano, gli 
avesse condotti a salvamento in una terra, quanlo 
r antica, visitata da un sole benigno, ed ofFerente col 
riposo la fecondita. Come prima vi furono sbarcnti, 
piantarono le tende per preservarsi dalla stagione 
ancor rigorosa ; poi cominciarono a dar opera alF ecVi- 
fizio delle abitazioni, le quali, siccome e grandeVar- 
dore nei principj, massime stimolato dal bisogao, e 
del resto essendo per natura forti di mano e pronti 
d'ingegno, condussero a termine con maravigliosa 
prestezza. Furono da un corAmissario Genovese,cbe 
gli accompagno, assegnati i terreni, poi distribuiti 
dal commissario medesimo , che per tale bisogna s'ac* 
cordo coi quattro capi della colonia. Partirono tutlo 
il territorio in quattro parti uguali , su dascheduna 
delle quali fondarono un villaggio, ed i villaggi 
furono chiamati col nome di Salici , Corone, Pancone, 
Rondollino e Bfonterosso. 



LIBRO VIGESIMOKONO. — 1 678. 2^^ 

Era venuto con loro un vescovo del proprio rito , 
chiamato Partenio con un certo numero di monaci 
deir ordine di San Basilio. Per 1' esercizio del culto 
innalzarono una chiesa la dove anticainente ne sorgeva 
un'altra ed un convento. Ma coli'andar del tempo i 
monaci si estinsero , e i Greci abbracciarono il rito 
latino. 

Diedersi alia coltivazione : in poco tempo ridussero 
il paese, non solamente fertile, ma ancora ameno : 
piantaronvi vigne ed alberi fruttiferi d'ogni genere, 
campi e giardini si vedevano la dove per lo avanti non 
erano che lande incolte. Rendevano alia novella pa* 
tria in frutti quanto ella aveva dato in riposo. Il prime 
reggente deputato dalla repubbliea (ii Isidoro Bian* 
chi , Gorso di Coggia , uomo di molta autorita nel 
paese. 

Da principio le popolazioni vicine poco si soddisfa- 
cevano dei nuovi abitatori , cosi per la gelotia , che 
sempre hanno gl'indigeni verso i forestieri, come per- 
che gli vedevano &voriti stniordinariamente dalla re- 
pubblica. Furonvi tra gli uni e gli altri delle male pa« 
role e dei peg^ori fatti. Tutta la Piere di Vico, 
principalmente gli abitanti di Renno e di Coggia si 
dimostravano iofensi; amzi questi Rennaschi e Cog- 
giani con vivissima istaoza si richiamarono appresso 
al govemo dell' usorpazioDe , come la diiamarano ^ 
delle terre , lamentandosi , ed allegando ^ die fessero, 
non proprieta dd prindpe, ma propria* Ma la repub- 
blica giudico, die fossero terre ddlo stato^ pereio^> 
die Paomia era dirtretto delT asika SB^fptm ^ eiUk 



394 STORIA. d' ITALIA.. 

distrutta, e da lungo tempo deserta, e la cui pro- 
prieta per la forza stessa della distruzione era passata 
nel principe. 

Appoco appoco e nuovi ed antichi abltatori si 
addomesticarono insieme, congiungendosi gente utile 
e quieta con gente fiera e bellicosa. La concordia duro 
assai tempo; ma quando nel secolo seguente sorse la 
guerra di Corsica contro Genova, serbando i Greci 
fede a chi loro aveva dato asilo , e sotto )e insegne 
delta repubblica contro i sollevati militando, resta- 
rono vinti dai Corsi in un assalto dato al castello di 
Gorte, dispersi e quasi si no alF esterminio condotti. 
he reliquie si ritirarono in Ajaccio, Paomia ritorno 
quasi come prima , spopolata ed incolta. La furia della 
guerra distrusse i piu benefici frutti delF umana in- 
dustria. 

Gianpaolo Limperani , nella sua Istoria della Cor^ 
sica, cosi scrive : « Era curioso di vedere le usanze 
<cdi quei Greci.... ( correva T anno 17^3) A mezzo 
(K giorno fummo in Paomia. A dire il vero , io restai 
(c ammirato al vedere T amenita di quel luogo. Tutto 
(( il paese della colonia era un delizioso giardino foi'- 
« nito di tutti i frutti desiderabili : cosa da ammirare, 
f( come in trentasette anni i Greci avessero potuto far 
« tanto. Le loro case erano piccole e basse, ma pulite. 
(( In quel tempo coloro non usavano letti alzati , e 
(c dormivano sui strapunti gettati per terra. La loro 
a chiesa aveva in mezzo una cancellata , che divideva 
a il sito delle donne da quello degli uomini. Nei giorni 
«di festa quelle donne, die si trovavano, colle loro 



LTBRO VIGESIMONOWO. — 1678. IxgS 

cr purghemensuali, si astenevano dall' entrare in chiesa, 
«e udivano la messa fuori della porta. U sacerdote, 
cc che celebrava, consecrava in levito, e finita la messa, 
cc uno di chiesa portava intoiiio u^ baciie con tanti 
« piccoli pezzetti quadri di pane benedetto, che an- 
« dava comunicando a tutti i Greci; ma quella comu* 
<c nione si dava solamente agli uomini , non alle donne. 
« Yi erano molte famiglie Corse cola stabilite, che per 
« Id pill eran#di artisti e di mercanti. » 

Tali furono le vicende e i casi della colonia Greca 
di Corsica. Verita 1' accompagna dalla sua partenza da 
Yitilo ; ma quanto ai tempi anterior! , temo , che vi 
si siano mescolate delle favole Greche ; poi vennero 
ai tempi nostri per adulazione le favole Francesi ed 
Italiane a motivo di quell' Ajaccio. « 

Da un' opera pia Tordine della storia mi chiama ad 
opere rabbiose e sanguinose. L'infelicita mia e, nel 
descrivere queste storie, il dover passare quasi senza 
interruzione da guerre a soUevazioni , da sollevazioni 
a guerre, da congiure a^supplizj, da supplizj a con- 
giure. Peggio poi, che queste 'tristizie a niun bene 
che fosse, potevano condurre per T Italia. 

Era morto ai dodici di giugno del 1675 Carlo Ema- 
nuele II, duca di Savoja, lasciando della sua moglie 
Giovanna di Savoja, in cui si estinse il ramo di questa 
casa stabilitosi in Francia sotto il nome di Savoja 
Nemours, un solo figliuolo, Vittorio Amedeo II; ma 
siccome egli era ancora in eta minore constituito, 
cosi Giovanna assunse la reggenza^ alia quale con 
sommo consentimento aderirono i magistrati ed i 



agS STOIUA J>'iTAUA. 

popoli* Bene si temeva da alcani, che Giovaima si 
TcJtasse con Iroppa affezione alia parte di Franciay 
dal che consegaitaYa , che non lungo tempo il Pie- 
niODte avrebbe potuto riposarai in pace per la natura 
cott facilmente corriva al goeireggiare dd re Luigi; 
ma per gli effetti dimostro , che piii amava la quiete 
dei popoli , che il mescolarsi in controversie sangui- 
nose, e piii alleyare il jSgliuolo fra il sereno che fra 
le tempeste. Ma se i tempi torbidi sul |pincipio della 
sua reggenza non vennero dk fuori , ia fortuna nemica 
della pubblica tranquiliita gli fece sorgere di dentro; 
anche qui m'incootro con quel Lavaldigi , che col suo 
Pomasio a motivo di sale aveva mandato a ferro e 
fuoco il Piemonte e la liguria. Gli appaltatori dei 
denari pubblici provenienti dalle tasse ed imposizioni 
non sono per 1' ordinario gente molto pietosa^ ne anco 
devono essere, essendo purqualche cosa Tinteresse 
deir erario. Ma Lavaldigi non solamente non era pie- 
toso , ma era anche spietato. Oltre la gravezza quasi 
insopportabile delle tasse , gli appaltatori facevano di 
ogni erba fascio, i popoli si sentivano offesi, non che 
dal dritto , dalle rapine. Lavaldigi non si muoveva 
ne per supplicbe, n^ per querele, ne per lagrime, e 
pareva, che avesse sempre ragione egli ed i suoi ap- 
paltatori, non i popoli. La gabella del sale massima- 
mente spiaceva a tutti si pel peso, e si pel modo di 
riscuoterla. Otto libbre per testa all' anno ne dove- 
vano le famiglie pagare alio stato, solo eccettuati i 
fanciulli minori di otto anni. Andavano i gabeilieri 
per le case a far registro di teste, ed a squadrare la 



LIBRO VIGESIflfOirOllO. •— 1678. 297 

eta dei figliuoli, cosa nojosissima e d' insopportabile 
gravanza. Quando costoro mettevano il pi^ sur una 
soglia coi messi , coi registri , colla peniifa e coU' in- 
chiostro , il timore occupava tutta la famiglia. Questa 
ingorda gabella era piii particolamiente detestata dagli 
abitatori dei cohfini verso il Genovesato, i quaii vi- 
yeano in sul frodo del sale. Molto male se ne conten* 
tavano speciaimente quei deila provincia del Mondovi, 
cosi per le ragioni sopraddette, come per essere di 
spirit! vivi, e pretessere anftichi privile^ inserti negii 
atti della loro spontanea dedizione alia casa di Savoja , 
ed ai quali quei principi avevano consentito. Per 
verita , non erano ancora gravati del sale , ma teme- 
vano di essere. A materia facilmente accendibile s' ao* 
costava il fuoco, ed a chi prontamente s'irritava, lo 
stimolo. Un capitano Stupero, appaltatore del Men* 
doYi, commetteva insolenze e violenze certamente 
molto biasimevoli, ed ancor piii inopportune. Lo 
sdegno pubblico produsse qualche moto nelle popo^ 
lazioni. La reggente mando sul luogo chi vedesse di 
ragione; ma il mandatario diede ragione a Stupero. 
A rigori successero ingiustizie, la mala soddisfazione 
s' accresceva, il governo stimo buono spediente per 
sopire , Y accatastare i beni ecclesiastici , che allora 
godevano I'immunita : pagando i preti e i frati, meno 
avrebbero pagato i laici. Ma la bisogna dell' accatas- 
tare e del tassare fu confidata pel Mondovi ad un 
certo Cantatore, uomo ancor peggiore di Stupero, e 
non e dir poco; la fece a ritroso ed a rovescio; si 
lamentarono aggravati e nonaggravati. Gia sin d'nllora 



ag8 STORiA d'italia. 

sorsero due sette, un«i pel go^rno, I'altra pel popolo: 
il mal umore s' ingrossava , pronto a trascorrere alia 
prima occasione. 

La citta di Mondovi h composta di piii quartieri fra 
di loro separati, cioe Vico, Garassone, Breo, pian 
della Yalle , Yillanova , ai quali come capo sovrastava 
e dava unione in un sol corpo municipale queila 
parte , che chiamano piazza maggiore. Questa piazza 
maggiore da tempo immemorabiie era in possesso di 
£ir pubblicare all' albo pretorio in tutti gli aitri quar- 
tieri le ingiunzioni e notificazioni per le imposte e 
pagamento dei carichi cosi dello stato, come delta 
coinunita. Nissun signore feudatario aveva diritto d' 
ingerirsene, meno ancora d' impedire simili pubbli- 
cazioni. Qra accadde , che al conte di Yillanova cadde 
il pensiero di contrapporsi alia pubblicazione in quel 
luogo da farsi per ordine della piazza maggiore, cioe 
della citta, della taglia imposta per Fanno 1680. Ye- 
nendo anche dalle parole ai fatti, levo per forza la 
carta dell' afEsso di mano al me^so , e lo mando via 
con minaccia di guai per lui , se vi tornasse. 

A tal novella, esagerata ancora dal messo di natura 
molto loquace, i tre sindaci della citta Grassi, Ghia- 
pella e Yariglio , tenuta conferenza con alcuni consi- 
glieri, deliber^ono, che fosse da vendicarsi T af- 
fronto. Infiammarono la plebe coi discorsi, parte pa- 
lesi, parte nascosti : al tocco della campana maggiore 
coi trombetti ed i tavolaccini avanti marciarono la 
notte dei quattro agosto sindaci e vicesindaci con 
una folia di popolo verso Yillanova. Dove quando 



LIBRa VIGESIMONONO. — - 1660. 299 

arrivati fiirono, richiesero il conte, restituisse la 
scrittura tolta, desse soddisfazione per Taffronto. 
L'una diede, I'altro promise, i popoiani se ne tor- 
narono, ma con Tanimo .gonfiato. In vece di cal- 
margli , il marchese di Bagnasco y governatore delia 
provincia, vieppiu gP irritava : duro , aspro, superbo 
il suo procedere. Ando voce, che volesse porre le 
mani addosso al sindaco Grassi, divulgossi, che si 
Yolesse mettere il sale, sentissi, che vi fosse delibera-* 
zione di separare dal corpo raunicipale delta citta 
Yillanova, ed alcuni altri quartieri. Cio alterava 
vieppiu gli spirit!, il Grassi stava a bellosguardo per 
non lasciarsi cor posta addosso, temendo di esser 
arrestato; si facevano conventicole, dove egli ed al-» 
tri uomini focosi come egli, sofBavano col mantice, 
e protestando ubbidienza al principe , dicevano assai 
cose piu che acerbe contro i ministri : questa h una 
vecchia arte. 

Crescendo la concitazione , i sindaci , le cose mu- 
nicipali in abbandono lasciando, fecero chiudere il 
palazzo dell'universita, e trasportarono dagli archivj 
di nottetempo i libri e scritture pubbliche, le riposero 
in luoghi privati , si nascosero essi medesimi per le 
chiese e pei conventi , s' incagliavano ed arrestavano 
le faccende. Mancata 1' autorita pubblica , seguivano 
violenze ed insolenze , i facinorosi dei contorni ve- 
nivano e trionfavano ; Grassi ed il suo compagno Fer- 
rero , ora spasseggiavano , ora si nascondevano, il 
conte di Yillanova come causa prima della perturba^ 
zione accusavano, essere indegno, che i Mondoviti, 



3oO # STORIA d'iTAI.1A. 

i quaii con tanta proiUezza e Yalore avevano com- 
battuto contro i Genovesi nelF ultima guerra, a 
questo modo fossero trattati , protestavano. 

Intanto il presidente Pallavicino , mandato per in- 
formare, giudicare e domare, procedeva, simile al 
Bagnasco, molto rigoro&amente. Da cio il popolo 
conghietturava , che pon la sola soddisfazione del 
conte di ViUanoVa dal governo si voleva, raa di piu, 
rintuzzali con io spavento gli spiriti , intendesse a 
colorire il suo disegno dello smembramento del mu- 
nicipio, e dell' addossamento del sale alia provincia; 
con che, sclamavano Grassi e Ferrero, nascerebbe Io 
sterminio delle popolazioni, e la miseria di coloro, 
che attendevano ai traffichi, e viveano del frodo. Si 
vantavano di non avere altro interesse in questa fac- 
cenda che la difesa del ben pubblico , e la cooserva- 
zione dei privilegi. 

Questi discorsi affatturarono i popoli , sempre 
pronti a prestar fede a chi gli lusinga; ma non tro- 
varono uguale credito nelle persone di senno e di fa- 
colta che conoscevano V importanza di obbedire o 
non obbedire al principe, Y impossibilita del resistere, 
i mali, che dalla disubbidienza risulterebbono. Ne 
niaggiore confidenza avevano nelle parole di Grassi e 
di Ferrero, e di coioro, che con essi andavano; im- 
perciocch^ riputavano , che non V amore del ben 
pubblico gli muovesse , ma fini ed interessi privati. 
Gli tacciavano d' anibizione per voler mantenersi 
perpetui dittatori delle popolazioni, grimputavauo 
di volere colle spalle di un popolo irritato coman- 



LIDRO VIGESIMONONO. 1680. 3o.I 

dare imperiosnmente ed al popolo stesso ed a chi 
sopra il popolo stava. 

L' ostinazione continuava ; ma gia si udivano no-* 
velle , che il govemo preparava armi c soldati per 
mettere alia ragione i renitenti, e far tornare un po 
di cervello in capo a chi V aveva perduto. In questo 
mezzo il vescovo di Yercelli interpose la sua media- 
zione, sperando da una parte di piegare i Mondoviti 
a qualche termine d' obbedienza , e dall'altra di so- 
prattenere lo sdegno del principe. Propose, che i 
sindaci soddisfacessero prontamente alle seguenti 
condizioni : restituissero le scritture nei luoghi soliti , 
elegg^ssero i successor! al reggimento del comune, 
poiche gi^ il tempo prefisso dalle leggi pel loro ma- 
gistrato era da lungo tempo spirato, ed essi tuttavia 
indebitamente il ritenevano : pagasse la citta il de- 
corso per colpa de' suoi amministratori non sod- 
disfatto al principe ; il Grassi obbedisse ai precetti 
di rappresen tarsi. Consentirono, od almeno fecero te 
viste di consentire ai tre primi capitoli , ma quanto 
al Grassi risposero , non potere lui commetlersi alia 
discrezione altrui per dubbio della propria salvezza. 
Elessero poscia bensi i successor! nel sindacato , ma 
fu la elezione tumultuaria , armata, minacciosa. £les«> 
sero per sindaco della piazza maggiore Tawocato 
GapelUni, amico ed aderente del Grassi ; Grassi si 
nascose pei conventi, poi si parti, ritirandosi prima 
a Genova, poi a Bologna. li Ferrero rimase per In- 
fiamm<are chi di tutt'altro aveva bisogno che d' essere 
infiammata 



3oa STORIA D'fTALIA. 

Iiitanto le armi del duca st muovevano contro 
Hondo VI. Don Gabriel e di Savoja le guidaYa, ed aveva 
con se, oltre ii Pallavicino p& la giustizia, i mar- 
chesi di Pianezza, di Dogliani e di Parella, il conte 
di Brichanteau ed altri capilani di nome con duemila 
fimti e cinquecento <;a¥alii. Arrivo ed accampossl 
nella canipagna di Bene ai venticinque di maggio. 
Quivi non essendo comparso alcuno da parte della 
citta y mosse piii avanti avvicinandosi a Breo lungi 
due miglia da detto piano, poi prese T alloggiamento 
di la dal fiume Ellero. Parve, che i disubbidienti si 
disponessero all' ubbidienza. S' incominciarono i pro- 
cessi e ie esecuzioni rigorose. La casa del Grassi , una 
delle piu belle della piazza maggiore, fu atterrata 
sino alle fondamenta , i suoi materiali impiegati nel 
risarcir le mura della cittadella, spianossegli una 
villa delta di Cassario , ed al Ferrero ne fu demolita 
una nella campagna di Pianfei , un' altra assai deli- 
ziosa poco distante dalla piazza. 

Yennero alia piazza maggiore i deputati di Vice , 
Carassone, Breo, Piano della Valle, Villanova, Roo 
caforte , Monastero , Montaldo , Bastiglia , Morozzo 
e Pianfei. Consentirono alle moltiplici comunita, 
ciofe alia separazione della piazza maggiore, fine prin- 
cipalissimo della corte. Partironsi in proporzione le 
gravezze pubbliche, e si addossarono a ciascun nuovo 
comune* 

Cio fatto , il presidente Pallavicino ed il govema- 
tore Bagnasco , entrati di nuovo nel consiglio, fecero 
intendere , cbe intenzione del sovrano era d' imporre 



LIBRO VIGESIMONONO. — 1 68 1. 3o3 

il sale 9 che per tal fine principalmente erano venuti 
i soldati, che hon era giusto, che mentue tutto il 
Piemonte andava soggetto e soddisfaceva al detto 
carico , i Mondoviti soli ne fossero esenli. I deputati 
delle altre comunita non ricusarono , ma quando si 
venne ai Montaldesi , protestarono , volere piuttosto 
restar sepolti nelle proprie ruine , che accettare una 
gravezza tanto insolita e pregiudiciale ai loro concit- 
tadini. Religiosi e secolari, tutti uomini d' autorita, 
s' afFaticarono indarno per ridurgli all' obbedienza ; 
indarno don Gabriele fece loro sentire , che nella 
distribuzione dell' imposta sarebbero trattati dolce- 
mente, e conforme alia loro poverta. Costantemente 
negarono , aggiungendo rimproveri con dire , che si 
peccava contro la fede data, stanteche quando si 
era trattato della separazione delle comunita , si era 
promesso di non parlar di sale. Don Gabriele allora 
pubblico un bando contro i Montaldesi, dando i beni 
loro al fisco, e facolta ad ognuno di ammazzargli, 
non solo senza pena, ma con premio. Poi si mossero 
i soldati contro Montaldo in numero di tremila fanti 
e duecento cavalli, compresi i volontarj ed i scelti 
della milizia del marchesato di Ceva. 

'k Montaldo, secondo che noi leggiamo in un 
testo a penna favoritoci da un amatore delle cose 
della sua patria , luogo alpestre , nascosto nella con- 
cavitad'una montagna scoscesa, che nel suo grembo 
chiude ed apre in un misto e delizioso apparato di 
monti , piani e ^alli , intrecciati xli prati , boschi , ed 
alteni diversi, non men risguardevoli per ramenita 



■>f 



3o4 STORIA d'iTALIA.. 

che per T abbondanza;de' frutti, Resta difeso al tergo 
dalla banda di levante dai due luoghi di Roburento 
€ Pamparato , che gli servono •di antemuraie per il 
passaggio dalla parte della Torre , al dinanzi verso 
ponente il fiancheggiano dal la to destro la Torre e 
Yico, grosso borgo^ dal sinistix) yers'ostro Frabosa e 
monastero di Vasco, con cui principalmente i Moo* 
taldini nudrivano intelligenze per difendersi. Le 
con trade vi si trovano sparse in diverse situazioni, le 
case per lo piii separate, gli abitanti uomini corag- 
giosi , armigeri , rissosi , protervi , non usi al freno ed 
al castigo per essere il sito quasi inaccessibile. Ep- 
pure in questo alpestre e selvaggio luogo nacquero 
Pietro ed Ignazio Molineri, il primo valente entomo- 
logo, il secondo ancor piu valente botanico^ dai 
quali, massime dalF Ignazio, essendo egli direttore 
dell'orto bolanico di Torino, ioricevei in tempi tern- 
pestosissimi, e nella mia plii verde et^ preziosi am- 
niaestrametiti nelle piu quiete ed amene parti delf 
umano sapere ; n^ senza tenerezza me gli rammento, 
n^ ho voluto, che in queste carte la memoria di cosi 
dolci maestri mancasse. 

Montaldo puo mettere in armi quattrocento 
uomini abili alia difesa col riparo degli alberi e mon- 
tagnette , da cui resta tutto all' intorno circondato , 
principalmente verso la slrada, che da Vico per le 
Moline vi sale, la piu frequentata ed usuale, ma 
assai stretta e malagevole. Alle falde della montagna 
scorre il fiume Corsdgiia vivo e indefesso in qualsi- 
voglia stagione, ma piccolo e guadoso. Sonvi pel 



LIBRO YIGESIMONONO, 1 68 1. 3o5 

pnsso sopra di questo fiumiceilo tre ponti, due di 
pietra murata, T altro di legno^ il prinoo chiamato 
ponte soprano, che risguarda verso il monastero di 
Vasco; il secondo detto il sottano, ed il terzo sopra 
le moline, e questo ha nome di Reviglione. Siccome 
il fiume eigne alle tadici il monte, sopra cui siede 
Montaldo, cosi per uno dei ponti dee necessaria- 
niente passare cfai da Mondovi venendo, vuol salire 
alia terra. I Montaldesi, che cio conoscevano, ed 
aspettavano Tassalto, si coUocarono non senza avve- 
tlimento militare alia difesa di essi, usando acconcia- 
mente gFimpaeci degli alberi, e le inegualita del 
terreno scosceso. Un Gostanzo Cavallo particolar- 
mente gli diriggeva, ed animava. Quivi con incredi- 
bile ardimento stavano attendendo a battaglia i soldati 
del principe : le terre vicine avevano mandato in loro 
ajuto i miglioricombattenti, che avessero. 

Ai ventitr^ di giiigno i ducali s'avviarono verso 
Montaldo per la strada, che accenna ai due ponti 
sottano e di Reviglione. Disegnarono di urtare quegli 
animosi montanari con cinque assalti^ due finti, tre 
veri , i due primi per battere, uno dalla parte di Fra- 
bosa, I'altro nellaregione d'Ermena sotto del mona- 
stero di Vasoo verso il ponte soprano. Dei tre veri, il 
primo doveva ferire nel ponte sottano, il secondo in 
quel di Reviglione, il terzo per una strada poco usi- 
tata nella parte superiore di Montaldo. Incomincia* 
rono a romoreggiare per le due finte battaglie da 
Frabosa e dal monastero le compagnie appiattatevi 
da don Gabriele; ma da queste parti di poca utility 
VI. ao 



3o6 STORIA d' ITALIA. 

rluscirono, perche i Montaldini^ conoscendo la maler- 
gevolezza di quelle strade , poco si curarono di . 
mandar gente ad ostare. Nel medesitno tempo inve- 
stirono il ponte sottano e di Reriglione ; ma quei di 
Montaldo, tirando dalle rupi e dalle macchie facevano 
tale resistenza , e il passo dei pOnti con tanto valore 
contendevano agli avversarj che restava incerto il 
successo della battagUa. Morirono in quest' abbocca- 
mento fra gli ufHciali del duca il conte di Ganosio, 
insegna delle guardie, e il cavaliere Morozzo, luogO' 
tenente di Piemonte. In tale modo si combatteva, ne 
ancora erano ben sicuri i ducali di vincere T ostina- 
zione dei ribelli e di superare quel passo. Ma quei, 
che s' indirizzavano al terzo assalto, che i piii nume^ 
rosi erano, ed avevano con esso loro i generali, i 
magistrati ed altri personaggi di maggiore autorita , 
girando per difHcili dirupi sulla strada, che tende 
dalla Torre su per la montagna superiore dietro di 
Roburento, e di la per la terra di Pamparato riesce 
nella regione ultima di Montaldo, detta di Pianfei.o 
di San Giacomo , facilmente vi penetrafono , ed appic- 
carono il fuoco alle case, le quali per essere la mag- 
gior parte coperte di tetti pagliarecci, restarono 
quasi intieramente incenerite. Cavallo co' suoi Mon- 
taldini, avendo udito la presa di Montaldo , ed il ne- 
mico in casa, rallentarono i loro sforzi ai ponti, ed 
accorsero per ajutare i terrazzani a mal parti to ri- 
dotti. Ma non poterono recar salute a chi gia si per- 
deva; perch^ nel medesimo istante il marchese di 
Parella^ ed il conte di Brichanteau^ si pinsero avanti , 



LliBRO VIGESIMOHONO. — 1681. 3o7 

quello contro il ponte sottano , questi contro quel di 
Reviglione, se ne impossessarono , varcarono il fiume, 
salirono per 1' erta , e le altre parti delP assalita terra y 
che ancora non erano occupate, sopraffecero. Ca- 
vallo res^to ucciso di una moschettata nel petto. Mori 
eziandio Gianluigi Musso, giovane di coraggio e de' 
principali del luogo. La sua testa recisa dal busto fu 
portata a trionfo in Mondovi dagli uccisori. 

I vincitori trattarono con estrema crudelta quella 
valorosa,ma colpevol gente. Saccheggiarono ed arsero 
le case, uccisero grandi e piccoli, uomini e donne, 
insoflima tutti , che si pararono loro davanti in quel 
fuifesto giorno. Nfe cio solaniente fecero per le con- 
trade, ma penetrando nella stessa chiesa parrocchiale, 
ne trassero e trucidarono un vecchio di ottant' anni , 
un fanciuUo di dieci, ed una misera donna, che 
aveva creduto , che il furore s' arresterebbe nel luogo 
dei sacrament]'. Rubarono due vasi sacri, oltraggia- 
rono e ferirono il paroco, e continuarono a rapirvi, 
sinche non arrivarono gli ufRciali maggiori , che con 
rigorosi divieti frenarono quella rabbia sacrilega. 

La fazione poi fu piii d' onore che di frutto pei vin- 
citori. I capi non stimarono bene di fermarsi la notte 
in quel luogo adattato alle insidie per ogni parte, 
pieno d' uomini arrabbiati e con vicini peggio che 
sospetti. Per la qual cosa, toccata la levata, disce- 
sero dal monte , ed a Mondovi se ne tomarono. Fu- 
rono per via perseguitati dai furibondi Montaldesi , 
che pratichi essendo de' luoghi, si scoprivano da ogni . 
lato ed alle spalle , uccidendo non pochi soldati. 



3o8 STORIA d' ITALIA. 

I consiglieri del principe , avendo sempre piii ca- 
gione dt frenare quegli spiriti sediziosi, formarono 
il pensiero di fortificar bene la cLttadella di Mondovi, 
cingere di miira gagliarde la piazza maggiore, ed 
alzare un forte dietro la chiesa di Vico. . 

I Montaldini intanto , posatisi alquanto ^li animi 
dal calore della passata zufFa, rivolsero il pensiero a 
pill sensate risoluzioni. Videro, che n^ le montagne, 
ne i luoghi erti erano valevoli a preservargli da chi 
piu poteva di loro; che precipitosa , pericolosa e piena 
di spavento cosa era il far guerra al principe; che nel 
caso fa tale non avevano avuto dai vicini quell' ajuto, 
che se n' erano promesso; che male pochi contadhii, 
con tutto che coraggiosi siano , possono resistere a 
soldati d' ordinanza. Videro morto Gavallo , morto 
Musso, principal! incitamenti alia ribellione. Inco- 
minciarono a pentirsi , poi nella clemenza regia spe- 
rarono. Supplicarono T abate della Madonna di Vico, 
Farciprete della TotTe, Girolamo Sibilla , ed altri re- 
ligiosi accreditati appresso a don Gabriele, afBnch^ 
fossero, per impetrar perdono, loro benign! intefces- 
sori. I pregati esercitarono studiosamente il pietoso 
ufficio. Don Gabriele umanamente e misericordiosa- 
nient6 rispose : sospenderebbe ogni molestia , scrive- 
rebbe per la grazia a Giovanna reggeiitej ma feces- 
sero qualche segno di sommissione , di ravyediinento 
e di pehitenza. 

Sedevano i generali ed i ministri del principe con 
solenne apparato duUa pi&^2a pubblica di Mondovi, 
sedeva don Gabriele stesso circondato da ducento 



LiBRo viGESiMONONo. •^— i68r. 3og 

cavalier! e piii di mille astanti. Gomparvero il sindaco 
di Montaldo cob una corda al collo, seguitato da otto 
o dieci de' principal! e consiglieri , anch' essi con la 
corda, e comparsi appena si gittarono ginocchioni, 
misericordia gridandb e perdono. II principe con 
grave discorso rimprovero loro Tenormita del de- 
litto , poi diede prbmessa di essere appresso i^iovaniia 
benigno intercessore. Sorgendo giurarono obbe-^ 
dienza, quiete e fedelta : sottoscrissero il consenso 
per r iniposta del sale. Arrivo da Torino Y indulto , 
ma solamente pei Montaldini ; il che lascio in sentore 
e so^petto gli altri luoghi, come Vico e Mona$tero, 
che palesemente o nascostamente avevano ajutato' 
quel di Montaldo. 

Yi ^a qyiete, ma solo appavente, nascosti rancori 
rodevauo i popoli. La gabella del sale pareva loro u|i 
gravame insopportabile , e non tanto illecito a ca^ 
gicme dei privilegi giurati dalla casa di Savoja ^ 
t[uando ottenne la possessione del Mondovi , quahto 
pel danno, che ne ricevevano i paesani solid a vi- 
vere del trafiSco di quella materia tanto necessaria al 
vitto. Ne sapevano risolversi a sottomettersi pa- 
aientement^ ad una gabella, da cui per lo passato 
avevano saputo esimersi, parte con la pertinada^ 
parte colla forza. Yedevano altresi mal voleatiel'i 
Terezione del forte in Vico, e le aggiunte, che ^i 
andavano facendo alia cittadella di Mondovi, ed alle 
nura della piazza maggipre. Avvisavano, ne se^za 
ragione, die fossero freni fabbricati a po&ta contro i 
rioali^iltranti. 



3lO STORIA d' ITALIA. 

Aocrebbe forza al fuoco, che andava serpendo, un 
ordine arrivato da Torino , perche ognuno avesse a 
consegnare le armi , deponendole In mano di persona 
delegata dal governatore. Giudicarano , che il governo 
macchinasse castighi e servitu, argomentando da 
quel, che aveVa fatto contro di loro armati a quel, 
che farej)be, se inermi fossero. Deliberarono di stare 
colle spade , e cogli archibugi in pugno ; ne cio bas- 
tando air ardimento e ferocia loro, prepararono fa- 
scine , ed appiccarono fuoco ai primi fondamenti del 
forte , che gi^ erano stati innalzati aUa Madonna di 
Vico. Il governatore vide 1' incendio da Mando vi , ne 
sapeva come provvedere alia pervicacia di quella 
gente ardita , posciiache don Gabriele con quasi tutta 
I'oste, stimando la provincia quieta, gia se n'era 
partito alia volta di Torino. Finalmente, non dato 
ascolto ai c<api piii sperimentati , che lo consigtiavano 
a non mettere a ripen taglio con si deboli forze I'onore 
delle armi regie, fece risoluzione di andare contro 
Vico per dar castigo a quel popolo dell' insulto fatto 
all'autorita del principe coll' abbruciargli il forte. 

Sorti da Mondovi con trecencinquanta uomini 
scelti , gu^dagnato il brichetto de' padri gesuiti, ebbe 
lingua, che quei di Vico ajutati dai MonasteroU e 
Montaldini I'aspettavano per affrontarlo. Il meglio 
fora stato il tornarsene , ma gll parve indegno il mos- 
trar le spalle a' ribelli. Gontinuo d' andare avanti, di- 
vise il suo corpo indue, egli per la strada maestra, il 
cavaliere di Garde per un tragetto. Per la sicurta della 
ritirata,muni il brichetto di qualche soldatesca^ Mentre 



I.IBRO VIGESIMONONO. 1 68 I. 3lf 

marciavano , sentissi improvvisamenle un suqnar di 
como (imperciocche a suon di corni appiinto s' ayvisa- 
vano e s' accendevano alle imprese quel paesani), da 
monte in monte. Poscia alio strepitar dei corni succes- 
sero adun tratto gli scoppj degli schioppi e la grandine 
delle palle lanciate per mani pronte dai boschi e dai 
dirupi. Ingrossavano in questo le turbe d' intorno, il 
pericolo cresceva ogni momento, Montaldini , Mo- 
nasteroli, Yichesi facevano a gara nel mandar fischi, 
sassi e palle. I soldati regj soprappresi retrocessero. 
Frettolosa, disordinata, sanguinosa fu la ritirata. Il 
govematore restb ferito, il cavaliere di Salezone, 
capitano delle guardie, cadutoper ferita da cavallo, 
fu ucciso crudelmente con una coltellata ncl petto. 

I paesani coraggiosi, ma ignoranti, ed incapaci di 
bene apporsi alle cose , usando il calore della vittoria , 
scesero a furia dai monti, persuadendosi con cei:'- 
tezza, che la piazza maggiore al loro arrivo fosse 
subito per arrendersi. Ma per le pronte disposizioni 
date dai govematore Bagnasco in quel subitaneo e 
pericoloso accidente, restarono ingannati , quantun- 
que siamancato poco, che al conseguimento del loro 
fine non pervenissero ; imperciocche per le opere di 
difesa apprestate essendo 1' assalto andato in lunga, 
ancorch^ gli aggressori prevalessero , sopravvenne 
per un temporale un'acqua cosi grossa, che eglino, 
persuasi anche dai padre guardiano del convento dei 
Zoccolanti, nel quale erano entrati , presero per sano 
partito il cessare dairassalto della piazza, e si ritira- 
rono nel piandi Breo e di Garassone. Quivi insolenti- 



312 STORIA d' ITALIA. 

rono oltre misura, commettendo non poche violenze : 
ruppera i mulini per impedire il macihato, aaccbeg- 
giarono e rovin^rono la casa di quel Gantatore^ in** 
teressato nella riscossa del tributi, e tanto a loro 
odioso, svaligiarono la concia del capitano Botto 
sopra le ripe del Carassone, azio^e indegna in se, ed 
utile al governo^ perch^ i GarassoneM, raassime i 
conciatori numerosi in quel luogo, veduto che ave* 
yano a fare con ladri , e per se stessi inclinati alia 
parte det principe, si dispbsero a cacciargli, e man^ 
darona per ajuto al governatore. 

Pervenuto a Torino 1' avviso della nuova perturba- 
zione , si spedi alia rolta di Mondovi i;in rinforzo di 
fanti e di cavalli a tutta fretta con don Gabriele, git 
altri generali ed il presidente Pallavicinb, a cui fu 
data amplrssima autoritk per cori^eggere quella pro« 
vincia. Gia erano le scfaiere raccolte in Bene e don 
Gabriele pervenuto in Mondovi. Una gran tempesta 
sovrastava ai pa^zi , e sfrenati paesani , ma non f as- 
pettarono; percbe veduto che il govemo con somma 
forjsa gli volevadomare e costringere air ubbidienza , 
ksciato Breo e Garassonle con le vestigia impresse del 
loro tlirore, si ritirarono, e disperdettero. Nelle fo- 
reste e fra le rupi vagavano minacciosi e fieri , non 
osando ricoverarsi alle case per temenza di esservi 
sorpresi , ed avere condegno castigo dei loro porta^^ 
menti. Riempironsi di soldatesche ducali Breo e Ca*- 
rassone , e se i soilevati trattarono male questi due 
borghi , i soldati gli trattarono peggio* 

I paesani mandarono chiedendo perdoi)o e mise- 



LIBRO VIGESIMONONCK r- 1681. 3l3 

ricordia , usando 1' intercessione del barone d' Ale- 
magne e del cavaliere di Malta Pensa. Fu risposto^ 
si perdonerebbe, ina rimettessero del proprio in pris- 
tino il forte di Yico, e pagassero una grossa taglia at 
iisco. Munissi bene intanto la cittadetla e la piazza^ ^ 
lasciaronvi per presidio i due reggimenti d^Aosta e di 
Piemonte, in Breo qaelii di Savoja e delta Groc6 
-bianca; una squadra diSvizzeri §k introdotta in Yico;. 
torno don Gabriele a Torino. Questi erano mezzi per 
intimorire, e frenare, ma bisognava anche conciliai^. 
Rimosso il Bagnasco dal governb della provineia , di* 
Tenuto odioso per ecoessiva severitJk , vi surrogaronb 
il marchese di Senantes, signore Francese d'antica 
mobilta, ai servigi del duca da lungo tempo, 6 sic- 
come molto onorato da lui, cosi ancora degno di 
essere. Dolce di costume, retto di giudizio, compas- 
sionevole di cuore, quelle infclici e rabbiose popola^ 
zioni andaVa mitigando e consdkndo : miglior rime- 
dio ad un Hiate cosi grave non si poteva immaginare 
ddla sua presenza. Ma il Bsco non dormiva, ne nulla 
voleva perdere del suo ; quindi nacquero nuovi ro- 
mqri e nuovi turbamenti. 

Poche vendette di sahgue per sentenze giudiciaU 
aveva fatto la dorte, ma molto irritato le popolazioni 
per le insolenze e le rapine della soldatesca , e per le 
grosse taglie imposte ai luogbi, clie piii avevano data 
fomento ed ajuto ai perturbatori. 11 rigors nel toecar 
ie sostanze aveva atlenuato reffetto dello aver rispar- 
mtate le vite per clemenza. Creduli poi anche furbno 
i ministri pensando, che moti tosi gravi non aves- 



3rzi STORIA. D*ITALIA. 

sero lasciate pericolose radici. Ne si sa comprendere 
come cosi presto abbiano ritirato i soldati. Certa- 
mente maggior utile sarebbe uscito per lo stato, ed 
era anche indispensabile, 1' avergli alloggiati per qual- 
che tempo nei paesi turbolenti che mandargli nelie 
citta quiete del PiemoDte. Le forze^ a cui erano stati 
raccomandati Vico e Mondovi, di gran lunga non 
bastavano per fare ^r a segno popoli armigeri , abi- 
tatorl di paesi difScilissimi , ricordevoli di avere ve- 
duto le spalle dei soldati regj, e fatto fuggire I'istesso 
governatore della provincia. O bisognava lasciarvi 
forze capaci di frenare, o lasciar fare del tutto, e 
senza aggiunta di nuovo fomento Senantes. Ma ne 
Tuno ne I'altro fecero, e Tiagordigia del fisco diede 
principio a nuove turbazioni. 

Toccarono appunto la parte piu tenera per quelle 
popolazioni. Era giunto I'lanno i68a , quando il fisco 
butto fuori la pericolosa parola di sale. Dalle parole 
trapassando ai fatti , die vigore all' odiata gabella in 
Vico, sperando, che la presenza della guernigione 
avrebbe fatto ingojare pazientemente quell* amaro 
boccone. Ma a gran partito s'inganno, perche il po- 
polo soUevatosi a furia mando in rotta e sale e ga- 
bellieri , e carte e casse e stadere. Alia parola sale ca- 
larono a folia in ajuto di Vico i popoli di Montaldo, 
Briaglia, Roburento, Pra, Frabosa, Monastero. Se 
qualche gabelliere ancora restava, questo cacciarono 
con minaccia, che se tornasse, mal per lui. Se poi 
qualcuno dei loro compatrioti faceva le viste ■ di con- 
sentir al sale, tosto il chiamavaxio cot brutto nome di 



LIBRO VIGESIMONOWO. 1681-1682. 3l5 

SalnistUj e il meno che gli facessero, era di caricarlo 
d' improper] , e talvolta di bastonate. Anzi il nome di 
Salnista divenne pretesto di vendette particolari , di 
persecuzioni ingiuste contro chi per altre ragloni che 
per motivo del sale, era odiato. i^ 

Senantes, uomo* oculatissimo , mando dicendo a 
Torino, o rinunziassero alia gabella per Mondovi, o 
.mandassero soldati bastanti per frenare. Ma i fiscali, 
che s* immaginavano d'intendersi di stato, perche 
sapevano cavar denari dalle bot»se, fecero accettare 
un mezzo termine , e fu di ne^roziare colle comunita 
malcontente, afHnch^ se ne contentassero. Non solo 
non si contentarono , ma crebbe loro I'ardire per 
modo , che presero i passi verso la citta di Mondovi , 
con che fermavano le vettovaglie. I presidiarj di Vico 
e Mondovi uscivano, e con loro si abboccavano, ed 
essi, fatto un po di resistenza, si ritiravano, poitor- 
navano. Uti Marescotto, un Picco, un Porta ed un ^ 
Trombetta, gente audacissima, gli guidavano. Insul- 
tarono ed assediarono Vico : i viveri gia venivano 
mancando nella piazza , ne i presidiarj sapevano donde 
procurarsene , avendo i sollevati chiuse tutte le strade. 
Alzarono le loro pretensioni , ne fecero delle superbe, 
oltre r abolizione del sale volevano, che tutto il corpo 
della citta di Mondovi, smembrato per le uttime 
. provvisioni , fosse rintegrato in un solo come per lo 
avanti; che a tutti senza eccezione veruna si perdo- 
.nasse; che delle taglie decorse fossero condonati; che 
nissun dazio di dogana, nissuna tassa straordinaria 
fosse imposta sulle comunita insorte; che nSn solo le 



3l6 STORIA d' ITALIA. 

antiche coinunita , che con Mondovi erano congiunte, 
a lei si ricongiungessero , ma eziandio tutte quelle, 
che si erano mosse contro le insolite imposizioni, e 
che tutte da un solo sindaco fossero govemate. Il 
^ governo mando soldati; un buon guerriero, il conte 
di Brichanteau gli reggeva. Ma otbsse la moltitudine 
dei soUevati, o I'asprezza de' luoghi che sel faoessero, 
in parecchi incontri i Mondoviti restarono superiori , 
na si vedeva fine prossimo a cosi molesti accidenti. 

Nuovi timori venivano a turbare gli spiriti in Pie- 
niQnte, La debolezza^della reggente ne era cagione. 
Qolla, improvvida condiscendenza , con rigori inop- 
portuni , cdir insufficienza delle forze mandate, areva 
^ l^sciato crescere ed inciprignire la piaga del Mondovi 
talmente che diyeniva dubbio, se eoUe sole forze 
Piemontesi si s'arebbe potuta sanare. Cresceva il p'e- 
ricolo maggiormente per la inclinazione nuova del 
f marchesato di Ceva, contiguo al Mondovi, dove ma- 
ilifestamente si vedeva sorgere una renitenza agli atti 
del governo, massime ai decreti fiscali sopra le im- 
poste e le gabelle ; anzi i Gevaschi gia s' intendevano 
poi Mondoviti, e facevano sembianza di volere cio, 
ch' essi volevano. 

Questi erano spaventi interni, altri prooedevano 
(]a fuora, la cagione principale un capriccio di Luigi, 
re di Francia, dico un capriccio, perch^ tal pare a 
prima vista, ma fu anzi profondo disegno di quel 
monarca per farsi un di signore degli stati di Savoja. 
Jja regina di Portogallo, moglie del re don PieJtro^ 
era sordla della reggente di Savoja. Noii;era nato 



LIBRO VIGESIMONONO. — 1 682. 3l'] 

alcun figliuolo mascWo dal matrimonlo di don Pielro, 
e Tunico erede della corona di Portogallo era una 
figliuola. II re Luigi penso, che fosse occasione pro-^ 
pizia per soddisfare aU'antico desiderio di Francia 
d' impossessarsi del Piemonte. A cio conduceva 1' al- 
lettare il giovane duca di Savoja, figliuolo unico, 
colia speranza del regno di Portogallo , regno tanto 
ricco ed ampio per le sue possessioni nei due mondi. 
Il iasciare il regno paterno , 1' abbandonare la nat^a 
sede avrebbe offeso gli antichi sudditi; dalla mala 
soddisfazione al darsi in braccio alia Francia era fa- 
cile il passo : i piii avrebbero amato meglio un sovrano 
potente, vicino, anzi contiguo, che un sovrano de- 
bole, lontano, separato da tante regioni. Gambiata 
I'antica sede, sarebbersi anche cambiate le antiche 
affezioni. 

Il re di Francia aveva condotto la pratica tanto 
avanti , intromettendosi tra le due corti di Torino e di 
Lisbona , che gia il duca aveva fidanzata 1' infante , n^ 
altro mancava alia conclusione del matrimonio , se 
non la presenza del duca medesimo a Lisbona. Non 
era perb, che andando alia corona di Portogallo, 
Vittorio Amedeo fosse obbligato di rinunziare a quella 
di Savoja, ma bensi doveva starsene a Lisbona insino 
a che im erede nascesse al Portogallo dal suo sposa- 
lizio coUa Portoghese. A questo fine la legge del La- 
mego era stata per questo caso abolita, acciocche 
Vittorio potesse possedere le due corone. Gia si ac- 
conciava alia partenza, e gia il suo equipaggio era 
giunto a Grenoble, qqando si scoverse in Piemonte 



3l8 STORU d' ITALIA. 

una inteiligenza indirizzata al fiae d' impedire , che il 
duca partisse. I primi personaggi dello stato, in cio 
uniformi coi sentimenti della nazione , ne erano glL 
autori e i consapevoli, il marchese di Pianezza, cio^ 
qiieir istesso marchese di Livomo da noi piii volte 
mentovato , e che rientrato in grazia era ministro 
della guerra, il marchese di Parella ed il conte Pro- 
vana di Druent. Si mormorava in Torino , si mormo- 
rava in Piemonte, il popolo s'affollava alia portedel 
palazzo ducale, con grida, strepito e minacce, chie- 
dendo , che il duca Y antico regno non abbandonasse. 
Non dovere il Piemonte diventare colonia del Po^to- 
gallo; aversi a perdere lo stato indipendente , se Tu- 
nico rampollo a nuovo e lontano regno andasse. Parte 
per sospetto delle intenzioni della Francia , parte per 
non contrastare ai desiderj dei popoli, parte per co- 
noscere, esser meglio un regno attuale che uno spe- 
rato , Vittorio Amedeo si ristette; ed avendo la corte 
di Portogallo restituita la fede data, il matrimonio 
non ebbe effetto, ed il consueto sovrano si rimase 
coi sudditi consueti. Tuttavia, siccome spesso jq 
questo mondo il bene si ricompensa col male, Pia- 
nezza e Druent furono arrestati, e condotti V uno nel 
castello di Monmeliano, I'altro in quel di Nizza; Pa- 
rella fuggi a man salva in Italia. Tali rigori uso la 
reggente Giovanna piu per piacere al re Luigi mal 
soddisfatto della rottura della pratica , di cui era stato 
motore, che per voglia, che ne avesse. La durezza 
usata contro quei tre personaggi , cui il popolo ripu- 
. tava salvatori della patria , fece sorgere nell' univer- 



^ 



$ 



LIBRO VIGESIMONONO. 1 682. 3ig 

sale mali umori contro il governo della reggente; ii 

c{aa\e ^ffetto aggiunto agli accident! del Mondovi 

erano cagione, che si vivesse con gli animi sospesi e 

pronti a novita. %^ 

r Le azioni d^l^e Luigi , che davano sospetto de' 

suoi disegni sul Piemonte , tanto piii ingelosivano, 

quanto che gia in quegli anni le armi Francesi domi- 

navano in Casale, ed anzi sotto colore di rinforzare 

il presidio di quella piazza , aveva mandato tremila 

aomini oltre TAlpi, cui ofFerse alia reggente per 

mettere alia ragione i Mondoviti; ofl^ta, che Gio- 

vanna prudentemente ricuso, sapendo di quale uti- 

litlk', cioe danno e pericolo, fosse Taccettare ajuti 

stranieri per sopire differenze interne. 

Won sara fuori di proposito il raccontare breve- 
niente come Casale fosse di nuovo venuto in potesta 
di Francia. Anche qui i litigi tra principi e principi 
per motivi di successione diedero origine ad un acci- 
dente di tanta importanza pel Piemonte, anzi per 
tutta r Italia. Carlo , duca di Mantova , aveva sposata 
la figliuola di Ferdinando Gonzaga , principe di Gua- 
stalla* La successione di questo principato per ragione 
di sangue era dovuta a Yincenzo Gonzaga , conte di 
Paredes, che allora si trovava ai servigi di Spagna. 
Ma r imperatore fece decreto , per cui attribui la suc- 
cessione alia moglie del duca di Mantova. Apertasi la 
successione per la morte di Ferdinando, il duca di 
Mantova s' impossesso.di Guastalla. Paredes si richia- 
rao, e molto con gli Spagnuoli, suoi protettori, si 
dolse. Nacquero per questa cagione amarezze tra 



3aO • STORIA d' ITALIA. 

Mantova e Spagna , perch^ n^ quella voleva abban* 
donar Guastalla , ne questa rinunziare alia tutela di 
Paredes. Gli Spagnuoli maltrattavano il Mantovano. 
Ai disgust! co\]gi Spagna si accoppiavano certe 
mokstie deir imperatore; perchi, {a^r^uta la speranza 
di prole nel duca di Mantova, si veniva ad estinguere 
in lui la discendenza di Federigo, che per Margarita, 
ultima deUa casa Paleologa y aveva portato nei Gon- 
zaga il marchesato ^el Monferrato; la figliuola deir 
imperatrice Leotora, moglie del duca di Lorena^era 
chianiata alia ^ooessione di quel feudo. L' imperatore 
^ollecitato dalla moglie desiderava, che anche prima 
della morte del duca, si assicurassero le ragiont di 
Lorena ; il che non poteva essere senza che lo spirito 
d^l duca grandemehte si amareggiasse. Tribolato da 
Madrid e da Vienna , divenne propenso , come ia 
unica protettrice, alia Fraricia, e si lascio uscir di 
bocca, che se si continuavano conessodui i tratta- 
menti aspri, si sarebbe appoggiato al re Luigi. 

Yiveva allora alia corte di Mantova il conte Ercole 
Mattioli, Bolognese, molto amato dal duca, si per 
essere persona disinvolta e spiritosa, e si p%i eisere 
ministro de' suoi piii reconditi piaceri* Costni, che 
spasimava d' ambizione , e voleva farsi avanti con 
qualche bel tratto, conosciuti i sentimenti del duca 
in favore di Francia, ando a trovare d'Estrees, am- 
basciatore a Venezia^ ^ raccontatogli la cosa, grin- 
voglio di scriverne a Parigi. Venne risposta di trat- 
tare , e mirasse ad ottenere per cessione del duca la 
possessione di Casale. Mattioii aveva in sua mano un 



LIBRO VIGESIMONONO. — 1682. Sai 

foglio b^nco sottoscritto di pugno dal duca , o che 
\eramente il duca gliel' avesse dato per condurre' 
questo negozio, o solamente per compire qualche 
tresca amorosa, perch^, come gia dissi, anche questo 
mestiere faceva Mattioli. Itosene c6n questo foglio in 
Frjancia, ed .accordatosi col segretario di stato, cou- 
venne in nome del duca della consegna di^Gasale al 
re di Frahcia« Stabilito quest' accordo , Mattioli tomo 
in Italia, fecevi un gran tradimento : per prezzo di 
quattrocento doppie svelo il trattato al conte di Mel- 
gar^ governatore di Milano, ed alia reggente di Savoja* 
Aggiraodosi ppi per «ua disgrazia in Piemonte, fu 
colto in un . agguato tesogli dai France^ residenti in 
Pinerolo, e desiderosi di castigarlo, I'infame tradi- 
tore, e condo4;to in questa fortezza, poscia da pri- 
gione in prigiolie' alia Bastiglia di Parigi. Dicono, 
eh' egli si» il j)rigioniero incognito colla maschera di 
ferro j tanto rinoniato nelle storie di Francia. 

11 trattatoii^venuto per tal modo a notizia dei prin- 
ciple levo un gran romorc; Spagna, imperatore, Yene- 
ziani se ne sdegnarono , il duca il ritratto , affermando 
as^^versgitemente, non per qliesto avere dato facolta 
al JfflattiQli. Queste co^e accadevano nel 1679. Ma il 
re Luigi non voleva desistere , voleva Casale, i prin- 
cipi poco atti in quel momento a resistergli. Tra ca- 
rezze, minacce e soldi indusse il duca a consentirglielo : 
cede k^ piazza. I principali punti delF accordo furono, 
che fosse casso il trattato fatto dal Mattioli ; che s' in- 
Iroducesse presidio regio di duemila Frahcesi e caval- 
\eria a proporzione nella cittadella di Casale ; che al 
VI. 21 



Saa sTomX o' Italia. 

duca restasse libero il possesso della^citt^ enleLcaftlelio; 
che all' enlrare delle truppe regie fbssero sborsate al 
duca cinquantamik doppie ed accordata una pencs'tane 
di seicentomila tornesi ; se il duc^ av^«^ prole mai- 
colina y la citta gli fosse restituita; sesenza prold oias* 
colina morisse, il re assistesse la figliuola per-bisue- 
cessione di Guaslalla e del Monfertato. Data il pa^so 
dalla duchessa di Savbja , i Francesi parliti da PifielKik), 
andarono ad occupare la ceduta pia22a. Tra Jttilano 
Spagnuolo, Pinerolo e Gasnie Francesi, rindep«nideiiza 
del Pieittonte era all' estremo passo. 

Tra questi spaventi la reggeUte Giovanntt , Cantftdi 
la sua debolezza , inchino adar nuo vo pterdono , e^rec- 
chie soddisfe'zioni ai sollevati del Moddovi^ che Isuoi 
soldati combattevano, chedei perdoui flt*e(3ed^ntiabu' 
savano, che ogni cosa m quet pa^s^ leneVtmotuybata 
e dolorosa. Mando grazia solenne, ei^ss^ la delegatione 
straordinaria instituita per cono^iiere e -giudjcare i 
delitti cotnmessi dai ribelli; n^ sdhimeht^ La ckle^- 
zioue , ma ttitti ancora i suoi decreli cass6 ; tiohiamo 
Senantes , mando in suo luogd iL {yt^ideme Del/a 
Chiesa. "^ ...» 

I Motidoviti graziati stettero aieda tempo ^hiabvvve 
in pace coi sbtdati ducali , ina si ammazzavsipt) fra di 
bro, comune contro comun^, itidiv^du^t coii(9lO»'indi- 
viduo; squadriglie feroci di brigaiftti e masnadieH'COir-* 
revano il paes^ , e amici e nemici toandavanqijeigii^l- 
mente a ruba ed a sangue. Delia Gbie^a non si|>eva 
che fatsi, la dolcezza non fruttava meglio del rigore. 
Nuove concessiotii della corte arnvavano, c nupvi 



*( 



LIBRO VIGESIMONONU. l683. 3^3 

(lelitti negp ithperversali comiini si coinmeltcvauo. 
Tanto tratagtiarOTio e conqiiisero Delia Chiesa clie 
non potendo poitar piu oltre il fastidio, per non di- 
ventar, credo, pazzo per molestts, chiese ed ottenne 
icenza; gli fu surrogato il conte di Marliniana, Non 
ill di Bagnasco, Senantes, Delia Chiesa pote Marti- 
laoa Tenir a capo di tpiei discoli : il oervello comin- 
ava a girare anche a lui. Rincomiiiciarono a rubare, 
ad ammazzarsi, a dire, clie ne per Dio, ne pei santi 
non volevano ne sale , ne salnisti , e che 1' avrebbero 
veduta : davano intanto la strelta a tiitti, a cui o per 
ragione o per torto si apponcva il nome di salnista. 
Mondovi di ntiovo in pericolo , il marchesato di Ceva 
si soUeYo, mando via e doganleri e gabellieri, arse i 
reglstri delle gabelle, o gli getto nel Tanaro, protest?) 
di non volerne piu, non clie vedei'e, sentir a parlare. 
I sollevati del Cevasco mandarono depulati per accor- 
dars! col Mondoviti, La debolez^a della reggenza era 
manifestamente inablle a sanar quella piaga ; quel po- 
po!o diventava iodomabile. 

Una risoluzione di corte condotta e preparata da 
coloro, die avevano attraversato il maritaggio del 
giovane duca colla principessa di Porlogallo , fece piu 
per pacificare qiiella provincia che tutte le armi ed i 
perdoni della reggente. Vittorio Amedeo, che gia da 
pid di tre anni era uscito dall' eta minore , non s' era 
ancora recato in mano le redini del governo; passava 
il tempo piuttosto in diletti giovenili che fra le gravi 
faccende. Gio si convcniva ai fini , e fors' era artifizio 
di coloPo, rhe sotto I' onibra della reggenCe si piglia- 



i 



32^ STORIA d' ITALIA. 

vano il comaiido. N^ si comprende come Giovanna 
non abbia cessato da se medesima Y esercizio di im' an- 
torita y che piu non le competeva j se non si ^ogtia 
credere, che anch'essa aniasse il eomandare. Yit- 
torio finalmente si riscosse; mosselo il proprio genio, 
nemico dell'ozio, mosserlo i consigli di colore, che 
poco innanzi Y allontanamento di lui dagli stati pa^ 
terni avevano impedito , e che la presente debolesza 
detestavano* 

Addi trenta di novembre del 1684 disse, voler 
regnare ; il significo ai ministri , ai magistrati^ ai capi 
deir armi, agli ufSciali della corona. Parve aubito, 
che vi fosse gran differenza dal giovase figliiiolo alia 
provetta madre; le speranze dei Plemontesi afflitti 
dalle eccessive condescondenze di Giovanna verso k 
Francia , e dalle lunghe turbolenze dei Mondoviti « si 
rinfrescarono. La duchessa accetto con volto allegio, 
ma non so con qual cuore, cio, che non poteva vietare. 

Il giovane Vittorio, che sapeva, che il mostnre 
d' aver nervo da principfo era roiglior mezso ptf.pirter 
governare con piii facilita e dolcezza nel: progresso, 
inclinato del rimanente per natura agli atti forti 6 ge- 
nerosi, fece risoluzione di andar a vedere dfr^per se 
stesso , che cdsa volessero quegli ostinati Mondovili, 
e come in viso e di presenza^k maestk regia risgliar- 
dare osassero. I soldati cominciarono a marciai|fV|>i€oi 
di nuovo ardimento per Y esaltazione deI*jDuavoe 
giovane signore. Garru e Pios, villaggi delte Langhe, 
vicini al Mondovi, ne erano pieni. Trasferissi a Mod- 
dovi , il popolo r accolse con clamorosa allegrezza 



LIBRO VIGESIMOIVONO. J 684" 1 685. SaS 

Piacquegli, confortpssi, perdouo ai comuni insorti, 
con cio clie pero mettesseragiu'learmi, e quietassero. 
Torno al campo, ordino, che si arrestassero i primi 
fomentatori degli scandali^Bjibdtto^ che s' intitolava 
generale dei montanari , Trombetta procuratore , lin^ 
gua spedita e pro^ta, se mai una ne fu al mondo, 
Musso, Facchino, CorazzajgU sbirri si portarono i 
due primi , i tre ultimi fuggirono ; Capellini ebbe 
bando da Mondovi. Posaronsi i moti di Mondovi e di 
Cera, fece Vittorio rilomo a Torino. Cip n&ndimeno 
Yi furono ancora 1' anno seguente alcuni turbamenti 
suscitati dai capi, ai quali il duca aveva negata la 
grazia , principalmente da un certo Daziano. Ma ve- 
duto arrivare soldati di volonta prontissima e giudici 
di volont^ severa mandati da Vittorio, i banditi fug- 
gifono, i paesani prima ingannati, poi ravveduti do- 
■landarono perdono , ed al vivere in quiete si accomo- 
dlBurono. II governo conoicendo la materia facilmente 
acieendibile, consent! a passar per allora sotto silenzio 
r incomoda gabella del sale. Nel secreto dell' ailimo 
piacevano a Vittorio quegli spiriti vivaci e guerrieri 
dei Mohdoviti. Gli paragonava a cavalli generosi, 
obbedienti al freno dolce , restii al duro. Cosi passa- 
ronsi riposatameiate in quella sconvolta provincia 
parecchi anni insino*a che nel 1698 e 1699 1' i^^"* 
prontitudine del sale altero un' altra volta i popoli , 
a produsse nuove e> pericolose perturbazioni. 

FINE DEL LIBRO VIGESIMOWOWO, 



320 ' 8TORIA u'lTAUA* 



*%^^m^^^p^' 



LIBAO TECNTESIMO. 



■'*' 4. . 



-;• 



SOMMARIO. 

Pbrsbouiiovi ogutro i protaltaoti in Erancia , e tivooaziom dell' 

editto di ^ntes. I] re Lnigi » Bon cimtento dknyere fcacdetoi 

seguaci di qu^Ia refi^ione da"* raoi stati , vaole , che il daca £ 

Savoja 9cacci*i Yatdeai da' snoi. Segue una guerra lagrimerole 

nelle TalU pooaifti qiiiete di Pinerolo. Tfa il re • il duca afor- 

zano i Valdesi a lasciari^ native sedi , e4a ritirfMrsi.in laTiEMfa. 

Luigi a* avv^nta contro Genotrii per frivole ^agioni* Vi mandanna 

pouente armata , e con easa vi getta una tempesta £ bombe. 

Descrizione dejlo atato'deplQrahiie della oltt&. Ia Ibvma Tiuce k 

ragione, GenoTa cede, e Diandnilano doge a acnaarsi a Venaglia. 

Accoglienze , c{i^ gli si fanno , e.^di8Cor8i tra ohi comandaVa per 

prepotenza 9 e chi obbediva per forza. Morte del papa Qemente X 

ed asfunzione d'ldnoo^ad XI. Di^goati tra il pontefice e i prin- 

cipi per cagione ddle jmn^ivt^ ^§^ ambaiciatori in RomayCiMf 

prejendeyanoy che la giuatizia non poteaae toccare i ladri e gli 

assassini nelle Vicinanze dei loro palazzi. Altre question! tra Fraa- 

cia e Roma. lYfe domandif denfiH'al pdpa per la gaenH, ed 11 

papa gli manda roearj. li|orte d' Innocento XI » • crea^ioiie di 

Ales'sandro VIII. 



MoLTE dolorose narra^ioni io gia/ac<;;oinq^ai aHa 
memoria delle lettere nelle present! storie, nia nissung 
pill dolorosa che la seguente« Il clero superiore di 
Francia o per ambizione o per coscienza era nemico 
delle religiooi eterodosse, non esclusa dalle sue vo« 
glie per estii*parle la persecuzione. L' inferiore per la 



LIBRO TKEIfTESIMO. •-* 1 685. d^2J 

sua ignoranza e ha$sezza di costume dava troppo 
spesso cagione ai dissidenti di concepir disistiiAa per 
una religione, di cui i ipinistri parevano loro cosi 
ppco stimabili. Per fanatUma adunque reso ancpr piii 
ferooe dall' ignoranza, e per contraccambio *di di- 
sprezzo desideravano la ruina, anzi la distrusione 
degli avversarj. Pocbi virtuosi uomini fra V nuo e fra 
Taltro le crudeli intexizioni detestavano, e per con-« 
ver4ire al, gv^pmbo della chiesa amavauo megliq \ 
mem di GesM .Gristo che quelli di Garlo IX. Ma eo-* 
storo predicavano qel deserto, ridotti a piangere. la 
fejrit^ dei tempi, anzi che consigliare inutilmente cbi 
non gli voleya udire. I beqeficj di Enrico IV si anda-* 
vanQt.appoco appoco scemando, e il secolo decimo^ 
settimo volevaf rispondere degnamente al decimose^sto. 
Chi atterriva F Europa coUe armi , si precipita va ad 
atterrire i sudditi cogli editti. Misera umanita, che il 
inal dura, e il bene se ne va! 

Il famoso editto di Nantes aveva data la liberta di 
coscienza ai protestanti di Francia. Non trovando 
pill Hopposizione alle loro credenze, ne aU'esercizio 
dei riti , 1' ardore deile loro opinioni si andava grada** 
tamente raffreddando , non che calasse sino all' indif^ 
ferenza, ma perdeva cio, clie il rendeva aspro e 
pericoloso. Non essendo perseguitati, cessavano dalF 
essere turboienti, e le«cose tendevano tra i cattolici e 
gU acattolici, se non alia conformita^ certamente 
alia riconciliazione, ed al bep convivere insieme, 
Siccome i secondi ernno assai meno nuuierosi e per 
conseguenza meno potenti dei primi, cosi nissun 



3a8 STORIA d' ITALIA. 

altro pensiero, nissuna mira potevano avere, ne ave* 
vano se non quella di esser lasciati stare. Gosi eser- 
cilando i) loro culto pacificamente, si erano dati alle 
occupazioni domestiche , cercando di avanzare la 
propria fortuna o coUe manifatture o. col cpminercio 
o colla coltivazione delle terre. Quelli , che abitavano 
terreni montaffnosi e sterili , tantx) fecero colle fatiche 
che ameni e fruttiferi in breve tempo gli avevano 
renduti. Al contrario coloro, che nelle cMk popolose 
dimoravano, datisi alle opere delle arti, la patria, 
che pill non era ingrata madre per loro , arricchivano 
colla vendita dei loro lavorii, mandati anche ii^ paesi 
esteri , dove erano tenuti in gran pregio. Queste cose 
massimamente si vedevano in Lione, in Monpellieri, 
in Nismes, dove si fabbricavano i taffet^ ed altre sorti 
di drappi , che emulavano gli opificj d' Italia. Si fece 
stima, che nella sola citta di Nismes, dove la popola- 
zione protestante sommava a molte migliaja di per- 
sone , r arte sola dei setajuoli di questa religione 
fruttava pill di due milioni all' anno. La quale indu- 
stria tanto piii era da riputarsi preziosa, quanto che 
adoperandovisi solamente sete del paese, la produ- 
zione era tutto profitto per la Francia. La buona 
fede poi per V esito degli opificj ajutava la diligenza, 
essendo la sincerita dei protestanti nei traffichi salita 
in grande estimazione, per mddo che di gran lunga 
erano anteposti ai negozianti cattolici. Rendevano 
insomnia in utilita al pubblico cio , che il pubbltco 
loro dava in protezione. Tali erano i risultamenti 
della saviezza di Enrico IV. 



LiBRo TRKNTEsiMo. — 1 685. Sag 

Gli ecclesiastici ambiziosi o fanatici non voUero 
permettere, che la pace del regno piii lungamente 
durasse. Par^va, che loro increscesse, che'i prote- 
stanti fossero quieti e ricchi. Pretessevano il zelo della 
religione, ma realmente iiividiavano . alia prosperlta 
altrui, e temevano, che la felice condizioUe della 
setta contraria allettasse i cs^ttolici ad accettare le sue 
credenze. Specialmente dava loro noja, che la reli* 
gione dissidente cosi poco costasse alio stato ed ai 
particolari, mentre essi possedevaho tante ricchezze, 
e colle decline ancora si aggravavano sui popoK. Te- 
mevano del paragone, perciocthe V interesse sovente 
supera la fede, e della costanza dei propij greggi 
diffidavano. Odiavano pertanto I'editto di Nantes, la. 
sua rivocazione de&ideravano , volevano o convertire 
i protestanti , per forza o per ragione che fosse , poco 
loro importava, o cacciargli o spegnergli. 

Avendo il clero nel 1682 difeso la corona contro 
certe pretension! di Roma, e dato fuori la famosa 
dichiarazione, per cui e la liberty della potesti^ tem- 
porale verso la ecclesiastica era statuita, ed rlimiti 
dell' autorita della santa sede accennati, anche'in 
materia ecclesiastica, si era singolarmenteguadagnata 
la grazia del re, che tanto era stato *amareggiato p^r 
le sue ooniroversie col sommo pontefice. Gredettero , 
che non fosse occasione da tralasciarsi per isfogare 
r odio contro la religione prot^stante , e si proposero 
neiranimo di far armare contro di essa la potesta 
civile. Forse pensarono altresi, che il mostrar zelo 
contro i protestanti, che non con altro nome chia* 



33o STORIil d' ITALIA. 

niavano die con quello di ugonotti, polesse sopire i 
risenlimenti di Roma offesa dalla dichiarazione so- 
praddetta» e quasi in pun to di condannaria come 
eretipa , in quanto risguarda i tre ultimi capitoli fra i 
quattro/Intendevano ad emendare per la persecu** 
zione ccmtro i nemica della sedia apostolica cio, che 
y\ era d' amaro per lei nella decisione , che ave vano 
data. 

In cio ardentissimo si dimostrava fra gli altri 
vescovi Bossuet , primo di tutti pel suo amiauraU) io- 
gegno, ma secondo a mohi per dolcezza di natura e 
per carit^ di Gristiano. Siccome egli era potentiasimo 
per raziocinio, dosi era anche intollerante per abitu- 
dine, persuadendosii che alia sua logica^ come a 
quella di Sant' Agostino, non u potesse registere, e 
che chi gli resisteva, il facesse per pervicaoia, non 
per persuasione. Questi uomini di sublime ingegoo 
sono veramente tremendi, e Tumanita dee sudar di 
paura, quando gli vede. La dichiarazione mentovata 
era stata principalmente fattura di Bossuet, e stante 
die circa V autorita della santa sede vi era nella me- 
desima qualche odore di protestantismo, ei s' inge- 
gnava, per ^on esser tacciato, di spiegare le insegne 
di buono e zelante cattolico. 

I prelati adunque erano venuti supplicando al re, 
che loro permettesse di mandar missionarj nei paesi 
abitati dai protestanti per converlirgli. Nd medesimo 
tempo il pregarono, che fosse contento di esaminare, 
se per gli editti regj non fosse stata ad essi conoeduta 
troppa liberta, si di coscienza che di rito pubblico, e 



LiBRo Tacorr«sjMO. — J 685. 33 1 

se gli ediui medesimi non doves^ero essere o rivo- 
cati , od almenp modificati : iospfhin^a dprnandavauo 
r estirpazioae delR^resia.'Bd^suet, che tauto potevlt- 
con la pSLVoht e co{r gli scritti , domax^dava r uso dell^ 
armi. II re-piu savio'*di ioro, quaotunque^i fianchi 
avesse un ge^uitat ri^po^e, piacergli, cbe usassero tk 
parola divina per con ver tire ^ cbe in^cio i commisArj 
reg] gli avrebbero. secondati , ma badassero prima d\ 
ogni cosH, ad ufsare dolcezza, a non asperare gli spi- 
rit! d^i dissident!, e nulla fare, cbe contrario fosse 
agli editti, ed alle di^^biaraalibrii date, in loro favore; 
la sola forza de)la ragione, aggiunse; senza ^fFendere 
le leggi, dt)vergli for capa^ci della yerit^. 

La dolces^ ditjuigiiion stette lungo tempo forte 
contro h t^mpesta, cbe 'gli si faceva tuttorgiomo 
intorno. Tra vescovi, abati,gesuiti,*qonfessore, don- 
nicciuole,figr non dire dgnnacce di^corte, cbe vole* 
vanavelare gli abbominevoli costumi colzelo della 
religion^, ed intendentl, e governatori di province » 
e il buono, ma debole Colbert, e Y imperioso e cattivo 
Louvois, tan to molestarono e martellarono il re, cbe 
gli fu giuocofor^a cedere, e venire contro i prote^ 
stanti ad inusitati rigori , prime priocipio di lagrime 
pei popoli, di danni pel regno. %uigi si mis^ in cuore 
di estirpare del tutto ilxalvinismo in Francia, colpa 
pill dei consiglieri , massirhe del clero , cbe sua. ]Le 
tragedie ^i rappresentar»no principalmente nella Li'n-^ 
guadoca, dove viveano piii di duceutocinquantamila 
calvinisti. 

Per ordine detla corte incominciaronsi a violare 



332 STOAIA D* ITALIA. 

gli editti perrtiissivi. Un arresto del parlamento d'l 
Tolosa, parUmentd infensi^simo ai protestanti , proibi 
Ibro il rkp esteriore, ed'^ordioo, dtie il ti^mpio, che 
avevano m Monpellieri, fosse dfeiflolito. Gli ofFesi si 
lamentarmo , riempirono H reaihe di qaerele*, gtida- 
tonOj che si profanava il ciilto divino, che si \iola- 
va^o le leggi divine ed umane, che si faceva far 
meozognii al re. II duca di NoaiUes , governatore della 
provincial udi i loro lamenti , ma He voleva , ne 
poteva esaudirgli : gli esortava all' obb^dienzs^ cosa 
molto comoda per chi consiglia e comanda. Rispo- 
sero^ la "vita nostra prendete^ ma quel^ che Dien da 
Dio , conservar "vogliamo e conseiverhmo. Questi 
eranb i pastori delle anime. Noailles gli arresto , e il 
di due decembre fece demolire coi martelli il tempio. 
Induravasi vieppiii il parlamento : ordino, che si 
facesse in Bergerac, a Nismes, in Monttlbano cio, 
che si era fatto a Monpellieri : si demolissero i tempj , 
il culto pubblico cessasse. 

A cosi fatale asprezza si risentirqno , e si commos- 
sero gravemenle i protestanti della Linguadoca, e 
vedendo la persecuzione, non che imminente, inco- 
minciata , si apprestarono a procedere sdlbndo il 
costume di chi e perseguitato ed ha X armi in pugno. 
S' armarono , si assembrarono , si accordarono , i 
tempi della primitiva chiesa rammentarono ; i ministri 
annunziavano la corona del martirio a tutti coloro, 
che il sangue e la vita dessero alia difesa e conserva- 
zione della religione. Da paese in paese si dilatava \o 
sdegno, e il proposito della resistenza si propagava. 



LIBRO TRElfTS&llfO* l685. 333 

I 

Nel Vivarai$,'i]eUe GeYenne. nel Delfinato stesso si 
yedevano uoini^^ in arme, preparatiYi di gnem ci- 
vile, luoghi forUficady riteaiiieDti di robe prenose 
agli aspri monti. I pastori predicando traevano a se 
folie innumerevoli, e coi fisdd qnegli aomim attaiti 
e scomicciati adunavaiia. 

II re mando soldab, doe reggimenti di dragoniy 
tre di cavalleri^ spedita. Saccesse im inoontro aisai 
grave a Pierregourde tra i soldati reg| e i soUerati* 
Quesd ebbero la peggio : dodici £itti prigioni furono 
fiitti impiccare da un tredicesimo, atto di orribife 
ferocita : qoest' era la Diocleziana di Loigi, XIV« Niima 
Gosa, ne uomini, ne ^oiuie risparmiavano i feri sa- 
telliti; qudli accidevano si|i campi, qoesti impicca* 
vano neUe citta : morivaiio da martirL. Scriveva 
Noailies : c Yanno alia forca fermi e sereni^ e coUa 
a speranza di miglior vita pel martirio;, altra grazia 
a non domandano, se Don qodia di esser &tli morire 
«c proDtamente : nissiiiio, nemnieno an sola, dimando 
«c perdonp al re. » II ministrD Hom^^ tmo dm pri^' 
pali incitatori alia fesistenza, (a rotato vivo, il suo 
capo portato a Chalep^a^ il bosto a Bemcbatd a 
vista 6 ^Nivento del popolo. , 

. Occupad dalfe soldatesdie i paen dei^diiiidenti^ si 
procedette, per ordine^lla oorte folleticata da preti 
» frad fiumici e dalla fierezza di Lowois^ a £ure le 
converacmi per forza ; i pastori piii aecreditati^ i fim* 
datarj piii potabili , i personaggi piii etDinenti erano 
o in (bga o in carcere; restava il volgo, cui Toicunti^ 
avrebbe dovnto {xr sieuro; mat oiuna eota e Mcura 



334 STORIA. d'iTAUA. 

contro i furori del (anatismo. Alloggiavtnsi i dragoni 
nell^ case a spese di chi le abitava, ni.mailasciavano 
o borghi o villaggi, se non quflkndo tutti gli abitanti 
Sivevano presentato ceriificati di conversioi^e dati o 
dai pari>chi.cattolici, se re n'erano^o iA missionarj. 
Cosi ottene vano la fade , coi£e si caYatio i denaii dal 
fijsco. U govematore Noailles colle sue selte oompa- 
gnW di dragoni aadava spasseggiando la prOTincia 
nei luoj^hi^ che gli parevano rendere odoredt eresia, 
e itietteva le opinioni al tormentor del denaro. Nismes, 
Tilery Alais, Yilleneuve, le Cevenne fiirono visitate 
da questo ipissionario di sciabole, e tutte ne fiirono 
desolate e deserte. ,E *si , che si |)ersaadeva, che le 
conversioni fossero sikicere. crDite a LouTois, scri- 
« vevia, che sul capo mio gli giuro e gli promelCo, 
<t che non arrivera il Natale di Cristo sacnto (correfa 
« Taopo 1685)^ cliQ tion \i sara piii un ngonotto in 
« Lingtiadoca. La bisogna va cosi presto , che una 
c notte d' allojggiataietito de' miei dragoni basta. Graae 
«c n^ siano rese a Die benedetto, » Gosi parlavmio 
quelle £eroci aHiple^ o piuttosto quelle inaladeNe 
bestie^ iMVitre calcavano iniqutaiente quauto Tudmo 
ha di pill caro e di piii sacro quaggiu^ cioi-4'4ipi«- 
nioue religtosiA* Chi disabitava per eiutare gii'kUeg- 
giamenti soldateschi era ooodannato ad una multa 
di m^HIe lire, ed ^ tfenta per giorno, sinth^.noii fi^^ 
sero toiiiati. Tali etscho le conversiom militari di 
Laigi XIV. Scherzava^i in corte per moda , interro- 
gandosi Taji Taltro, di quante migiiaja di eonvtr- 
titi hassi oggi nos^lla? I pianti e le desolazioni di 



LIBBO TBEHTESIMO, |685. 335 

taiite famiglie a costoro nulla iinportavaiio , crudcli 
per leggerezza. 

Doleva a Louvois ed agli ecclesiastici fomentalori, 
die alcuno scappasse, o die potesse tornare, o die 
altro u^notto vi fosse in allre province fuora della 
Linguadoca : volevano, die sin dairuUime radici 
estirpRta fosse la religione elerodossa. Fecesi I'edilto 
di rivocazione dell'editto di Nantes ; 

Fossero rivocate, decreto Luigi, tutte le conccs- 
iioni , e demoliti i lenipj dei pretesi rifoimali; 

Ne denLro ne fuori di casa potessero congiegarsi 
per la celebrazione dei loro rili; 

Ogni miiiistro della pretesa religione riformata, dio 
rlcusasse d' abbracciare la religione cattolica, fra 
quindici giorni sgombiasse dal regno; 
O^ni scuola ugonotta fosse proibita; 
I fandulli fossero battezzati dai curali caltolici 
nelle parocchie, ed i parent! obbligati a inandarvegii 
sotto peoa di cinquccento lire ; 

JVissun protestante , o donna o Gglio di protestunle 
potesse uscir dal reame sotto pena di galera per gli 
uotntni, e di confisca di beni e di corpo per le donne : 
polessero starvi , nia senza cuito con proibizione sotto 
pena di galei-a di qualunque congrega per oggetto di 
culto. 

Cosi strane risoliizioni non erano in alcun modo 
ECUsabili ; perciocche la persecuzione si fece, non 
conlro uoniini congiuratori e libellanti, coine ai 
tempi di Colignj , ma ccJntro uomini ubbidienli e 
[jiiieti. 



i 



336 STORI\ d' ITALIA. 

Air asprezza dei comandamenti mescolarono qual- 
che dolcezza, forse per ischerno : 

I ministri convertiti godessero di una pensione 
un terzo piii grossa del loro primi emolumenti con 
regresso alle mogli vedove; e se volessero ad4ptto- 
rarsi in legge, fossero dispensati dai Ire anni soliti 
di studio. 

Ad un editto orribile seguitarono le adulazioni sto- 
macose, Luigi fu paragonato a Gostantino. Odi, so^ 
netti, emblemi in lode andavano per le manid'o^ 
gnuno. Si rallegravano di cio che gli dovea far pian- 
gere; chiamavano salute e redenzione la ruina e lo 

sterminio. 

* 

I piu dei ministri della religione proscritta, do- 
mandati i passaporti^ fuggirono da una terra cni- 
dele per andar cercando una nuov^ patria , non con- 
taminata ed orrida per un bestial furore. Fuggiti i 
pastori, fuggivano le pecore, la moltitudine degli 
spatriantisi divenne innumerabile. L' industria ce&- 
sava, il commercio languiva, Y oro e gli uomini uti« 
lissimi se n' andavano a fruttificare in piii fortuoati 
lidi, ma la corte infatuata e disumana non cessava. 
Ordin6, che tutti i fanciulli dai cinque ai sedici anni 
fossero levati dalle mani dei padri e madri , e dad ad 
allevare cattolicamente a parenti cattolici, se ne aves- 
sero; quando no, confidati fossero a cattolici estrani, 
nominati dai giudici. Per aggiunta fu statuito , che i 
padri e le madri pagassero le pensioni , e quando non 
le potessero pagare, fossero i fanciulli ricoverati ne- 
gli ospedali. I parenti inorriditi a cosi inudita barbarie 



LIBRO TRENTESIMO. l685. SSy 

fuggirono in folia dalle inospite contrade , ne il ti- 
more delle pene minacciate gli ritenevano. Sempre 
pill incrudelivano gliuomini, e, credo, non uomini. 
Il re comando, che la meta dei beni dei protestanti, 
che si rendessero fuorusciti, cedesse in potesta dei 
denuDziatori ; che a niun protestante fosse lecito 
avere domestici fuorche cattolici sotto pena di bollo 
di fuoco e di galera; che fosse dannato alia confisca 
de'beni ed alia galera perpetua qualunque novello 
convertito , che in caso di malattia ricusasse di rice- 
vere i sacramenti della chiesa; che qualsivoglia no- 
vello convertito , che fosse arrestato in atto di uscire 
senza licenza dal reame , o chi gli avesse per questo 
fine da'to favore , fosse condannato, se uomo , alia ga- 
lera perpetua, se donna, ad esser tonduta, e rinchiusa 
\iaaL carcere per sempre. E ancora si parla di persecu- 
tori antichi ! Beato il secol nostro , beati i principi , 
in cui e sotto cui queste cose , non solamente piii 
non si vedono , ma ancora si possono e dire e abbo- 
miiiare! 

I rigori non fruttavano che odio a chi gli eserci* 
tava;^onciossia cosa che i ritenuti per forza dentro 
una terrst'Crudele trovavano modo di fuggire, e quei, 
che restavano , fra le inospite rupi celebravano i loro 
riti.I supplicj tormentavano i presi. Mentre in Fran- 
cia ii andava a caccia d' uomini , Y Inghilterra , la 
Olanda, la Svizzera ed altre contrade benigne rico- 
verdvano gli esuli, e dei loro mobili averi, e della 
loro attiva industria si arricchivano. Cio dispiaceva a 

VI. 22 



338 STORIA D* ITALIA. 

clii ne era cagione : gli voleva o morti fuora , o pcg- 
gio che servi dentro. 

Luigi comando at duca di Savoja, che cacciasse i 
Valdesi dal Plemonte. Temeva , che i protestanti del 
Delfinato , fuggendo le carceri e le galere di Francia, 
in quel luogo vicino trovassero ricovero ed asilo. 
Avevano i Valdesi in quegli orridi monti , non solo 
il dritto di un domicilio antichissimo , ma ancora una 
condizione consent! ta e regolala dal sovrano con gua- 
rentigiadellaFrancia, Svizzera, Inghilterra ed Olanda. 
Ne alcuno aveva diritto di turbargli , insin che essi ai 
capitoli consentiti, ai patti giurati non contrawe- 
nivano. La qual cosa non avendo essi fatta, ne il duca 
di nulla, che dai medesimi venisse, lamentandosi, 
ragion voleva, che la condizione loro fosse conser- 
vata conforme alle promesse. Il duca aveva anzi ar- 
gione di restarne contento, per avere essi prese vo- 
lentieri le armi ed ajutato ij governo contro i solle- 
vati del Mondovi. Ma cio non valse : Luigi voile, che 
quelle valli, ancorche non sue, come quelle defVi- 
varese, risuonassero di pianti e di querele, ed umauo 
sangue da quelle rupi grondasse. 

Alle istanze del polente e prepotente re'i ministri 
di Savoja risposero, che i Valdesi viveancr quieli, e 
quieti lasciavano vivere altrui; che la sterilita di 
quelle roccbe non era per allettare i ricchi protestanti 
di Francia a venirvi; che giustizia voleva, che nulla 
s'innovasse, poiche niUlla essi avevano innovate. 
Pregarono infine Luigi, che di cio si contehtasse, c 
la quiete del Plemonte in cale avesse; che quanto si 



LIBRO TRENTCSIMO. *— 1 685-1 686. SSg 

poteva fare, e che piu dt tulta il re desidemva, gi^ 
si era fatto^ avciido il duca inandato fiiora un editto^ 
per cut praibiva,^ che i faggiaschi dt Francia ne'suoi 
stati $i ricettassero; che cio pure doveva has tare ,^ 
che per piacere at re il Piemonte divenisse ten^ 
iuospitale a chi non Faveva ofiescy, e che coW in- 
dttstria e i capttali, ehe seco portarano, poteya es-<- 
serglidi non poca ricchezza augumento. Luigi non si 
laisc^ nittigare, e minacciando rispose, che se il duca 
non (aceva da se , avrebbe fatto egK. 

Non restava altro rimedio obe quelle di conform- 
marsi alia sua volont^. Vittorio Amedeo ordino , ehe 
fosse abolito il culto^ Vaidese* che i barbi o siano 
nnnistri fossero esiliati, che i tempj si demolissero. 
1 Valdesi sorpresi da cost improvvisa tempesta , iwn 
sapevanoa che risoiversi : esitavano tra ^na patria, 
eheaoiayano, ed una reltgione, che adoravano; ab- 
bominavano la Francia stata pure sino quel dt la lorq 
regione prediletta : parera ad essi , non solo cruda , 
ma ancora incredibil cosa i) ricever morte da chi spe^ 
ravano i^ita. N^ se ne stavano, n^ se n'andavano; una 
confusione mista era fra loro. Luigi insto, sforzo i\ 
duca ad indurarsi e ad esegtiire. Vittorio per un 
fiuOYO edftto comando^ uscissero dal Piemonte , ter-* 
mine venti giorai, con facolta pero di vendere i bent 
stabfli e di traspovtare i mobili. Alcuni dicono, che la 
boRta e V attributo delta potenza ; io non so che mi 
dire : parlo di Luigi. 

Al crudele ordine i Valdesi degli antichi fatti ri- 
cordai>dosi/ nelle montagne confidando^ da dispe- 



34o. STORIA. 1>' ITALIA. 

rati piuttosto che da valorosi consigliandosi , diedera 
di piglio airarmi, presero i postl, posersi ai passi, 
vollero pruovare , se il morire da forti in battaglia 
non fosse piii invidiabil sorte che 1' esulare da miseri. 
Sterili sassi difendevano , ma sassi sacri per religione, 
sacri per antico domicilio. La ragione, e la giustizia 
erano per loro, perche a questa volta erano , non solo 
innocenti , ma eziandio benemeriti. Armati , adunati 
in grosso numero occuparono ipassi. I piu cosipensa- 
vano ed operavano. Solo gli abitatori della valle di 
San Martino avrebbero amato meglio obbedire e ven- 
dere per ripararsi nella Svi^zera; ma gli altri con 
grandissimo ardore aftelavano a difendere la fede pro- 
messa, I'innocenza conosciuta, la religione avita, la 
terra natia. 

E' bisogno venire all' arini per domargli. Luigl 
corse in ajuto di Vittorio in quest' empia guerra. E[h 
pure in questo stesso momento trescava in corle, 
marito adultero, con quelle sue laide femminacce 
della Valliere e della Montespan, ed altre non poche 
eui la storia nomina o non nominat Gattnat, capitano 
non degno di si iniquo ministerio, e la VienfviJIe coi 
Francesi le valli della Perouse e di San Martino , don 
Gabriele di Savoja coi Piembntesi quella di Lucerna 
assaltarono. I Francesi, passato il Ghiusone, oc- 
cuparono il paese, ritiratisi i paesani alle montagne 
di San Germano. Sopravvenne li notte. Gli assali- 
tori poco curando villani fuggitivi , stigivana a mala 
guardia; ma i Valdesi dalle montagne furiosamente 
calando, diedero loro una tale stretta' che scampi- 



LIBAO TA£]NT£SJMO. 1686. 34 1 

gUati e rotti suUe terre di Francia oltre il Ghiusone 
furono costretti a ritirarsi. VieufviUe, che gli reg- 
geva, fuggi cogli altri. 

Nel medesimo tempo Gatinat era entrato nella 
valle della Perouse, poi in quella di San Martino, 
ritirandosi in ogni luogo al suo cospetto i Valdesi. 
Don Gabriele incontro piii fiero intoppo in val di Lu- 
cerna : combattessi con molto sangue alle fauci, 
combattessi con maggiore in Angrogna. Gli Angro- 
gnani si ritirarono alle montagne, ma coi Francesi 
a lafo, i Piemontesi a fronte ; s'accorsero, che il va- 
lore non bastava contro una forza di sproporzionata 
^otenza. Promisero con solenne trattato in Angrogna 
^i sottomettersi alia volonta del principe. Ma tante 
furono le crudelta usate dai Francesi e dai Piemon- 
tesi, ma molto piu da questi che da quelli , massime 
in Val di Lucerna , che un furore da mentecatti prese 
i Valdesi, e si precipitarono novellamente alF armi. 
Di sito in si to , parte per forza, parte per inganno fu- 
rono rincacciati sino alle montagne del Yillaro. La 
vecchi , donne , fanciuUi , aspetta vano o per mano dei 
forti difensori salute, o per quella delle bestie, che 
gli assalivano, morte od esilio. Vinti, anche per de- 
fezione di alcuni dei loro spaventati a tanto pericolo, 
si ritirarono a Bobio; Brichanteau coi Piemontesi 
gl' invest!, ma fu vinto. Temendo poi di esser presi 
alle spalle dai Parella vegnente pel passo di San Giu- 
liano, si ripararono ^ ma pochi in numero, alia mon- 
tagna del Vandalino. Furonvi urtati, duro parecchie 
ore la mischia, ma infelice per chi aveva jagione. 



34a STORIA d' ITALIA. 

Cessero al destino, promisero d'andarsene at mar* 
obese della Rooea , governatore della provincia. 

I Lucernini partirono divisi in due colonne , i San 
Martinesi in una sola,«lla voUa deli' ospitaie Svizzera 
avviandosi : precedevano le donne ed i fanciulU , poi 
seguitavano i earn e le bestie da soma con gli ai^nesi 
e con gl' infenni , finalmeute i forti ed infelici guer- 
rieri dieCro ie dilette salme V ingrato suoio calpesta- 
vano. Le lagritne rigavano le morbide gote dei ^- 
ciuUi, le delicate guanoe delle donne, gli adusU ydti 
dei dolenti e sdegnati uomini : i vecchi strideVano 
lamentandosi, che a si af&nnosi giomi avesse il cielo 
la canuta loro etk serbata. Qual cuore fosse versunanfe 
il loro in quel fatale momento , lascio pensare a chi al- 
cuna volta ando esulando dalla patria. Maladetto chi 
instigo Luigi , maladetta la debolezza del re potentis- 
eimo , che faceva tremare 1' Europa , e cedeva poi alle 
^nstigazioni di prelati ambiziosi e di fratacci ignorant! ! 

Mentre i proscritti se n* andavano, le popolazioni 
gli guardavano , chi con pieta, ohi ion ischemo, 
tutti con maraviglia; i soldati ducali gli scortaTano, 
il caso pure inspirava un alto terrore. Sanno glf uo- 
mini , che la fortuna gira , e che quel , che accade 
air uno, I'altro aspetta. Le innocenti vittime trova- 
rono fra le montagne Elvetiche compassione, servi- 
mento, tutela e sicurezza. I rimasti in Piemonte o 
dispersi fra le province , o tenuti per le careen , per 
accordo stipulato tra il conte #Govone, ambascia- 
tore di $avoja e il cantone di Berna, fu convenuto, 
che ve^ti, nutriti e scortati a spese del duca, potes* 



LIBRO TR^JSTtSIMO. 1 686. 343 

isero liberamente verso i loro fratelli nella Svizzera 
ricoverarsi. Beue erano ed amorevolmeate trattati 
nella novella patria , ma vegliava in loro T amore 
deir antica. Chi non ama la patria? Come prima per 
le contingenee d' Europa ne fu loro data la potesta, 
nel suo dolce grembo novellamente si raccolsero. Gio 
fia da noi fra breve raccontato. 

Luigi XIY spayentava la Francia con le proscri- 
ziojii, e parte di questo spavento dava anche al Pie- 
monte. Ci6,come protestava^ andava facendo per af- 
fetto verso la religione , come se essa non raccoman- 
dasse piuttosto il boon costume, cheil perseguitare 
gli eretici : galere e sangue agl' innocenti apprestava 
per piacere a Dio* In questo medesimo tempo atterrl 
Geneva e la desol6». Lievi furono le cagioni, ne de- 
gne di un tan to re, altre false, altre scandalose. La 
Francia ayeva signoreggiato lungamente quella citta, 
sopra la quale, come su tutta la repubblica, preten- 
de,va antiche ragioni di padronanza. La Spagna 
aveva dopo di lei ottenuta la medesima signoria , ne 
gli ^ppicchi per dirsene legittima padrona le manca- 
vano. Ma la Francia avendo per le armi negli ultimi 
tempi prevalso di gran lunga alia Spagna , senti ri- 
nascere in se medesima le voglie di dominar Genova, 
senon colla presenza delle armi nel cuore stesso della 
repubblica, almeno con una tutela tale, che piu a 
signoria che ad afTezione si somigliasse. La Spagna 
si trpvava in condizione tale , che non che pensasse 
ad arrogarsi T antica autorita sui Genovesi, si^sti- 
niava fortunatissima del conservai^e in sua potesta la 



346 STOUIA o' ITALIA.. 

gtornaliere amarezze Sant' Olon fosse, esposto; che 
Qon gU fosse lecito 1' andar in seggiola dave aadava 
U ministro di Spagna ; che la casa d^ corrieri 4i Fran* 
cia si serras^e ; che i suoi domestic! fassero maltrattati, 
aDche coil battiture , nh mai potesse averna soddj^fa- 
zioae; che venisse in disgrazia chiunque con lui Sant' 
(^n conversasse; che il confessoFe della moglie fosse 
fttato mandato via da Genova , un frate sue confidente 
sbandito, Filippo G^^ttaneo e Ambrogio LomellinOy 
suoi amici , carcerati ; che per ^no ai medici ed ai chi- 
nirgi fosse &tto divieto di venir a visitarip; che si 
tenessero discorsi indecenti contro. la Francia; cl^ 
sporcato con fango fosse stato lo ^teipma della corona 
suIla sua porta innalzato. 

Queste cose erano parte vere, e la repubblica le 
voleva correggere e castigare, couvenendole ayere 
giandissimi rispetti verso la Francia, parte deriva- 
vano dair Olon medesimo. Il senato mando pel mar- 
cbese jtlarini, suo ambasciatore a Parigi, dicendo le 
sQe ragtoni ^ per cui non poteva consentire alle do- 
inande,.che gli si facevano, e- con uinili parole i fiitti 
amari scusando. Prego-nel medesimo tempo il re, 
accio si contentasse di richiamare Sant' Olon. II re sod- 
disfece in cio alia repubblica ,. ordinando , che il si- 
gliore di Juvigny'andasse a scambiaire 1' ambasciatore 
molesto. Ma Sant' Olon mando suo veleno a Parigi, 
tocco massimamente deir imbrattatura dello st^nima. 
S accesero subitamente gli spiriti dell' insafierente 
Luigi , nego le- tidienz^ all' ambasciatore della repub- 
blica, comando al Sant' Olon, che subito da Genova 



LiBRo TaiisMTesiMo. — 1 686. 347 

partjsse; meditava V umiliazione di quel piccolo stato 
Italiano : questa cose fecero infelici gli anni i683 

e 1684. * 

RisiKmava in GenoTa gia sia dal mese d' aprile to 
strepito di un armameato navale , che si stava pre^ 
paraodo nei porti della Provenza. Si moltiplicavano 
un gi(»*no piii dhe I' altro gli avvisi , che per esso ii 
re intendesse a vendetta ed a ruina contro !a repub- 
blica, e gli animi s' ingombravano di timore. Le parole 
avTiluppate e cnpe , che sul partire aveva dette Sant' 
Olon, i sinistn augnrj pur troppo confermavano^; e 
quantunque molti non potessero darsi a credere , che 
un principe Cristiaoo Tolesse tratt^o'e una citta Gris- 
tiana e civile peggio cfa' egli aveva tratiato poco in- 
nanzi un nido di ladri e d' infedeli , che e quanto a 
dire Algeri ^ tuttavia a tanti segni gli uomini prudenti 
si persuadevano, che il risentimento nel re fosse per 
sopravVanzare il sentimento. Il senato, necessitate 
a determinarsi, aveva fatto qualche diligenza in con* 
trario, e pensato a qualche apparecchio per difendersi. 
Rassetto i ripari di Genova edi Savona straccurati dope 
r ultima guerra^ le provvide di munizioni , ottenne 
dal governatore di Milano promessa di soccorso , se 
alcun insulto dalla Francia gli sopravvenisse. Riempi 
le compagnie di Aoldati , iniplor5 dal papa e dal re 
d^ Inghilterra , che si afFaticavano , acciocche Y Italia 
non si turbasse, ajuto , assistenza e mediazione. Tanto 
moto, tanto terrore sorgevano nel mentre, che il re, 
coir aver avvisato V elezione del successore di Sant' 
Olon , coir aver annunziato per mezzo del signore di 



348 STORiA. d'itaua. 

Croissy al ministro della repubbKca, che il nuovo 
ambasciatore Juvigny era persona di aggradevoli qua- 
lita , senza moglie , omato di qualita da riuscire di 
reciproca soddisfazione , protestava continuazionedi a- 
micizia. Certamente se gli affari di stato non andassero 
come Dio vuole ed ogni uomb sa, nissuno avrebbe 
potato credere , che sotto dimostrazioni cosi benigne 
si celassero petardi e bombe. 

Ebbcrsi gli avvisi , che la flotta Francese goveroata 
dal Duquesne, e portante il marchese di Seignelai, 
ministro di stato, figliuolo primogenito di Colbert, 
era pervenuta in Yillafranca , e per avviarsi verso la 
riviera di Ponente. Effettivamente , date le vele al 
vento, alia capitale della Liguria volgeva le prore. 
Amichevolmente procedeva, la dissimulazione era 
grande. Vide Alassio , rad^ i lidi di Vado , miro Sa- 
Yona, in tutti i luoghi coi debiti segni salutante e sa- 
lutata. Ai diciassette di maggio del 1684 arrivo a vista 
di Genova , ed in bella ordinanza si schiero dalla Ian- 
terna al sobborgo del Bisagno. Si numeravano in lei 
quattordici vascelli, tre fregate, venti galere, dieci 
palandre da gettar bombe , due brulotti ed aitri has- 
timenti incendiarj con cento altri legni carichi di 
nmnizioni, provvisioni e soldati, formidabile appa- 
rato. Miravano I'aspetto della superba citta; quanto 
miserabile avesse a diventar presto, bene sapevano. 
Duquesne , come contro a neraica spiaggia destinb f 
luoghi. Schiero le navi grosse sur una sola linea quat- 
trocento passi indietro , le galee suUe due ali , i legni 
incendiarj in un intervallo tra le navi grosse e le ga- 



LIBRO TRElfTESIMO. — 1 686. 349 

lere. L' artiglieria Genovese saluto la flotta , e questa 
al saluto con altrettanti tiri corrispose. Che cosa quella 
terribil scena significasse, non era ancor ben chiaro 
a ciascuno. II governo tra la sicurezza e il timore stava 
attendendo , che le intenzioni di Francia si spiegassero. 
Un gran subuglio jntsfnto travagliava il popolo^ inter- 
rogandosi 1' un V altro che volessero i Francesi , e 
quale avesse ad essere il prossiiho destino di Genova. 
Sospesi gli esercizj, ognuno correva per le vie, cer- 
cando novelle su quanto fosse da sorgere da quelle 
inacchine venule improvvisamente a turbare T inclita 
sede dei Liguri. 

Precedettero caVillazioni intorno ai complimenti 
per mezzo del console di Francia trasferitosi sulla 
flotta. Il senato elesse sei gentiluomini, mandandogli 
a titolo d' onoranza appresso kl Seignelai : questi 
furono Francescomaria Balbi , Parismaria Salvage , 
GiacdmoBalbi, Francesco Grille, Gianbattista Cicala, 
Girolamo Yeneroso. Yenuti in sua presenza, ed ap- 
pena fatti i primi ufHcj di cortesia , proruppe il Fran- 
cese in esagerazioni e proteste di mala soddisfazione 
del re verso la repubblica, poi le diede per iscritto. 

Che da lungo tempo la condotta della repubblica 
aveva provocata Y indegnazione del re; ch'ella aveva 
dimostrato in tutti i riscontri predilezione pe' suoi 
nemici; che di fresco ancora ne aveva dato un pub- 
blico contrassegno , consentendo , che il re di Spagna 
prendesse la qualita di loro protettore; che per com- 
prarsi questa dannosa* protezione , ella aveva aumen- 
tato il numero delle galee con intenzione di unirle 



35o 9TORIA !>' ITALIA. 

^Ile Spagnuole; che aveva riieusatto di di^rmarle, 
anzi affettato di farle oscire V anno passato , non 
ostaoite quelle , che le era stalo significato per parte 
d'nn principe, dsA quale ftolamente, eome S^gneiai 
diceya , doveva atlendere una soda protezuone , e k 
di cui volontk davevano servirk^di regola, se pur eHa 
la propria sicurezza amava ; cV eNa ave^ft laMati 
impuniti gli oltraggi faiti ai domestic! del suo inriati^, 
nialtrattati i suoi sudditi nel loro commercio, negate 
ostinatamente la dotnanda pet deposito passaggiero 
dei sail in Savona, affare di poco momento, ma 
segno del poco rispetto e deferenza, eh' ella avera 
per quanto egli desiderass^e^ Si vede, che tra i salidi 
Pornasio e quei di Savona la povera Genova ne tocco 
delle buone. 

Le minacce seguitarono i lamenti. Seignelai se- 
guitd dicendo, che il re poteva subito castigare, ma 
che per bontk aveva amato meglio dar tempo al pen* 
tirsi ed al correggersi. 

II figliuolo aspro di un ministrd dofee mtimo final- 
mente , che se la repubblica voleva sdornare il giusto 
risenttmento del re , rimettesse immantineiite a' suoi 
ufBciali i quattro corpi delle galore recentemenfe ar- 
mate^ una delle quali fosse proyvednta di ciiatna ed 
in istato di navigare ; che deputasse quattro de' suoi 
principali senatori per andare a domandar perdono 
a Sua^Maesta dei trascorsi passati con promessa di 
softomeltersi intieramente a*Suoi ordini in tutto cio, 
che le era stato domandato, ed in tutte le eocre, che 
fossero di servigio e soddisl^zione del re; ehe dava 



35i 
'uf- 



LIBRO TkENTBSIMO. — 1 686. 35 1 

tempo cinqoe ore alia risposta; che quests eta. 1 
f imo effetto della clemeiiza del re ; che se la fepub* 
blica non Faccettasse, ed il primo atto di ostilit^ 
aspettasse , non doveta piu sperare condizioni si 
dolci , e tutta la protezione , di Spagna non sarebbe 
valsa per fare, ch'^lla non risentisse, per mezzo della 
distruzione tot^l^ della citt^ , della perdita del eom-^ 
mercio, della rovina dd paese, quanto fosse Cerribile 
)a coHera d'un si gran re. 

A cosi amare, altiere e crude intimazioni i gentil- 
uomini , quantunque ad iin cosi acerbo sfogo prepa- 
rati non fossero, ed ogni altra cosa piuttosto che 
questa attendessero, risposero : 

Dolore e maravigtia recare alia repubblica, che i 
ministri del re 1' avessero cosi sinistramente imbe" 
vuto de' di lei sentimenti ed operazioni , mentre non 
potevano cosi di leggieri iessersri scordati di tante 
pruove date, di tanti ^petimenti fatti, dai qnali cfaia- 
ramente si deduceva, ess^re ella congiuntissima con 
Francia; niutio fra tutti i pfincipi avere professato 
maggior propensione per soddisfare alle intenzioni 
del re; che per conservarsi nella sua grazia aveva 
trapassati gli obblij^hi'deir amicizia, anche con pre- 
giudizio proprio ; avere per questo rifiutato ricotero 
a degnissimi cardinaH , solo perche contro di essi 
passiava qualche ombra nella mente di Sua Maest^ ; 
avere leva to in servizio suo un reggimento di Cbrsi> 
ancorche il regno di Corsica si trovasse in quel tempo 
tan to scemo d' abitatori', che per popolarlo di nuovo,. 
la repubbKca era stata costretta a trapiantarvi colonie 



35a STORIA. d' ITALIA. 

insin dal capo di Maina; avere consentito ad insoliti 
saluti agli stendardi di Francia; avere contro sudditi 
ribelli protetti dal re piuttosto avuto riguardo alia 
sua soddisfazione che alia misura delle leggl, de)la 
giustizia , deir onore e dell' Laterasse dello stato ; ayere 
per questo solo fine liberati dalle galere pirati Fran- 
ces! presi predando ne' suoi stessi mari i stidditi pro- 
prj; avere goduto della medesima indulgenza tanti 
altri rei di delitti gravissimi; la medesima £su;ilita 
ancora avere sperimentata tanti cprrieri, ancorche 
colti in frode contro le leggi e gF interessi dello stato: 
queste cose essere nell' opinione di tutti gli uomini. 

Soggiunsero, che Genova aveva tollerato paziente- 
mente gl' insulti fatti nei proprj porti da navi Frances! 
a quelle di altre nazioni, la visila, non solo de'^vascelli 
di guorra j ma delle stesse galere ancora , cosa inau- 
dita negli usi di mare, T interrompimento del com- 
mercio , Y arresto di legni e di mercanzie nazionali, le 
udienze dinegate al suo ministro. 

Continuarono dicendo, che- non sapevano com- 
prendere, come si potesse.arguire:la repubblica di 
predilezione pei nemici della Francia , quando tante 
volte ne' tempi passati e di Iresep anccKra si erano 
veduti i suoi sudditi e le sue galere spiccarsi dai porti 
per liberare i legni Francesi dalle mani dei Majorchini 
ed altri nemici di Francia, benche predati gia ed in 
intiero loro potere fossisro. 

Ragionando tuttavia contro le affermazioni del 
Seignelai, i senatori di Genova dichiararpno , che la 
loro citta vivea sotto la protezione sola di Qio e della 



LIBRO TRENTE6IMO. «— 1 686. 353 

gloriosa sua madre, n^ che aveva mai consentito^ n^ 
era per coosentire una tale qualitk , titolo o attributo 
ad alcuna potenza terrena con pregiudizio della pro- 
pria sovranit^ ; che bensi aveva aggradito je espres- 
sioni del re Cattolico di protezione de\ di lei irUeressi, 
come aki*e volte dla 'aveva aggradito quelle del re 
Cristianisstino Xxfarie sentire gli effetti della sua 
ben€9olenza. e deUa sua protezione; ma che dall' un 
lato e dall'altro erano mere parole di complimento 
messe fuori da sovrani affezionati alia repubblica , e 
cfa' ella accettava con filiale e grato rispetto , ma senza 
ofFesa della sua libera ed intiera sovranit^. 

Quanto alle quattro galere di liberta, argomenta- 
rono , che a niun modo si erano accresciute per unirle 
a quelle di Spagna a' danni della Francia , ma si so- 
lamente per regola di buon govemo, avendo veduto, 
che gli altri principi d' Italia ingrossayano ancor essi 
le forze da mare ; oltrech^ e' bisognava trovar im- 
piego' a'sudditi privi d'ogni profitto per I'interru- 
zione del commercio , e tener lontani i pirati e corsari 
Barbareschi , che i mari delle due riviere piii che mai 
fatto avessero in altri tempi ^ infestavano. Gli Algerini 
massimamente per vendicarsi dei danni causati loro 
dairarmata di Francia nel i68n , cercavano di risar- 
cirsene contro le nazioni meno potenti, obbligate pei 
loro traffichi e pescagioni alia navigazione : questi 
pirati audacissimi con rapine hicredibili desolavano i 
sudditi della repubblica. 

Che si dirik, instavano i gentiluomini , di quell' altro 
rimprovero, che si siano fatti e tollerati oltiraggi ai 

VL 23 






354 STORIA d' ITALIA. 

domestici dell'inviato Francese ? Veramente qui na- 
scere il case cosi bene espresso dal detto volgare, 
chi ha da dardomanday essendo stato un continuo 
esercizio ^i pazienza e di sofFerenza la dimora del 
Sant'Olon in Genova, attesa la frequenza dei disor- 
dini ed eccessi della sua gente, la quale avendo co- 
minciato dai primi giomi del suo arrivo a lordarsi le 
mani nel sangue innocente con noti ed abbominevoli 
eccessi , non aveva di poi , non vedendovi il dovuto ed 
adeguato riparo, cessato di conimettere mille altri 
ecdessi con pubblica professione di frodar gabelle, 
non ostante il donativo annuo di milacinquecento 
pezze da otto reali pagate al detto rainistro Sant'Olon; 
non aveva cessato d'insultar soldati, anche sotto le 
insegne, non cessato di servir di scorta e di rifugio ai 
matfattori, non d' impedir le esecuzionl ai ministri di 
giustizia , n^ di scorrere giorno e notte per la citta 
in isquadriglie con pistole ed altre armi proibite o di 
commettere moiti altri disordini contro la quiete e la 
decenza pubblica , e cowtro i diritti della sovranita. 
Poi , che c' e di guasto o non guasto in questa que- 
rela? Sapere tutta Genova , e piii di tutti averlo saputo 
Sant'Olon, che nella lista mandata secondo I'uso a 
palazzo dair inviato di Francia de' suoi domestici , 
erano scrilte cinquant' una persone , ridotte poi sui 
clamori a ventotto. Ot*a chi erano scritti sulla lista 
dei famigliari dell'inviato di un si gran re? Dodici 
solamente erano della casa e servizio suo, gli altri, 
orologiari, fettucchieri , calzettari^ sarti, giojellieri, 
orefici, mercatanti, seHisali e sinaili, pubblicamente 



LIBRO TREWTESIAtO. 1 686. 355 

conosciuti per tali nelle loro botteghe e stanze, e 
nella piazza, gente per lo piii dissoluta e scorretta, 
che si faceva scrivere tra la famiglia dell' inviato pel 
fine di potere impunemente portar armi , insultare e 
soperchiare i pacifici cittadini , vivere insomnia con 
tutta licenza sotto I'ombra del ministro di Francia, 
che per avergli riconosciuti per suoi domestici, quan* 
tunque in realta non fossero , gli difendeva e sosten- 
tava. Adunque le paten ti di un ministro estero, la cut 
missione suona pace e cortesia, ban da servire di 
salvaguardia ai malfattori , ai frodatori, ai facinordbi, 
ai ribaldi ? 

Non tacquero i gentiluomini, che i sudditi della 
corona di Francia avevano sempre goduto in tutti i 
loro affari delle stesse, anzi di maggiori agevolezze 
che i sudditi della repubblica, e che ad ogni minima 
loro istanza e magistrati e giusdicenti , si per moto 
proprio, come per raccomandazione del governor 
avevano sempre V opera loro, non solamente prest^ta, 
ma ancora offerta cordialissimamente ; ne 1' inter* 
rompimento dei traffichi essere provenuto dalla parte 
dei Genovesi , ma bensi dei Francesi. Chi potra soste^ 
nere, che non siansi usati in Genova i dovuti rigQaixU 
e servimenti agl' individui di questa nazione ? Saper- 
selo r arcivescovo di Reims , il duca di Liancourt , i 
marchesi d'Alincourt e di Villequiers, il confe di 
Blanchard, se i Genovesi i civili e nobili usi conck 
scono. A cosi alti signori richiamarsi essi delle accuse 
di Sant' Olon. 

Voltarono finalmente il discorso al deposite dei 



"4 356 STORIA d' ITALIA. 

sail in Savona : essere la vendita privilegiata del sale^ 
dissero, uno dei proventi piii abbondanti dello state; 
a grave stento gia potersi impedire il frodo. Che sa- 
rebbe, se un magazzeno di sale, che porterebbe con 
se rjmpronta di un re di Francia nel cuore stesso 
delta repubblica si accumulasse? Da ognuno veder- 
sene le conseguenze. Se questo privilegio alia Francia 
si consentisse, come poi negarlo ad altre potenze, 
che il domandassero? Sapersi del resto, essere questo 
un motivo degl' interessati nelle saline di Hieres, i 
qilali, essendo loro preclusa la strada di vendere il 
loro sale in Francia , van cercando i mezzi di smal- 
tirlo nel Genovesato sotto pretesto di mandarlo a 
Casale. Costoro tanto poterono appresso ai ministri 
del re che in bocca di sua maesta misero questa mi- 
seria del sale, 

I gentiluomini delegati terminarono le parole con 
dire, tener essi per fermo, che il re meglio infor- 
mato rimetterebbe nella sua grazia Y innocente re- 
pubblica , n^ essere mai per persuadersi , che fossero 
secondo la sua giusta mente le domande e preten- 
sioni , che ^al signore di Seignelai si producevano. 
Promisero infine di fame consapevole il senato, e 
ch'egK secondo la sua prudenza, giustizia e amore 
di Francia avrebbe deliberato. 

Ma non con giusto animo furono udite le loro 
^ giustificazioni dal Seignelai; le ripiglio anzi in mala 
parte tutte , n^ pote essere divertito dalla sua incli- 
nazione. 

Sentitasi.dal senato la relazione de' suoi gentiluo- 



LIBRO TREWTESIMO. — 1 686. 357 

mini , da stupore e da maravigiia fu compreso. Con- 
cordemente decreto, essere da conservarsi la prero^ 
gativa di uomini liberi; non doversi, non die inta- 
volare trattato, dare orecchio a proposizioni cosi 
esorbitanti; con venire esporsia qualsivoglia ciniento 
e ruina, anzi che pregiudicare in punto bencht^ mi- 
nimo alia liberty ; non deporre le armi con inique 
condizioni. Per la qual cosa, spirato il termine delle 
cinque ore, non diedero nissuna risposta. Gurarono 
intanto la difesa , crearono una giunta militare , no- 
minarono ufficiali, raccolsero soldati , con6dai*on^ la 
custodia della citta a Carlo Tasso, capitano di molta 
sperienza. Sul finir del giorno arrivarono alcune 
compagme di fanti Spagnuoli, che furono subito al- 
loggiate nei siti piii importanti, opportunissimo soc- 
corso mandato dal governatore di Milano sui primi 
romori dello avvicinarsi la flotta Francese a 6e- 
nova. 

Durante il congresso tra Seignelai e i deputati del 
senato, le palandre di Francia si erano andate acco- 
stando a terra dentro il tiro del cannone della piazza : 
dal minaccevole Seignelai Y aflare passava al terri-- 
bile Duquesne. Essendo trascorso il termine delle 
cinque ore, senza cbe i Genovesi avessero mandato 
risposta, e veduto che le palandre ancora persiste- 
vano nei posti presi in distanza non permessa dagli 
usi di pace , il comandante del porto le avverti con 
un colpo di cannone senza palla, che si allontanas- 
sero. Poi , osservato , che non si muovevano , tutta 
r artiglieria della piazza con un fracasso orribile tiro 



358 STORIA. d' ITALIA. 

contro le contumaci navi. I Frances! ailora risposer<? 
con uguale furia e frastuono. Una delle piii nobili 
citta d' Italia , anzi d' Europa , era chiamata a distru- 
zione. Imperversava orribil guerra la dove poco 
avanti festeggiavano le pacifiche arti dell" industria 
e del commercio : facevasi vendetta pel traditore 
Gitnliiigi del Fiesco. 

Narrero la fiinesta scena con le parole di chi la 
vide : « Dalle venti ore e mezza in circa ( correva il 
« giorno diciassettimo di maggio del 1684) 9 che die- 
« dero prinqipio le palandre a gettar incendj e rovine 
c nella citt^, tenendosi un buon miglio. discoste dal 
(c cannone , affrettarono con tanta frequenza e tanta 
a furia i loro colpi, ch^ portando da per tutto fiamme 
« e distruzione , cambiarono talmente la sua he- 
«cia altre volte si vaga, ed ora si compassionevole, 
(c che non troverassi nelle storie piii barbare memoria 
a di crude! ta si disumana. 

<c Ploveva a diluvj di fuoco e di ferro in ogni parte 
ccla morte piu spaventosa, e non trovandosi riparo 
« assai forte all' impeto precipitoso delle bombe fill* 
n miaatrici, furono atterrate le fabbriche le piu sode 
« e le piu sontuose, come le piii deboli e le piii vili; 
ft arsero le due grandi sale del palazzo della repub- 
« blica, e un tale abbruciamento obbligo il govemo a 
« trasportare la sua residenza nella fabbrica di Gar- 
« bonara , dove non potendo la sua pieta sofferire^ 
(c che le ceneri del precursore di Cristo nella chiesa 
Kcattedrale colpita dalle bombe per ogni parte, rt- 
» manessero piii lungo tempo esposte a nuovi incendj^ 



LIBRO TitEMTESlMO. 1G86. 359 

* e forse non ineno enipj dei primi, fattele ritirare.da 

<Un luogo SI poco rispettato, incontroU^ con santa 

<ed ansiosa soUecitudine processionaimente, e le 

«fece riponere nella cappella delta fabbrica suddetta, 

«lontane da ogni somigliante apprensione. Furono 

« dal peso e dallo scoppio de' smisurati globi lanciati 

c circa due miglia lontani dai mortarl, sfondate le 

« strade e le piazze, e apparve dentro del tratto ac- 

« cennato dail' attivita de' colpi sconvolto e lugubre 

c r aspetto di tutte le cose , onde desertatasi la citta , 

c i desolati cittadini , che il disastro non colse, ritira- 

« ronsi con la possibile velocita nelle coUine , da dove , 

« funesto spettacolo agli occhi loro , scorgevano il 

c fumo , le fiamme e 1' incenerimento delle loro case 

« e de' beni loro. 

a La magnificenza de' tempj dedicati al sommo 
«lddio, la religiosita de' monaster] ed altri luoghi 
c sacri , per tanti contrassegni e titoli contraddislinti , 
a nulla gio\b a conciliarsi quel rispetto, che le fiere 
«piu terribili, non che le nazioni piu spietate hanno 
« sovente mostrato verso le cose rese sacre dalla reli- 
« gione ; anzi si riconobbe , essere le torri e la gran- 
oc dezza de' santi edifizj piuttosto la mira e il bersaglio 
tfde' colpi nemici che la salvaguardia per diverdrgli 
a altrove. Fuggirono raminghe e piangenti le vergini 
ct^ledicate a iddio , e dispersa ogni sCdunanza religiosa. 
alnaspettato e nuovo genere di morte oppresse i 
«( languenti negli ospedali piu remoti. Furono atter- 
«rate le chiese, caddero i sacerdoti vittima sangui- 
« nosa a piedi de' diroccati altaii prima di teniiinare 



's 



36o STORIA d' ITALIA. 

« 4 sacrifick) di pace, e rimasero esposti agV incendj 
c ed alle profiwazioni i piii tremendi santuar) o mi- 
« sterj , le reliquie , i tabemacoli , e i sacramenti me- 
« desimi. 

c InorridKsce Y animo di proseguire in cost empia 
ff e barbara rimembraiiza, confessando gli stessi Fran- 
« cesi, cfae , per quanto grande fosse la strage portata 
cc r ann6 passato in Algeri dagli ordini piii severi dei 
a giusto sdegno del re Gristianissimo contro di quei 
a spergiuri Blaomettani , quella ad ogni modo fd un 
c nulla in comparazione della presente, tuttochfe di 
ocqueste ostilita fondate sopra insussistenti pretesti, 
oc e contro una citta si Gristiana, ne sia stato il rego- 
c latore il signor di Seignelai , cui la religione e la 
cccroce, che porta sulF abito (era cavaliere deil'or- 
c dine del Santo Spirito), ed il pensiero, che deve 
c avere della gloria del suo re, si credeva pure, che 
a dovessero inspirare sentimenti piu moderati e piii 
« convenevoli all' uno e all' altro. » 

Le ruine principalmente spaventavano gli occhi 
de' risguardanti nei luoghi prossimi al porto , siccome 
piu vicini alia tempesta con tanto vigore lanciata dal 
perito e inesorabile Duquesne. La dogana distrutta, 
il portofranco scon vol to, Tarmeria tutta in infonm 
rottami. Lo sforzo infernale continuo il venerdi e il 
sabbato : continuo anche la domenica, giomo, in 
cui per la sua santita avevano i Genovesi sperato 
alcuna tregua a tanto furore. 

Seignelai, stimando, che omai fosse vinta da cosi 
gran pericolo e sobbisso la costanza dei Genovesi, 



LIBRO TRElfTESlMO. 1686. 36 f 

diede 'A lunedi, doh ai Ventidue, sosta alia tempesla', 
e mando dentro a portar parole Bonrepos, intendente 
della flotta. Gostui disse al doge , increscere lo stato 
della citta al marchese Seignelai; dallo strazio fatto da 
seimila bombe gia gettate, argomentasse a quello, 
che farebbono diecimila da gettarsi; conoscere l^ei- 
gnelai i luoghi piu dannificati , ora tirerebbe sui piii 
lontani ed intatti ; non resterebbe pietra sopra pietra : 
poi verrebbe una guerra fbrmale da parte del re; 
vedesse, se i Genovesi potessero resistere; accettasse, 
nMindasse gente jper trattare, si sottomettesse, desse 
soddisfazione al re. Per tale mode ricupererebbe la 
sua grazia, e darebbe salute alia repubblica; quando 
no 9 r ultima rovina le sovrastava : tutti i soccorsi di 
Spagna non la salverebbono. 

U doge rispose y che il inandar deputati spettava 
Don a lui, ma al consigiio, cui avrebbe chiamato nel 
giomo seguente, ma che pero bene significava al 
signor di Bonrepos, e per lui al marchese di Seigue- 
lid, che per quanto considerabile fosse il danno rice- 
vutosi nella citt^ , questo non aveva proporzione al- 
cuna coUa fermezza d' animo , che in tutti risiedeva 
per la conservazione della libertk , vivendo massima- 
mente la repubblica persuasa di non aver dato a sua 
maesfia cagione di simili risentimenti. 

# Seignelai, che non voleva lasciare andar la cosa in 
lungo pel sospetto, che venisse nuovo suppleniento 
di Spagnuoli a difendere la citta assakata, e credendo 
di maggiormente spaventare con far maggiori do- 
mandb, rimando dentro il'Bonrepos, afBnche in suo 



362 STOUIA. fl^lTALIA. 

name richiedesse la repubblica delle seguenti condi- 
zioni : 

Che la repubblica desse in sua mano , provvedute 
di ciurma e d'artigliena, due delle quattro galeredi 
liberty ; 

Che pagasse in contanti seicentomila lire per una 
parte delle spese dell' armata ; 

Cbe mandasse quattro de' suoi principal! senatori 
al re per supplicarlo dl dimenticare il passato , e dar- 
gli nuovi contrassegrii di sommissione e di rispetto; 

Che la dimora e il passaggio dei sali per Savona 
fosse accordato ; 

Che dava tempo sino a domattina a dieci ore per 
deliberare. 

Martedi mattina il consiglio, immobile nella sua 
sentenza , rispose : non essere nella repubblica deter- 
minazioue alcuna di regolar proposizioni sotto il ea- 
lore delle bombe; avere bensi somma fiducia nella 
giustizia della sua causa e nell' intrepidezza de' saoi, 
per costantemente vedere anche la distruzione della 
citta, essendo per altro soddisfattissima dinanzi a Dro 
e dinanzi agli uomini di non aver dato occasioae a 
dimostrazioni cosi mostruose. La risoluzione fii presa 
quasi con voti concordi : fra cento cinquanta senatori 
quattro solamente dissenlirono. 

Non cosi tosto ebbe il senato fatta questa delRie- 
razione, che prtvedendo nuove ostilita e nuova gran- 
dine di bombe, fece trasportare*fuori della dtA il 
tesoro di San Gioirgio, in cui erano invest ite tente 
ricchezze de' cittadini. i.loldati di Spagna accompa- 



LIBRO TRENTI^IMO. — 1 686. 363 

gnarono il prezioso deposito, etanto in cio coutinenti 
si dimostrarono, che anche i nemici della loro ita- 
zione con onorevole ricordanza gli commendarono. 
Arrivavano intanto quasi ogni giorno nuovi rinforzi 
spediti dal conte di Melgar, governatore di Milano, 
per modo che si numeravano in quel momenti meglio 
di treraila fanti Spagnuoli in Genova. 

Rincomincio piu fiero che prima il bersagiio delle 
bombe, al quale volleroi Francesi accoppiare quello 
delle palle. Per la qua! cosa , ritiratesi le palandre un 
poco indietro, e fattisi avanti i vascelli, fulminarono 
orribilmente la citta, e cio, che era ancora rimasto 
intiero, intieramente fracassarono. Patirono massima- 
mente gli edifizj , che sul clnto ed in prossimita del 
porto si trovavano innalzati. Quivi un altro flagello 
venne a spaventare la compassionevol Genova. Ladri , 
assassini, ogni sorte d'uomini di mal affare, usando 
Toccasione della rottura delle case, e della fuga e 
spayento degli abitatori, si misero in sul rubare i 
luoghi abbandonatt, e ad uccidere ancora, quando 
trovavano resistenza. Provossi il governo a rimediare 
a tanta peste con mandar attorna pattuglie di soidati 
regolari ; ma poco poteyano frenare i scelerati , a cut 
le miserie della patria niun altro sentimento inspira*^ 
vano che quello di renderla ancor piu misera. Il tei> 
rore, la confusione, t mucchi de' rottami servivand 
loro d'occasione e di sussidio; poi la notte veniva, 
che copriva coll' ombre i parricidi ed abbominevoli 
miftfiittL Ipro. 

Accortosi Seignelai, che la guerra marittima non 



364 sTORiA oVtalia. 

baslava per piegare i Genovesi alia sua volonta , 
pwso a &re, per isperanze concepute legg^mente, 
qualche insulto anche per terra. Suo intento era di 
offendere il ricchissimo ed ameno sobborgo di San 
Pier d' Arena; ma per modo di diversione maiido il 
marchese di Anferville a fare qualche tentativo oontro 
Bisagno. Ando il marchese, sbarco gente, matrovo 
un cosi Yivo intoppo nelle miiizie ordinate del paese 
che fu costretto a tomarsene con una ferita-nella 
coscia. Ck>si da questa parte i Genovesi rimasero senza 
molestia. 

In questo mentre San Pier d' Arena pericolava. U 

marchese di Mortemar vi scese con piii di tremila 

uomini, seguitato da molte tartane fornite di pana- 

tica per tre giorni, e cariche di stromenti da guerra, 

cannoni, petardi, mantelletti , gabbioni , sacchi , scale, 

pale, scuri, graff), e simili altre diavolerie di guerra. 

I Genovesi uniti agli Spagnuoli contrastarono con 

noQ ordinaria bravura, fulminando gli assalitori dalle 

case e dai terrazzi, che in quei luoghi sono frequen- 

temente fra le case commisti. Molti d[)ituri pescarecci, 

alcuni palazzi magnifici restarono o rovinati o arsi. 

I soldati di Mortemar, trovato un cosi fiero rincalzo, 

gill dubitavano dell' esito di quell' assalto , quindi poco 

appresso del tutto ne disperarono; imperciocche i 

Polceveraschi scendevano a torme dalle loro mon- 

tagne, e gia romoreggiando vicini, si apprestavano a 

dare la stretta di fianco ed alle spalle a chi era venuto 

ad offendere un governo, al quale essi portavano 

molta afiezione. I Francesi , considerato dall' un de' 



LIBRO TREVTESIMO. — 1 686. 365 

lati Tassalto inutile, dalPaltrd la nuova' piena, che 
veniva Idro addosso dalle rive delta Polcevera , stima- 
rono miglior partito il rimbarcarsi. Cio fecero non 
senza disordine, lasciando sul campo le munizioni ed 
istromenti con qualche soldato, che fu fatto prigio- 
niero. 

Il terrore delle bombe , 1' aspetto degl' incendj , la 
rovina delle abitazioni, gli str'azj e le lagrime degli 
fiomini e delle donne accesero talmente il furore del 
popolo, e r infiammarono di cosi smisurata rabbia 
che non distinguendo piu n^ colpevoli ne innocenti , 
« messe le mani sopra quante persone erano o suppo- 
neva essere Francesi , poco manco che non trucidasse 
cfainnque rinveniva o gli si parava davanti. Per tale 
luribondo trasporto alcuni Francesi restarono uccisi, 
alcuni Genovesi. L'orribile macello sarebbe anche 
passato pill oltre , se per sua provvidenza il governo 
non avesse opportunamente procurato, che tutti i 
Francesi, che si poterono raccogliere, fossero con- 
dotti al palazzo, od in altro luogo sicuro, spargendo 
con pietosa bugia la voce , che si tenevano carcerati 
per procedere contro di loro a risentimenti maggioH. 
Poi , calmati i primi boUori , e fatti archibugiare al- 
cuni popolari facinorosi, che in queila indegna opera 
SI erano mescolati , anzi se ne vantavano , diede li* 
bero passaporto per terra e per mare a tutti quelli, 
che vogliosi di uscire dallo stato, I'avevano richiesto. 
Il console di Francia si era nascosto in un convento 
di cappuccini ; ma poi non credendosi sicuro in quel 
chiostri, ed avvisatone il governo, gli venne assc'^ 



366 HTORIA. 0'lTAUA. 

gnata uoa slanza nel palazzo, dove si dimoro con 
tutta sicurezza sino alia fine del tempo pericoloso. 

Mentre San Pier d* Arena si trovava travagliato 
dalle armi del Mortemar, Seignelai non cessava dai 
suo spaventevole scagliamento. Ma finalmente cerd- 
ficatosi, che niuna forza di pericolo poteva inclinaie 
i Genovesi al suo proponimento, gettate dal dicias- 
sette sino al ventotto di maggio tredicimiia e trecento 
bonibe , piglio partito di allontanarsi , rivoltando 
r animo infenso dalle armi nemiche alle relanoni 
sinistre; imperciocch^ tale ragguaglio diede al re del 
successo delle cose che Luigi vieppiii acceso d'in 
contro i Genovesi, non che rimettesse delle sue pre^ 
tensioni, maggiormente in esse s'infuoco. Seignelai 
ritirossi con tutta I'armata nei porti di Provenza, 
Genova rimase rotta, sformata , sanguinosa , fumante, 
incenerita. Giascuno mirava sospirando le cose sae 
distrutte, e fra le ceneri e i rottami ne cercava stu- 
diosamente le reliquie. Tra la rabbia e il dolore na- 
sceva la maraviglia nel vedere, che alcuni de' piiino- 
bili ediBzj fossero rimasti intatti, Maravigliavano 
principalmente guardando , siccome i popoli gli av- 
venimenti grati, non alia cieca fortuna, ma alia be- 
nigna provvidenza sogliono riferire, il palazzo ducale, 
in cui fu cosa notabile , che avendovi V incendio ince- 
neriti i legni, ammolliti e quasi liquefatti i feni, 
rotte, aperte e sfigurate le statue ed altri marmi delle 
due grandi sale, fosse rimasta intatta ed illesa la divisa 
della Concordia , figurata sopra la porta della sala del 
gran consiglio coU' emblema di due mani toccantisi e 



LIBRO TRENTESIMO. — 1686. 867 

da quantity dt verghe strette in un solo §i8cio , col 
motto , /irmisjimum libertatis munimentum. 

Svanito il pericolo presente , la repubblica temeva 
dei futuri. Gonosceva Seignelai nemico, Luigi su- 
perbo , ed implacabile , quando si veniva in sul toe- 
care la sua superbia. Si prowedeva e si armava cosi 
nella capitale come nelle riviere; ma non le era nas- 
costo, che r umil Genova poco poteva contro la [ft»- 
tente Francia. Aveva due speranze , F una negli ajuti 
di Spagna, Taltra nel papa, che a patrpcinio di lei 
aveva interposta l%sua mediazione. Luigi rispose al 
papa , che troppo i Genovesi erano colpevoli , e che 
per rintegrargli in grazia pretendeva e voleva , che 
disarmassero le quattro galere, pagassero al Fiesco 
centomila scudi per modo di provvisione, rifacessero 
le spese, rompessero le alleanze , Ucenziassero i sol- 
dati esteri, il doge in persona vestito delFabito du- 
cale , accompngnato da quattro senatori andasse , 
ov' ei fosse , a far le sue sc/use e domandar perdono 
in nome della repubblica. Dava tempo sino al primo 
geniiajo delF anno seguente 1 685 , a penfjirci; quando 
non avessero deliberato secondo i suoi desiderj , tor- 
nerebbe in sulle vendette. Non ascoltatesi da Luigi le 
parole del papa, manco eziandio ai Genovesi Tap- 
poggio di Spagna , avendo essa conclusa il dieci 
d'agosto del 1684 in Ratisbona una tregua di venti 
anni coUa Francia. S' aggiunse a tante apprensioni , 
che il popolo affamato dalla carestia , privato dei traf- 
fichi , spaventato del futuro , minacciava di levarsi in 
capo contro il senato e i nobili, il cui domiuio gli era 



ff 



36i STOUA O^ITAUA. ^ 

» qad nnBifnto esoso^ per isfiMnargli ad un acco- 
BodauBcnto con dii lo awvm ootanto danneggiato. 

U aeaato per Icrare U fiMMoto dei tomulti, e pre- 
aerrare la repobUica da ma^iore indegnazicme della 
Praoda, vadinzao i sooi pensiori al fine ddla Con- 
cordia; oo poteva fiure^ se non con Onore, almeno 
con mbiore dimbnizione di dignita, non avendace- 
dilo al pcricolo presente, e solo pef ben comune ai 
fatnri pigiiafdaiido. Mand^ pertanto al marcbese 
Marmi potestib di'traltart e condadere sperando, 
cbe con tale alto di condescendeoiA ranimo gonfiato 
del re si placberebbe, e temperet^bbs dal richiedere 
troppo ini(|oe oondiaoni. Il dodici di febbrajo del 
i685 fii solloscritto fira le dae potenze^ per la Francia 
da Colbert de Croisj^ per GenoYa da Paolo Maiini, 
e pel papa, come mediatore, da Angelo Rannoci, 
arctvescoYo ycsgoyo di Fano, suo nonrio , un trattato 
coi capitoli seguenti : 

Che il doge e quattro senatori andrebbero al piii 
tardi, ai dieci d'aprile a trovare il re Ik dove fosse, 
per testifici^i il rincrescimento d'averlo offeso ,,^il 
desiderio sincero di meritare all' aYYenire la sua baona 
grazia : tornati in patria non potessero esser rimossi 
dalle loro cariche sino alia fine del loro legale eserazio; 

Che la repubblica congederebbe fira nn mese i sol- 
dati di ^>agna, rinunzierebbe ad ogni lega condusa 
dal i683 in poi, ridurrebbe alio stato di pace il suo 
naYilio ; . 

Che compenserebbe ai sudditi del re i danni so^ 
fterti; 



ttJBRo TRENTESiiro* -^ 1 686. 369 

Che il re darebbe ad arbitrio del papa una somma 
^r contribuire atla Hparazione de' tempj; . . 

Che i prigionieri si renderebbero da ambe k parti; 

Che la repubbUca pagherebbe al Fie^co centomila 
scudi, e con cio il re prometteva di non piii assistere 
€oU' anni le sue pretensioni ; 

Che il re 9 appagandosi di tali soddisfazioni, resti« 
tuirebbe i Genovesi in grazia, farebbe favorevole ac« 
coglienza al doge ed ai senator!, ne altro doniande- 
rebbe o esigerebbe oltre qUello, che era nel trattato 
espresso. . ^ 

Una necessita irresistibi]e -premeva Genova. Per 
eseguire I'amare condizioni, il doge Francescomaria 
Imperiale-Lercaro parti alia volta di Francia coi quat* 
tro senatori Giannettino Paribaldo, Marcello Durazzo, 
Agostino Lomellino, Paris Maria Salvago; per tnag- 
giore onomnza vi furono aggiunti, con titolo di ca- 
merate, dodici gentiluomini. Ai quindici di maggio 
il doge si presento in Yersaglia al cospetto del re, 
che sedeva sur un trono d'argento^oon tre gradini e 
gli fe cenno di coprirsi. Disse , essendosi il re rizzato 
in piedi per ascoltarlo : 

cc La mia repubblica tenne sempre fra le massime 
ic fondamentali dello stato il segnalarsi per un pro- 
ic fondo rispetto verso la corona da' suoi augusti an* 
a tenati a Y.ostra Maesta trasmessa. Yostra Maesta 
ic vestilla di un piii chiaro lume di gloria, ne accrebbe 
« con SI stupendi fatti la possanza, che la fama stessa, 
« che secondo il suo costume esagera ogni cosa , non 
<K potra fare, anche scemandogli, che la posterita gli 
VI. 24 



;• 



i'JO STOniA u'lTALIA. 

II creda. Ogni prJnripc, ogni slnlo riconosce eti am- 
« mira i:on somniissione profonda coai subllmi prero- 
u gative. Ma la repubblica , in cui questi sentrmenti 
o abbondano, vuolenelpalesargli,sopravvanzaveogni 
a altro. 

« L' accideiite il piii fatate, il piu funesto, ch'dta 
>( iiiai pruovare potessc , fu quello di aver offeso Vos- 
ri tra Maesta. Sono qui per mandato di lei per espri- 
" merle quanto sia il dolore, che ne seiite. Infeiice nel 
(I presente caso fii la repubbljca, per sola sua inleli- 
■( c'lta verso Vostra Maesta pjccp. Desidera, vorrebbe, 
nche, a qual prezzo si fosse, I'amara cagione, non 
« solo dalla mente di Vostra Maesta, ina ancora dalla 
o memoria degli uomiui fosse del tutto caocellala. 
.1 L' afflizione da lei presa6 tanla, cbe 30I0 <:ol ricu- 
fi perai'e la preziosa grazia sua potra consolarsene. 
« Ella le prometle, ella I'assicura, che nuino studio, 
n.niuna diligenza, niuno sforzo oinettera per meri- 
atarla, conservaila , accrescerla. Diciopeusando, ne 
a delle espiesaionj, piu sommesse e piii forti conten- 
" tandosi , a ouovi e singolari modi ricorse. Qoesto e 
« il doge suo, quesli i suoi quattpo senator!, ch'ella 
umanda sperando, che a si solenoe dimostrazionc 
ft Vostra Maesta sara per convincersi dell' altis^ma 
H stima. cli'ella fa della sua reale beiievolenza. 

a Quanto a me , Sire^ felice ed onorevole ventun, 
M siccome io credo, e la mia di venire in cospetta Ji 
« Vostra Maesta, questi vivi e rispettosi scntiroenli 
il recandole, felice e<I onorevole ventura di venirenl 
u cospetto di un monarcn, invincibile per cora^Wi 



L 




^UBRo xamNTESiMo. — 1 686. 371 

« rispettato per magaanimitk , temuto per grandezagi; 
« monacca, a ctii nissuno uguale vantano i secoli paa- 
<c sail, e fonte sicura di ugual sorte pe' suoi discen- 
« deoti. Generosa e Yostra Maesta : sallo la Francia, 
<( sallo il mondo , sallo Genova , a cui permetteste di 
« venirvi ad inclinare. Accetta e riconosce la repub- 
«c blica il fortunato augurio : T accetta e spera , che la 
<c generosita Yostra ancor piii farete palese, riputando 
(c queste tanto umili , quanto giuste protestazioni pei 
<c veri senUmenti, non soio del mio cuore e dei sena- 
<c tori deputati , ma ancora di tutti i miei compatriot!, 
« che ansiosamente attendtmo quaato Yostra Maestk 
<x sara per tan in segno , ch' ella abbia Genova novel-^ 
«c lamwte nella sua reale mansuetudine accettata. )» 

Tali fiirono le miserabili parole del doge di Ge- 
nova ,.tali le basse adulazioni contenutevi , ddle quali 
fa ancor piii maraviglia, che siano state udite che 
pronunziate. Certo, poca g^^ndezza in cio mostrp 
Luigi. 

Menlre il doge favellava , stette il re attentissimo 
sempre , ritto sui pie ed in somma maest^ ad ascol- 
tEurlo. Tuttavolta che il doge pronunziava il noma di 
Sua Maesta, si Icvava il cappello^ e conforme atto face* 
-vanoin sui momento il re ed i principi, che intomo 
al r^Q seggio stavano raccolti, principalmente il 
del&no alia destra , il duca d' Orleans alia sinistra, Il 
re rispose , soddisfarsi delle sommissioni della repub- 
blica, essergli incresciuta la necessita di fare risenti- 
menti contro di lei, in ogni caso le testimoniierebbe, 
che non aveva spogliato Tanimo della benevolenza 



37^ STORIA b'iTA-LIA. 

portatale; credere, ch' elia non «arebbe per dargli in 
futuro che cagioni di contentesza. Poi rallenlando il 
sussiego regio , fece graziosi coroplimenti al doge ed 
ai senatori : versavasi in gioconde espressioni verso 
la repubblica. Alouni narrano pero, che i.ministri si 
dimostrarono verso gli umiliati, astiosi ed aspri; ii 
che diede occasione al doge di dire : // re ci togliela 
liberia con guadagnar i nostri cuori, i ministri ce la 
rendono. 

Terminata la solenne cirimonia vennero le cor- 
tesie. Il doge e la sua comitiva furono trattati a splen- 
dido banchetto ndle stanze regie dal maestro delle 
^erimonie; poi visitarono i prindpi e le principesse^ 
il delfino, la delfina, i ducbi di Borgogna e d' Anjou, 
il duca e laduchessa d' Orleans, il duca e la duchessa 

* di €hartres, madamigella di Monpensier, madama di 
Guisa, la gran duchessa loro sorella, il duca d'En- 
ghien, il duca di Borly)ne della oasa di Gond^, la 
principessa di Gonti. Furono da tutti ricevuti amore- 
volroente e con grandi dimostrazioni d'onore. 

Il giorno ventisei di maggio fu destinato per J'u- 
dienza di congedo. Il doge nel suo discorso espresse 
i sensi di gratitudine della repubblica , e quanto le 
stesse a cuore il conservare la grazia di Sua Itaesta. 
Soggiunse , sperare , che siccome le operaziog^ sue 
sarebbero sempre sincere, cosi Sua Maesta le vedrebbe 
con affezione, e che se qualche ombra nascesse, I'oc- 

* chio ^uo perspicace saprebbe discernere la verita. 
Termino dicendo, Pieno di que<stafiducia^ auguroa 
Vostra Maesta U possesso perpetuo della /eliciia e 



LIBRO TRENTG6IMO. — 1G86-87-88. Z'jZ 

gloria,, che col cof^o non mcU interrotto delle sue 
maravigliose azioni ha cost ben conseguito, II doge, 
auguraiido dX re cohtinuazione di felicita , gH dava ud 
utile avyertimento della volubilita della fovtuna. Fe- 
lice Luigi e felice Francia, se il priidente cenno delF 
umil doge di Genova fosse stato meglfiY) atteso. Del 
rimanente^ con tutta ragione tocco il doge le ombre ^ 
che potrebbero nascere di lontano,^ perch^ veramente 
la malignita e la malizia di Sant' Olon furono la cagione 
della discordia, e dei fatti luttuosi, che seguitarono. 

Il doge ed i senatori delegati, partitisi daila I'Cggia 
di Francia rividero le mura di Genova addidiecinove 
di giugno. I eapitoli accordati furono di tutto.pupto 
eseguiti, Fafflitta citta respiro, ma come si respira 
dopo lunghi e crudeli affanni. Stettero i Genovesi 
quieti e feliei lungo tempo, ed ancor plii lungo sareb- ^ 
bero stati, se le discordie dei vicini, e le rivokizipni 
dei sudditi non fossero sopraggiunte a recar distui^o, 
timore , dispendio e sangue ; il che sarJi a suo luogo 
doloroso e stupendo soggetto delle nostre stone. 

Non erano ancora trasieorsi due anni, dapp'oich^ 
GenoTa si era trovata in dure strette per rinsupera-. 
bile potenza della Francia, che il re Lttigi, mal socl- 
disfatto del papa, tento di aggravarsi sopra Rbma. 
Tra Toccupaziene di.Gasale, ia soggezione di Savojji 
per Taffare dei Valdesi, T inc.endio di Genova, oltre 
le altre mirabili cose , che quel re aveva fatte e £siceia 
in altre parti del mondo, grave oltre modo Q^formi** 
dabile era divenuto il suo nome a*tutta Italia. La de- 
boiezza di ^pagna, l^osqitanza di Venezia, davatt6 



374 STORiA d' ITALIA^ 

ouovo fomento ail* universale temenn. Cio non os- 

tante il tremendo monarca incontr^ un mvincibile 

intoppo in un papa di poche armi, ma di tnolta cos- 

tanza d' amipo foiliito. Reggera allora it cattedra di 

San Pietro Insocenzo XI, assunto al ponttficato net 

1676 in luoga di Clemente X passato all' altra vita in 

ctib ottuagenaria.' Era Innocenzo d' integra vita, di 

costuine severe, aroatore della giustizia, lontanoda 

ogni interesse verso i congiunti, e percio venerato 

anche da quelli, cbe odiavano il pontificato. Ebbe in 

Roma ii nipote, ma in condizione quasi privata. Mai 

dispostoalle grazie edalle beneficenze era poco amato 

nop sqIo dai queruli, ma anohe dai bisognosi. Tena- 

cissimo poi della propria opinione , dimostrando rara- 

raente variazione d'animo, e delle prerogative deila 

• santa:sede> zelantissimo, aveva piii jnclinazione per 

inliapretidere le controversie cbe consiglio p^: ter- 

minarle. N014 cosi tosto era egli salito al supremo 

seggio^ cbe fece fermo proponimento di levare agli 

ambasciatori -i)fi Rdba qu^e irai^cbige, delle quali 

gddefano gi^ da ni^i'amfi^U''possesso. Per la qual 

oosa pubblieo, idie- non avnebile ammesso alia sua 

presenzaifuo'vo lumfaasciatore'di'afoun pritulipe, se 

priola nop avesse aUe pretese-inimiinit^ rilicniKialo : 

ma p^r.non tiirbare le/cose gik passate in udOye 

riconosctttt^ da^ suoi aotebessori ,«nob toct^ le .imtmi- 

nHadegli atnbasciatori presehti/'sk)l6 -provvedeadb 

*per L'^vvenire^ 

Qu6sta determinazione del papa produsse -qualohe 
Amarezza *toA le maggiori polenze. L' asabasciata di 



LIBAO TREjff»telWO. — r . 1687- 1 688. S^S 

Spagna restQ^Mif go tempo sespesa^, Venezta richiamo 
il suo ambasciat^re Gii>Qlamo Z^iio^t^ymdogli il poiv: 
tefice*. apertambttte tuegale .le^ udienze',. perch^ non 
solameDte-si wa<liinQSjtrate &ostenitoFe.acerrinv3 delle 
immunita, inaran(k>f3i aveva cq'suoi fi|iiiig|iari fatto 
fiiggire dalle viclnaiize del ^palazzo di $an Ms^rto i 
ministri delia giustizia , cbe vi iijpt6Vano japre.st^re un 
nialfattore. La Frahcia'.non muto la«sua atnbasceria 
sine alia morte del maresci^llo. d^ Estri^es^ che per es-. 
sere in Roma sin prima del ditietp , continuo a go- 
dersi i priirilegi. . . , 

Consistevano le immunita/o siano /rancbige^.d!^ 
cui si tratia in cio, che gli ambasciatQfi pretende;> 
vano, che non solamente i loro palazzi, il che si so- 
leva comportare, ina'eziandio i loro quartieri fossero 
esenti dalle visile degli ufBciali della gijistizia : cio 
chiamavano il quartiero. L' uso era scandaloso per 
tutti i buoni, offensivo per la giustizia, pregiudi^ale 
per la camera apostolica; imperciocch^ in^quei rice^tl 
fiionchi si ricoverayano malfettoriMi pgni genere^ cui 
la giustizia non poleva carpire , e che poi di notte- 
tempo e talvolta anche* di gip|*no - uscivan^ acom- 
mettere roberie , omicidj , malefizj d' ogrii sorte. 
Quest' Ijomini iaiqui,*fatti si«uri -dachi gli avrebbe- 
doipvtti dare agli sbirri, s' arrogav^nb anche 4a"fagDlta 
di render le ^rasce senza paganiento de'dasg c^n 
danno ^8»$ai netabile dell' erdrio ipontificio. JZ abuso 
poi ncj^'poatifiQati precedenti s'era assai dilats^, per- 
obe r esempio degli Hihbascia^tori <era passato aei pa- 
lazei d^' caddinali e de' pi^incipi ; cosi poc9 parte ^ 



376 ^TORIA l>'iTAl:f4. 

Roma restava alia giurisdizione dii magistrati. la 
pessima u^nza-era venuta in motiyo di superbia, e 
pareva ai de^ti amhaseiatori, cardinali e piincipi di 
derogs^re alia dignita , se hojd ayevanoi^n protezioBe 
ladri, assassUy, ifrodatori e debitori ^liti» Ognuno 
voleva avere in casa sua « nelle'piazze e oontrade vi- 
cine un asilo. Dicey^^DO , ehe quello era in Koma uno 
stile ai^tico^ e che Romolo ayeva &tto cosi; maRo- 
molb fondaya utia citta, costoro la corrompevano. 
L'austero Innoceqzo intese a levar via rempia con- 
suetudine ; ma re , repubbliche , principi , che per di* 

«gnita si fiicevano protettori del delitto, e non voie- 
vano, due il papa fosse padroiie in Roma, ne cbe la 
giustizia procedesse , con infiniti clamori si contrap- 
posero, vestendo per tal modolh persona. di avvocad 

. del dia volo ; della quale nissuna cpsa si potrebbe imma- 
ginarepiii ridicola, se non fosse di tutte la piu.iniqua. 
Ora per venire alle differenze con Francia, ac- 
cadde, che essendo morto il maresciallo d'£strees, 
il cardinale suo frat^Uo , noma d' ingegno molto sve* 
gliato, ed assai pratico per lunga use delle cosedt 
Ronaa^ pretese , che in lui continujsisse il ministerio 
deir ambasciata , *e fece vedere in questo proposita 
le lettere di commissione del re. Ma il papa costante 
nel sua proponimento , rinnov6 c6n boUa dei dodici 
maggio 1687 le passate dichiarazipni di noa ammet* 
tere alja sua. presenza ahro ambasciaUxre , se non. era 
soddis&tto nella materia dei quartieri. Il re nfa era 
alieno, per comporre le discordie, di dare in questa 
part^ qualche soddisfazione at papa;, nfa molti es- 



LIBRO TRtlfTESIMO. — 1687-1688. S'JJ 

sendo i negozj* controyei*si tra lui e la santa sede , 
sostenevai-con perthiacia questa pretensione per av-^ 
vanlaggiarsi negli altri punti. Litigi del Fimanente si 
sdegnava , d|(B un prete lontano e quasi tnerme re- 
sistesse a cfai con tanto terrore TEur^pa quasi tutta 
s* inchinava. 

Non mancavano jaltri ^oggetti di controversia tra 
Fran<^a e Roma, esseqdo il re imperioso per natura, 
il papa inflessibile per coscienza. Avevail clero di 
Francia nel 1682 statuiti i privilegi del\a chieSfa gal-^ 
licana , per cui, secondo che il papa crdfdeva, si ve- 
nivano a ferire i dogmi eattolici relativi aU'autoriti^ 
della santa sede, ed a scouvolgersi il fondamento 
stesso, anzi la pietra angolare del ^attolicismo, die 
consiste nelPunit^ della dottrina statuita, promul- 
gata.e conservata dalla cattedra di San Pietro. Il re 
con regio editto aveva diffuse le quattro propo^izioni 
per tutto il regno , comandando risolutamente ai re- 
ligiosied ai professori ddF universita, che nelle lora 
scaole e nei pubblici congressi le sostenessero e di- 
fendessero. Queste cose avevano sommamente dispia* 
ciuto al pontefice^ e porta va mal animo a) re. Ora 
accadde, che essendo vacati alcuni vescovati e badie, 
il re ne investi alcuni prelati, che erano intervenuti 
all'assemblea del clero nel^ 1681. II papa nego la con- 
fermazione per aver essi dato I'assenso alle malsane 
profK>sizioni. Quindi poi non permettendo il re sde- 
gnato^ che ialtri prelati da lui nominati^a benefizj 
vescoYili o abbaziali, i quali non erano staii present! 
a queirass^oablea, econtro i quali per conseguenza aoa 



38o STORiA B^rr^LiA. 

usurpatori de*quarderi. Gran costanza era nel pap\ 
nel &re queste deliberazioni ; perche , oltre che i' of- 
(endere il re Luigi era cosa da pensarci due volte, il 
popolo di Roma era spaventato dalla pre&enza di tante 
armi e di tanti uomini prontissimi di mano, cheTam- 
basciatore stipavano. Avendo poi il Lavcirdiiio il 
giomo di Natale fetto le sue devoziooi nella chiesa 
di San Luigi de^Francesi, je celebrare una messa so- 
lenne, il papa, per natura fisso nelle opinioni pro- 
prie, e che quMdo si trattava della sede di Roma, 
non voleva pigl^ir le leggi da alcuno , fece interdire 
la chiesa e i sacerdoti per aver ricevuto uno , come 
diceva, notoriainente scomunicato. L' ambasciatore 
fece appiccare a tutti i canti di Roma le sue proteste, 
e il procurator generate del parlamenfo di Partgi, 
con parole nervose, appello ad un concilto generale 
contro la holla della scoaiunica : il parlamento re- 
gisCro r appello. A tale estremita si ridusse il nego* 
zio che la corte di Versaglia ne avvampava di sdegno, 
e il re minacciava di mandare una potente armata 
alia spiaggiaRomdna per vendicafsi, e per ravvivare 
le pretensioni del duca di Parma sopra Castro. Alle 
asprezze di parole tennero dietro asprezze di &tto^ 
se non in Italia, almeno in Francia; perche le soldar- 
tesche regie occuparono Avignone, scacciandone i 
ministri pontificj. Cio non ostante il papa esduse 
sempre ogni offet'ta di pegoziato, e protesto di non 
•Yoler nulla udire , ^e prima non gli era fetta ragione 
su quanto preteudeva rispetto a' quartieri.. * 
Questi Utigi molto premevano ed accuoravana fti^ 



fc 

■« 



LIBRO TRENTESIMO. -^ 1687-1688. 38 f 

re Luigi. Era egli in proposito di religione dl assai 

timida coscienza, e quant unque fosse principal ca-* 

gione, che per troppo frequenti guerre i paesi si de- 

vastassero, 6 gran gente si amniazzasse, e i popoli 

]i\vano reclamassero , abborriva dalle discordie colla 

santa sede, e piii diogni altro caso temeva, che gli 

fosse data taccia d* eretico. Pure i Romani emergenti 

guastavano nella opinione del mondo quell' odore di 

zelante cattolico, che gli ayevano procurafx> lestragi 

di Linguadoca e delle vaili sopra Pinerolo. Gio gli 

.doleva sommamente, le parole del papa gli turba- 

•vano i sonni, e negF intervalli di tempo ^^che segui- 

tavano I'impeto dei piaceri leciti ed illeciti, terrori 

relLgiosi il* prendevano. Fra Tassoluto coniandare, 

che gli piaceva, anche sopra gli esteri, e il timido 

credere, che 1' inquietava, non trovava n^ pace nh 

riposo : le risolute sentenze de' suoi stessi prelati non 

avevano forza d'assicurarlo; piii Roma in lui poteva 

dbe mille cannoni, e la paura dell' inferno il tormenta^^. 

Gio stante mando per trattare la concordia e rap- 

pattumarsi con Innocenzo un altro personaggio a 

Rionia, non in qualita pubblica, ma privata : questi 

fii un certo Chamlay , uomo assai destro e favorito di 

Louvois. Porto lettera autografa del re al papa, ebbe 

per istruzione , vedesse prima Gasoni, poi Gibo, non 

comunicasse cosa alcuna ne con Lavardino , n^ oon 

d'Estrees. Ma non fu di maggior profitto per conh- 

porre le controversie Ghamlay che Lavardino ; il 

papafermo a volere quel, chevoleva, non gli diede 

ascolto. Gasoni il mandava a Gibo , Gibo a Gasoni , e 



3da STOIUA. D-ITiiUA. 

cosi tta J'andare e il. venire tornossene da Roma* 
come vi;era andato. cioe senza nissuna conclusione. 
Fu infortunata in tutto r ambasciata di Lavardino. 

m 

Si d^gusto coir d'Estrees, questi coii lui; si disgusto 
coir abate^ Servient, che quantunque Francese fd^sse, 

abitaya da lungo tempp in Rqpfia, dove godeva della 

» 

g?azia intima deUpapa. Gli altri suoi compatrioti ne 
reslarono /atiche malcontenti pel suo fare altiero e 
n^sero ad un .tempo :-. diceyano, che dava <»ttivi 
pranzi. Insomma il negozio ando in disporazione. 
Lavardino dinftpratosi un annore mezzo in Roma senza 
vedere il |ms^{^, nfe Venuto a bene di cos^ che trat- 
tas$e, parti' per commidsione regia, uscendone con la 
steftda apparenza armata, coUa quale .yi era entratOi 
PocQ altro vi fece che cacciare co' suoi famigliari 
la sbirraglia dal suo quartiere.' Resto il cardinale 
d'£strees, ma senza facolta di trattare, eonie si puh- 
blicb^ aveado ilre stioKito'megUo di guadagnar dila- 
zione, e lasciare sino a tempo, opportuno "la cosa 
ia«silenzio per non irritare maggiormente it papa , e 
noa farlo pr^cipitare Ji qualche* strana risoluzione. 
l^artendo poi il re per la guerra coutro gli Spagnuoli, 
Oliuidesi ed Imperiali, mando an certo Porter a Roma 
per domandare al papa qualche soccorso di denaro : 
il papa gli die rosarj, pentacoli, reliquie ed indul- 
genze, e con cio se n^ tomo. Le diiBeolta tra Francia 
e Roma non presero forma se non dopo la morte 
d' Innocenzo, succeduta pel mese d' agosto del 16899 
e r assunzione di Alessandro VIII. 

FINE BteL LIBRO TR£NT£SIMO. 



t 



LIBRO TREWTESIMOPRIMO. 1 688. 383 



• ♦ ..'IV. ' " ^ • 



I^IBRO TBENTESiMOPRlMO. 



^. 



SOMIifARlO." 






TuBBAZXovi inUiighexia : i p'opoli tI si solleyano cgntro I' imperatore 
Leopoldo. I Tnrchi Vi si nrescolaao in'favore dei pApoli.. Leg^ 
tritf XtMt^iA c Polonia. L^mperatore cacciato d^lfiT armi Tnrches^ 
ehe; fagge da Vienn*) l|ii quale s^s^iafa da tAio^forso ItDnftenab 
di Turchi si tro\^ in jgfraTissimp pericola , e con. lei ta||a la Onfk" 
tiaSiitik. Sopraggiunge .Sobieski co' suoi PolaccRi , ^ libera la me- 
tropoti Ausl&iaca oon dare Una totale sconJBtta all* eseroito asSle- 
diatore.Minaeoe di guerra tra Turchia h Yenezia. Discussioni nfA. 
' senato Yeneziano ix^]uesto proposito. Yinpe iipartitOLdella gqerra. 
Lega fra 1' ifaiperatore , il re di Polpnia , la jepubblica cfi Yenezia ^ 
eA M papa contro il Tiirco. FratiMesco Mo'rosihi ^etto capitano 
geilttttle aUa gaerra di Lerante. Qft|i<^erft gente fosseri) i Citii- 
9iiiuriotd ed i Mainotti . e ODBie Donutemessere i Turclif. Alti Eeittt 
del Morosini in Morea, eafridaoief tutta in potest^ di Yenezia. 
Gderra di Dalmazia e d* Ungfaeria/ Moroshii caqcia i' Turchi 
d'Atene, ma cbn'giiakto'del famdso tetaipio di :MinefTa. Tenta 
NegropontOy ma invapo pecl'liiiqiixti^'^dla stagione. l^r oota 
succedono molto prospere aglj Aqatriaci in {Xngheria : a' impos-^ 
sessano di Belgrade. II soldano indina ranimo alia pace^ e la 
dbnancla. • ^ • 

Tsupo h oramai, che ritraendo la^peima dalle 
cose d* Occidente , la voltianiQ a descrivere quelle » 
che succed^ttero in Oriente, e dalle quali nacque una 
guerra pericolosa si , ma gloriosa pei Yeneziaiu. Poi 
si vedr^ , quale correlazione le une coa le akre aves- 
sefo ; , perciocche quando si tratta. di distruggere le 



^ 



384 STORIA d' ITALIA. 

generazioni col Gerro e col ftioco , V influenza k piii 
progressiva che quella di satvarle. 

Dacchi rUngheria, regno ubertoso, e di popoli 
bellicosi, era passata dal govemd de^ suoi prinaipi in*^ 
digeni a quello degli stranieri, si doleva come dipeso 
insolito, e si scuoteta, n^ sapeva trovar luogo, dove 
senza affanno ripofare si potesse. L' odio naturale tia 
gli l^gheri e i Tedeschi prese cosi. profonde radicl, 
che ne uscirono copiosi frutti d'inquietudini, diama- 
rtzze e di turbolenze. I Tedeschi, che conoscevano 
la mala .disposizione di quei popoli , s' ingegnavano 
per ogni mezzo di assicurarsene. L' iknperatore intro- 
dusse milizie Alemanne nelle piazze piii £orti , e s<^ 
presse la carica del palatino del regno, come troppo 
eminente e volgente a se tatti gli spiriti ; poi so^titui 
un governatore generals, il quale nissun priviiegio 
della nazione, come il palatino, in se raccogUendo, 
anzi contro di essi essendo stato creato , aveva accre- 
sciuto gravi irritameati alle altre cause, per le quali 
gia si erano tanto sdegnate quelle guerriere genera- 
zioni. I nobili massimamente della presente condi- 
zione si lamei)tavano ; imperciocch^' la mano forte 
deir Austria aveva molto ristretto la loro possai^za, 
non tanto veramente per legge, quanto pel freno, 
che ebbe posto all' abuso , che ne facevano contro il 
popolo. Quei magnati jricchissimi di terre., copiosis- 
simi di servi, ai sovrani quasi si pareggiavano , e 
piuttosto uguali che sudditi ai loro antichi re si ripu- 
tavano. Ora incresceva loro il temperamento imposto, 
ne potevano sopgortare , che essi , i quali erano smti 



tkBRO tKfiKTESlMOPRIHO. -^ 1688. 38$ 

I primi ih corte Unghera, fossero i second! in corte 
Austriaca. Gio era cagione , che nutriyano continua- 
tnente neir^nimo dei popoli , massime nei loro nu-^ 
merosi ctienti e dipendenti aversione al modo pre<« 
sente, incUnazione e grata memoria deH'antico. I 
popoli credevano alle parole dei magnati^ e la domi- 
nazione Austriaca detestavano , sebbene evidente 
cosa fosse, ch' essi piii protetti, e meglio assicurati 
erano nelle loro persone e proprieta sottol' Austria, 
Ibro tutrice naturale contro i niagnati, che sotto gli 
antichi re, obbligati per tanti conii ai magna ti me-^ 
desimi. 

Mossi da tutte queste ragioni i conti Sdrino , Na- 
dasti e Frangipane, famiglie principalissime, non 
ebbero Tanimo abborrente dal tener pratiche coi 
Turchi pier liberarsi coU' ajuto loro dai Tedeschi. Ave- 
yano macchinato di solleyare la maggior parte del 
reame^ tostoch^ il primo yisire ayesse mosso le armi 
contro la potenza Austriaca. Ma syelato il segreto 
daquatche complice, la mano regia s' aggrayo contro 
i delinquenti. Sdrino, Nadasti, Frangipane, Techeli 
padre, fiagarono col sangue il fio dello ayer anteposto 
una pericblosa congiura ad una quiete, che se non 
era seoiza amarezza , era pero senza disonore. Il sangue 
d^ upmini tanto chiari , e per cui la nazione per lunga 
eta ayeya professata una gran riyerenza , origino, che 
i popoli pigliarono maggiore sdegno, edi niuna cosa, 
che dair Austria yenisse, si contentayano. Accreb- 
bero a^Cesare i nemici, ed alle congiure il fomento, 
gli editti rigorosi contro gli eretici, che ayeyano 
VI, ' a 5 



386 STORIA d' ITALIA. 

preso radice, principalmente neir Ungheria supe- 
riore ; e siccome erano in numero notabile , cosi il 
restringere la ioro liberta aggiunse non poca forza ai 
malcontenti. Una cosa sopra tutte le altre gl' incito ad 
infrenabil rabbia , e fu , che i beni confiscati agli ere- 
tici furono dati la maggior parte ai gesuiti. Pareva a 
tutti, ed era veramente disposizione incomportabile, 
che le spoglie dei condannati si devolvessero ai de- 
nunziatori. 

L'ira proruppe in imprese d'armi. Uscirono i mal- 
contenti alia campagna con alcuni corpi di gente 
armata, contro Timperio Austriaco precipitandosi. 
Ma con capi di poca stima, e fra di Ioro discordi 
restarono facilmente oppressi. L' AbalEB , principe di 
Transilvania , per odio contro gli Alemanni, e per 
amore di novita presto Ioro occult! fomenti. Per suo 
consiglio elessero a capo Paolo Veseleni, signore di 
molto credito; ma, come giovane, di poca espe- 
rienza , ne di molta abilita : combatte , fu vinto. Die- 
dersi allora sotto il comando di Emerico Techeii, 
giovane ancor esso, ma d'assai miglior consiglio che 
Veseleni. Unghero, odiava i Tedeschi, figliuolo di 
decapitato odiava i percussori del padre. Uni sette- 
mila cavalli, passo il Tibisco, invase le citta mon- 
tane. Ingrossatisi pero gli Alemanni il ruppero. 
L'imperatore tratto tregua con lui; cio gli diede 
riputazione. Accrebbe la sua fortuna 1' avere sposato 
la vedova principessa Ragozzi, figliuola che fu del 
conte Sdrino , per cui ebbe e maggiori ricchoiEze pel 
possesso di tutti gli stati della casa Ragozzi, e mag- 



LIBRO TRENTESIMOPRIMO. 1 688. 887 

giore desiderio di vendetta per tenersi una donna, 
che alio Sdrino, come suo isangue, era stata cara. 
Abborri la condizione di privato , ne potendo sperare 
sovranita dall'imperatore, voile ridurre le cose alia 
guerra, accordandosi coi Turchi : mando loro pre- 
senti e deputati per inlrodurre il negozio. 

Sedeva sul trono di Costantinopoli Meemet IV; ma 
governava rimperio con somma autoritk, essendo 
Meemet debole di mente, Cara Mustafa, primo vi- 
sire, odiatore acerrimo dei Cristiani, sprezzatore su- 
perbo della loro potenza. Desiderava la guerra, per- 
che odiato per rapine e crudelta, voleva voltare 
I'attenzione e gli odj dei sudditi nei fatti guerrieri e 
contro gli esterni. Furono adunque uditi favorevol- 
inente i mandatarj del Techeli. L' anno 1682, trasfe- 
ritosj a Buda vi ricevfe Techeli onori sovrani, e col 
fomento di quel bascia usci in campo con trentamila, 
occupo la citta e il castello di Gassovia; dal quale 
fatto mossa I'llngheria superiore, si accosto tutta 
alia sua parte. Per autorita del gran signore ed in 
cospetto deU'esercito adunato alia festosa solennita 
fu dichiarato e riconosciuto princij)e di quella parte 
del reame, che si estende verso le citta montane. 
Pubblico editti , invito i popoli aU'ubbidienza, conio 
monete al suo nome ed effigie. 

V imperatore Leopoldo commosso da quei romori 
Ungheri e Turchi , mando il conte Alberto Gaprara a 
Costantinopoli per sapere, che cosa significassero. 
Gli furono date parole miste di minacce e di lamenti. 
Vide Leopoldo essere inevitabile il cimento deir armi. 



/ 



388 STORIA D* ITALIA. 

Ricorse al ppntefice, che gli somministro denari, 
mando il conte di Vallestein in Polonia per avere 
con se coUegate le arnii di quel potente reame. Gon- 
cliisesi lega tra Austm e Polonia contra il Turco : 

Ghfs non fosse fatta pace senza il comune consenso; 

Che ia lega non sMntendesse che contra il Turco; 

Che r imperatore fosse tenuto d'aver in Ungheria 
sessantamila soldatt, compresi ventimila de'principi 
amici , e i presidj delle piazze ; 

Che il re di Polonia ne avesse quarantamila; 

Che se fossero attaccate o Y una o 1' altra delle me- 
tropoli Vienna o Cracovia, ognuna delle parii dovesse 
accorrere alia difesa con tutte le forze ; 

II sommo pontefice fesse protettore di quella santa 
alleanza. 

L' imperatore commise il governo delle sue genti 
al duca di Lorena, suo cognato ; il re Sobieschi con- 
daceva i suoi Polacchi. Gtira Mustafa veniva aTanti 
con cencinquantamila comhattenti , Tecbeli eogli Un- 
gheri il secondava. Si trattava 'm quella tercibil guerra, 
se la. cf istianila dovesse prevalere al maamettisiiia o 
questo a quella : grandi eose si aspettava I'attenta 
Europa. SopravYanzarono Tarmi Musulmane e ribelU 
a Giavaiuno , fuggi T imperatore da Vienna; le Vnse- 
gne di Mustafa e di Techeli sventolacono taitto sdP id- 
torna della capitale deU' imperio Austriaeo-. Gia gli 
aggressor! si avvantaggiavano , poca speranza restara 
agli a&sediati di difendersi da lopo niedesimi y te* sorti 
del monda erano prossime a cambiairsi suHe sangunaose 
rive deir alto Danubia. Ricordossi Sobieschi deHa Me, 



LIBRO TBEHTESIMOPRIMO. 1 688. 38^ 

e serbolla. Acoorse armato colla sua valorosa gente , 
accorsevi Lorena colle Austriache milizie. Diessi bat- 
taglia, di cui la piu pdnderosa non fu mai i\ mondo. 
U valore su{^r6 il furore, I'arte Tinipeto, la croce 
la luna. Fu vinto con immensa strage Mustafa , fu 
vinto e fuggi, con lui fuggirono e con Techdi i tem- 
pestosi Ungheri. Fuggi MustafSi la morte nei campi 
di Vienna, ma non in terra Turca, poicbe vi fu stran- 
golato col capestro ihiperiale mandatogli da Meemet 
sdegnato. Gli fu sostituito nella oarica di primo visire 
Ibraim , bascia :di Mesopotamia. I Turchi furono rotti 
di nuovo a Barcan , perdettero Strigonia , con gran- 
dissimo empito precipitavano le cose loro, ritiraronsi 
a Belgrado. Tante vittorie rendettero famoso nelle 
storieJ'anno i683. 

Intrattanto erano passate parecchie cagioni di al- 
terazione tra i Turchi e i Veneziani per motivi di dazj 
a Go&tantinopoli. Sopraggiunsero moleste querele per 
correrie dei Morlacchi sui territorj di Turchia. Eran6 
i Morlacchi , nazione armigera e nemicissima del riome 
Ottomano, angustiati nei confini assai ristretti , che 
restarono al dominio Veneto per la pace ultimamente 
conclufia dopo la giierra di Candia. Con impazienza 
sofferivano, che gli antichi terreni fossero stati oc- 
cupati da chi tanto odiavano. Perloche sempre infes- 
tavano i confini , e ccmimettevano frequenti risse e 
2u£fe coi Turchi. Udite poi 1q prosperita delle armi 
Cristiane sotto Vienna , credettero Y occasione oppor- 
tuna per rimettersi nel perduto , insliigati anche dalta 
naturale avidita di scorrere con rapina le campagne.. 



390 STOftlA D^ ITALIA. 

Laoode quel del contaclo di Zara, prese tumultuana-' 
mente le armi, entraroDO nel paese Ottomano, ed 
occaparoDO senza resisleoza parecchie caslella, poi 
devastaroDO le campagne , recando ferro e fuoco in 
ogni iuogo. 

Angustiarono qoesli accidenti il senato YenezianO 
per timore , che i Turchi irritati , terminata la guerra 
d^ Unghena, si rivolgessero a quella parte per vendi- 
carsi. Comando al generate di Dalmazia di castigare 
severamente i turbatori dei confini. Ma cio non bas- 
tava per raffrenare i Morlacchi indomiti e indiscipli- 
nati ; dall' altro lato i Turchi si lamentavano con 
proteste. S' ando per queste ragioni introducendo in 
Venezia un' opinione, che fosse necessario premunirsi 
contro il male venturo, ed entrar in lega difensiva 
con Cesare e la Polonia , affinche con 1' appoggio di 
quei principi potenti la repubblica fosse compresa 
nei trattati di pace, e restasse in tal modo assicurata 
Ja sua quiete. Cosi pensavano gii uomini piii maturi; 
ma quei di spirito piii fervido bramavano lega ofien- 
siva e guerra. Vociferavano essere venuto il tempo 
di dare addosso al Turco rotto e costemato, e di 
prosternere 1' eterno neroico di Venezia. Non vi era 
in quest' ultimo proposito la fede incorrotta, che van- 
tavano i Yeneziani, e se qualche parte di prudenza, 
nissuna di generosita , posciache non i sudditi di Tur- 
chia avevano ofFeso Yenezia , ma bensi i sudditi A 
Venezia la Turchia. Principiarono a prestarsi favore- 
voli orecchie alle insinuazioni del pontefice ed agi* 
inviti deir imperatore e del re di Polonia. Prima di 



LIBRO TRENTESIHOPRIMO. 1 688. SqI 

venire ad . una risolazione di tanta importanza > il 
senato desidero, che si tentasse 1' animo dell'impe- 
ratore per sapere , se fosse iniui determinazione sta- 
bile per continuar la guerra. Arrivarono risposte pro- 
mettenti; essere 1' imperatore di volonta costantissima 
a perseguitare coU' armi il nemico comune della cris-^ 
tianita. U re di Polonia massimamente stringeva la 
repubblica con gli stimoli delta gloria e dell' interesse 
a dichiararsi collegata : 1' allettava col racquisto delle 
perdute isole del Levante. Un gran bene od un gran 
male sovrastava a Yenezia dalla deliberazione. 

Fu ventilata la materia in molte consulte de' savj 
del consiglio , e sostenuta con molto ardore cosi la 
parte affermativa , come la negativa. Finalmente per 
la pluralita de' voti resto concluso , che la lega si con- 
traesse e la guerra si facesse, e cosi fu riferito al 
senato , perche co' suoi supremi voti la quistione 
decidesse. 

Sorse nel senato ad impugnare 1' opinione de' savj 
Michele Foscarini, uno de' savj medesimi, senatore 
di consumata prudenza, e parlo nella seguente forma: 

tflo non so comprendere, senatori eccellentissimi 
«c e della patria amantissimi , come da alcuni siano cosi 
ccpoco conosciuti i casi della fortuna, ed il solito 
a corso di queste umane cose, che possa loro consen- 
« tire r animo di discostarsi dalla presente quiete per 
« incontrare una grave e pericolosa guerra contro un 
a nemico , che potentissimo in se ebbe sempre e per 
a costume e per fa to di risorgere ancor piu potente 
cc dair armi. Natura e per la repubblica il conservarsi 



Sga STORIA B^ ITALIA. 

« in pace , natura per la porta Ottomana di agitarsi in 
« guerra. A noi il commercio frutta ricchezza e fon- 
« damenti di stato, a lei queste medesime cose ridon- 
« dano dalle incursioni guerriere e dalle inesoraliili 
« rapine. Barbari sono e come barbari amano le bat- 
« taglie, feroee esercizio dei popoli simiU a loro. Ma 
« a noi Yeneziani , a noi fra le nazioni civili per fa 
« civilta nostra cotanto risplendenti , convienisi forse 
« 1' andar cercando risse, ferite e sangue ? Assai b pur 
« troppo le ire guerriere abbondano , dssai e piir trcippo 
« si menano le crudeli spade; ma dai governi^ cdme 
« il nostro h^ che barbari non sono, rarmi ferifrici 
« degli uomini non s' impugnano che per V ultima 
fc necessita , ne il fiero giuoco ai senator! di Yenezia 
tt piacer debbe. Quando il caso da , e' sono intrepidi e 
ft forti , quando non da , sentono e conoscono , che la 
((pace e dono di Dio, che la pale e inigliore della 
« guerra, e che non solo crudele, ma temerario e chi 
cc senza necessita la rompe. Ma. qual h la disquisiziiDoe 
« nostra al presente ? Domandano alcuni collegazione 
eccon Austria e Poloriia, nemicizia col Turco. Si per 
« certo, Venezia e in grado di muover Y armi ad^sso! 
« Si per certo , ha spalle da sostenere tanto peso/ Non 
« vi soccorrono alia mente le afHizioni della passata 
«c guerra , ne il nome di Candia non risuona piii all' 
(c orecchie terribilmente? Non sentite le piaghe ancbni 
« aperte ? Gloria mercammo , e vero , ma ancora 1« 
(( perdit^ di un regno nobilissimo , la poverta M 
«erario, la miseria dei sudditi, la necessita diua 
ft lungo riposo mercammo : vi sia il passato scuola'deir 



LIBRO TREirT£SIMOPRIMO. 1 688. SgS 

« avvemre. Dicono^ che i Tuix)hi.sono rotti e in fuga; 
a ne io js^iro colui , che cosi gloriosa vittoria non ri*- 
« conosca o.snervi. Ma credlste voi, che per una sola 
c< battaglia sfortunata sia estinta la potenza Ottomana 
a sino alldra terribile a tutto il mondo ? Dimenticate 
a vol quegli animi fbrti e superbi? O forse vi k nas- 
<x coeto , che a lei la maggior parte dell' Asia , e la 
« migliore d' Europa obbediscono ? Risorgeranno piii 
« fieri di prima, ed il piu debole fra i confederati s'ac- 
«c corgera con suo danno ed irremediabilmente quale 
a imprudenza sia il fondarsi, piuttosto che sui patli 
« giurati, suUe forze altrui. Yenezia respira da lunghi 
a affanni ^ si riconforta del tempestoso mare , dond'edi 
a fresco useita a salvamento. Ricacceretela voi fra i 
flc dolori e le tempeste , o la salutifera medicina ed il 
« fortunato porto le permetterete ? Non solo le armi 
(c Ja poco sana repiibblica conquideranno, ma il com- 
et mercio di lei in ruina manderanno , non per ora 
flc s^olamente , ma per sempre ; conciossiacosache le 
a armi sviano il commercio , ed il commercio sviato 
If difficilmehte si ravvia. Altri piii savj di noi gode-r 
« ranno i frutti della nostra imprudenza, i porti altrui 
cc fatti ricchi a spese nostre saranno eterno testimonio, 
a che il Veneziano sehno e spento. Invano cercasi di 
<c persuadere , che le turbolenze della Dalmazia siano 
«per produrre rottura con la Porta. In allre guerre 
]K gia i Morlacchi di quella piiovincia infestato banno 
« il paese Ottomano, ne per questo senti molestia la 
<c repubblica. Queste molestie si aggiustano coi nego- 
a ziati , (ion le spade s' inveleniscono ; e 1' avere il senate 



y 



394 STORIA d' ITALIA* 

a serbato fede ed amicizia ad un amico, cui una grave 
« disgrazia oppressava, siccome nobile pensiero e, cosi 
« e ancora sicuro , poich^ Y amico a miglior fortuna 
« risorto il riconoscera. Ho vergogna di parlai^e , o pa- 
icdri, dei dazj di Costantinopoli; perciocch^, seVe- 
« nezia ha da restar sobbissata dalla guerra per questo, 
« io non so piii che mi dire. Mettiamo guerra felice; 
« ma avra pur fine questa guerra. Chi ci assicura, che 
a il Musulmano non usi il primo momento propizio 
<c per vendicarsi di noi? In pace bisognera semprete- 
n mere e preparar guerra. Siete sicuri , che saran 
« pronte le coUegazioni per ajutarci? Siete sicuri , che 
« i coliegati , anche volendolo sempre, semprei/pos- 
<c sano ? Siete sicuri , che maggiori pericoli da un altra 
<c parte non gli divertano dal soccorso nostro? Vi 
<c sfugge forse , che la Francia potentissima assaglie 
« ed infesta V imperio Austriaco? Vi sfiigge forse, 
«c che la Francia e amica dell' OUomano , nemica deir 
cc Austriaco? Parlano di lega difensiva perpetual Chi- 
le mera da credersi da uomini matti. Non dansi opi- 
« nioni perpetue tra i principi , la volonta loro e serva 
<c delle congiunture e degl' interessi , V aspetto del 
a mondo non e sempre lo stesso, operando il tempo con 
« le vicende dei negozj e dei casi , cio che fanno i lor- 
cc renti nel corso delle acque, che portano i pericoli 
c( da un luogo all' altro. Yalorosa certamente e la 
« nazione Polacca, \aloroso il suo re; ma in quel 
« paese le forme del governo sono tali che poco il re 
<c puote , e le deliberazioni da molti dipendono , e la 
« moltitudine per la varieta degF interessi e delle pas- 



LIBRO TRErrXESlMOPRIMO. — 1688. SqS 

<t sioni e sempre varia, e di rado nel medesimo pro- 
(c posito lungamente persiste. Mai sicuro e qudlo 
« stato, che le sue speranze ripone nei soccorsi stra- 
<cDieri; ne ha fatto la repubblica a suo costo molte 
((funeste sperienze, e se non vi ricordate voi degli 
c( accidenti di Gandia , per non toccar fatti piii antichi 
<K me ne ricordo io. II peggior mestiero che sia, o 
tc senatori , e quello di perder la memoria , di ricusar 
« r esperienza , di procurarsi da se stessi i proprj 
« danni. Cosi appunto farete , se all' opinione del con- 
<i siglio de' savj darete ascolto. Per me , pace voglio , 
<i non guerra. » 

Cosi parlo Michele Foscarini , parole piii vere che 
grate per essere i piu prevenuti, che fosse in deca- 
denza la monarchia degli Ottomani. Pietro Valiero e 
Federico Marcello, anch'essi savj del consiglio, ma 
non di consiglio, contraddissero al Foscarini, e sosten- 
nero la proposta della guerra. Valiero nei seguenti 
concetti favello: 

« Temerario e chi la fortuna irrita , temerario an- 
« cora chi non la seconda : quello non aspetta T oc- 
a casione, questi la perde , e se sfortunato e , la colpa 
« non e d' altri, ma sua. Accaggiono fra il corso de' 
<c mondani eventi certi aspetti di cose, che pare, che 
« Dio stesso gli mandJ^per avvertire le nazioni, che 
a la sta la salute loro , la la loro ruina. Che tale sia la 
« condizione presente , e che il dito accennatore di 
a chi tutto puo non vi si mostri per redimere la patria 
<c nostra , per conculcare il nemico del suo santo 
« nome, chi osera negare, eccelsi e prudentissimi 



396 STORIA d' ITALIA. 

« padri? I Turchi altjre volte terribili, sono al pre- 
« sente abbattuti e fuggitiyi , confuso il governo, 
< morto il visire , perdute le migliori milizie delT im- 
apero, incalzati da dae principi vittoriosi. Chi non 
« stima i cannoni vincitori, che a Vienna suonarono, 
« chi non vede, chi non sente in cio Y invito di Dio? 
a Osservate la lega : essa h di principi non solo polen- 
a tissimi , ma ancora di tali stati padroni , che pel sito 
ttloro il Turco da vicino, e sopra un largo campo 
a assalire possono , ed a lui fargli increscere del mal 
(( misurato orgoglio. Il nome di Sobieschi non vi con- 
c( forta? Carlo di Lorena non v'assicura? La magoa- 
a nimita di Leopoldo non vi conferma? In, chi fede, 
. a in chi credenza avrete , se in essi non 1' avete? Par- 
« lano deir instabilita delle diete di Polonia. Certo si, 
(c ecci instabilita per le faccende interne , tna nissuna 
« per la guerra contro i Turchi , nissuna contro i 
(( nemici di Cristo. L' odio inveterato contro il nome 
« Turchesco , V amore anch' esse antichissimo per la 
a vera religione, daranno cio, che le forme politiche 
« non danno. Non dubitate della costanza di qael 
« Gristiano regno. Il re di Francia insorge contra 
cc r imperio ! Si ; ma Y iraperio restera forse solo esposto 
« air impeto delle sue armiPLa Spagna, la Olandae 
a r Inghilterra se ne staranno^forse a badare nei pcri- 
« coli comuni del continente, minacciato da Francia, 
« che si vuol fare scala per salire all' imperio del 
c( mondo? Piu di mezza Europa combattera per noi, 
a e il dubitare della vittoria fia piuttosto ubbia d'a- 
« nimi timidi, che prudenza d'uomini circospetti. Poi, 



LIBRO TREITTESIMOPRIMO. — 1 688. 897 

« che cosa e questa pace, che si vanta? Pace plena di 
(c rancoriy di sospetti, di risse, d'avarizia e di sangue. 
c( Yoltatevi a Constantinopoii , e vedete che pace h 
a questa, che abbiamo. I nostri trafficanti angariati, 
ffi nostri marinari insultati, i nostri baili costretti a 
«r rifuggirsi dalla sede loro alle nostre navi per non 
« aver Toluto dare a quella barbara gente tant' oro, 
ct quaatQ ella voleva^ Siamo nati noi , da tanto tempo 
a liberi, per satollare quasi in perpetuo tributo 1' in- 
« gordigia dei Barbari? Tollerate pure gl' insulti, i 
«. soprusi , le angherie , le impertinenze , lasciatevi 
a pure taglieggiare ed oltraggiare impunemente , e 
m poi vedrete che sara di Venezia. L' onore e pur 
«c qualche cosa in questo mondo , e chi non lo cura , 
« diventa vile agli occhi altrui , ed e da vile soggio- 
agato. Or venite con me, senatori oculatissimi , e 
« guardiamo nella Morlacchia. Vedete quegli uomini 
fc bellicosi in troppo angusti termini per V ultima pace 
cprescritti; vedete, che per maladetta forza shoe-* 
cc cana; vedete, che in niun altro luogo sboccare 
ccpossono che sui territorio Ottomano. Le eterne 
aingiurie partoriranno eterna guerra, ed eterne le 
<c ingiurie saranno , se per nuovi patti sussecutivi di 
fc una nuova guerra , non saranno ai Morlacchi piii 
m kirghi limiti assegnati. Or andate e nella pace spe-** 
« Bate. Non udite voi gia sin di qua le minacce del 
« bascia della Bosnia ? S'adira e freme e protesta ven- 
a detta, e se a' nostri danni gi^ sin d' ora non corre , 
a cio air armi Austriache , cio all' armi Polacche , na» 
a turali nostre confederate, che il trattengono, deesL 



398 STOR1A. d' ITALIA. 

a unicamente attribuire. Esiteremo noi dunque ad 
<c unirci con fare promessa a coloro , a cui gia la ne- 
«c cessita politica ed un comun fato ci unisce ? Guerra , 
a^erra inevitabile io veggo col rapace Turco, e 
« questa repubblica chiamata a ruina ^ se per se me* 
ecdesima coll' afferrar la occasione, non si ajuta. Se 
« sciolti una volta i Turchi dalla guerra d^ Unghena 
<c contro di noi rivolgeranno gli sdegni e T armi , chi 
« ci prestera ajuto ? Con quali forze resisteremo soli 
<c al furore dei Barbari irritati contro di noi pei pre- 
<K tesi insulti, e contro i Cristiani per le sofTerte cala- 
ccmita? Ci persuaderemo noi, che Gesare e Polonia, 
a appena segnati i trattati di pace, siano per romper- 
« gli per procurarci salute ? Malediremo allora V esi- 
« tazione nostra , e del non aver creduto nfe a Die ne 
« agli uomini , che c'invitavano, indarno ci pentiremo. 
<c Ne lieve accessione saranno le nostre armi alle forze 
« della lega ; perciocche le armate della repubblica 
« scorrendo il mare , difHcolteranno la comunicazione 
« con le province lontane, ed esse dei necessarj soc- 
« corsi priveranno : Gostantinopoli isolata sara tra- 
« coUo del formidabile impero. Pace infedele abbiamo, 
« guerra felice avremo, se Veneziani siamo, e in no\ 
« non languono quei generosi spiriti, che allabocca 
« dei Dardanelli e intorno alle mura di Candia il crudo 
« nostro nemico spaventarono. Se trascurate'le gene- 
« rose voci dei principi, che ci chiamano , dopo il 
« periodo prescritto dai cieli alia presente guerra, 
« faranno essi pace, raa pace senza comprendervici, 
e resterete soli esposti alia Musulmana rabbia. Che 



LIBRO TRENTESIMOPBIMO. — 1 688. 899 

c( se al contrario con loro vi unite a guerra, con loro 
a vi unira la pace, che allora onorata, sicura e dure- 
<c vole sara, siccome quella che cosi potenti principi 
a per mallevadori avra. Orsu , si deliberi , e quella 
ff sentenza si segua, che la restituzione di Gandia, la 
cr quiete della Morlacchia, la liberta dei traffichi , 1' o- 
«c nore della repubblica, il rispetto dei principi, una 
« pace, che vera pace sia, dare ci puo, e proviamo 
ix al moudo , che spesso T ardimento e prudenza. » 

Fu abbracciata con larghi voti Fopinione della 
guerra, e mandato facolta a Domenico Gontarini, 
ambasciatore della repubblica a Vienna, per fermare 
le condizioni della lega. Gio successe nella sede va- 
cante per la morte del doge Luigi Gontarini , in luogo 
di cui i quarantuno elettori volevano suUe prime sur- 
rogare Francesco Morosini ; ma poi giudicando, che 
V opera sua fosse necessaria sui campi per I' immi- 
nente guerra , conferirono la suprema dignita a Mar- 
cantonio Giustiniano. 

Fu conclusa la lega, correva I'anno 16849 con 
oapitoh conformi a quelli gia stipulati tra Gesare e il 
re di Polonia : 

Che il papa ne fosse il protettore ; 

Che in mano di lui fossero giurati i capitoli per 
mezzo dei cardinali Pio e Barberino , protettori dell' 
imperio e della Polonia , e delF Ottobono, come il piii 
-vecchio dei cardinali Veneti ; 

Che non si facesse pace col Turco senza il consen- 
timento di tutti tre i collegati ; 

Ghe la lega fosse solamente contro il Turco, ne 



400 8TORIA. d'iTA.LIA. 

mai sotto qual^ivoglia pretesto contro alcun altro 
voltare si potesse: 

Che ognuno dei confederati op^asse dal suo canto 
con tutte le sue forze ; 

Che se alcuno di loro pericolasse , gli altri fossero 
obbligati ad accorrere in suo ajuto; 

Che i luoghi acquistati o ricuperati restasseroa 
chi per lo avanti vi aveva ragione. 

II senato ordino a Giovanni Capello, segretario 
del bailo Donato a Costantinopoli , che intimasse la 
guerra : avere i Musulmani alterato il regie diploma 
pei confini della Dalmazia, dato fomento ai corsari, 
predato legni mercantili , estorto danari ai baili Mo- 
rosini , Civano e Donato , minacciato guerra pei £aitti 
di Zemonico. Il Capelle, fatta la intimazione, a grave 
fiitica pot^ scampare , vestitosi da marinaro ed imba^ 
catosi sopra una nave Francese, che il condusse 
prima a Smirne , poi a salvamento a Yenezia. 

Si dava opera intanto a Yenezia alle provvisioni di 
guerra. Si armarono quattro galeazze, crebbesi il 
Gorpo delle navi armate sino a ventiquattro ,* compra- 
tene due dal duca di Savoja fatte dalla madre Giovanna 
fabbricare in Olanda , quando intendeva a mandar \l 
figliuolo a sposare 1' infanta in Portogallo^ Acconcia- 
ronsi sei galee sottili, due in Dalmazia, due in Cefe- 
Ionia, due tra Zante e Corfu , talmente che con quelle, 
che gia galleggiavano negli altri porti, se ne numera- 
vano di qpesta forma ventotto. Diedersi patenti per 
molti regigimenti di fantena , chiamaronsi gli stipen- 
diati , mosisersi le milizie di terraferma , scrissersi due- 



LIBUO TRENTESIMOPRIMO. 1688. 4oi 

tnila Greci nelle isole del Levante. Poi pi^ocedessi alia 
elezione dei capi delle armi. 

Npi nuovi pericoli stava ognuno colla mente rivolta 
a Francesco Morosini : lui sal va tore , lui conservatore 
deHa repubblica chiamavano , lui solo degno guerriiero 
per governare la somma della guerra contro il barbaro 
nemico pronunziavano : la voce del senato conforme 
a quella del popolo. Fu il Morosini eletto capitano 
generale da terra e da mare. Alia direzione speciale 
delle armi in terra venne preposto il conte Niccolo 
Strasoldo, che allora militava in Ungheria sotto le 
insegne dell' imperatore , ma suddito della repubblica 
nel Friuli. Le cose della Dalmazia vennero partico- 
larmente raccomandate ad Alvise Pasqualigo, qual 
generale ordinario, e a Domenico Mocenigo, qual 
generale straordinario con . superiore autorit^. Ales* 
sandro Molino, nominato capitano straordinario delle 
navi, ebbe carico di trasferirsi nell' Arcipelago e dar 
principio alia guerra ifi quelle piu lontane contrade. 
Ma innanzi*ad -alcun movimento il senato, secondo 
r instituto della divota repubblica , imploro V assi- 
stenza divina,' e nella chiesa di San Marco fece pub- 
bliche preci. * « 

Grandi erano i desiderj , grandi le speranze nelia 
cristianita nel veder muoversi la potenza Veneziana 
contro un nemico , di cui gia la fama aveva con tanto 
strepito annunziatp 1' eccidio ^otto le minacciate mu- 
ragUe di Vienna. Ne meno erano sollevati gli animi 
in Venezia ; la ricuperazione dei regni perduti , e la 
esenzione dalle sopercbierie Ottomane y'\ si spera- 
VI. a6 



4oa STORIA d' ITALIA. 

vano. Yentilossi nelle consul te , quale indirizzo si * 
dovesse dare alia guerra : fu lasciata in cio libera 
facoltk ai capilani. 

Il capitano generate Morosini imbarcatosi sopra 
la galea Bastarda, legna destinato alia carica, ed 
accolti in abito generalizio i nobili venuti a fargH 
onoranza nel monastero di San Giorgio , salpb dal 
porto addi dieci di giugno del i684 <^on cinque ga- 
leazze^ due galere e sedici vaseelli. A lui erano per 
unirsi le altre forze marittime, che nei porti della 
Dalmazia e delle isole stanziavano. L' attendevano a 
Corfu sette navi Maltesi comandate dal cavaliere 
Gianbattista Brancazio , cinque pontificie sotto il ca- 
-valiere Malaspina , e quattro di Toscana sotto la con- 
dotta del cavaliere Gamillo Guidi. Seguitavano moUe 
onerarie con le provvisioni. 

Morosini pervenuto a Corfii , e fatta la rassegna 
di tutte le forze si marittime che terrestri', si volta 
air acquisto dell' isola di Santa Maura , nido infesto 
di corsari. Non fu vano il conato, perch^ quivi co- 
minciarono a dimostrarsegli le speranze del gloriosi 
successi, che T attendevano. Sbarcate le truppe, as- 
salto la fortezza , che«da il home all' isola^ e con 
tanta violenza la batte che costrinse in sedici ^omi 
il nemico alia dedizione. Trovo dentro una fiorita 
artiglicria cosi di ferro, come di bronze, e libera 
centotrenta schiavi Gristiani, la maggior parte def 
regno di Napoli, sotto condizione di servire perua 
anno, come marinari e soldati sulle navi e galere 
della repubblica. Uscirono settecento soldati e tre- 



LIBRO TRENTESIMOPRIMO. ' — 1 688. 4o3 

mila abitanti di religione Maomettana , che anteposero 
il lasciare le proprie dimore al vivere fra i Gristiani. 
La moschea fu convertita in tempio sotto 1' invoca- 
zione di san SaWatore. L'acquisto della fortezza porto 
con se quello di tutta 1' isola. GoUa medesima prospe- 
rita di fortuna il capitano generate ridusse all' obbe- 
dienza di Venezia la Prevesa, terra Turca posta sul 
continente. Aveva desiderio di andare alia conquista 
dell'Arta; ma temendo le tempeste della stagione 
autunnale sopraggiunta^se ne astenne, conducendo 
le navi piene d' infermiti a svemare a Corfu. *Poche 
fazioni . degne di memoria si "fecero da Alessandro 
Molino, nell' Arcipelago, se non che preservo Tine 
dal saccheggio minacciatole dalF ammiraglio di Tur-* 
chin. Languiya la guerra anche nella Dalmazia; po- 
chi , anzi ni^sun pi'ogpesso vi fece il generale Moce- 
nigo. Imputa^to £ negligenza ebbe lo scambio ii^ quel 
PieVro Yaliero, cbe* aveva persuaso la guerra, e pro- 
nunciato in senato acerbe p^ole contro il torpore db\ 
Moceniga, come se fosse tuttUnp il parlar di guerra 
fra i^consessi che farla sui ca^mpi. Ando Yaliero in 
Dalmazia , n^ meglio all'aspettazione ritisci che Y an- 
tecessore. Tento invano Sing^ Gastelnuoyo, n^ altro 
feoe di buono,»*se pero cosa da lodarsi fu il fermar 
una sede in luogo.d'^ria funesta ai x^orpi per lein- 
fermita, che piantar un fotle nell' isola chiamata 
Opus , e formata da due rami del fiume- Narenta poco 
prima di metter foce nel mare. I Morlacchi , invece di 
combattece , si diedero al rubare. 

Con mag^ior calore si amministrava*la guerra in 



4o4 STORIA n'lTALU. 

Ungheria, ma non gia con la felicita primiera dei 
Cristiani; perciooch^ batterono Buda indarno, il re 
Polacco fu costretto a ritornare nel regno , acremente 
perseguitato e danneggiato da nugoli di soldati leg- 
gieri di Turchia. Si lamentava delfato : gridava, assai 
meglio sarebbe stato per lui , se subito dopo la Vittoria 
di Vienna veduto avesse ruliima ora. Brevemente i 
Turchi risorsero, formidabili di nuovo comparvero 
suIFaringo, e se tanto forte fosse stato il loro go- 
verno, quanto i soldati, ogni ragione persuade, che 
avrebbero con successi stupendi vinto i vincitori. 
Tanto sono labili e varie le cose della guerra ^ avver- 
timento dato ai superbi, affinche intendano , cbe non 
bisogna poi essere tnnto corrivo nel versare uftiano 
sangue , poich^ cosi facilmente si precipitadalla gloria 
alia vergogna. 

Su\ principiar della guerra Yenezia gia piii non 
aveva coniodita di sostentarla , e gia si trovava afilitta 
ddgli estremi bisogni^ non essendo ancora a gran 
pezza sanate le ferite cagionate nel corpo della re* 
pubblica dalle lunghe e dispendiose fasioni di Candia. 
Il denaro niancava,inanca.vano i sbldati.tA quello si 
rimedio con nuove imposizioni sulle terra, aggrav] 
di popolo , ma non vergognosi al governo. Gib non 
bastando, si venne ad una vergogAa, e fu,.che, come 
gia altre volte si era praticato , si fece veadita di pro- 
curatorie di San Marco e jdi prerogative di nobilta. 
Diedesi la dignita di procuratore per venticinquemik 
ducati, la nobiita per cehtomila, avendo iuvano in- 
stato aleuni ^ perche cio non si facesse , le soipme si 



LIBRO TRBHTESIMOPRIWO. — i 688. 4^5 

riducessero a quantity piii toUerabili : yentotto fami- 
glie aggregate. 

Miglior tema io tratto narrando, che la pieta verso 
la patria dei corpi pubblici e dei particofari cittadini 
soccorse al tesoro consumato. Le citta di terrafernm 
ed alcuni ecclesiastic! oiffersero considerabtli somme; 
Luigi Sagredo, patriarca di Visnezia tremila ducati, 
Daniele Giustiniani, vescovo di Bergamo , mille. Avuto 
it denaro, si cercarono i soldati. Si mandarono pa^ 
tenti per levare gente Italiana ed oltremontana. Er-^ 
nesto duca di Brunswick ne proiliise duemilaquattro* 
cento, Giorgio, duca di Sassonia, ugual numero^ 
Filippo di Savoja venne con grosso numero di volon- 
tar], sostituissi al conte Strasoldo morto il conte 
Claudia di San Polo, capitano sperimentato nelle 
guerre di Germania, avendo lungamente militato agli 
stipendj delFOlandal 

Non efano meno formidabili i prowedimenti dei 
Turchi contro i Yeneziani. Congregate le milizie 
vicine e lontane, corsero contro i territorj della re- 
pub&lica, cosi cbe furono i primi a menar le mani 
air anno nuovo del i685. Havvi Un popolo frai monti 
della Chimera, detti anticamente' Acrocerauni, piu 
selvaggio che sociale, ed esentc per propria ferocia e 
per Tasprezza d^Ue abitazioni dal giogo del Turchi. '* 
Cimariotti si chiamaiio, e come nemici del nome 
Turchesco, cos\ amatori del Veneziano. Sono quali la 
natura gli fece, hanno yirtii e vizj selvaggi, la ospita- 
lit^ coiloscono verso i miseri, la rapacitsk contro i 
ricchi, chi pill teste ostenta di Turchi irccisi, piu h 



4o6 STORIA d'iTALU* 

stimato. I Turchi parecdhie voke gli assalsero , e pa^* 
recchie volte se ne tomaronovinti; i luoghl forti ed 
ilproprio valore gli presenravano dalla servitu. Quando 
non si damio ferite con ia gente Musulmana, mer- 
canteggiano con lei, vendendole, per aver ferro e 
cuojo, i poveri proventi delle loro montagne, capre, 
montoni, vacclie, miele e legname. Per questo solo 
fine di avere il commercio libero , pagano un tributo 
ai Turchi, ma il piu spesso si amma^ano con loro, 
non potendo quelle fierissime nazioni , di natura e di 
religione tanto diverse, ben vicinare T una con I'altra. 
Ora a questo tempo V amore pei Yeneziani tiro Joro 
una guerra addosso; ma fini come le altre. Questi 
paesi non sono lontani da Grojai,bagnata dairHismo, 
patria di Giorgio Castriota, conosciuto sottp.iLfamoso 
nome'di Scanderbec, flagello di Turchi. II bascia di 
Del vino, congregati milacinquecento fanti con cin- 
quecento cavalli, invase Nivizza; sperava di porre il 
giogo ai Cimariotti;'ma essi -ridottisi in sito vantag- 
gioso, e ritirate le famiglie e gli animali in luogo 
rimoto verso la marina, si afferrarono con lui, e hen" 
che inferiori di numero fossero, con tanta Vigoria 
r investirono , che Y obbligarono a precipitosa fuga , 
lasciando buon numero di morti sul campo. I Yene- 
ziani mandarono soccorsi a quella gente coraggiosa, 
i Turchi avendo che fai^e altrove,. gli lasciarono stare. 
Dove e quali siano i Mainotti gia fu da noi raccon- 
tato. Simili ai Gimarjotti, simile destino a se stessi 
fabbricarono. Promisero ai Yeneziani , a cili premeva 
d* impadronirsi della Morea, d' uscir in campagna con 



LIBRO TRtNT£SlMOPKlMO. 1 688. ^OJ 

diecitnila tra combattenti e guastatori, e con duemila 
animali da soma : i Yeneziani promisero privilegi* 
Ismail bascia penetro questi trattati, afFrontb i Mai- 
notti con dlecimila soldati, entro nel confine; ma 
pervenuto ad un passo angusto e pericoloso^ restb 
vinto e gli convenne retrocedere con danno e ver- 
gogna. Reso infruttuoso I'uso dell'armi, procure di 
vincere con Ic biandizie. Pubblico perdono a' rei, 
esibi premj ai fedeli, corruppe i capi. Queste arti 
giunte al genio incostante e vario della nazione, fer- 
uiarono gli animi , e pi'evennero le novita a favor dei 
Veneziani. 

Morosini mirava al conquisto della Morea , paese 
fertile e ricco e molto opportuno pei Yeneziani a 
cagione della prossimita del Zante e delle altre. isole 
della repubblica. Siccome poi erd molto popolato di 
Greci , si aveva speranza i che succedute felicemente 
le prime imprese, ed al grido delle vittorie de' Vene- 
ziani , si sarebbero mossi per liberarsi dalla dura ser- 
vitii, che gli premeva, Di cio avevano, come sopra 
si e veduto, dato intenzione i Mainotti; ma in essi 
piii poterono le lusinghe del bascia e la promessa di 
lasciargli in quella selvaggia liberta, in cui vivevano, 
che il desiderio di riscuotersi per venire a divozione 
di un principe civile e Cristiano. 

Risoluta la spedizione della Morea, Tarmata Gri- 
stiana usci al mare, numerosa di settantasei vele, 
portando novemilacinquecento soldati, e verso gli 
scogli della Sapienza incamminossi. Mofosini deliberb 
di passar a Corone con animo di piegare a sua ubbi- 



4o8 STORIA D ITALIA. 

dienza quella piazza, assai forte per quei tempi, e 
situata sopra un promontorio, il quale sporgendosi 
alquanto in mare forma un seno dagli antichi detto 
BlessenicOy e dai moderni di Corone. II giorno, che 
succedette alia festa di San Giovannibattista del i685 
segui to sbarcOy e resto incontanente occupato il 
borgo , ritiratisi i presidiarj Turcbi nelF interno deWa 
piazza. Fu fatta subito la circonvallazione , e le bat- 
terie soUevate per battere le mura. Andavano anche 
approssimandosi con la guerra sotterranea p^r venire 
air artifizio delle mine; ma all' una irapresa ed all' 
altra ostavano fortemente il terreno e le mura, tutte 
di vivo macigno. S'inferiva anche non poco inco- 
modo agli assediati dal continuo bersaglio delV arti- 
glieria dell' armata. 

Intanto i Turcbi* per non lasciarsi perdere quella 
fortezza, fondamento stabile pel possesso deila Morea, 
avevano principiato a farsi vedere in pro3simita del 
. campo Cristiano : Mustafa bascia gli conduce va. S'av- 
visarono primieramente alia campagna le due valo- 
rose genti, poi s' affrontarono sugli alloggiamenfi 
stessi 9 avendogli i Musulmani assaltati con molta fe- 
rocia, ma ancora con molto^sangue e senza frutto. 

Il capitano bascia, cioe il grande ammiragiio dell' 
impero era sboccato nel medesimp tempo dai Darda- 
nelli con quarantacinque galee e diciotto vascelli, e 
schivato I'incontro delle navi Venete, aveva appro- 
dato a Napoli di Romania, dove sbarco non poca 
forza per soccorso di quella, cbe gik infestava il 
campo dei Gristiani sotto Gorone. Gio non ostante 



LIBAO TREMTESIMOPRIMO. 1 688. 4^9 

Mustajfa assalito con incredibile furia da Morosini, 
resto rotto con perdita grande di buoni soldati : i ca- 
valieri di* Malta combatterono in tutte queste fazioni 
egregiamente. II capitano generate ofdiho la cbiamata 
aJIa piazza, credendo, che per vedere il'loro campo 
distrutto, i Turchi si sarebbero accoinodati alia for- 
tuna; ma' con molta costanza e fermezza risposero, 
che le bombe e le mine non gl' intimorivano , e vole- 
vano fare 1' ultimo sperimento della loro virtii. Avvam- 
parono di nuovo le mine, le artiglierie colle palle e 
coUe bombe fulmihavano* Scrollaronsi e sfasciaronsi 
le mur^i, una larga breccia gia dava campo agli aggres- 
sori di satire. Grande diminuzione di spiriti produsse 
nei difensori r essere stato il loro comandantc, uomo 
coraggiosissimo e pratico nell' inspirare coraggio aglt 
altri, sepolto sotto uno sconvolgimento di terreno 
cagionato dallo scoppio di una mina. Inalberarono 
bandiera bianca in segno di volersi dare. Mentre si 
trattava della resa , s' accese per caso fortuito fuoco 
alle fiaschette appese alle bahdoliere di due soldati , 
che fecero strepito di archibugtate ; onde i Turchi 
postisi in difesa scaricarono un cannone, die colpi 
moiti CrUtiani, Questi allora gridando tradimento^ 
tradimento, ripresero learmi, e superati i ripari, 
entrarono furiosamente nella piazza. Segui una car«- 
nifieina orribile , usando i Gristiani una crudelta piii 
che barbara, la quale veramente io non so, se la 
debba chiamare da Gristiano o da Turco. Piii di* trc- 
mila cprpi furono mandati a fil di spada , non rispar- 
miate nen^meno le donne, ne i fanciuUi. A gran fatica 






4lO STORIA D^ ITALIA. 

per ordine dei comandanti si preservarono ducento 
uomini per esser mandati al rerao , e miladucento tra 
donne e fanciuUi di tanera eta , fra i quali moiti 
Mori d' Africa ^i numerarono. Cavarono uu ricco 
bottino, perche la citta era mercantile, e I'aggres- 
sione impensata : muraglie e terreno tutto sconvolto 
dalle palle , bombe , fogate e mine , pochi luoghi re- 
stati intatti. Trovaronsi nella conquistata terra cento- 
ventotto cannoni con copiose munizioni d' ogni 
genere. 

Ottenuta la vittoria di Gorone^il capitauo generate 
si rivolse a far pruova, se movendosi vicino a Sfaina, 
potesse far sorgere quei popoli contro i presenti do^ 
minatori. Dopo la guerra di Gandia, i Turchi per 
assicurarsi de' MainoUi 9 avevano fortifieato Zamata, 
Calamata, Chielaf^ e Passava, posti coUocati in siti 
opportuni per tene^gli rinchiusi nei loro monti. Mo- 
rosini applico I'animo ad espugnargli. Zarnata cede, 
vinti in una grossa battaglia i Turchi accorsi per pre- 
servarla; s'arreseGhieIafa;'Galamata ePassava furono 
abbandonate dai possessori. 'Gon queste fazioni , per 
cui la Maina fii ridotta in liberta di Turchia , si ter^ 
mino I'anno guerriero in quelle- parti. Distribuironsi 
navi e sold^ti alle stanze invernali nelle piazza con- 
quistate delta Morea , ed al Zante , Santa Maura e 
Gorfu. Il capitano generate si ridusse a quest' ultima 
stazione. 

N6n si fece in quest' anno i685 ne in Dalmazia 
ne in Ungheria cosa , che avesse nervo , o tendesse a 
fine definitivo, se si eccettua una grossa rotta data 



LIBRO TR£NT£SIMOPRIMO. — 1 688. 4 ' ' 

ai Turchi dai Gesarei sotto Strigonia, e la presa di 
Gassoyia,principale fomento degrinsorti, procurata 
dal generate imperiale Geprara. Rese notabile ¥ espu- 
gnazione di questa piazza il caso, che succ6sse al 
Techeli; percbe essendo andato a YaVadino per ac- 
cordarsi col comandante Turco intorno al modo di 
soccorrerla, vi fu inaspettatamente fermato prigione. 
Maravigliossi il mondo deiraccidente,xe se ne fecero 
varj discorsi. AfFermarono alcuni, che i TurchiVoleS- 
sero levarsi davanti quell' impedimento della pace 
coll' imperatore; altri, ch'eglino intendessero a po- 
sare con tale atto gli animi del popolo di Gostantino- 
poli molto male disposto contro di lui, imputandolo 
come principal cagione della mossa dell' armi e degF 
infortunj dell' impero Ottomano. Quale di cio sia la 
verita, Techeli liberato risorse a miglior fortuna, ma 
poscia con maggior empito ricadde nell'av versa. Im- 
prospere medesimamente lurono le armi di Polonia 
tra il Boristene e il Prut, avendole i Tartari cacciate 
Yolando oltre la Volinia^ cui afflissero coh ferro e 
fuoco nuovamente. Ibraim, primo visire, resto de» 
posto a Gostantinopoli per aver perduto la battaglia 
di Strigonia. Gli fu surrogato Solimano, il quale per 
muovere di nuovo gli Ungheri, diede la'liberta e de- 
naro al Techeli. 

Entrando il nuovo anno 1 686 , le due' parti atte- 

sero con molta diligenza alle provvisioni di guerra. 

Per ojcdine del senato si spreme nUovo denaro dai 

sudditi Yeneziani, perciocche grand' era* verameAte 

*ia difBcolta del pagamenti ; il papa ne nfando qual- 



4ia STORIA ]> ITALf A< 

che soinma, ma scarsa; il calore del zelo religioso 
contro grinfedeli assai rafireddato; ipotentati bada- 
vano ai proprj interessi ana che a mahdar gente ad 
ammazzare per le matte cr'ociate , le quali sarebbet^o 
«tate soiamente assurde , se non fossefo state sangui- 
nose. Arrivarono a Corfu fresche navi e fresche genti. 
Alemagna , Milano j Napoii , somministrarono soldati 
per zelo politico, non per religioso; la Svezia mando 
ii suo generale Chinismarc , il quale condotto agli 
stipend] della repubblica con soldo di diciottomila 
ducati, fu spedito in levante con ordine, che da niun 
altro dipendesse che dal capitano generale. Si prepose 
alle cose della Dalmazia in luogo del Yaliero , che 
non aveva soddisfatto all' aspettazione, Gerolamo 
Cornaro. 

Fissatosi dal Morosini il pensiero di acquistare alia 
repubblica tutta la Morea, se ne parti ooUe forze 
proprie ed ausiliarie del papa, di Malta e di Toscana, 
« si scoperse alia vista di Navarino il due di giugno. 
Vi efifettuo lo sbarco innanzi che il nemico fosse in 
tempo di contrastarlo. Chinismarc dispose le genti in 
bella ordinanza , e s' incammino verso Navarino vec* 
chio. II porto di Navarino h per ampie^za capace di 
qualunque numerosa armata , e quasi semicircolo va 
a terminare in due punte. Su quella volta a tramon- 
tana siede la fortezza chiamata Navarino vecchio, 
suir altra , che piega vers' ostro sorge un altra for- 
tezza , che ha nome di Navarino nuovo. Quivi s' in- 
nalzava una volta V antica Pilo , celebre nelle Greche 
. «lorie per essere stata la patria di Nestore, e per ia 



L1BRO TRENTESIMOPRfMO. 1 688. /^I'i 

^confiUa, che gli Spartani vi ricevettero per terra e 
per mare dagli Ateniesi nella.guerra del Pelopponeso; 
Due seogli chiudono la bocca del porto, e per cio vi 
si puo entrare per tre passi; ma il migliore e piii co*: 
modo e guello^ che si apre tra lo scoglio picciolo e 
Navarino nuovo. I Gristiahi sommavano intorno a 
diecimila. I Turchi di Navarino vecchio, intimoriti 
dall'apparato terribile dei confedarati, dettero facii- 
mente la piazza. 

1 generali vincitori condussero le genti all'espu- 

gnazione di Navarino nuovo , per sito e per mura as*- 

sai piu forte del vecchio. Piantarono le batterie, pre- 

pararono le mine, principal mezzo della vittoria a 

cagione della qualita de* luoghi. Forte era la piazza, 

fortissimo Sefer bascia , che stava dentro per difen-. 

derla. Il.seraschiere, che governava la Morea, noa 

volendo, che Navarino si perdesse, estimando, che 

si perderebbe, se non gli dava soccorso, si pose in 

viaggio con diecimila , ottomila fanti e duemila ca- 

valli , per far pruovare agli assalitori quello, che mi*« 

nacciavano agli assaliti : accostossi a poche miglia al 

campo Cristiano. Ghinismarc usci dagli alloggiamenti 

per far giornata con loro. AzzufFarOnsi insieme Turchi 

e Cristiani ^ per due ore duro ferocissima la mischia; 

sul principio ebbero la meglio i primi, sulla fine i 

secondi : piegarono finalmente e andarono in fuga i 

Musulmani, lasciando cinquecento morti, il sera^- 

schiere fe^ito, ed in poter dei vincitori il campo e 1 

padiglioai. Navarino, disperato del soccorso^ si an* 

^rese, piuttosto per^olonta d^l presidio che dell' in tre- 



4l4 STORIA d' ITALIA. 

pido Sefcr, che posponeva raccordarsi alia morte. Ne 
uscirOno tremila persone , e fra di queste piu di mille 
alte air armi : lasciaronYi cinquantaire pezzi d' arti- 
gliena di bronzo. Nella battaglia di Navarino nuo?o 
si adoperb valorosamente il signor di Turena , venato 
Tolontariamente di Francia per pruovarsi in quelle 
guerre d' Oriente, degno rampollo di una casa tanto 
rinomata per virtii militare. 

Non si rallentava ne T ardore n^ Tardire del Mo- 
rosini. Mosse ¥ esercito airacquisto di Modone, detto 
anticamente Metone, e fondato sopra un promonto- 
rio, che molto s'innoltra nel mare, per modo che la 
citta h bagnata da tre parti. Era afForzata con rnura e 
basdoni si dal lato del mare che da quello della terra; 
. ma quivi dominata da un^ eminenza, che orizzonta\- 
mente la batte , dava grande comodita a chi voleva 
sforzarla. I Gristiani postisi intomo, e dato principio 
alle ofFese, incenerirono la citta, diroccarono le di« 
fese, i minatori gia s' attaccavano alia muraglia. Die- 
dersi i difensori coi medesimi patti concedati a qaei 
di Navarino, e la fede fu loro osservata. Uscirono 
quattromila anime , e fra di loro milie abili all' armi. 
Lasciarono circa cento cs^nnoni di bronzo; la citta 
solcata per ogni verso dalle palle e dalle bombe, e 
piena di cadaveri. 

Gonquistato Modone, il capitano generale tenne 
consulta per risolvere a qual parte si dovessero indi- 
rizzare le armi. Ragionando, come Convenisse usare 
il calore della vittoria, ed it presente ardore dei sol- 
dati, trasse tutti nella sua sentenza, la quale fu di 



LIBRO TRENTESIMOPRIMO. — 1 688. 4'^ 

correre senza indugio sopra Napoli di Romania , V an- 
tica Nanplia, terra fortissima e capitate della pro- 
Yincia. Fatto tostamente Y apparecchio necessario , 
diede il ventisette di luglio del 1686 le vele al vento, 
verso la bramata piazza avviandosi. Avendo cou la 
celerita prevenuto le mosse del seraschiere , sbarco 
senza impedimento a Tulone, porto distante a poche 
iniglia da Napoli, donde parti incontanente per dar 
opera alia disegnata espugnazione. 

Molte parti compongono Napoli di Romania , si- 
tuata quasi in fondo del golfo Argolico. La fortezza 
s' erge sopra un altissimo scoglio, inaccessibile d'ogn' 
intorno, come circondato dal mare, e solo pratica- 
bile per un picciolo sentiero , al quale si perviene per 
mezzo di un ponte di pietra, che comunica con la 
terrraferma. Sotto la fortezza verso garbino siede un 
borgo munito di mura , e sotto di esso un porto assai 
capace, guardato da un forte castello, cui il mare 
bagna da ogni parte , fuorch^ da quella che con pic- 
ciola lingua si unisce alia citta. Signoreggia dalla 
parte della terraferma la citta il monte Palamida di 
difHcilissima salita. In sul primo giungere ai trentuno 
di luglio i Cristiani circondarono la piazza, ed occu- 
parono per ordine del Ghinismarc il Palamida, in cui 
piantarono una batteria di tre cannoni e due mortari, 
con la quale cominciarono a flagellarla. 

Il seraschiere , a cui non era ignoto , che perden- 
dosi NapoH, tutta la Morea si sarebbe voltata a divo* 
zione deHMnimico, fatta congregazione di gente da 
ogni parte, venne in Argo per tentare da luogo vi- 



4l6 STORIA D*1TAUA. 

cino di soccorrere la piazza. Morosini conobbe , che 
bisognava o vincerlo o andarsene. Tutte le genti 
Cristiane , salvo le guardie necessarie nel campo^si 
avventarono contro i Musulmani. Fu duro e lunga il 
conflitto; finalmente i Criatiani restanmo superiori, 
il sei-aschiere ritiro&si a Qorioto. II capitano generale, 
stimando il presidio sbigottito per Tesito infelice.ddl» 
battaglia, intimoja resaal bascia Mustafa, che si era 
messo dentro con quattro suoi fratelli : ma fu la ri- 
sposta ferocissima. Continuossi a tuonare dalle due 
bande. Il seraschiere, raccolta altra gente, prendeva 
di nuovo del campo, e veniva avanti per la libera- 
zione del valoroso Mustafa. Successe un nuovo ejHu 
aspro combattimento. I Cristiani sorpresi da quell' 
impeto improvviso sul principio cedettero con quaW 
clie scompiglio. Furono poi rimessi dal Chinismarc , e 
il Morosini , sbarcata tutta la gente di marina libera 
da remo , urto di fianco il nemico j ehe guadagnava 
del campo. Si rinstauro la pugna, in fin della quale i 
Turchi piegarono, ritirandosi prima con buonordine 
sopra un colle vicino, poi vieppiu incalzati, si toI- 
tarono in fuga. Tra morti e feriti si trovarono scemi 
di milaquattrocento. I Cristiani, non mono baribari 
che i Turchi /mandarono attomo delta piazza a spa- 
vento degli assediati molte teste di Turchi sulle pic- 
che. Si arresero , andandosene quattromila , fra i/piali 
circa un migliajo d'atti all' arme. Vi si fermarono due- 
mila Greci, fu restituita la liberta a quattrocento 
schiavi : intorno a ottnnta pezzi d' artiglieria oma- 
rono la vittoria. 



LIBRO TREKTF.SIHOPRIMO. 1688. 4^7 

Pervenuta le leKei rioTelle a Venezia, tutti gli 
ordini della cittli esultarooo. II senato rend^ pubbli-' 
die grazie a Dio, died(^ la prerogativa del cavalierato , 
eon successione perpetua iter primogeniti, a Pietro 
Mordiini, nipote del capif&ilo generate, onoro ifChi- 
nismarc col dono di un baciie d'.o]^6 del valore di sei- 
kiila ducati. Iti Morea le popolaziohi andavanq k gara 
a render ubt>idieitza alia repubblica. Morosini, per 
son navigare per la stagione' sinistra, cfae gia era 
pAssata molt' oltre,"po8^ le genti a svernare in Na- 
poli ed altri liioghi conquistati ; il serasbohiere a Ye- 
nizza in poca diistanza da Palra^o. 

In Dalnutziia quest' anno fu pA notabile per le ra- 
pine e le crudelta^ massimamente dei Cristiani, che 
per alciin successo di ^uerra , se si eccettua Y impresa 
dei Veneziani sdpra Sing, fbrtezza non Ion tana da 
Spalatro siii eonfini della Bosnia. I Turchi rubiarono 
nei contomi di Pogli^za ed anche di Budna, i Mor- 
lacchi scesi a scaociargli da que' luoghi , riibarono 
ancora piii. Questi Moriacchi devastarono il paese, 
rubando ugualiuente e Gristidni ^e Turchi , per modo 
chenoii vi rimase piii anima vivente; percjocch^ chi 
non fii morto, o fuggi spaventato, od in quelle 
inani sacrileghe venuto*, fu fatto schiavo. Dico, che 
erano Gri^iani , cio^ oosi si thiamavano , che queste 
cose filceyano , non Turchi. Molte famiglie di Cri- 
stiani , che abitavano i terfitorj Turchi, per ischivare 
la rabbia Morlacta , passarono neila parte Yeneta con 
non poco aggravio dell' erarro pubblico, obbligato 
VI. "47 



4l8 STORIA. O' ITALIA. 

per alio di pieta a cibare tanti ihfeLbci , che non altro 
avevano potuto portare con se <!;he le. persone. 

Cornaro e ii principe di Parma , veniito ai wAdi 
della repubblica per tagliar teste di Turchi y st inos- 
sero air acquisto di Sing, e 1' investirono verso il fine 
di settembre. La maggior parte della schiera assalitrice 
erano Abruzzesi fuorusciti del regno di Napoli, i 
quail perseguitati dalla giustizia, impetrarono sal*- 
vezza con obbligo di uscire dal regno , e passare alia 
guerra di Dahnazia. Costoro, fattisi da malandrini 
feroci che erano , valorosi soldati, diedero tale stretta, 
per la breccia montaudo, alia circondata terra, die 
il bascia, che vi stava dentro, fu costretto, primiera- 
mente a ritirarsi nel castello, poscia ad arrendersi a 
patti ; ma la guemigione , composta di trecento Tur- 
. chi , fu tagliata a pezzi tutta dagP indegni soldati di 
Cristo. Fecero anchc , se non peggio pel dolore , 
peggio per Torrore e lo scandalo : presentarono ad 
una ad una le teste recise dei vinti nemici al Cornaro, 
e quest! gli regalo di due zecchini ciascuna. Mi vien 
da ridere , quando sento parlare da certuni della bar- 
baric dei Turchi. 

Gcsare amministrb con prosperita di fortuna la 
guerra in IJugheria. Oltre alcune altre imprese mi- 
nor! riuscitegli felicemente, ai^quisto Buda, citta fa- 
mosa il cui assedio era a quei tempi nelle bocche c 
nellc penne di tutti gli uominj. I due imperj di Vienna 
e di Costantinopoli, come a cimento piu di ogni altro 
principale , a quelia fazione intendevano. L' intiero 
esercito imperiale vi si sforzava , muoveva il primo 



LIBRO TRENTESIMOPHIHU. l6SS. 4^9 

\isire le insegne da CostantinopoH pei' ajuto de' suoi. 
Dopo un lungo e vario assedio, dopo una luuga e 
gagliarda oppugnazione , teiitato id vano il soccorso 
dal visire, perc'iocclie il duca di Lorena stava vigi- 
laatissimo, I' importaiite cilta restb prcsa d' assalto , 
empieadola I vincilori di stiagi, d' inceiidj e di rapioe. 
TrovaroDsi nella piazza trecento pezzi di caniionc 
con molte provvisioni , e il sacco fu riccUissiino. Una 
cosi segnalata vitloria rallegro per ogni dove la cri- 
stianita. Mn noti corrisposero gli sforzi dei Polacciii, 
i quali condotti dal loro le avevauo bensi fatto nota- 
bili progress! insino ad impadronirsi di Jassi , capitale 
della Moldavia , ina poi , moltiplicando loro all' intoriio 
le schiere dei Musulmanl, furono inessi in nccessita 
diritirarsi. 

Morosini non fu diverso da se medesimo nell' 
anno, die segui cioe nel i68^. Purtito ai venti di 
luglio (i movimenti nei primi mcsi deirauno eraup 
stati rallentati dalla ntancanza delle provvisioni, e 
dalla pesle, che afflUse il campo ) da Climno con 
tutte le forzesi da mare die da terra, veleggio verso 
il golfo di Lepanto , sbarco a prossunita di Patrasso , 
corse pel' vie molto disagiose contro il nemico ai- 
campato a poca distanza, il vinae in una battaglia 
giusta con fuga del seraschiere e clella fiorita. molti- 
tudine, cbe govcrnava. Alia lama di cosi grossa vit- 
loria vennero subitameiite , abbandonatc dai Turchi , 
air obbedieiiza Veneziana quattro piazze, cib sono 
i due castelli di Patrasso e di Romelia, e le due 
citta di Palrasso e di Lepanto. Poco appiesso riconob- 



d 



« ' 



4^0 STOBIA D'rr4LffA. 

bero r imperio della repubblica , imperciocchi il der 
bellato seraschiere , per prepararsi qualche rifugio, si 
era ritirato piii \k di Tebe , Corinto e Misitra , per 
forma che da Malvasia in fuori, che non fu presa se 
non due anni dopo , tutta la Morea , liberata dalla 
soggezione de' Turchi , si fece suddita di Venezia. 

Le novelle di cosi lieti eventi pervennero in Vene- 
zia nel mentre appunto che il maggior consiglio A 
trovava raccolto per la elezione dei magistrati : fii- 
ronvi subitamente lette con allegrezza universak 
le lettere del capitano generate , modeste per la 
forma, piene pel soggetto. Intermisersi le elezioiUf 
scese incontanente il doge , accompagnato da lutta 
la nobilta nella chiesa di San Marco per rendere 
grazie a Dio delF ottenute vittorie. Tutto quel po- 
polo Yeneziano, gia di per se stesso tan to festoso, 
con infinito trasporto si rallegrava. II senate poi per 
mandare ai posteri la gratitudine della patria , e coo- 
servarc alia memoria del Morosini ancbe dopo la sua 
morte quella rimunerazione , che faceva alia virtu ed 
opere di lui vivo, decreto, che nella sala del consi- 
glio de^ dieci gli fosse posta una statua di broiizo 
coir inscrizione di Peloponnesiaco. Voile ancora, che 
nella sala medesima si conservasse lo stendardo toUo 
al seraschiere nella battaglia. Gli altri capitani delle 
fortunate armi parteciparono altresi della munificenza 
pubblica. Si accrebbe al Ghinismarc la condotta di 
seimila ducati annui, il principe di Brunswich fu re- 
galato di una gioja^ il signer di Turena di una spada : 
ad altri ufficiali furono distribuite collane d' oro, 



LIBRO TRENTESIMOPRIMO. — 1688. ^1i 

ed'altri testimonj dei sentimenti della grata Yenezia. 

Mentre la metropoli giubilava per la prosperita 
4eHa fortuna, non stavano oziose le sue armi vinci- 
trici. Morisini e Ghinismarc avevano fatto disegno 
sopra Negroponte o sopra Atene, pensando^ che 
fosse dar sicurezza al regno novellamente conquistato 
dellaMorea, roccupare le terre, che in poca distanza 
gli stanno intomo. L'armata dei confederati, su cui 
s'imbarco il capitano generate, giro nel suo corso 
tutta la Morea, ricevendo ad obbedienza le popola* 
uoni Greche, le quali con grandissimo ardore a lui 
si davano. Strada facendo fu deliberato, che siccome 
la stagione gii inclinava alFautunno, si riserbasse a 
tempo pill conveniente la fazione di Negroponte , e si 
andasse a quella d' Atene. Gonseguentemente volta- 
rono le vele a porto Lione o porto Dragone, che non 
k altro che 1' antlco Pireo , dove diedero fondo addi 
ventuno di settembre. Le genti di terra , imbarcatesi 
air istmo nel golfo d' Egina , si mossero aach' esse 
all'acquisto d' Atene. 

Atene, cosi nobile, antica.e famosa citta, da cui 
riconosce il mondo quanto di hello , di generoso e di 
civile in se medesimo conclude , era allora quasi alio 
stato di misero villaggio ridotta. Tanto puo il tempo 
inesorabile, e la perdita della liberta! Alcuni borghi 
non circondati da mura sono quanto di \e\ resta colF 
antico castello , cui Acropoli chiamavano , forte per 
sito , essendo posto sopra uit vivo sasso da ogni parte 
inaccessibile, fuorche la dove s' apre la porta , che gli 
d^ r ingresso. 



Non cosi tosto le insegrte Veneziane fiirono redtilr 
innalzate at)' ana sulle spiagge del Pireo , che i "Tvr- 
rhi •■ rilirarotio nell' Acropoli, e i Greci SQUevaBlIt 
I'xnimo n miglior destino, vennero incontrando i G^ 
iicratori per esprimere quauta allegrezza sentissCM 
alTarrivodi Cristiani.e quanta speranza conceptSstto 
di essere )iberati dalla tirannide Musulmana. Xooofe- 
derati accettando il felice augurio, verso Atene volb- 
rono i passi, ed awisarono il modo di cacciare da 
queir ftlto I'icetto un nemico indegno di cosi sacro 
luogo. Occuparono i borghi , e appoco appoco forando 
le case per approssimarsi copertamente, vi si accosta- 
rono. Poscia osservando i siti piii rilevati ed acconci, 
vi piantarono due batterie, I'una di otto pexxi di 
cannone, I'altra di quattro inortaH. La prima fece 
otttmi effetti, scavalcando alcuni pezzi del nemico, 
che si rendevano molto iiifesti al campo Cristiano. 
Non riuscirono di eguale profitto lebombe.che 
per lo pill cadevnno a vuoto : i raorlaj si mutarona 
di luogo, Contro barbari si combatteva, ma pure 
crudo c barbaro era I'esercizio, perche e palle e 
bombe alia rinfusa , e senza aver rigiiardo a quei pre- 
zioSi residui della veneranda Greca antichita, getVa- 
vano i Veneziani. Non fli Teffetto dissimile dall'in- 
tento ; perciocchS una bomba cadde nel mezzo del 
fanioso tempio di Minerva, fatto allora dai Turchi 
Coaserva di munizioni, ed entrato il fuoeo nella pol- 
vere, ed accesala, tale un guasto vi produsse, chela 
famosa mole , unica al niondo per niaesta e per va- 
gliezza, ne fu scrollata e rovinata in parte. THlte le 




LIBRO treNtbsimoprimo. 1 688. 4^3 

munizioni furono consumate, e ducento persone^ 
poicfa^ mohe famiglie vi si eirano ricoverate, creden- 
%b\o sito di sicurezza , \i perdettero la vita. Scorag- 
0i|Ai i difensori da quell' immenso fracasso e ruina , ne 
vedendo comparire il seraschiere al soccorso , capi- 
tolaropo la resa il gidrno vigesimottaVo d' agosto del 
1687. U&cirono iii nilniero di tre mila, fra i quali cin- 
quecento atti all' ariht : fu.dato loro rimbarco per le 
Sinirne^ Yi si trovarotio deiltro meglio di cinquanta 
pezzi di (iorita arttglieria. Il conquisto d' Atene suoiio 
pA iDondo, come caso felicissimo : i buoni spera- 
irano, che stabile sarebbe, e la civilta inoderna ren- 
^rebbe la pariglia all' antica , restituendole cio , che 
ne aveva ri^evufo. L' armata sverno iiel Pireo , 1' eser- 
cito in Atene per essere la Morea infetta di peste. 
Alcune Atediesi spoglie levate dal Pireo , e mandate 
lilal Morodini a Yenezia, rallegrai^ono i Veneziani. 

M entre Atene s' inclitfava alia fortuna delta repub- 
blica, era imminente la caduta in sua possessione di 
Gastelnuovo in Dalmazia, terra cli non poco momento 
per essere posta in sito vantaggioso , cio^ all' entrata 
delle bocche di Cattaro. Veneuani , Maltesi , Ponti- 
ficj, Toscahi, Morlacchi vi si afiaticavano. Vennero i 
Turchi guidati dal basci^ di Erzegovina al soccorso , 
ma restarono vinti e fugati : i Morlacchi portarono 
cinquecento teste di Turcbi al generate Cornaro , che 
le pago, non so quanti zecchini I'una. Tuttavia il 
presidio si difendeva con estremo valore , ed essendo 
il luogo forte, non si prevedeva facile il fine dell' 
assodio; ma fece Tarte cio, chis non poteva la forza. 



^4^4 ^ STORIA d' ITALIA. 

Certi Albanesi corrotti col denaro dal c^apitano gene* 
rale Comaro, gli diedero ua torrione. II vedere all' 
improvviso piantati i vessilli Cristiani su qudremii 
nenza , espugno la costanza del difensorL Laaode capi- 
tolarono senza ritardo rultiino giomo di settembre 
con la condizione .di sortir con 1' armi .« con quaate 
robe portare potessero. Partironoduemila e duec^ito, 
compresi settecento uomini d' arme. I vincitori con- 
quistarono cinquantasette pezzi di bronzo con molta 
c6pia di munizioni di ogni genere. 
f, Infeiicemente pugnarono i Polacchi nel 16879 an- 
corch^ con una recente confederazione si fossero con 
loro congiunti i Moscoyiti. Tanta era in quei tempi la 
possanza dell' imperio di Turchia , sebbene il saltano 
Meemet, non che avesse animo guerriero,. fosse in- 
clinato piuttosto ^ non so.lamente alia pace, ma ancora 
alia- mollezza. I Polacchi , il cui destine sempre (ii di 
ess^re valorosi e discordi, gareggiarono acremente, 
in primo luogo per Y elezione del loro generale, poi, 
elettolo a stento , andarono contro Kaminieq. Non so, 
se prendere il volessero, ma il fatto fu , che briccola- 
tovi dentro qualche bomba , se ne ritirarono. Fu sti- 
molo, non dauno pel nemico. Torme di Tartari prodi 
e leggieri si fecero avanti, e la.misera Voliqia deso« 
larono. Un principe Galitzin aveva condotto i Mosco- 
yiti verso il Boristene, ma i Tartari Tinsultarono, il 
privarono dei foraggi, ne' suoi antichi quartieri mez^o 
rotto e mezzo affamato il risospinseno. . 

Con maggior favore della fortuna combatterono 
gli Alemanni n^U' Ungheria. Si er^ traUatQ neUe con- 



IJBRO TRE]!VTS|IMOPR1MO. 1688. J^l5 

suite di Vienna del modo, col quale. la guerra si do- 
vesse indirizzare. Alcuni opinarono, ehe divise le forte, 
una parte attendesse all' acquisto delle piazze sopra 
la Drava, perch^ conqui^tando AlbaBeale, Zighett 
Canissa, si metteva in sicuro la possessione di Buda, 
I'altra andasse a tentar imprese sopra Varadino e Te^ 
mi^var oltre il Sanubio. Altri consigliavano , che tutto 
Tesercito unito passasse la Drava, ed occupato Essech 
e il paese fra i due fiumi , p^etrasse sino a Belgrado. 
Gostoro stimavano , che la gelosia per una piazza di 
tanto momento, qual era Belgrade, iavrebbe fattd 
concorrervi i Turchi, e con cio liberare dalla lore 
presenza V Ungherla superiore. Quest' ultimo parere 
era contraddetto da un giierriero, e sostenuto da un 
prete, quegli il duca di Lorena, questi il cardinal 
Bonvisi, nunzio del papa. Il prete viiise in consiglio, 
e fu cagione, che il guerriero vincesse sui campi di 
battaglia. Imperciocche il duca di Lorena , andando < 
con tutto lo sforzo verso la Drava la dov' ella verso il 
Danubio inclina, poi passato quest' ultimo fiume, in- 
contro gli Ottomani condotYi dal gran visire nei camjii 
di Moadia nel sito medesimo, in cui nel i5a6 era 
perito Lodovicp re d' Ungherla, e con esso la liberty 
di quel regno. Quivi la fortuna Cristiana di gran lunga 
prevaise. L'Ottomano resto intieramente sconfitto, 
correva il giomo duodecimo d'agosto del 1687 ' ^^^ 
perdit^di ottomila soldati, la maggior parte Glanniz* 
zeri, di sessanta pezzi di cannone, di tutto il bagtf*- 
glio, e dello stesso padiglione assai ricco del ifztm visire. 
Ritirosai il visii'e a Bdlgrado , il duca di Lorena ando a 



4^6 STORIA n'lTJ^IA. 

porsi aSeghedino, poi condusse le genti alle stanze 
invernali nella Ti^nsiivania. 

Quanto fu grande in Vienna I'allegrezza per I'ac- 
quistata vittoriay tanto furono profondi la mestizia e 
lo sdegno a Costantinopoli. II gran visire fu decapi- 
tato. Cio non basto per calmare la tempesta. Succes- 
sero fieri tumulti, il soldano Meemet fu deposto, 
surrogatogli Solimano suo fratello, MustaHk Sciaus 
creato gran visire. 

Le prosperita delP Austria domavano V Ungbena. 
L' imperatore intimo la dieta in Possovia. La coite e 
la nazione si trovavano in dissidio intomo alia sue- 
cessione del regno. La prima intendeva a far dichia^ 
rare il regno ereditarid nel primogenito di Cesare , 
senza che bisogno vi fosse del consentimento espresso 
della nazione; la seconda negli antichi ptivilegi e 
foime persistendo y pretendeva avere la liberta di ace^ 
gliere fra i principi della casa d' Austria qiieHo>, che 
pill le aggradisse. Volevano bensi la corona eredit^ria 
nelia famiglia attuale dei regnanti , ma non in un in- 
dividuo speciale. 

Bla gran mezzi sono le vittorie ai principi percre- 
scere la potenza sui popoli , e cio tanto piii fadlmente 
avviene , quanto piii le nazioni sono guerriere ^ 
amando esse generalmente di vender liberty per glo- 
ria. Insomma tra il terrore e la gloria i popoli incli- 
nano il coUo. Depressi i Turcfai , soggiogati i Transil- 
vani , perdutasi dal Techeli ogni autorita , si per esseni 
dato «ii Turchi, si per essere stato vinto, T Austria 
poteva quanto s' ardisse. L' arciduca Giuseppie , pri- 



LIBRO TBENTESIMOPRIMO. — 1 688. 4^7 
mogenito dell' impcra tore fu ricoiiosciiito dalla dieta 
per re eredltario d' Ungheria coi discendenti de! suo 
stipite in perpetuo. Lo slato ecclesiastico fu il primo 
a dare I'nssenso. Osto da principio I'ordine equeslre 
e de'magnati, poi consenli. Assenli la camera bassa 
dei comuni con la riscrva , che non potesse mai 1' Un- 
gheria essere comaiidala in forma di governo, ma 
fosse sempre presente nel regno , o negli stati a quello 
vicini un principe della casa d' Austria. Abolissi nel 
inedesimo tempo, a cio movendo i consiglieri e gli 
aderenti dell' imperatore , un' ajitica legge del re An- 
drea , «on la quale era stalo dichiaralo , che fosse le- 
cilo a ciascun suddito prender I' armi contro il proprio 
re senza nola di ribellione per difesa dei privilegi del 
regno, legge, che era stata in ogni tempo I'origine 
delle confusioni di quell' inquieta e turbolenta Un- 
gheria, Segui con quiete I' incoronazionc del nuovo 
re in Possovia. 

Inlanto , essendo gia sopravvenuto 1' anno i688, 
si andavano in Venezia dirizzando i consigli a fere 
nuove provvisioni di guerra, ed a solidare I'imperio 
nei paesi conquistati. Dalla Germania, dalla Svizzcra, 
dal Milanese e dalle contrade suddite si congregavauo 
soldati, ed in Dalmazia e nella Grecia con molta sol- 
leciludine si mandavano. Per Introdurre poi una re- 
golata forma di governo in Morea , il senato vi mando 
con titolo di sindaci tre senator! , Gerolamo Reniero, 
Domenico Gritti, Marino Micliele. Per senlenza di 
questi magistrnti accordatisi col capitano generate, 
fu la Morea divisa in quattro province, Romania, 



J 



4a8 8TORIA d' ITALIA. 

Laconia , Messenia ed Acaja , dando alia prima per 
citta capitale Napoli, alia seconda Malvasia, alia tern 
Navarino , alia quarta Patraaso ; fiirono dati a tutte i 
noagistrati si civili che militari. 

Successe a questo tempo la morte del doge Gius- 
tiniano. Nissuno addomandava la suprema digniUi, 
essendo tutti desiderosi dell' esaltazione di Francesco 
Morosini, notabile fssempio di moderazione civile: 
rispetto e gratitudine muovevano Venezia. Con pie- 
nezza di voti fu acclamato doge. Spedissi incontanente 
Giuseppe Zuccaro , segretario , a portare al Korosini 
le insegne ducali. TrovoUo a Porto Pore net goUb 
d*Egina col pensiero volto all' impresa di Negroponte; 
Furongli destinati per consiglieri Gerolaiho Grimani 
e Lorenzo Donato, gli storici Yeneziani dicono per 
maggior decoro , ma in realta per gelosia di stato; per- 
ciocche sembro ai padri, che la suprema autoritadel 
principato congiunta col supremo comando deirarmi 
fosse cosa, siccome insolita, cosi ancora pericolosa. 
Rimase nel doge e capitano generale la prerogativa, 
che in paritk di voti nelle deliberazioni, il suo parere 
prevalesse , ed avesse piena autorita nelF esecuzione 
delle cose deliberate. In luogo del doge a Tenezia 
sedevano in palazzo due consiglieri con un capo dei 
quaranta. 

II glorioso Morosini essendosi risoluto alia &zione 
di Negroponte , per cui gli pareva di poter fare no 
nobile acquisto alia sua patria senza allontainarsi di 
soverchio dalla Morea , cui bisognava preservare dagl' 
insulti del seraschiere , salpo da Por^ Poro sul prin- 




LIBRO TRENTESlMOPItlMO. 1 688. ^11) 

cipiar di luglio con una terribit inostra di ducento vele, 
prendendodrittoilcanimino verso Negroponte. Aveva 
per portare con se maggior copia di soldati, chiamato 
a se il presidio d'Atene , lasciando quella citta esposta 
air iinpeto dei Turchi. Gli ahitatori Cristiani se ne 
ritirarono, andando a ricoverarsi nella Morea. 

La cittik di Negroponte , delta anticameote Calcide, 
giace sul canale famoso nell' antichita sotto il nome 
d' Euripo , e che 1' isola di Negroponte dal continente 
divide. Quivi il canale e cosi stretto, che la citta si 
congiunge con la terraferma per un ponte di cinquanta 
passi, A capo di questo ponte verso la terraferma 
s'innalza un greppo, che ha per nome il Carababa, 
sopra il quale 1 Turchi avevano fondata una fortezza 
ben munita d' arme e di presidio. 

La difHcolta di superare il passo da questa parte 
fece fare avviso, che la citta si assaltasse dalla parte 
detr isola, e percio le genii si avviarono per isbar— 
carvi. Fu improspero il viaggio , una parte della flotta 
ritardata nel siio corso da venti di tramoiitana , 1' altra 
inandata ad incagliarsi nelle secche da una fortuiia di 
mare assal pericolosa. Questi erano awertimenti , che 
lesortt noneranotantoamicheaMorosinidogequanto 
a Morosini generate. Cio non ostante, siccome e po- 
tentissima la volonta dell' uomo, i confederati tanto 
s' a0aticarono contro la perversa stagione, che giuu- 
sero sopra la cercala isola, e vi sbarcarono poco luiigi 
da una torre distante per cinque miglia dalla citta. 
Andarono a speculare Incontro alia piazza, e la tro- 
varono circondata da un aiitico niuro , afforzato di 





45a STOHU O^ITALIA. 

tott'i , coo tnolU' trincee estenari con non poca ^ 

ordinite dai Turchi , e ila essi di numerosa soldatescs 

fornite. 

Il veccliio, ma aempre antmoso Morosini volea, 
che loslamente all'assalto si aodasse per non dar tempo 
al Demico di meglio ordianrsi alia difesa. Ma Cliints- 
inarc non voile consenlirvi, riputando, che contro 
forlifica/ioni regolari bisognava procedere con modo 
di guerra regolare, Posesi adunque mano agli apnrocci 
in distanza di due miglia dalla citta, Lenti e faticosi 
erano i progress!. Qui coniinciarouo gl' infoi'tunj liei 
Cristiani; I' aria pel sito paludoso piena dl una mali- 
gna intemperie principio a produrre pestilenziali ef- 
felti. S' allignarono nel canipo mortali ioEermitii, 
perivano giornalmente In gran nuinero soldati e ca- 
pitani. Morirono Carlo Lodovico Palatino , e Gaspardi 
del Friuli; ma soprattutto rese funesUt il campo la 
inorte del Chinismarc, in cui non si saprebbe distin' 
guere se fosse maggiore o la fede verso Venezia, o il 
valore iielie opere diflicili della guerra; che ceita- 
mente erano amendite multo eminenti. Arrivo il se- 
raschiere al soccorso , e fu vinlo ; i Cristiani occuparono 
per un furioso assalto le trincee esteriori , ma fu nesta 
la vittoria per la mortediGirolamoGarzoni, guecriero 
prode e molto riputato. 

Fervenuti i Cristiani vicino al cerpo della piaiza. 
e gik avendo a furia di cannonate rotto il muro, si 
ordinarono ad un assalto generate. Nod fu la fortuni 
consenziente al valore; Iniperciocche , quaDtun<]iit 
cou ine$tiniabilo aidire combatlessero , i'uroQo iJa> 



1 




LIBRU TRliHTESIMOPRIMO, 1 688. 4^' 

Musuluiani feroceiiientc risosptnli. SaiiguinoRi ed at- ' 
nitti da malignn influenza d' aria eiano i due cRinpi, 
ma piu patrvano i Ciistiani che i Turchl, per essei-e 
alloggiati all' aperto ed in luoghi piu malsani. La sta- 
gioiie autunnale, die andava inollraiidosi, diflicol- 
lava V arriTO dci rinforzi, le tempeste invernali gli 
avrebbero resi quasi impossibili. Cid nondtmeno il 
Morosini, die noii si poteva levare dal pensiero quell' 
iiisigne coaquista, voleva ferniarsi in quei luoghi per 
isveriiarvi , e risorgere a nuova guerra , quando per 
la prlmavera il tempo divenisse propizio. Ma trovo 
poco ossequenti i soldnti forcslieri, massinie gli Ale- 
manai, che non volendo sopportare piu tungamente 
11 tedio di si taticosa guerra, e il pericolo del mate 
pestilenzioso , mormoravano contro il capitnno gene- 
rale , e h fazioni ricusavano : non vi fu ne ragione ue 
autorita , che gli persuadesse. Cio indusse la necessila 
della parteuza, dolendosi it doge, che I' ostinazione 
e la poca sofiereiiza altiui gli rompease roccasione 
di fare, die gli ullimi auni della sua vita eorrispon- 
dessero per la gloria guerriera ai piu verdi. Si eflisttuo 
i'imharco, non seiiza qualche disordine, non gia 
perche i Turdii sboccassero dalla citta per turbarlo , 
trovandosi inabili a lal fazionc per mnncanza di corpi 
sani, ma perche una moltitudine considerabile d'i- 
Kolaui seguaci di Cristo, che si erano scopcrti per la 
lepubblica , temcndo la vendetta dei Turchi , accor- 
revano, uomini, donue e fanciulU affoltandosi e dis- 
pcrandosi al lido per montar sulle navi. Cinque in 
seimila Greci, accolti sulla flotta in tal manicra scam- 



L. 




43a sTORiA. d'itaua. 

parono. Date le vele al vento , Y armata , non con liete 
grida, come quando arrivo, ma con mesto sUenzio, 
•uperato il capo delle Colonne e quel dei Scigli , entro 
nel seno ArgoUco , ed a Napoli si ricondusse^r 

I Veneziani , che per le prosperita passate si pasce- 
vano di grandi speranze, molto acerbamente sentirono 
Fesito sfortunato delrimpresa di Negroponte. L'in- 
Vidia civile, ciofe.incivile, s'aggiunse, come suole, alle 
disgrazie di chi risplendeva sopra gli altri, e moltila 
iama del doge laceravano. L' accnsavano di aver man- 
cato di prudenza e voluto condurre le cose Yeneziane 
con troppo empito. Agli occhi degl' invidiosi il bene 
fiilto non compensa mai il male; la razza umana d 
ingrata. A sentir i Veneziani d^allora, pareva, die Mo- 
rosini non fosse piii Morosini , e che il titolo di Pelo« 
ponesiaco datogli dalla patria piii non se gli confa- 
cesse. Lodavansi i morti , con parole mordaci ^ 
riprendevano i vivi. Ma il senato , che con le pas- 
sioni del volgo non giudicava , e prudente era , non 
solamentie continuo ad aver fede nel capitano gen&- 
rale , ma ancora con provvide pai^ole il consolo , e del 
non interrompere T opera sua in pro-della repubblica 
il ricerco. Sopporto. Morosini con animo costanteTav- 
versitk dejla fortuna, i morsi degli avversarj, ed una 
iafermita, che molto il travagliava, funesto frutto 
delle fatiche della guerra e delle paludi di Negroponte. 

Debole compenso per V infortunio di Negroponte 
,fu r acquisto fattp dal Cornaro del castello di Rnin , 
posto sul fiume Cherca in Dalmazia , da cui i Turchi 
tenevano infestati i territorj di Zara e di Sebenico, 



LIBRO TR£NT£SIMOPBIMO. 1 688. 4^3 

molti schiavi Gristiani liberati, molti Turchi fatti 
schiavi e mandati al remo. 

Assai pill felici furono i successi di Gesai^ nella 
Ungheria. Cede alle sue arini Moncaz, dove la moglie 
del Techeli con virile costanza aveva sostenuto un 
lungo e penoso assedio. Gonservo T animo invitto an* 
che dopo che V ultima necessita Y aveva costretta a 
darsi in potere dei nemici del suo marito , ch' ella sti- 
inava nemici d' Unghena. Ma quando le fu dal vinci- 
tore domandato il diploma con le insegne date al Te*- 
cheli dalla Porta Ottomana, allorquando il dichiaro 
principe d' Unghena , proruppe in segni compassion 
nevoli di afflizione e di cordoglio.Erano tali insegne un 
berettone bianco simile a quello, che porta vano i 
Giannizzeri , ed uno stendardo. Maggior dolore 1' as- 
pettava a Vienna; perche gli furono tolti i figliuoli, 
ai quali^ come piacque air imperatore , fu data una 
particolare educazi<9ne. S' arrese alle armi Cesaree an- 
che Alba Rede, s'arresero Esscch e Petervaradino, 
Rovinavdno da ogni lato le reliquie delF antica Uq- 
gheria | rovinavano e tiravano con se la ruina dell' 
impero Ottomano* 

GV imperial! prendevano un giorno piu che I'altro 
nuova baldanza : ad un gloriososforzo si deliberarono. 
BelgradO) citta fortissima a cavallo del Danubio, gik 
tante volte venuta in contesa fi*a i due imperj, propu*- 
gnacolo or dell' uno or delF altro , e sempre materia di 
geloso confine, divenne scopo e sperata conclusione 
di guerra dei potenti vincitori. A cio davano an- 
che stimolo le discordie intestine degli Ottoman!, per- 

VI. 28 



i 



434 STORIA d' ITALIA. 

che a Costantinopoli ora tumultuavano i popoli , ora i 
soldati, ora un visire si decapitava, ed ora un altro : 
Solimano debole non era capace di governare da se. 
II duca di Baviera, essendosi il Lorena allontanato 
dal campo per infermita, si accosto coU'esercito a 
Belgrado , lo strinse , lo prese d' assalto il sei di set- 
tembre. Miseria sopra miseria s' accumulava a danni 
del gran signore; I'erario esausto, i sqldati vinti, i 
popoli discordi, gr^n parte della cristianita nemica, 
la superbia cambiata in avvilimento. 

Cio vedendo, ed al rigore dell' av versa fortuna ce- 
dendo, aveva il soldano mandalo due ambasciatori 
per trattare coH' imperatore a Vienna condlzioni 
di pace, Sulficar EfFendi , uomo della legge , Mauro- 
cordato, dragomanno dell' imperatore. Mentre ap- 
punto verso il destinato luogo viaggiavano, capita- 
rono a Belgrado , ed avvenne loro di vedere V espu- 
gnazione di quel forte antemurale'del proprio domihio 
in Europa. Entrarono anzi , subito dopo la presa della 
piazza , per la breccia , orrida ancora pei cadaveri dei 
Giannizzeri, che I'avevano valorosamente difesa. Fu 
loro fatto cortesia dal Baviera vincitore, desinarono se- 
duti alia medesima mensa con esso lui, videro nel volto 
dei convitati, videro nelF aspetto dei soldati e del po- 
polo i segni dell' allegrezza cagionata dal caso, che ad 
essi pill di ogni altro doloroso era e funesto. Non si 
scomposero pero nel volto, serbarono gravita, gl' infe- 
lici successi ai preordinati decreti del cielo ascrissero. 
Pareva imminente I'eccidio degli Ottomani assaliti per 
terra e per mare , e travagliati da congiure e solleva- 



I 



UBRO TfiENTESIMOPRIMO. 1688. 435 

zioni interne. La pslce coll' Imperatore , con Yenezia 
^e Polonia non poteva essere , se pure accordata fosse, 
se non con vergogna ed immenso scapito di potenza. 
La cristianitk si rallegrava , e ad altissime cose solle- 
vava r animo. Ma un' impensata risoluzione di un re 
Gristiano ruppe i disegni , contamino le speranze, fece 
che il comune nemico dal piu basso grado della for- 
tuna a piii eminente risorgesse. 



FINE DEL UBRO TRENTESIMOPRIMO , 
E DEL TOMO SFSTO. 






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